costume teatrale - CRT "Teatro

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COSTUME TEATRALE
A cura della dott.ssa Ines Capellari
PREMESSA
La funzione principale del costume e la sua espressione più significativa non sono solo quelle di far
riconoscere un personaggio al suo apparire in scena, ma quelle di trasmettere al pubblico significati
universali, secondo codici figurativi primordiali o inediti.
Anche il nudo è un costume, e forse il più appariscente.
Il linguista Jakobson opera una distinzione tra costume metonimico e costume metaforico.
Costume metonimico: Costume in cui il riferimento alla cultura data (ma anche al ruolo sociale, alla
classe, ecc.) viene affidato soltanto ad un singolo elemento, che sia però altamente qualificante. Es:
un berretto militare che sta per una intera divisa, anche su un abito neutro.
Costume metaforico: Costume non strettamente connesso all'ambiente nel quale il dramma si
colloca, cronologicamente o geograficamente, ma viene messo in relazione con un'altra epoca o
situazione. Es: Luchino Visconti realizza un Oreste di Alfieri nel quale il riferimento ambientale
non era dato dai tempi eroici del mito greco, bensì dalla cultura settecentesca nella quale si era
formato Alfieri. Intese cioè rappresentare il gusto e lo stile rococò.
Il costume ha la funzione di accentuare nella descrizione l'aspetto del personaggio. Ne distingue il
sesso, la classe sociale, la storia. Non è semplice ornamento, ma mezzo di comunicazione.
Può reinventare la moda per narrare, acquisendo funzioni di racconto, di indagine psicologica e di
contenuto drammatico o comico a seconda del testo.
Un attore che entra in scena, prima ancora di parlare è già personaggio.
Certi particolari, non solo omologano l'aspetto esteriore di chi indossa un dato abito (e a maggior
ragione un dato costume), ma forniscono un'indicazione puntuale del codice o del complesso di
valori di cui sono espressione.
La stranezza dell'abito, la sua bizzarria, il rovesciamento delle funzioni che esso può esprimere, la
sua modificazione e, in qualche caso, la sua deliberata degenerazione, costituiscono altrettanti
indicatori di fenomeni antropologici in atto: lutto, pratiche magiche, acculturazione e inversioni
simboliche.
Così come la realtà in scena è enfatizzata, proprio per poterci parer tale, anche il costume dovrebbe
seguire questa regola. Il suo aspetto finale dovrebbe contribuire al meglio ad esprimere il non detto
rispetto a luogo, circostanze e aspetti del personaggio. Per far questo non sempre la ricostruzione
precisa di un abito è sufficiente contributo all’atmosfera che si vuol creare, ma occorre aggiungere
un punto di vista personale, “metterci del lievito”.
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STORIA DEL COSTUME TEATRALE
Teatro greco
Nel teatro greco il costume ricopre funzioni anche drammaturgiche.
Il costume degli attori è la stola (somation), ma il costumista è colui che fa le maschere.
La veste tragica è una tunica detta il “variopinto”, sulla quale si mettono sopravesti di vario genere
(tunica lunga, saio, clamide ricamata d'oro, veste a rete, ecc.)
I calzari tragici sono i coturni (alti fino a 20 cm.) e i sandali, quelli comici i socchi.
Per le vesti vi era un preciso codice di colori. Ad es. i colpiti da disgrazia indossavano vesti bianche
di lutto, o vesti scure (nere o grigio bluastro). I colori si differenziavano anche secondo l'età del
personaggio.
Per i costumi tragici femminili le vesti erano lunghe con strascico e potevano cambiare colore in
base alla condizione sociale o alla loro situazione.
Il costume satirico, la n èbride, era in pelle di capra e a volte di leopardo.
La veste comica era l'exomide, una tunica bianca.
Accessori diversi (borse, bastoni, spade...) caratterizzavano i personaggi secondo ruolo sociale ed
età.
Tra il modo di vestire quotidiano e quello teatrale c'era grande differenza: il costume teatrale
derivava dall'abbigliamento per il culto di Dioniso, e tendeva quindi ad assumere una forma
solenne.
Anche le parrucche e i loro colori, così come le maschere, erano codificate per indicare tipo e
psicologia del personaggio. Le maschere erano solitamente di cuoio, in cartapesta o in tessuto
stuccato, e le parrucche e le barbe in crine di cavallo o stoppie (il bianco rappresentava vecchiaia e
saggezza, il biondo l'origine divina, la barba era destinata a personaggi autorevoli, ecc.).
Nel trucco, in assenza della maschera, si utilizzavano biacca e feccia di vino.
La forma del costume si stabilizza verso la fine del V sec. A.C.
Teatro latino
Sulla scala dei valori civili il teatro e lo spettacolo occupano un posto minore.
Gli attori sono spesso schiavi, la cui vita non è tenuta in gran conto.
Si usano di rado le maschere, di influenza greca.
La palliata è la commedia in abito greco, mentre la togata è la commedia in vesti romane. La
cothurnata è tragedia di argomento greco, mentre la praetexta, tragedia di argomento romano,
prende il nome dalla fascia di porpora che orlava l'abito dei magistrati romani.
Rimanevano ancora vive nel I sec. A.C. Forme popolari come la farsa o il mimo. Sui mimi non si
trovano differenti indicazioni dall'abito quotidiano, tranne che per un fazzoletto quadrato, detto
ricinium, in testa, la cui funzione poteva essere anche quella di nascondere l'identità dell'attore.
Teatro medievale
Durante l'affermazione del cristianesimo (dal IV al XIV sec. d.c.) l'Europa non consente ai suoi
abitanti alcuna libertà dottrinale e comportamentale. Le autorità religiose e civili emanano continue,
vessanti normative sull'abbigliamento soprattutto su quello femminile. I legislatori locali
(municipalità, consigli nobiliari)fissano dei parametri detti “norme suntuarie”, che decidono della
lunghezza di vesti e strascichi, dell'altezza dei cappelli, del volume delle acconciature e dei colori
da indossare, a seconda dell'appartenenza sociale o della condizione personale (per esempio il
periodo per il nero della vedovanza, il nubilato cui era vietato il rosso, la prostituzione che doveva
essere distinta dal giallo, e così via).
Nelle rappresentazioni teatrali, le parti femminili erano interpretate da uomini.
Ogni eccesso nella rappresentazione veniva duramente condannato dalle gerarchie ecclesiastiche.
Nel sec. XI e XIII gli interpreti si limitavano ad esibire dei metaforici sacri panni, lasciando
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all'immaginazione del pubblico l'interpretazione dei significati.
Per i ruoli femminili venivano indossati la dalmatica (ampia tunica liturgica con maniche corte e
spacchi laterali) e l'amitto (telo di lino sacerdotale a coprire le spalle). Per indicare gli angeli si
aggiungevano ali e fiori di giglio alla stola bianca. Altri accessori indicavano i personaggi minori
(es: bastoni e bisacce per i pellegrini).
Con il passare del tempo le rappresentazioni si arricchiscono di ornamenti. Il teatro esce dalle chiese
e l'allestimento delle rappresentazioni viene curato dalle corporazioni artigiane. Con il complicarsi
della drammaturgia e l'accrescersi dei personaggi, la ricostruzione storica dei drammi liturgici non
disdegnava di accostare abiti codificati dall'iconografia ufficiale ad abiti di fattura contemporanea.
I vestiti teatrali si arricchiscono di scritte devozionali ricamate con materiali preziosi e di colori
pregiati (allora molto costosi).
I diavoli, che non di rado erano interpretati da giullari, erano abbigliati con pelli di animali e protesi
zoomorfe (zampe e artigli posticci sulle mani).
Il professionista medievale più caratteristico è il giullare. L'istrione (mimo, menestrello, giocoliere)
può essere accolto nella comunità cristianizzata solo in occasioni festive, ed è ospite -spesso
straniero – della comunità o del signore locale. Estraneo di fatto alla vita quotidiana, egli esaspera la
sua difformità anche attraverso il costume.
In Francia il giullare si rade barba e capelli e porta il vestito vergato in due colori accostati
verticalmente. Nei paesi germanici il tessuto vergato veniva invece imposto ai bastardi, ai servi o ai
condannati, mentre in Italia i tessuti vergati o scaccati erano graditi, ma non accessibili a tutti.
Anche tra i giullari esistono gerarchie: il musico o poeta di corte è considerato superiore all'istrione
di piazza.
La licenza del buffone arriva anche alla nudità, intesa come manifestazione di povertà, follìa o
bestialità.
Nell'alto medioevo entra in uso una pratica che si manterrà per secoli, dato l'alto costo
dell'abbigliamento prima dell'invenzione dei telai meccanici: il passaggio dei capi di vestiario dai
nobili agli attori, come premio per le loro esibizioni.
Teatro del '400 e '500
In questo periodo escono diverse stampe di Terenzio, nelle quali gli attori che interpretano testi
latini e greci sono abbigliati alla moda. Nelle rappresentazioni alle corti italiane, infatti gli attori
indossavano abiti sfarzosi, che nel complesso potevano dare una sensazione di classicità, ma
vestivano la moda del loro tempo. Come annotato nelle cronache coeve, perfino i vecchi, i poveri e i
pastori avevano abiti da gran signori.
Nelle corti del '500 le manifestazioni spettacolari e gli eventi celebrativi sono eventi ricorrenti, e
questo pone due problemi a coloro che devono occuparsi dei costumi: come mantenere alta
l'attenzione di un pubblico ormai abituato a questi eventi, e come mantenere il “decoro” della festa
introducendo costumi esotici. I viaggiatori riportavano disegni e documenti dei popoli extraeuropei,
e la nudità di alcune popolazioni (indiani d'America e tribù africane) veniva riprodotta in scena con
calzamaglie aderenti color carne, o brune per i neri. I piedi non erano mai nudi, e anche i pastori e le
ninfe dei drammi pastorali indossavano sempre zoccoli o coturni. Di fatto, l'abito esotico attirava
maggiormente l'attenzione dello spettatore.
Sono soprattutto i costumi turchi e moreschi a divenire travestimenti fissi nei tornei, alle giostre e
alle feste danzanti di tutto il rinascimento.
Per la scena si raccomandava un rispetto della scala gerarchica nei costumi, ma tutti dovevano
essere “decorosi”. Si evitava poi il nero in scena, in favore dei colori chiari (ricordiamo che
l'illuminazione delle rappresentazioni teatrali era a lume di candela).
Teatro barocco
Gli intermezzi delle commedie di fine '500 erano caratterizzati dall'esibizione del meraviglioso,
attraverso il mitologico o l'esotico.
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Un iconologo proponeva ai sarti alcuni concetti, ed essi li “traducevano”, rendendo i personaggi
immediatamente identificabili dal pubblico, attraverso il cromatismo e l'effetto materico.
Il “corago” si occupava di trovare, conservare e ordinare tutti gli ornamenti, ordigni e suppellettili
delle azioni drammatiche e delle spettacolazioni. Era direttore della messa in scena, ma anche un po'
organizzatore, scenografo e buon conoscitore di musica.
Qualora l'abito apparisse poco raffinato, era d'uso aggiungervi qualsiasi elemento decorativo.
Anche i pastori avevano vesti adorne. Le pelli che coprivano il loro petto erano foderate di seta e
guarnite d'oro e di fiori.
In questo periodo viene introdotto l'uso della parrucca, portata dai contemporanei, sia per i ruoli
maschili che per quelli femminili. I civili cominciano a portarla nei dopo i primi decenni del '600.
Il coro aveva nei costumi i colori delle casate coinvolte nell'occasione festiva. Viene introdotto uno
studio dei colori e dei materiali per le rappresentazioni diurne e quelle notturne. Al lume artificiale,
infatti, si potevano indossare tessuti e gioielli non necessariamente preziosi, perchè la differenza
non sarebbe stata palese. Pian piano, dunque, si comincia a tenere conto anche di fattori economici,
guardando non più la preziosità dell'abito, ma il taglio e il colore dei tessuti, e i materiali.
Sono privilegiati per la scena colori forti, in contrasto tra loro, che - se eccessivi nella vita
quotidiana – hanno grande risalto sul palco.
Molto ricorrente nelle corti italiane è lopera-torneo. Per queste occasioni vengono fatte gualdrappe
e costumi anche per i cavalli, che a volte assumono le sembianze di pegasi alati o altre creature
mitologiche. Il guardinfante entra anche nel costume teatrale: è una struttura di vimini, a campana,
che dà volumetria alla gonna.
Nell'epoca barocca, il costume teatrale assume in tutta Europa il compito di esprimere i caratteri
della spettacolarità, attraverso la fantasia e la grandiosità.
I viaggiatori, sempre più numerosi, riportano tavole illustrate dei paesi stranieri e dei loro costumi.
Vengono pubblicati cataloghi che le raccolgono, fornendo una fonte fondamentale di ispirazione per
scenografi e costumisti, in cerca di motivi inediti.
Verso la fine del '700 l'attore assume una nuova dignità, che il costume di scena deve sostenere. I
cantanti d'opera, pur di ben figurare, scelgono il proprio abito e se lo pagano. E' infatti un periodo di
declino, in cui i costumi sono poco curati e si raccomanda di risparmiare sui loro materiali.
Una legge del 1788 impone ai teatri milanesi di catalogare il patrimonio di scene, attrezzerie e
costumi per programmare la spesa futura. I costumi e le scene venivano infatti conservati presso i
teatri e utilizzati per le più diverse rappresentazioni.
Gradualmente, in questo periodo, il mestiere del teatro viene intrapreso non solo dai figli di attori o
da avventurieri, ma anche dai borghesi e dalle persone colte.
Se da una parte l'uso da parte dei nobili di donare capi di vestiario agli attori è ancora in uso,
dall'altra è il teatro, nel corso del secolo, ad influire sulla moda con alcuni dettagli costumistici. Es:
l'adrienne, strascico posteriore che partiva dalla spalla su un'ampia veste da camera, da giorno o da
ballo, prese spunto e nome da una veste indossata da madame Dancourt nella rappresentazione
Adrienne, e così avvenne per le maniche all'amadigi e per altri dettagli dell'abbigliamento.
A metà del secolo si comincia a ricercare una verità storica per il costume dei personaggi.
Commedia dell'Arte
Nella commedia dell'arte recitano sia uomini che donne.
Ogni ruolo ha un suo costume fisso. I ruoli dei servi o zanni hanno un costume bianco, composto da
pantaloni e casacca ad ampie maniche. Man mano che assumono identità e specificità, la base
bianca del costume si arricchisce di dettagli. Arlecchino aggiunge pezze di vario colore per indicare
la sua condizione miserabile, Pulcinella conserva il suo candore, ma la forma si amplia e si
arricchisce di un copricapo e una maschera a mezzo volto. Pantalone indossa il mantello lungo,
segno di agiatezza, sull'abito a due pezzi totalmente rossi. Il Dottore e il Capitano manifestano la
professione fin dall'abito: il primo indossa ampio cappello nero, abito a due pezzi, mantello corto e
scarpe con grossa fibbia, e il capitano aggiunge al costume e al cappello piumato la spada, tratto
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esteriore del suo ruolo militaresco.
Il ruolo/costume dei comici italiani fu talmente incisivo da oscurare il nome dell'attore che lo
interpretava.
Le maschere della commedia dell'arte subiscono modificazioni per tutto il periodo che va dalla metà
del '500 alla rivoluzione francese. Oggi ci pervengono come il prodotto della canonizzazione del
codice iconografico avvenuta soprattutto in Francia nel sec. XVIII.
Mentre nei costumi maschili troviamo una grande varietà di forme funzionali al codice spettacolare,
per le donne era accettata la convenzione di andare in scena con gli abiti del loro tempo. Le attrici
furono sin dagli albori impegnate a difendere la loro immagine nella vita pubblica e privata, dato
che praticavano una professione considerata disonorevole per le donne.
Il trucco era caldamente raccomandato per queste rappresentazioni: serviva per i ruoli femminili e
per quelli caricaturali (per modificare occhi, naso e bocca in modo grottesco). Venivano usate anche
barbe posticcie per rendere più vecchi o per ridicolizzare.
Teatro dell'ottocento
Il costume teatrale viene inteso in quest'epoca come recupero filologico.
L'attore si comporta da precettore di valori etici, e dovrà presentarsi in scena con “abiti pedagogici”.
L'attore Joseph Talma (1763-1826) è significativo per lo sforzo di rinnovamento del costume
teatrale. Nel 1790, nei panni di Bruto, compare in scena vestito da autentico romano: toga di lana,
calzari, capelli corti, braccia e gambe nude, in netto contrasto con i suoi compagni di scena, che
come d'uso indossano calze e vesti di seta, parrucche, pennacchi e quant'altro. Mentre la compagnia
con cui lavorava non condivideva la scelta, la sua pettinatura influenzò fortemente la moda
giovanile.
Talma sosteneva che la verità dei costumi e delle scene permette di trasportare lo spettatore nel
tempo e nel luogo dei personaggi, e fornisce all'attore i mezzi per dare al proprio ruolo una
fisionomia particolare.
Agli artisti e agli spettatori di teatro, in realtà, l'abbigliamento greco e romano erano ben noti
attraverso la pittura e la scultura antica. Ma sulla scena si rifuggiva l'immagine realistica. La scelta
di Talma viene quindi avversata dai suoi stessi compagni. Sono soprattutto le attrici, abituate ad
imporre la loro moda sulla scena, a far resistenza.
Dopo la rivoluzione francese l'abbigliamento subisce importanti modifiche. Le parrucche vengono
abbandonate in favore di pettinature varie che si ispirano ad una antichità intesa come ricerca di una
purezza originaria. L'abbigliamento diventa neoclassico.
In scena, per alcuni decenni, vi è un eclettismo stilistico.
Talma, divenuto famoso con l'appoggio di Napoleone e, grazie alla sua bravura, anche dopo la sua
caduta, introdusse nel suo repertorio, intorno agli anni '20, personaggi shakespeariani. Gli attori di
epoca romantica, da Gustavo Modena a Ernesto Rossi e Tommaso Salvini, applicarono le
innovazioni che lui aveva introdotto.
La tradizione vuole che ad aver inventato in Europa la professione del costumista nel primo
ottocento sia James Robinson Planché, noto come commediografo, scrittore e storico del costume.
Fu l'autore della prima enciclopedia del costume.
Allora l'anacronismo era tollerato nei costumi, perchè nel contratto di scrittura con la compagnia
l'attore era tenuto a procurarsi ed adattarsi il costume. Si usava fare una dettagliata descrizione del
guardaroba teatrale di proprietà dello scritturato, dividendolo in “capi alla moda” e “capi all'antica”.
Scarpe e cappelli non sono di solito menzionati, segno che l'attore poteva scegliere all'ultimo
momento, liberamente.
Nell'ottocento un accessorio per la professione dell'attore è la “cesta”. E' il contenitore nel quale
viaggiano, da casa a teatro e viceversa, gli strumenti dell'attore. Il contenuto è detto “corredo” in
gergo teatrale.
Adelaide Ristori (1822-1906) affida la progettazione dei suoi abiti a illustri pittori e affida la
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confezione alle sartorie. La Ristori modificò il procedimento per l'acquisizione dei costumi. Dopo di
lei ci sarà una maggiore concordanza tra gli attori per la scelta degli abiti della rappresentazione.
Durante le numerose tournée all'estero, l'attrice non smise mai di documentarsi, frequentando musei
e accademie d'arte e chiedendo la collaborazione di pittori, incisori di stampe e disegnatori.
In una occasione acquistò un abito appartenuto (come dichiarava il venditore) a Maria Antonietta,
che doveva interpretare. Lo spettacolo si tenne a New York, come prima assoluta, nel 1867.
Adelaide Ristori, a capo della sua compagnia, concepì lo spettacolo per il mercato statunitense, con
metodiche assolutamente innovative per quegli anni. Da capocomica si trasformò in una sorta di
regista ante litteram, stabilendo ogni dettaglio a priori: dal testo, alle scene e ai costumi tutto era
programmato per poter essere offerto sulle varie piazze senza varianti iconografiche. L'aspetto
visivo era fondamentale per un pubblico che non capiva la lingua.
La Ristori sostenne le spese di tutti i costumi di scena, sottraendo agli attori la responsabilità di
sceglierli. Divenne proprietaria esclusiva di scene, costumi e attrezzeria, a differenza delle altre
compagnia, che facevano conto sul noleggio di scene e costumi conservati nei teatri toccati dalle
tournée. In questo modo fu sicura di preservare l'armonia del quadro visivo. Le scene furono
commissionate ai maggiori teatri lirici del tempo (come il San Carlo di Napoli che vantava una
famosa scuola di scenografia), e prevedevano fondali per otto cambi di scena. I costumi erano
anch'essi numerosi, e per la loro fattura la Ristori si rivolse a una sartoria per i suoi la celebre
sartoria Worth)e a sartorie teatrali per quelli degli altri attori.
Nonostante l'intento filologico, la ricostruzione storicista rimase sempre secondaria negli abiti di
scena della Ristori.
Essa divenne in prima persona esempio e modello per la moda.
Sarah Bernhardt (1844-1923) fu interprete di un vastissimo repertorio e icona ispiratrice per gli
artisti visivi.
Oltre ad interpretare eroine antiche e moderne, introdusse nel suo repertorio il tema del
travestimento di genere. Era consuetudine nelle famiglie di commedianti che i giovinetti
interpretassero i ruoli femminili, o che ragazzine dai caratteri femminili ancora acerbi sostenessero i
ruoli minori di ragazzi, ma era difficile che una donna in età adulta interpretasse ruoli maschili. La
Bernhardt interpretò anche quelli, diventando famosa con personaggi come Amleto, Lorenzaccio e
altri., indossando abiti adeguati e influenzando così il costume teatrale.
Charles Frederick Worth (1825-1895) è il fondatore di una dinastia di sarti di alta moda che tra
fine '800 e inizio '900 lavorarono per la Ristori, per la Duse e per la Bernhardt, per citare le attrici
più famose. Worth contribuì fortemente a modificare l'aspetto della figura femminile: nel 1865
riduce l'ampiezza delle gonne, che avevano raggiunto con la crinolina ampiezze paradossali,
inventando la tournure (rigonfiamento a drappeggio posteriore della gonna che la appiattisce
davanti e rende più affusolata la figura).
Teatro del novecento
Mariano Fortuny (1871-1949) lavorava a Venezia e con i suoi abiti fece della Duse un simbolo di
eleganza. Collaborò spesso con Caramba (lo scenografo e costumista e regista Luigi Sapelli).
Disegnava inoltre gioielli che l'attrezzeria Rancati realizzava in materiali non preziosi.
Nel 1906 aprì una sartoria, divenendo fornitore di abiti d'epoca per il cinema muto.
Fu direttore degli allestimenti alla Scala dal 1910 al 1930.
Fortuny era alla continua ricerca di tessuti e modelli innovativi per i suoi spettacoli. Si procurava
stoffe grezze che poi decorava per i suoi costumi. Nel suo laboratorio creò e sperimentò tecniche di
originale invenzione. Mise a frutto personali esperimenti sulla riflessione e rifrazione della luce
sulle stoffe.
Sia lui che Caramba reinventarono medioevo e rinascimento, con una rilettura personale della
documentazione storica e iconografica presso musei e pinacoteche.
Fortuny cercò di interpretare al meglio l'atmosfera delle opere rappresentate. I suoi costumi avevano
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grande apparenza nelle decorazioni e nelle tessiture e facile vestibilità nella fattura.
La danzatrice Eleonora Duncan ha idee rivoluzionarie riguardo ai costumi: ritiene che la bellezza
del corpo umano non deve essere trasformata dall'abbigliamento, e nella danza non si dovrebbero
indossare scarpe, per non modificare in alcun modo i movimenti naturali del corpo. Fortuny creò
per lei costumi che le permettevano di muoversi con scioltezza.
Nel 1900 l'esposizione universale di Parigi diffonde il gusto per l'oriente, esibendo aspetti di paesi
lontani.
Leopoldo Fregoli (1867-1936) rappresenta il modo di utilizzare il costume come elemento
drammaturgico ma anche come tecnica. Il termine fregolismo indica l'abilità di un attore
nell'interpretare più personaggi differenti e in modo palese al pubblico.
Attore di varietà, Fregoli recitava in pantomime, scenette o monologhi, personaggi diversi e ruoli
maschili e femminili. Li metteva in rilievo di fronte al pubblico cambiandosi d'abito in pochi
secondi, spesso a sipario aperto.
Nel periodo delle avanguardie, anche il costume subisce gli influssi della scenografia, diventando
psicologico e simbolista.
Adolphe Appia propende per un costume semplice di calzamaglia, che lasci libere gambe collo e
braccia dell'attore, in accordo con la sua teoria dello spazio vuoto plasmato dalla luce.
Gordon Craig, che crea la figura dello stage director e relega quanto più possibile l'attore al ruolo
di marionetta, invita ad usare la creatività per i costumi, invece di rifarsi ai repertori tradizionali. I
costumi devono essere non solo originali, ma anche aderenti al tipo psicologico del personaggio. La
sua idea generale è quella di astrarre dalla realtà le forme, arricchendole di elementi soggettivi e
simbolici.
Diaghilev ebbe come collaboratori dei suoi balletti russi, per le scene e i costumi, famosi artisti
figurativi.
Balla e Depero progettarono per lui dei costumi rimasti irrealizzati, perchè con le loro forme
geometriche e la rigidità dei matertiali, atte a trasformare completamente i corpi dei danzatori,
limitavano eccessivamente i loro movimenti.
Prampolini progettò costumi dai colori forti e contrastanti, con tagli geometrici, e dopo gli anni
trenta, sotto l'influsso surrealista, ammorbidì i suoi colori.
Coco Chanel negli anni '20 inventò un tipo di tessuto di maglia realizzato meccanicamente, detto
jersey, con il quale realizzò costumi per i balletti. La sua morbidezza accompagnava il corpo in
movimento nella danza.
Stanislavski raccomanda all'attore una sorta di etica del costume, anche se nel primo periodo la
scelta degli abiti di scena non segue criteri differenti da quelli contemporanei: “quando avrete creato
voi stessi un personaggio capirete che cosa significhi per l'attore una parrucca, una barba, un
costume, un accessorio, tutto quello che gli serve per la figura sulla scena.[...] Il costume o
l'oggetto inventato per il personaggio da rappresentare cessa di essere solo una cosa e si trasforma
in una reliquia per l'attore”. Egli sostiene che ogni abito, anche quotidiano, diventa costume una
volta entrato in scena.
La sua è una critica contro gli attori del tempo, specie quelli di fama, che usano svestirsi
velocemente, buttando a terra e senza riguardi le parti dei loro costumi. Egli pensa che anche il
trucco del volto debba essere “psicologico”, cioè concepito in funzione dell'anima e della vita del
personaggio. Questo concetto lo applicherà largamente anche Pirandello, che per il trucco e per i
costumi porrà la massima attenzione alla condizione psicologica e alle emozioni portanti dei suoi
personaggi.
Della corrente espressionista abbiamo ad esempio Oskar Kokoshka (1886-1980), pittore e autore
del dramma Assassinio speranza delle donne (1908), per il quale crea maschere orripilanti, costumi
fatti con stracci e veli neri, visi dipinti come quelli degli uomini primitivi, gambe e braccia sulle
quali sono disegnate le linee dei muscoli e dei nervi. Alcuni attori indossano solo una calzamaglia
aderente, già in uso per i danzatori.
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Copeau nella sua scuola per attori promuove anche uno studio del costume, non dal punto di vista
pittoresco, ma dal punto di vista dell'espressione del costume sul corpo a riposo e in movimento.
Egli vuole costumi semplici, allegri, improvvisati e fatti con nulla, conformi allo spirito di sincerità
che vuole portare sulla scena. Per La gelosia di Barbouille (1914) vengono realizzati costumi di
carta, a vestire personaggi concepiti come pupazzi.
Copeau arriva al costume aderente, poi alla tuta di calzamaglia attillata, che inizialmente è un
costume tecnico adottato come strumento di allenamento, ma poi viene esibito in scena.
La pratica della danza, dalla Duncan in poi, e del mimo moderni, prevedono un progressivo
alleggerirsi e spogliarsi del costume per esibire le tensioni e le forme pure del corpo.
Mejerchol’d rivoluziona la concezione del costume riconducendo l’attenzione sulla corporeità
dell’attore biomeccanico: In Le cocu magnifique gli attori indossano addirittura anonime tute
azzurre da operai, e solo pochi attributi eccentrici (fiocchetti rossi, monocolo di vetro, frustino da
cavallo) individuano i personaggi principali.
Brecht è attento alla composizione complessiva di ogni singola scena, costume incluso.
Egli prevedeva che gli attori cominciassero a recitare con gli oggetti di scena al più presto, per
abituarsi ad essi. Ad esempio la Weigel aveva creato l'andatura di Madre courage indossando fin
dall'inizio l gonna e le calzature del personaggio.
Nella seconda metà del novecento lo spettacolo, alla ricerca di modalità espressive originali,
accoglie il principio dell'abolizione di ogni regola formale o estetica sancita in precedenza.
Dopo le guerre, l'Italia manifesta una intensa volontà di risollevarsi, superando anche le produzioni
straniere in settori come la scenotecnica, l'attrezzistica e la sartoria nel settore teatrale. Anche l'alta
moda ruba lo scettro alla Francia, e spesso stilisti famosi lavoreranno alla creazione di costumi
teatrali.
Il fantastico, il ricostruito filologico e il vero antico sono tutti utilizzabili per la “verità teatrale”.
Alcuni costumi antiquari, collezionati da privati o dai costumisti stessi, sono stati talvolta impiegati
nel teatro e nel cinema.
L'Odin Teatret utilizza costumi evocativi, multietnici e polisemantici.
Negli anni ottanta la maglietta e i calzoni ampi portati dall'attore per il suo training potevano essere
il costume di scena, dato che il training si dilata al punto da diventare talvolta spettacolo vero e
proprio.
Altri gruppi teatrali (vedi Societas Raffaello Sanzio) traggono i costumi dalla moda della strada, e
altre correnti di teatranti esibiscono corpi deformati o deturpati da costumi di resine plastiche,
metalli, pelli e pellicce artificiali e naturali.
In generale, nel corso del ‘900, il costume torna ad essere travestimento spettacolare, oggetto di
libera reinvenzione formale, a volte strumento di trasmutazione dell’umano in senso artificiale e
meccanico. La figura del costumista acquista nuova dignità artistica e creativa.
Il ruolo del costume nel ‘900 non è più solo quello di determinare la definizione fisica e psicologica
del personaggio, ma anche la sua integrazione nell’atmosfera scenica (rapporto con spazio, colore,
movimento).
Per lo studio dei vestiti antichi vengono oggi pubblicati manuali sui tagli e sulle stoffe, sulla tecnica
delle cuciture, sui tipi e qualità delle chiusure, dai lacci ai bottoni. Se ne servono perlopiù i
costumisti cinematografici e televisivi. Le sartorie teatrali seguono però la regola della vestibilità e
della praticità, più che del “filologicamente corretto”. I materiali dei costumi infatti, così come
quello degli altri oggetti di scena, fingono spesso qualità che non hanno e sono funzionali
all’azione.
Nota: questa parte condensa due testi di Silvana Sinisi: “Cambi di scena” e “Storia del
costume teatrale” di Paola Bignami (vedi dettaglio nella bibliografia)
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PROGETTAZIONE DEL COSTUME TEATRALE
Progettare un costume per la scena vuol dire necessariamente interpretare, oltre al personaggio,
un’atmosfera, una situazione, un luogo e uno spazio che la scrittura drammaturgica o la rilettura
registica hanno delineato. Significa altresì mettere l’attore che lo indosserà nella giusta condizione
fisica e psicologica. E non da ultimo, lo spettatore dovrà poter dare una lettura del suo significato
quanto più vicina alle nostre intenzioni.
Se anche il costume è storico, e lo si vuole filologicamente corretto, saranno necessari dei
compromessi, legati alla comodità dell’attore e alla situazione in cui si svolge la rappresentazione.
1. Lettura del testo drammaturgico e individuazione della chiave interpretativa del regista o
dell’autore del testo
2. Ricerca storica e iconografica dell’abbigliamento e/o del costume teatrale nel tempo e nel
luogo rappresentati (se il testo lo rende necessario)
3. Lettura dei materiali, delle forme e dei colori in base al personaggio (psicologia, condizione
e caratteristiche), al luogo di rappresentazione e alla scenografia (anche tipo di visibilità e
illuminazione), ai destinatari dello spettacolo (età, tipologia)
4. Creazione del bozzetto e indicazione della tecnica di realizzazione e dei materiali previsti
5. Ricerca dei materiali
6. Realizzazione
7. Messa in prova: funzionalità dell’abito, vestibilità (per la misura, le possibilità di movimento
e facilità nell’indossarlo e nel toglierlo, a seconda di ciò che richiede la situazione); effetto
visivo (coerenza con l’aspetto drammaturgico, con il personaggio e con la scena) e ultimi
aggiustamenti.
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BIBLIOGRAFIA DI BASE
Paola Bigniami: “Storia del costume teatrale. Oggetti per esibirsi nello spettacolo e in società”
Carocci – Roma -2005
Silvana Sinisi: “Cambi di scena. Teatro e arti visive nelle poetiche del novecento”
Bulzoni Editore – Roma – 1995
Allardyce Nicoll: “Lo spazio scenico. Storia dell’arte teatrale”
Bulzoni Editore – Roma – 1971
(di interesse le descrizioni dei costumi nei documenti storiografici)
Rosita Levi Pisetzky: “Storia del costume in Italia”, Vol. V (Ottocento)
Fondazione Giovanni Treccani Degli Alfieri – Milano – 1966
( Questa enciclopedia è del tutto esauriente per quanto riguarda non solo abiti e accessori,
fogge e materiali, ma anche a tutti gli altri aspetti ad essi legati, come la parte storica,
politica,il costume sociale e quant’altro, rendendo possibile una ricerca davvero mirata)
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ABBIGLIAMENTO NELL’ITALIA NELL’OTTOCENTO
Nei primi anni dell’ottocento, sotto Napoleone, alcune divisioni politiche scompaiono. L’unità di
leggi, di moneta, di pesi, di misure, l’inquadramento militare simile in tutti i nuovi stati, danno
un’impronta unitaria alla penisola.
L’impero napoleonico termina nel 1815, ma fino al 1821, nell’abbigliamento, resistono le fogge
neoclassiche.
La restaurazione attua una politica oppressiva per il commercio e per l’industria.
Il paese è diviso in sette stati e il lombardo-veneto, annesso all’impero austriaco, viene isolato da
barriere doganali. Vi aumentano vertiginosamente le dogane sui manufatti, che per l’abbigliamento
sono la materia prima (volontà asburgica di opprimere Milano).
Carlo X abdica nel 1830 e gli succede Luigi Filippo. E’ il tempo dei moti carbonari. Nel 1831 Carlo
Alberto sale al trono in Piemonte, ma la moda, che nel frattempo è caratterizzata dallo stile
romantico, si mantiene tale, tra gli aristocratici, fino al ’35.
Nel 1939 in Italia vengono costruite le prime ferrovie. Un nuovo concetto di “spostamento”
introduce specifici vestiti da viaggio (per quanto ancora ci si sposta prevalentemente in carrozza e
in diligenza).
Nel 1848 la moda assume l’accento del melodramma, esprimendo il sentimento dei moti
rivoluzionari in corso.
Nel 1856 il Piemonte partecipa alla guerra di Crimea, preludendo all’alleanza franco-piemontese
con Napoleone III. Si diffondono nuove fogge pompose. Le “crinoline” divengono sempre più
ampie, fino a decadere nel ’68.
Nel 1878 la morte di Vittorio Emanuele II segna la fine di un periodo di transizione, e in quel
decennio la moda lancia il “sellino” o “tournure”.
Nel periodo umbertino (dal ’78) la linea delle vesti ha oscillazioni rapide e vistose, che rende
impossibile una classificazione precisa. In generale, dalla verticalità si passa ad una accentuazione
delle curve femminili posteriori assai più pronunciata che in passato.
Solo nell’ultimo decennio del secolo una linea più semplice e stabile prelude con il “tailleur” alle
mode del primo ‘900.
Sempre in questo periodo comincia lo sviluppo della grande industria, che si avvale di impianti
meccanizzati a vapore e perfino dell’energia elettrica. In buona parte, ora, i macchinari per
l’industria tessile sono prodotti in Italia (i primi macchinari per la lavorazione del lino erano stati
importati dall’Inghilterra).
Durante tutto il secolo la moda maschile rimane quasi immobile, evolvendo soltanto nei particolari.
L’ultimo decennio, con l’apparizione della giacca senza falde, preannuncia il gusto novecentesco.
Nel periodo del romanticismo, la moda francese regna sovrana per l’abbigliamento femminile,
mentre quella maschile è dominata dall’influsso inglese. Dall’Inghilterra arrivano eccellenti stoffe
di lana ritorte e pettinate e tessuti di cotone adatti agli abiti estivi e delle fodere (alcune delle quali
entrano anche negli abiti femminili). L’uomo ha un vero fanatismo per la moda inglese. Per citare
solo un esempio, il conte più elegante di Milano, Marco Greppi, si veste in Inghilterra, e ogni
settimana manda a Londra i suoi colletti per farli stirare a lucido.
Nuove condizioni igieniche e l’uso di soggiorni alpini e marini per ritemprarsi ha la sua influenza
sull’abbigliamento.
Dopo la rivoluzione francese, le leggi suntuarie scompaiono, permettendo di esibire maggiore
sfarzo.
Il mezzo più efficace per diffondere le mode sono i figurini.
Il “Corriere delle Dame” si pubblica a Milano dal 1804 al 1871. Viene divulgato in tutta italia ed è
ricercato anche oltralpe. Nel periodo romantico, un po’ in tutta Italia, si diffondono diversi giornali
di moda minori.
Carolina Lattanzi, fondatrice del “Corriere delle Dame”, tenta più volte, attraverso varie iniziative
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del giornale, di promuovere una moda italiana, giudicando la moda francese inadatta al nostro
clima, al tipo fisico ed al gusto, ma la sua crociata non ha successo presso le signore italiane, che
continuano a guardare alla moda francese e, occasionalmente, a quella austriaca.
PERIODO DI TRANSIZIONE 1868-1878
Moda femminile
La tournure è un mezzo per gonfiare posteriormente le vesti, composta di semicerchi d’acciaio e da
molle legate tra di loro con fettucce, assicurate poi in vita da un robusto nastro. E’ in gran voga
soprattutto tra il 1869 e il 1876. Le gonne sono generalmente due: la gonna a strascico del vestito e
una seconda gonna sovrapposta alla prima, che viene detta “tunica”.
Le visite di gala richiedono la gonna con strascico. Nel 1870 si notano molti fiori artificiali sulle
vesti da ballo, e sottane a volanti nella parte inferiore.
Per pranzo si preferisce il mezzo scollo (tranne che per i pranzi di grande apparato). Raccomandati
gli scolli quadrati alla raffaellesca.
Nelle vesti da giorno, specie da estate (in tela, seta cruda o crétonne) qualche volta si assemblano
elementi a righe: vestito, cappello, scarpe, ombrellino, ventaglio. Sempre più in voga sono le
passamanerie e le applicazioni.
Per le giovinette è considerato assai adatto l’insieme di camicetta e gonnella.
Si usano mantelli di varie fogge, colori e materiali, ed è in uso portare un corto paletot di seta nera,
portato su un abito più chiaro o di uguale colore.
Si usano ance pellicce.
In questo periodo le pettinature prevedono capelli abbondanti, arricciati in anelletti sulla nuca e
sulla fronte. La linea bassa dello chignon tende a rialzarsi. Dallo chignon può partire una cascata di
chiome, libere o in trecce avvolte o ricadenti. L’abbondanza della pettinatura è spesso ottenuta con
dei posticci, quasi sempre montati su pettini, in modo da essere facilmente applicati. Una moda
segnalata nel 1874 in Lombardia è quella di ornare lo chignon con quattro o cinque spilloni dalle
enormi capocchie. I cappelli, molto piccoli, servono più che altro da ornamento sulle enormi
pettinature.
Abituale è l’uso dei guanti, lunghi per sera bianchi o chiari, corti per il giorno e spesso scuri.
Molto curata è l’eleganza delle scarpe, spesso in seta.
Moda maschile
Carattere generico è la semplicità. Si cerca una maggiore comodità nel vestire.
La novità più importante è il “cappello alla lobbia”(tondo, presumibilmente di feltro molle).
Altra novità, che non trova per il momento alcun seguito, è il colletto di tela inamidata
completamente risvoltato e addoppiato.
PERIODO UMBERTINO 1879-1900
Moda femminile
Verso la fine del secolo l’ideale femminile si evolve verso due tipi: il primo rispecchia l’ideale della
media borghesia e influenza la moda, ed è quello di una donna piccante e rotondetta, tutta petto e
fianchi, che palesa una nuova spigliatezza e un desiderio di indipendenza; il secondo tipo,
idoleggiato in un ambiente più aristocratico, è quello della donna fatale, enigmatica, dalla sensualità
torbida e intensa e non priva di sfumature crudeli.
Compare il tailleur, di impronta mascolina e sportiva, che viene confezionato da sarti maschili.
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Mentre la linea della gonna si semplifica e si alliscia sempre di più, il corpetto va complicandosi
nella fattura. Il vitino di vespa è ottenuto da una compressione esagerata del busto.
La verticalità di questa linea si smorza dopo il 1895, quando la gonna si allarga a ventaglio verso il
basso.
L’educazione si orienta verso una maggiore semplicità e, ad esempio, il baciamano cade in disuso.
Permane però un certo snobismo, che avversa le cose fabbricate in serie e ostenta il lusso nella
classe agiata.
Nelle feste da ballo le stoffe sono chiare, ma ricche e pesanti (broccati e velluti). La tunica è
drappeggiata sulla tournure e la veste sotto fluisce in un lungo strascico che le donne raccolgono di
fianco quando stanno sedute. L’ampia e profonda scollatura scopre le spalle e parte del petto. Sui
vestiti da ballo si vedono sovente guarnizioni destinate a brillare alla luce a gas o elettrica (novità
del secolo). I fiori artificiali che ornano le vesti sono di velluto o felpa lucida (rose rosse
specialmente, ma anche fiori campestri). Intorno al 1890 si usa appuntare anche fiori freschi.
Lusso grandissimo richiede lo spettacolo dell’Opera, frequentato di sovente dalla regina. I vestiti
per pranzo di cerimonia richiedono la stessa eleganza di quelli per teatro. Nei garden parties, che si
svolgono generalmente di giorno, è richiesto il cappello.
Per la campagna, la stoffa preferita è la lana scozzese, gonna spesso corta alla caviglia, portata con
stivaletti alti o con scarpe con ghette. Corpo increspato o a pieghe, cintura di cuoio nero. Una
pellegrina (mantello) intonata all’orlo del vestito completa il vestito. Per la passeggiata entra in
voga il colletto alla marinara. Nella passeggiata sono spesso incluse le commissioni: ordinazioni ai
fornitori o qualche piccolo acquisto elegante contenuto in un pacchetto che si tiene appeso con una
cordicella al dito mignolo.
In questo periodo esistono soprabiti di ogni foggia e per ogni occasione. Si portano anche la
giacchetta, i mantelli lunghi, i paletot.
Viene inventato dalla Pirelli il tessuto impermeabile e vari modelli entrano nella moda maschile e
femminile.
Molto affermata la moda delle pellicce, anche sotto forma di boe e manicotti.
La donna ambisce a una pelle bianchissima. Il rosso sulle guance e il bistro vengono usate solo dalle
artiste o dalle eccentriche. Per imbiancare la pelle del viso e del collo si usa la bianchissima cipria
di riso.
Le acconciature tendono al verticalismo: la massa dei capelli è rialzata e ritorta al sommo del capo;
sul davanti i capelli sono tagliati corti e ricadono sulla fronte in una folta frangetta arricciata. Si
usano grosse forcine di tartaruga in varie forme e pettinini per tenere i capelli.
Verso la fine del secolo la pettinatura rimane alta ma tende a sgonfiarsi a gronda sulla fronte, e
questa linea arrotondata è spesso ottenuta con leggerissimi tubi di rete metallica tra i capelli.
I cappellini, di varia foggia e con le guarnizioni più disparate, tornano di gran moda.
Il fazzoletto, piccolo e ricamato, non si porta più in mano ma nella borsa.
Intorno al 1880 le calze devono essere assortite con l’abito. Per strada si portano di rete a colori. Ci
sono anche combinazioni di scacchi o di righe. Per sera si portano calze di seta, anche ricamate. Le
calze bianche si portano solo con le vesti estive. Per essere elegante, le calze devono essere di seta,
e soprattutto devono essere nere.
Le scarpe eleganti sono in pelle di capretto, e durante l’inverno si portano ghette di raso, panno o
faglia. Per riunioni mondane, balli e concerti si portano scarpine scollate, solitamente nere. Il colore
dominante per le scarpe è appunto il nero, ma in estate si usano anche il cuoio giallo, e il daino
bianco o grigio.
I guanti non si portano più in casa, ma quando si esce sono segno di distinzione sociale. Il braccio e
la mano non devono essere visti né toccati da estranei. Nelle riunioni di società o nei balli, i guanti
non si devono togliere (tranne che per suonare il pianoforte, rimettendoli subito dopo). Ogni
occasione richiede guanti di lunghezza, materiale e colore diversi.
Nei gioielli primeggiano le collane di perle. Si portano anche orecchini, bracciali (uno o massimo
due per braccio)spille e anelli, portati sopra il guanto solo se di straordinario valore.
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L’oggetto più caratteristico che le signore tengono in mano, soprattutto per darsi un contegno, è
l’occhialetto. Caratteristici della fine del secolo sono i gesti con cui lo si tiene avvicinato agli occhi
per dare un tono indagatore allo sguardo, oppure lo si trattiene a mezz’aria, con la lunga
asticciola,in un atteggiamento di amplificato distacco.
Ombrello e ombrellino sono segno di eleganza nei soggiorni all’aria aperta. L’ombrellino è quasi
sempre un oggetto di lusso, e preserva il pallore delle dame. I materiali di cui è fatto sono spesso
pregiati e di fine lavorazione.
Il ventaglio da giorno si usa portarlo appeso in cintura con un mastro o un cordone. I ventagli da
sera sono in materiali più pregiati, in raso con stecche in madreperla, tartaruga o avorio. La
lunghezza delle stecche aumenta fino a diventare quasi di mezzo metro, accorciandosi però da un
lato, in modo che il ventaglio aperto presenti una curva asimmetrica. La pagina del ventaglio è
dipinta spesso con motivi ornamentali da pittori celebri. Un nodo di nastro permette di appenderlo
al polso. Ci sono anche ventagli d’inverno, per il teatro. Dal 1895 si rimpicciolisce, così da poter
essere appeso a una catenina con altri oggetti.
Le borsette entrano davvero in uso solo nell’ultimo decennio.
Abbigliamento maschile
La finanziera (giacca a falde lunghe) e il cilindro vengono usate da medici e direttori. Il frac è un
vestito da cerimonia per teatro e per il ballo, e si porta anche d’estate per i pranzi eleganti.
La maggior parte degli uomini però adotta le redingotes, che nel 1891 sono lunghissime, con tre
bottoni, risvolte lunghissime e arrotondate (solitamente in cashmir, perlopiù mero). Negli ultimi
anni si usa più corta, non oltre il ginocchio, molto attillata. D’estate si porta di preferenza grigia,
con gilet a tinte chiare o a disegni di colori spiccati.
Anche le giacche e i calzoni sono attillati.
Si usano anche casacche incrociate, con due file di bottoni, larghi risvolti. Il tessuto e di cheviot a
quadri. I bottoni sono del medesimo colore, in corno variegato.
Il gilet bianco trionfa, con il frac ma anche con la giacca. Nel 1899 comincia ad essere assortito
all’abito, specie con la giacca nera.
Il paletot è il soprabito per eccellenza. I ricchi borghesi lo foderano di castorino.
La cravatta con il frac è bianca, con gli abiti a giacca è a colori scuri e a piccoli motivi geometrici.
Generalmente è annodata a farfalla, ma dopo il 1890 a volte si porta con due cappi annodati nel
collo e poi sovrapposti e pendenti, come nel ‘900.
Si rinuncia al cilindro e alla giacca a falde, e il colletto inamidato si abbassa, preludendo al colletto
molle.
Di feltro lucidissimo, il cilindro rimane però cappello da cerimonia: l’ala è ridotta ai minimi termini
e va rastremandosi verso l’alto. Dopo il 1880 si porta generalmente la bombetta.
Democratici, campagnoli e popolani portano il cappello di feltro marrone, con la cupola prima
distesa e poi, verso il 1880, piegata al centro. D’estate si portano anche cappelli di paglia (pagliette)
a tesa larga e cupola bassa, circondata da un nastro.
Le pettinature dei giovani sono con la scriminatura in mezzo alla fronte. Da noi si usa molto la
pettinatura alla “brutus”, con i capelli spazzolati tutti insieme e tagliati corti sulle tempie e sulla
nuca.
I baffi del re, fieramente tirati all’insù, sono un esempio. I giovani però portano baffetti. Gli uomini
anziani portano barbe ampie e rotonde, e anche dottori e professori se ne fanno un’insegna. Pomate
per capelli e baffi sono assai diffuse nell’uso maschile.
La camicia ha lo sparato, i polsini e il colletto (o solino) altissimo e inamidato a lucido. Polsi e
colletto sono staccati fino al 1894, poi si uniscono alla camicia.
Per stabilire l’eleganza, la finezza della biancheria è più importante del taglio dell’abito.
Le calze devono essere di seta, a volte di lana in inverno. Per reggerle si affibbiano intorno al
polpaccio con le giarrettiere elastiche.
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I guanti sono perlopiù bianchi e lucidi per sera, marroni o grigi per il giorno. Solo gli uomini
d’affari si dispensano dal portarli di giorno.
Gli stivaletti, a tacco basso piuttosto pronunciato, sono piuttosto appuntiti.
Per la sera si usano i pumps, scarpette basse e scollate di vernice nera lucida, all’uso inglese.
I gioielli ammessi sono anelli, spille da cravatte, catene da orologio, i bottoni preziosi per lo sparato
della camicia e i polsini.
L’orologio (d’oro per i ricchi e d’argento per le persone più modeste) è quasi sempre di marca
svizzera, spesso a cassa doppia che copre il quadrante. La catena da orologio è massiccia e a grossi
anelli: si porta sulla sinistra, fissandola in un’asola del gilet con una stanghetta d’oro.
Caratteristico di questo periodo è il fiore all’occhiello. Di solito il garofano bianco per il giorno e la
gardenia per sera, dove le fioraie lo infilano all’occhiello degli habitués dei teatri, che hanno
stabilito con loro una specie di abbonamento.
Si usano gli occhiali a pince-nez, assicurati all’occhiello della giacca con un cordoncino nero. Le
lenti sono dapprima di forma ovale, poi tonde. Sono cerchiate d’acciaio, ma alcuni nobili le portano
in oro. Per gli eleganti c’è il monocolo, detto “caramella”da portare incastrato nell’orbita.
Con la diffusione del tabacco si portano astucci da sigari e portasigarette (in legno, cuoio o argento),
e borse di stoffa per il tabacco. I bocchini da sigaretta, corti e grossi, sono generalmente d’ambra,
cerchiati d’oro.
Il bastone è complemento indispensabile dell’abbigliamento. Dopo il 1890 è perlopiù a impugnatura
ricurva, con una vena d’oro all’attaccatura del manico. Ci sono anche bastoni con teste di cane in
avorio o motivi cesellati in stile liberty. Qualche volta il manico è ricoperto in argento,
semplicemente piegato ad angolo retto.
Abbigliamento popolare
La classe povera si veste nelle pianure dell’Italia del nord con grosse tele di canapa e con tessuti di
cotone. Nell’abbigliamento dei montanari compaiono anche la lana e le pellicce.
Comuni a quasi tutti i costumi regionali femminili sono il busto allacciato con le stringhe, che lascia
in vista lo scollo e le maniche della camicia, e la larga sottana ornata quasi sempre di bande di altro
colore e di stoffa più ricca.
Il Lombardia per gli uomini il cappello tondo si alterna con il berretto molle ricadente da un lato.
Tradizionale per le donne lombarde l’acconciatura a bande di capelli lisci e trecce sulla nuca, dove
sono appuntate le spadine d’argento a raggiera man mano sempre più fitte, fino a prendere forma di
ventaglio.
Come calzature sono comuni i grossi zoccoli di legno, con tomaia di pelle o di stoffa perlopiù rossa
o nera, portati spesso sul piede nudo. Per gli uomini l’uso delle scarpe è più diffuso, e di solito sono
nere e alte.
Artigiani e operai
Bianchi vestiti e berretti per mugnai e panettieri, i fabbri hanno il camiciotto e i calzolai il grembiale
di cuoio. Imbianchini e muratori portano il cappello a punta fatto con il giornale ripiegato. I
ferrovieri hanno camiciotto azzurro e berretto piatto a visiera.
Nell’Italia settentrionale le fruttivendole, le fioraie, le portinaie e generalmente le casalinghe non
potano giacche e cappello ma un semplice scialletto di lana colorato e lavorato all’uncinetto, la
sciarpa di lana in testa se fa molto freddo e qualche volta un fazzolettone nero.
In città gli artigiani portano il cappello di feltro “alla lobbia”, la camicia senza colletto e il mantello
rotondo. I calzoni non differiscono per taglio da quelli dei borghesi, ma sono di fustagno o lana
ordinaria.
I venditori ambulanti (piccoli borghesi) portano il cappello duro. Perlopiù si tolgono la giacca.
Stando in maniche di camicia e gilet.
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Gli operai si limitano a portare sul lavoro vestiti stracciati e consunti.
A Milano le ragazzine che imparano il mestiere di sarta portano per le consegne uno scatolone
foderato di tela nera cerata con maniglia di cuoio, e sono moltissime, perché molte dame sono
restie, ancor più degli uomini, ad acquistare abiti fatti, e preferiscono averli su misura.
Servitori
Verso la fine del secolo soltanto in qualche casa patrizia, per le grandi occasioni, i camerieri portano
i calzoni corti, la velada coi pizzi e la parrucca bianca.
Generalmente nelle vecchie famiglie i camerieri indossano per gala il frac verdone o comunque
scuro, con costure di cordoncino a due colori come il gilet, e bottoni con lo stemma della famiglia.
Per tutti i giorni, il frac nero con gilet e cravatta nera come i camerieri di caffè, e i guanti di filo
bianco. Quando si dedicano alla pulizia delle sale, sono vestiti di rigatino e grembiale con pettorina
larga con tasca davanti per spazzole e strofinacci. I cuochi vestono giacca e berretto bianco piatto,
grembiule di canapa listato di colore.
Le bambinaie a Milano provengono dalla Brianza e hanno in capo la loro raggiera; camicia con le
maniche in vista, bustino stringato, larga sottana di colore vivace a bande di velluto, ampio
grembiule bianco con pizzi.
I cocchieri portano d’inverno la pellegrina di pelliccia. Cocchieri e servitori de carrozza hanno il
cilindro, e questi ultimi frac verde a bottoni d’oro, calzoni chiari e stivali a rivolte. La casa reale ha
livree rosse. Anche i cocchieri di piazza portano il cilindro, e un pastrano per il freddo.
(L’approfondimento sull’abbigliamento dell’ottocento è un condensato di alcune parti del volume
Rosita Levi Pisetzky: “Storia del costume in Italia”, Vol. V )
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