Vincenzo Martongelli: Eleonora La Borbonica

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FOYER
Nel necrofilo clima lasciato dalla rappresentazione della Redgrave, lasciai la platea per raggiungere il foyer dove
il Comune aveva organizzato un allegro buffet, baldanzoso... all'idea di rivedere il Sindaco! L'avevo incontrato,
l'ultima volta, al seguito della visita napoletana di Juan Carlos di Borbone, accreditato dalla rivista di Roberto
Ritondale "L'agro". Visita della quale mi sentivo l'artefice morale, avendola suggerita io stesso al Sindaco una sera
al Grenoble, l'Istituto di Cultura Francese, subito dopo la visita di Alberto di Monaco, organizzata dal Presidente
della Regione Rastrelli in occasione del gemellaggio Campania Principato di Monaco.
Avevo poi insistito con una lettera inviata al Mattino, cui rispose l'amico Riccardo Pazzaglia, ed un'altra ad "il
Denaro".
Preparai anche un articolo per la rivista Album, prodotta da Nicola Forte, ma il neoborbonico si disse poco
interessato e non lo pubblicò.
Si era formata una gran ressa dinanzi l'uscita dove i giornalisti fermavano gli spettatori per conoscere le loro
opinioni, e i fotografi continuavano ad intralciare il traffico pedonale alla ricerca di vip che non c'erano! Proprio
dinanzi l'ingresso, incontrai Antonella, la bella e seducente sorella del mio amico Luca Cedrola, avvocato con
l'hobby della poesia e abilità da romanziere.
Non so bene perché, ma quella fanciulla mi ha sempre reso nervoso! Avevo passato il capodanno con Luca e la
sua bellissima promessa sposa Eleonora Aloia e Antonella aveva rattristato tutti, invitando da Bergamo un suo
spasimante che aveva, poi, trattato malissimo.
"Io, sono entrata gratis grazie alle mie amicizie. Tu immagino che avrai pagato. Chi te l'ha fatto fare!"
Valicai Antonella lasciandola con delle sue amiche, ma fuori in corridoio mi sentii chiamare a gran voce:
Vincenzooo!
Era Sergio Carlino, mio partner, o forse io ero stato il suo, nelle tournée sinatriane!
Insieme avevamo varcato i portali dei grandi teatri d'Europa come l'Opera di Parigi o il Teatro di Vienna, pagando
giusto la mancia alle maschere per assistere a rappresentazioni di respiro internazionale. Sapendo che Sergio,
vantando amicizie con gli uscieri, poteva concedersi tanto anche al San Carlo, nel desiderio mai sopito di poter
ancora condurre con me la bellissima Eleonora Mazzone, gli avevo telefonato il giorno prima chiedendogli se
poteva darmi una mano.
Sergio, rispondendo seccamente era stato lapidario:" Amo l'arte e la musica e queste manifestazioni puramente
politiche non mi interessano, anzi mi fanno schifo".
Dato il tono esplicito, ovviamente, non insistetti.
Ora però lo ritrovavo lì con aria divertita e ben sei persone al suo seguito. "Siamo entrati in sei e abbiamo pagato
meno di 50 mila lire". Fu la prima cosa che mi disse venendomi incontro, ma fu anche l'ultima poiché accelerai il
passo verso il foyer.
Lì era tutto un gran vociare e gozzovigliare! Attorno al buffet più di mille persone che si abbuffavano! C'erano
tutte le persone viste in poltrona e anche quelle sul palco.
De Simone e la Redgrave con Franco Nero e il figlio. I Ministri invece si tenevano al centro sala. Solo D'Alema,
passandomi accanto fra le sue guardie del corpo, era andato via senza fermarsi, curandosi lui per tutti di sgridare i
fastidiosi paparazzi: "Adesso basta altrimenti vi faccio prendere a calci. " aveva chiarito loro, regale e incipriato.
Dentro si parlava di Romiti, Presidente della Rcs, che non avendo commutato l'invito in biglietto, era rimasto per
un po' senza posto e della Macciocchi, scrittrice di sinistra e membro del Comitato Celebrativo, biografa della
Sanfelice e della Fonseca Pimentel, delusa per non aver avuto lo stesso palco con Susanna Agnelli.
La Mussolini criticava Bassolino che aveva scelto per sè il palco reale con un fare volutamente e simpaticamente
sguaiato, che ricordava al pubblico come, più che al nonno Duce, fosse prossima alla zia attrice Sophia Loren,
ambasciatrice nel mondo dei modi e della bellezza mediterranea. L'ex cronista sportivo e conduttore TV di valide
trasmissioni scientifiche Luigi Necco, ridottosi nella meraviglia di tutti ad un gigionesco consigliere comunale,
raccontava di come il novello partito di Cossiga, I'UDR, avesse deciso di candidare per le europee l'attore Bud
Spencer: spot elettorale "Piedone a Bruxelles".
Una signora cercava poi di spiegare cosa fosse l'agiografia a quelli che non l'avevano capito. Quasi tutti!
Si trattava del termine geografia tradotto in dialetto napoletano divenuto lingua ufficiale con la nomina del Sindaco
di Napoli a Ministro del Lavoro.
Fra conversari da fermata d'autobus più che da foyer, apparve il Sindaco elegantissimo, in camicia bianca e abito
gessato nero, confezionatogli da Mariano Rubinacci come appresi dal pettegolo "Panorama" di Berlusconi.
Fu lui a porgermi la mano in segno di saluto: "sono molto lieto di vederti pronunciò ad alta voce nello stupore
reverenziale del mio amico Giuseppe Ragosta, speaker radiofonico, che si tenne tutta la serata alla mia spalla destra
con discrezione angelica.
Del Sindaco, quel che subito colpisce è l'altezza, infatti è molto più alto d quanto appaia in televisione dove lo
fanno apparire basso accanto agli intellettuali ed artisti ripresi con lui (il cantautore Pino Daniele, lo scrittore Jean
Noel Schifano, il sovrintendente Zampino, etc.).
Probabilmente, in un altro stratagemma utilizzato a corte dal Re Lazzarone, Bassolino con loro posava più curvo,
un po' per metterli a loro agio, un po' per ringraziarli di quella chioma albuminosa tanto in voga tra le loro
acconciature, da quando a Palazzo San Giacomo, sulla poltrona da sindaco, c'era un brizzolato.
Dopo di ciò, sorprende in lui quel potere di seduzione che infonde una fiducia da vecchio amico.
Pur nel suo ruolo di mio antagonista ed in qualità di Presidente di un comitato celebrativo per il bicentenario del
1799, tutto composto da fautori della Repubblica Partenopea nel calore del suo savoir faire, e nel fascino diabolico
dei suoi abiti dall'ottimo taglio, fu lui a esorcizzarmi da quella tensione imbarazzante che mi attanagliava e che era
stata anche un po' accresciuta dai visi a me familiari della "bellissima che rompe" Antonella Cedrola e dall' "amico
del cuore" Sergio Carlino.
Bassolino compensava da solo per il suo pubblico, per la sua città, l'assenza al San Carlo dei tanti beniamini di
Napoli che, come per far sentire la propria importanza, avevano rifuggito l'invito.
Avevo forse finalmente compensato l'assenza di Eleonora Mazzone. Non so se si trattasse di un istinto gay o se era
forse il fulgore del suo sguardo intelligente, il quale dava ben a capire che, contrariamente a quanto si dicesse, con
il Sindaco si poteva discutere di ogni argomento, anche spinoso, purché lo si sapesse presentare.
Non mi vergognavo quindi al suo cospetto di presunto e sedicente giacobino, di apparire come un neoborbonico.
Anzi, ne ero fiero, essendo stato io, come già detto, a suggerirgli l'importante visita diplomatica dei reali di Spagna.
Chi non l'amava (i neoborbonici) diceva che Bassolino era capace di strumentalizzare ogni cosa a suo vantaggio,
proprio adulando gli avversari.
In effetti con le sue galanterie, Bassolino fra tanti insulti, era riuscito a strappare, infingardo, persino qualche plauso
dalla nevrastenica Alessandra Mussolini.
Subito A.N. era corsa ai ripari ritirando la ragazza dalla scena politica campana eliminando, loro stessi, una sua
pericolosa avversaria. Mentre fra i corridoi di Palazzo San Giacomo, già si parlava di un eventuale "flirt" fra il
bell'Antonio e la nipotina del Duce!
Ma tutto questo era avvenuto più per l'ottusità di A.N. e del leader nazionale Gianfranco Fini, che per abilità del
nostro Sindaco.
Bassolino poteva contare sui giornali nazionali, sugli addetti alla cultura de "II Mattino" e "Repubblica" come Titti
Marrone e Stella Cervasio, entrambe fautrici della Repubblica Partenopea, ma principalmente su uno stuolo di
sedicenti intellettuali strettiglisi attorno come i presentatori televisivi di Mediaset a Berlusconi.
Il filosofo Gerardo Marotta, aveva dichiarato pubblicamente che a Napoli avevano comandato solo briganti dal
1799 fino a Bassolino: neanche Emilio Fede con il Cavaliere era arrivato a tanto! Ma, principalmente, aveva aperto
per lui, il portone dell'Istituto di Studi Filosofici in occasione dell'anniversario della Liberazione; Quel Palazzo
Serra di Cassano che da Monte di Dio affaccia su Palazzo Reale e che i duchi, nel 1799, dopo la condanna a morte
del figlio che aveva preso parte alla Repubblica Partenopea, chiusero per sfregio ai Borbone perché si riaprisse in
tempi migliori.
E, a proposito di Mediaset, persino il litigioso critico d'arte, "l'enrangè" del Polo Vittorio Sgarbi, amava elogiarlo
citandolo come esempio di valida amministrazione meridionale nei suoi discorsi contro il leader della Lega Nord
Umberto Bossi.
Con la sua arrogante gentilezza, giustificava artisti ed intellettuali, che in mancanza di antichi mecenati, si
ponevano ora in Italia, sotto l'ala protettrice dei politici.
Una gentilezza capace al momento opportuno di domare gli intellettualismi anche più violenti e aggressivi.
Lo spinoso sovrintendente Spinosa, borbonico occulto assente alla serata, aveva criticato il Sindaco dopo l'
esclusione per motivi di sicurezza, della Reggia di Capodimonte per la passeggiata cittadina dei Reali di Spagna.
Sovrintendente per ruolo, polemico di professione, Spinosa sino a poco prima favorevole all'operato di Antonio
Bassolino al punto di candidare al suo fianco, anche la figlia Aurora per le comunali del '97, ora gettava ombre
sinistre sulle manifestazioni cittadine, che fra l'altro portavano la sua stessa firma. Inaugurando in semiriserbo la
mostra di Castel Sant'Elmo sul '99, dichiarerà di averla realizzata per motivi d'ufficio, trovando in realtà
intollerabile che si celebrassero come eroi quegli aristocratici che avevano appoggiato gli invasori francesi pur di
divenire classe dirigente.
"Napoli non ha bisogno più di miti. Quindi né di super sindaci tantomeno di super cardinali" dichiarò.
Al di là dell'affezione borbonica colta, che pareva comunque portare ben lontano dall'intransigenza sudista dei
neoborbonici, balzava all'occhio che nella critica al Sindaco rapportato all'inquisito cardinale Giordano, Nicola
Spinosa volesse in realtà riprendere Bassolino per non averlo spalleggiato nella polemica in atto da anni contro il
sovrintendente Zampino. A cominciare dai capelli che, come già detto, ricordavano quelli del super sindaco,
Zampino per quanto legato alla destra, membro del comitato di vigilanza per la Regione Campania per il Giubileo,
voluto da Antonio Rastrelli, bollato come borbonico da un cavalierato di tradizione familiare, era comunque molto
più rigoroso del iroso don Nicola, soprannominato Ceaucescu per le sue prese di posizione nell'ambiente dell'arte.
Spinosa nelle stilettate lanciate dai giornali sembrava toccar vette di patetica gelosia per Zampino che gli aveva
rubato le attenzioni del sindaco, rammentando l'instabilità di Torquato Tasso nei confronti dei suoi mecenati. A
largo del reggente di Capodimonte girava anche a passo felpato un'altra figura del reichtstag partenopeo: l'avvocato
Riccardo Marone, ossia il fidato vicesindaco scelto con gran spirito liberale da Bassolino fra la società civile
anziché fra i partiti, che avevan così annoverato anche loro ulteriori motivi di risentimento. Invidiato per il suo
ruolo da vicerè, Marone, fra i sussurri di palazzo mai raccolti dagli ossequi di stampa, si era ben guadagnato
l'amabile soprannome di "pantera rosa", un po' per l'avvenenza della first lady al peperoncino, Rita, che ricordava
Capucine, moglie di Peter Sellers nel cult movie di Blake Edwards, un po' per la sua stessa aria svagata ed
imbranata, tanto da portare alla mente, al suo espressivo passeggio in Comune, l'ironico ed immortale motivetto di
Henry Mancini, tanto che uscieri ad assessori a Palazzo San Giacomo, non riuscivano a tenersi da fischiettarglielo
dietro. Dietro il sindaco, quella sera al San Carlo, come sempre, l'altro motivo di gelosia: Annamaria Carloni. Alta,
magra, meno che nei punti giusti e dalla sensualità volitiva e disinteressata! Le donne dei neoborbonici, erano
invece per lo più oltre che grasse e basse, "vuote" proprio nei punti giusti e almeno all'apparenza, rozzamente
venali.
Particolarmente enfatico per il nostro incontro, volle presentarmi l'amico che si sarebbe trattenuto più a lungo con
loro nel foyer. Un signore calvo e con gli occhiali che aveva gestito anche un Ministero nel precedente Governo
Prodi e che rispondeva al nome di Giorgio Napolitano: -"Giorgio permettimi di presentarti un carissimo amico del
movimento neoborbonico"- disse. Mentre i fotografi correvano dietro alle altre due "Ministre" scorte nel foyer,
Livia Turco e Rosa Russo Iervolino, Napolitano, che aveva raggiunto anche lui il palco del San Carlo tramite il
passaggio segreto del Palazzo Reale, rimase sorpreso che il ministro potesse vantare in città consensi anche nel
movimento neoborbonico.
Sorpresa che non gli impedì di parlar subito, un po' a "coda di gatto", dei Borbone. Bisognava, a suo dire,
periodizzare, poiché vi erano stati dei passaggi storici in cui nessun meridionale, non poteva che dirsi borbonico.
Avrei potuto obiettare e difendere tutto l'operato della dinastia, ma sarebbe stato un discorso troppo lungo che,
dopo la visione dello spettacolo già troppo impegnato, avrebbe rovinato quella bell'aria da "fricchettoni" che
avevamo tutti assunto per il buffet. Preferii seguire il filo del suo discorso e dire che lo stesso valeva per Napoleone.
Fu a quel nome che, a lato della chioma di Bassolino alcuni capelli gli si drizzarono come antenne!
Fui tentato di sistemarglieli (in nomine homine, il mio è Vincenzo, un nome tipico da "coiffeur") ma temetti di
apparire troppo ossequioso. Non solo per i neoborbonici che potevano essere nascosti nel foyer, ma anche per l'ex
ministro e la compagna del Sindaco che avrebbero potuto equivocare.
Nella Napoli "fin de siècle", dove i paragoni con i grandi del passato si sprecavano, Antonio Bassolino, aveva
probabilmente ragione a sentirsi chiamare in causa dal nome di Napoleone, che gli aveva procurato un'immediata
"erezione capillare".
Senza precedenti nella storia d'Italia, basandosi sul modello francese, il Sindaco in carica diveniva Ministro pur
restando comunque Sindaco. Traghettava così d'immediato l'Italia nell'Europa del futuro.
Riccardo Pazzaglia, politologo scettico alla San Tommaso, nel suo scritto, "Sant'Antonio d'Afragola", lo rapportava
a Sant'Antonio da Padova ed al suo dono dell'ubiquità.
Con il governo D'Alema, si poteva incontrare Bassolino a Montecitorio come a Palazzo S. Giacomo, come in un
bar d'Afragola a giocare a Rubamazzo!
Come il piccolo corso, anche l'alto afragolese, era figlio di una rivoluzione: la rivoluzione di Tangentopoli, guidata
dal Robespierre Tonino Di Pietro da poco salito sull' "asinello".
Iniziata anziché in un glorioso 16 luglio 1789, in un inglorioso febbraio 1992, con l'arresto di un portaborse invece
che di un re, Tangentopoli aveva sfilato come un rosario "l'ancien regime" della politica nelle aule giudiziarie, alla
stregua dei suoi avversari e complici di ceto: camorristi e terroristi!
Come il giudice Salvemini del profetico film di Alberto Sordi, nel rondò del vizioso valzer di "avvisi di garanzia",
una volta inquisito e poi prosciolto avrà il suo giro di turno anche Di Pietro: "Tutti dentro"! "...In nome del popolo
italiano" e del suo miracoloso risveglio contro i politici disonesti e il loro sistema di tangenti e raccomandazioni.
Via via, come un carciofo sfogliato fino al gambo secco, con l'estromissione più o meno fittizia di autentici
professionisti della politica, quali De Mita, il palcoscenico politico era rimasto vuoto. Da questo vuoto, si era
affacciato alla meno peggio per poi divenire il migliore, Antonio Bassolino, un politico manager.
Più che il Cavaliere di Arcore, manager innanzitutto di sé stesso, allorchè divenuto Sindaco, aveva aumentato lo
stipendio suo e della giunta !
"La politica di chi non vuol rubare" diranno i sostenitori del Comune. Su questo motto, aveva chiesto e ricevuto
soldi dagli U.S.A.
Manager della città, che intendeva federalizzare, e della cultura che sosterrà di aver portato a Napoli dall'ultimo al
primo posto, oggi era lanciatissimo sul piano nazionale.
Le elezioni a Sindaco con sistema maggioritario, vinte dopo una campagna basata sulla riscossa dei valori civili di
Napoli, la voglia di trasparenza e di stabilità contro la pericolosità di una destra che era arrivata a candidare la
nipotina del Duce, avevano rappresentato l'anello di congiunzione per le nozze cosmiche fra la rivoluzione di
Tangentopoli e il suo figlio neosposo Antonio Bassolino.
Un rapido avvio, di una gestione finalmente imprenditoriale era attesa nella capitale di un sud mai tanto afflitto, in
realtà dai tempi dell'unità d'Italia. Nella sua indole monarchica, la città si era illusa un tempo di assecondarla nella
parentesi laurina, con un "don Achille il comandante", in realtà troppo compromesso dai suoi alleati e troppo
estromesso dagli avversari come Sindaco e imprenditore. "L'unico a portare lui i soldi sopra S. Giacomo",
ricordava ancora la gente, mentre la sinistra ne denigrava la memoria con il libro "Mistero napoletano" di Ermanno
Rea.
Un Sindaco, figlio di una rivoluzione come Tangentopoli, quale Antonio Bassolino, evitava il pericolo di
un'eventuale restaurazione della prima Repubblica: non una sigla era infatti, sopravvissuta rispetto all'arena politica
del dopoguerra.
A distanza di qualche anno da quegli avvenimenti sorge spontaneo chiedersi se Tangentopoli fu una vera
rivoluzione o la semplice resa di un sistema che in vista della crisi economica non poteva più durare: a giudicare
dall' arresto del povero direttore del carcere minorile di Nisida e dalla modesta tangente incassata -cinquemilionisi trattò di una resa economica!
Il segreto del successo di Bassolino, non solo a livello comunale ma anche sul piano nazionale, va infatti
rintracciato, così come per il resto della sinistra, in quell'ambivalente rapporto tra il passato della prima e il futuro
della seconda repubblica.
Proprio sul loro nascere, i neoborbonici avevano chiesto che Piazza del Plebiscito tornasse agli antichi nomi dei
fasti borbonici e murattiani. I napoletani, per quanto dubitino ancora dell'onestà dei plebisciti, di tutti i plebisciti,
quelli per l'unità d'Italia, come ancor più quello per la fine della monarchia dopo il fatidico novembre del'93, non
acconsentirebbero mai a tale soluzione, convinti come sono che dopo la soap opera "Un posto al sole", le feste vip
di Telecom "Napulanno" e, principalmente, dopo il "Festivalbar", sia ormai questo il nome della piazza che ha
accompagnato nel mondo il rilancio della città!
In realtà, i massmedia, difficile stabilire quale coalizione politica oramai favoriscano maggiormente, hanno
rilanciato nell'immagine e nel nome della piazza, la chiave di volta della politica di sinistra: il "plebiscito"
consensuale per il sindaco più famoso d'Italia; il fascino di Bassolino ed il mito che si è saputo creare di
modernizzatore della società e delle sue istituzioni, capace, inoltre, di sfondare anche a destra, espugnando, con il
liberalismo, confuse roccaforti elettorali della parte avversa.
Pur giunto al soglio di Montecitorio, non aveva dimenticato le diaspore napoletane: tradizionaliste, almeno quanto
progressiste. Il giorno dopo Eleonora, fu infatti lui a muovermi quella cortesia che avrei dovuto muovergli io che
invece ero stato titubante nel cogliere l'attimo!
"Si è vero, fuori il teatro c'erano 300 neoborbonici che contestavano dichiarerà a "La Repubblica" , ma dentro in
sala c'era un neoborbonico. Un ragazzino biondo. A lui Eleonora è piaciuta."
Sono sotto la trentina, e vado stempiando! I minerali che consumo in quantità (prima o poi mi creeranno problemi
di prostata) mi fanno crescere tutto: unghie, denti del giudizio, peli in petto e sotto le ascelle. Meno però che i
capelli persi...sigh!
Bassolino dalle pagine del quotidiano più letto, mi aveva acconciato lui i capelli praticandomi inoltre, con quel
ragazzino, anche un mezzo lifting metafisico. Tanta delicatezza nei miei confronti, mandando su tutte le furie i
neoborbonici e tutte le mie ex più attempatelle, mi aveva ovviamente sedotto.
Chi non ebbe tanto piacere nel trovarmi attorno al buffet, fu il maestro De Simone. Ci eravamo conosciuti, qualche
tempo prima, tramite quel Beau Brummel alla napoletana, che è il cavaliere don Antonio D., un rappresentante di
calzature, che si era guadagnato sul campo il titolo di cavaliere borbonico durante un importante cena per una
manifestazione pubblica, svoltasi nell'archivio di Stato alla presenza della detronizzata Real Casa delle due Sicilie,
autoaccusandosi di meteorismo, dopo che una "scoreggia"... (ehm!) rimasta anonima, ma di probabile firma reale,
aveva perturbato l'eleganza della tavolata. Questo mio romantico amico, bell'uomo alla Omar Sharif e potenziale
Grand' ufficiale di un ipotetico "Ordine della scorreggia", nella sua affezione borbonica, frequentava sia profughi
del Risorgimento che il "magister" del Real Conservatorio di musica S. Pietro a Maiella. Ricordo che a Caserta,
dopo un concerto nella Reggia, aveva voluto, orgoglioso della sua amicizia, presentarmi come neoborbonico a quel
grande e cerimonioso musicista che ora al sol vedermi nel foyer, ebbe negli occhi un guizzo come Leporello dinanzi
al convitato di pietra. Subito il "Don Giovanni" di Afragola, lo soccorse, mettendolo di nuovo a suo agio,
poggiandomi una affettuosa mano sulla spalla mentre lo salutava.
I Borbone, indicati sempre al plurale come i popoli rappresentati (lo Stato sono io), avevano segnato del loro nome,
l'età più splendida della monarchia europea. Tant'è che alle soglie del terzo millennio, con Juan Carlos sono
ritornati sul trono di Spagna. Persino Napoleone, era rimasto intricato dal loro nome e aveva cercato di incrociarne
il destino al di là dei campi di battaglia. Sposando, infatti, la figlia dell'Imperatore d'Austria Maria Luigia,
Napoleone diverrà addirittura nipote acquisito del Re Lazzarone e di sua moglie Maria Carolina.
Piazza Carlo III, dove sorge il Real Albergo dei Poveri, per esteso il più grande edificio del Mediterraneo, unica
formula toponomastica dedicata a quella dinastia che per 126 anni, in cinque generazioni, rappresentò al meglio
l'indipendenza del Regno delle Due Sicilie, saluta la memoria del monarca con il numerale che questi ebbe poi in
Spagna. Infatti, nel deismo dell'antica Magna Grecia che fu il Meridione d'Italia, i Re come gli dei cambiavano
nomi con il rivolgimento dei regni; Napoli, pertanto, già guarda all'Europa Unita avendo dedicato la Piazza al
sovrano di un altro paese, antenato, tra l'altro, di Juan Carlos.
Forse, è nel "metaforismo anteinternet",di quel sito che si nasconde il filo diretto tra la fine dell'età dell'oro della
monarchia francese del Re Sole "apres moi le deluge", coniugata alla tragicità tutta napoletana di "Franceschiello":
"non vi resteranno che gli occhi per piangere", colta all'indomani dell'unità d'Italia!
Prescindendo da ogni entusiasmo che si potesse simulare per i "rinascimenti" veri o presunti della politica italiana,
i cittadini meridionali amavano confrontarsi con le loro mancanze.
Il fantasma di ciò che non c'era più e che si sarebbe potuto ricreare. Anche in una serata come quella, con il sindaco
assediato nel foyer del San Carlo da una calca entusiasta, pareva si vivesse un rapporto a tre, triangolo fra cittadini,
i rappresentanti delle istituzioni politiche e lo spettro aleggiante della monarchia.
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