La nozione di campo: prima formulazione in “Gruppo” ed apporti

La nozione di campo: prima formulazione in “Gruppo” ed apporti
successivi. Il Commuting come funzione del rapporto tra individui e
campo del gruppo. Lezione ad opera del Professor Paolo Cruciani.
Intervengono il Dottor Danilo Simoni e la Dottoressa Elisa Ottaviani.
Paolo Cruciani è docente presso la Facoltà di Psicologia 1
dell’Università “La Sapienza”, dove insegna Fondamenti di
Dinamica di Gruppo e Tecniche di Valutazione e Counselling,
presso il Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche della
Valutazione e della Consulenza Clinica, e presso il Corso di
Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche per l’Intervento Clinico
per la Persona, il Gruppo e le Istituzioni. Insegna altresì
Psicologia Dinamica dei Gruppi nella Scuola, presso il Corso di
Laurea in Valutazione e Intervento nella Psicopatologia
dell’Infanzia e dell’Adolescenza, e Teoria e Tecniche nella
Dinamica di Gruppo, presso il Corso di Laurea in Psicologia
Clinica e di Comunità dello stesso Ateneo. È docente presso la
Seconda Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica
dell’Università “La Sapienza”. È membro della Società
Psicoanalitica Italiana e della International Psychoanalitical
Association.
Elisa Ottaviani è laureata presso l’Università degli Studi di Roma
La Sapienza, ha frequentato i corsi di osservazione e applicazione
dei concetti psicoanalitici al lavoro con i bambini, gli adolescenti e
le famiglie, accreditati presso la Tavistock Clinic di Londra (centro
studi Martha Harris). È attualmente in formazione psicoanalitica
presso la SPI (II sezione Romana). Ha lavorato presso comunità
terapeutiche per soggetti psicotici svolgendo attività di
riabilitazione e sostegno psicologico personale e di gruppo. Si è
dedicata allo studio e alla ricerca intorno ai “processi creativi di
gruppo e il sogno”, l’arte e la psicoanalisi conducendo gruppi
espressivi e workshop in vari ambiti professionali: comunità
terapeutiche, centri per adolescenti, centri diurni e università.
Attualmente svolge attività privata come psicologa, co-conduce un
gruppo settimanale presso l’SPDC dell’Ospedale Fatebenefratelli
di Roma e, sempre nello stesso ospedale, partecipa alla ricerca
intorno allo sviluppo psicologico dei bambini prematuri e le loro
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famiglie.
Danilo Simoni è psicologo con formazione psicoanalitica,
specializzato nelle dinamiche di gruppo e delle organizzazioni,
lavora come consulente per importanti aziende e istituzioni
pubbliche e private. Conduce gruppi esperienziali e terapeutici con
adulti e adolescenti. È fondatore di Officine Creative, associazione
scientifica per lo sviluppo del potenziale umano.
Il Professor Cruciani introduce la lezione odierna facendo riferimento
alla prima lezione del modulo, in cui si è occupato della distinzione del
gruppo dalla massa. Si tratta di due manifestazioni estreme di un
continuum che va dalle masse transitorie (gruppi dilatati nel tempo, in cui
dominano processi emotivi e regressivi) ai gruppi organizzati (gruppi con
delle regole, in cui predominano le funzioni dell’Io descritte da S. Freud).
Questo tipo di fenomeni estremi e le loro caratteristiche si presentano anche
in forme intermedie e miste.
Anche un gruppo piccolo può avere le stesse caratteristiche regressive
tipiche della massa ed una volta operata questa distinzione si può scegliere
come campo di osservazione privilegiato il gruppo piccolo.
Dentro questa tipologia di dispositivo si possono osservare meglio
specifici fenomeni, che vanno da quelli tipici della massa indifferenziata a
quelli specifici del gruppo organizzato. Il primo elemento con cui ci si deve
confrontare nello studio del gruppo piccolo è il passaggio da una
situazione in cui gli individui sono isolati a quelle situazioni in cui si
iniziano ad attivare i processi psicologici specifici, tipici del gruppo, che ci
consentono di definirlo tale.
C’è una contrapposizione tra la descrizione che S. Freud fa nell’opera
“Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921) e il gruppo visto nella
prospettiva del corso del Professor Cruciani. Nell’opera citata, Freud
afferma che il gruppo si forma sulla base di un’identificazione reciproca e
che tutti i componenti di un gruppo hanno almeno una parte in comune, che
corrisponde ad una parte dell’ideale dell’Io. Secondo Freud un gruppo si
formerebbe riunendo degli individui che trovano un legame reciproco, ma
potrebbero funzionare allo stesso modo anche da soli.
Il modello di gruppo analizzato nel corso parte, invece, dal presupposto
che esista nella nostra mente una predisposizione alla vita collettiva, un
concetto di “gruppalità”, così come viene definita da W. Bion: innata e
primitiva, e non successiva, come afferma Freud.
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Dallo stadio gruppale nascente alla comunità dei fratelli
Nel trattare lo stadio gruppale nascente, si descrive quel passaggio che
si verifica mano a mano che da una situazione in cui gli individui sono
separati (in cui la relazione con se stessi e il mondo è del tutto autonoma),
si crea un effetto dello stare insieme, un momento dominato da una
transizione. Questa transizione si configura come lo stabilirsi di una serie di
collegamenti tra sé e gli altri, che modifica il modo di vivere se stessi in
gruppo. Nello stato gruppale nascente, quindi, si assiste ad un passaggio da
una situazione isolata ad una collettiva.
J. P. Sartre (Parigi, 21 giugno 1905 – Parigi, 15 aprile 1980), filosofo
francese operante tra la prima e la seconda metà del ‘900, molto influenzato
dal pensiero esistenzialista e quindi da un tipo di filosofia che propone un
sentimento di esistenza molto vicino alla psicologia, nell’opera “Critica
della ragion dialettica” (1960) considera il gruppo non come una struttura,
ma come un processo, come mediatore dialettico tra l’individuo-isolato,
alienato nell’inerzia della serialità e la società cristallizzata in rigide
istituzioni. Sartre descrive la situazione di alcune persone che aspettano
l’autobus. Queste persone vivono una situazione comune, ma non
comunicano tra loro, sono isolate. Si tratta di un gruppo seriale, la cui
composizione in gruppo è data soltanto dalla motivazione di aspettare; il
loro rapporto reciproco non cambierebbe se qualcuno andasse via. Se
queste persone fossero impegnate in un lavoro comune e avessero uno
scopo, un progetto comune e condividessero una prassi, questa dimensione
seriale finirebbe e si rafforzerebbe l’idea di essere tutti uniti in un progetto.
“Organicati”, organizzati in una dimensione per cui la presenza di ciascuno
è rilevante nel fornire questo sentimento collettivo.
Sartre sottolineava l’importanza della responsabilità del singolo.
“L’essere umano è esposto all’angoscia della libertà, perché può scegliere
cosa fare o non fare”. Negli anni in cui scrisse l’opera “Critica della ragion
dialettica”, Sartre si avvicinò alla politica comunista e al Marxismo. Questa
influenza si può ritrovare nella sua opera, che segna il momento di
confronto tra l’individuo isolato (tutto costruito sul suo progetto singolo) e
la condivisione di un progetto collettivo. Il modo in cui Sartre considera il
gruppo come luogo in cui i sentimenti forti che caratterizzano l’esperienza
di vita del singolo sono condivisi dagli altri, ha lo scopo di polemizzare
contro la burocratizzazione dell’Unione Sovietica, che si fondava sull’idea
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di sviluppare un sentimento comune, ma che in realtà perdeva di vista
l’essenza di un gruppo.
È centrale l’idea del passaggio dalla serialità per ragioni esterne, alla
nascita del sentimento del “noi”. Questo sentimento è il punto chiave del
passaggio dalla fase gruppale nascente, alla fase della comunità dei fratelli.
Prima che questo sentimento maturi, c’è però bisogno che si rompano
degli involucri, che si vengano a sostituire le singole pelli mentali con una
sola pelle collettiva. Un passaggio non facile nonostante ci sia una
predisposizione dell’individuo alla gruppalità. È per questo che si passa
dall’entusiasmo ad una situazione inquietante (fase transitoria).
Il Professor Cruciani analizza tre elementi fondamentali:
 L’ILLUSIONE GRUPPALE
 L’ATTESA MESSIANICA
 LA DEPERSONALIZZAZIONE
L’illusione gruppale rappresenta la sensazione che le persone hanno nel
passaggio dall’individualità al collettivo, una sensazione di arricchimento,
che acuisce il sentimento del valore di sé. È la fase in cui nel gruppo si
possono pronunciare frasi tipo: “questo è un gruppo molto bello ed è per
questo motivo che partecipo”. In questa fase è molto importante l’aspetto
della continuità. L’illusione gruppale è un sentimento pro sociale, la
fantasia di essere un gruppo molto ben funzionante.
Didier Anzieu (Melun, 8 luglio 1923 – Parigi, 25 novembre 1999)
paragona l’illusione gruppale all’ingresso in un sogno, il che significa
entrare in una dimensione che si configura come un appagamento di un
desiderio. È la reazione a un’angoscia e uno smarrimento totali, ma anche
una condizione iniziale di nascita e di sviluppo.
Per Freud l’appagamento del desiderio nell’illusione gruppale avviene
in termini poco realistici. Occorre riflettere sull’importanza che l’illusione
ha nell’origine del pensiero. Il Professor Cruciani cita l’analista italiano
Lucio Russo, autore dell’opera “Le illusioni del pensiero” (2006), il quale
afferma che le conquiste più elaborate del pensiero si fondano su un velo
illusorio. L’illusione non è un inganno, ma un’apertura alla fiducia nelle
proprie forze, precondizione necessaria per conseguire un successo. Si
creano le precondizioni emotive essenziali affinché si crei un tessuto
collettivo che provochi un effetto.
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Il Dottor Danilo Simoni interviene, affermando che l’illusione è
paragonabile all’innamoramento nel momento in cui si crea la coppia; essa
crea le “pre-condizioni” necessarie alla creazione di una realtà condivisa.
Passare da una situazione individuale ad una gruppale sottintende una
faticosa rinuncia a quote di narcisismo personale. Il tornaconto personale
dell’entrare nel gruppo sta proprio nell’illusione che il gruppo stesso sia
qualcosa di immensamente bello, per cui vale la pena di fare rinunce sul
piano narcisistico. Questo fenomeno è universale, ben conosciuto da
manager e allenatori sportivi, i quali sanno che il compito più difficile è
attraversare questa prima fase illusoria, in cui i livelli di produttività del
gruppo sono molto bassi, ma il sentimento che l’accompagna è positivo,
fondato sull’idea di essere un gruppo ben funzionate.
Il passaggio più delicato si ha quando si entra nella comunità dei fratelli,
secondo la definizione che ne dà Freud nell’opera “Totem e tabù” (1912 1913). Questo è il momento in cui l’illusione crolla, poiché rientra il dato di
realtà, che genera un piccolo trauma che il gruppo deve gestire. Compito
del leader è gestire il passaggio dall’illusione alla presa di coscienza della
realtà, definito dal Professor Cruciani come un possibile momento
depressivo. Si passa dalla psicologia individuale, al gruppo come entità
psicologica autonoma con funzioni che vanno oltre quelle individuali dei
membri che lo compongono. L’euforia che accompagna la fase iniziale del
gruppo non è un errore, ma lo diventa nel momento in cui l’illusione non
produce pensiero.
Interviene la Dottoressa Elisa Ottaviani, affermando che nella fase di
illusione iniziale si verifica una caduta in una sorta di pensiero magico.
All’inizio si pensa che il gruppo sia in grado di risolvere tutti i problemi,
progressivamente però ci si rende conto che ciò non avviene
automaticamente, ma richiede un grosso lavoro da parte del gruppo.
Interviene a questo punto il Dottor Danilo Simoni, il quale afferma che
l’illusione è necessaria per permettere l’ingresso stesso nel gruppo.
L’entrare in un gruppo può provocare inizialmente uno stadio di perdita
della propria individualità.
All’interno di un gruppo ci sono:
 I singoli
 La pluralità delle persone
 Il gruppo (che attiva forme di pensiero che i singoli avvertono come
estranei).
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W. Bion (Muttra, 1897 – Oxford, 1979) parla di “contenuti anonimi al
gruppo”; per cui ciascuno attribuisce al gruppo alcune caratteristiche senza
rendersene conto e senza che nessuno sappia chi è stato a svolgere il lavoro
di attribuzione di sentimenti del gruppo. I singoli presenti nel gruppo che si
riconoscono nell’altro, vivono i sentimenti in modo molto intenso. Il
Professor Cruciani cita Heinz Kohut (Vienna, 1913 – USA, 1981) e il suo
concetto di frustrazione ottimale, esperienza fondamentale per il bambino,
affinché impari a conoscere i propri limiti realistici. La frustrazione
ottimale è alla base dello sviluppo della capacità di percepire la realtà e
stimolare il pensiero, senza spaventarsi.
Il professor Cruciani continua il discorso riguardo il concetto di
frustrazione ottimale di Heinz Kohut, sostenendo che sia un’operazione
difficile e dispendiosa in termini di tempo, ma necessaria poiché, in assenza
di essa, non si può imparare a “fare i gruppi fuori dal gruppo”.
Ciò si può rilevare anche nell’avversione di alcuni analisti verso i
gruppi, ritenuti pericolosi e difficili.
Interviene poi il dottor Danilo Simoni che afferma come la capacità
di gestire piccoli gruppi può offrire allo psicologo un qualcosa in più
rispetto ad altre figure, poiché sono proprio i gruppi, sia grandi che piccoli,
che creano problemi e le figure professionali che comprendono meglio
queste tematiche possono dare un utile contributo: questa è una competenza
utile e qualificante nelle situazioni pratiche e concrete.
Una studentessa, poi, pone una domanda, chiedendo se il conduttore
ha la funzione di oggetto transazionale, alla quale rispondono tutti e tre i
docenti, e, in particolare, la psicologa Elisa Ottaviano spiega come la
funzione materna del conduttore possa essere utile sia a ricostruire la
capacità di illudersi, sia a modulare il passaggio alla disillusione. Riporta
poi l’esempio dei gruppi di terapia neonatale, nei quali i genitori sono
molto traumatizzati e si cerca di ricostruire la possibilità di illudersi, di
ricreare un rapporto con il bambino “ferito” e di riuscire a riprendere il
ritmo di vita normale: possiamo considerare questo meccanismo come un
passaggio dall’illusione alla realtà.
Il professor Cruciani descrive questo processo di transizione con due
aggettivi opposti fra loro, quasi a costituire un ossimoro: esaltante ed
inquietante. Sostiene ciò, poiché ritiene che questa fase comporti un
cambio di marcia: dalla marcia individuale a quella collettiva, causando
uno sconvolgimento del sentimento di sé, una perdita dei punti di
riferimento, accompagnata dal reperimento di altri punti fermi.
Egli, inoltre, riporta una propria esperienza personale:
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“Molto tempo fa incontrai un gruppo di persone che si occupava di analisi
istituzionale e utilizzava un esempio per descrivere il passaggio presente
nel gruppo: uno dei personaggi che fungeva da “capo” di questo gruppo è
Luigi Pagliarani. Lui diceva che, nelle fasi di sviluppo del gruppo, avviene
qualcosa di simile a quello che avviene nello sviluppo dei crostacei, dei
granchi. I granchi hanno uno scheletro esterno, sono circondati da un
involucro durante la crescita, sono animali che crescono continuamente
finché vivono; ad un certo punto l'involucro, però, non li contiene più e
allora lo rompono ed escono fuori: ora hanno l'involucro delicatissimo. Il
granchio ora è di colore chiaro ed ha una consistenza tenera e per un po'
non è più protetto dal tessuto, da questa specie di difesa esterna e, quindi, è
una fase in cui è più debole. Questa fase di debolezza è fondamentale per
la sua crescita. Pagliarani si occupava di istituzioni, quindi si riferiva non
tanto ai gruppi terapeutici, ma ai gruppi istituzionali: è come se il gruppo
avesse acquistato una sua consistenza e, in maniera analoga, provasse
questo sentimento di debolezza quando si perdono i compiti”.
Nella parte più esaltante di questo processo di transizione possiamo
trovare l’attesa messianica: proprio per il fatto che più persone siano
riunite, il gruppo pensa che accadrà qualcosa di molto importante, proietta
nel futuro l’arrivo di qualcosa che sarà salvifico per il gruppo stesso, senza
però sapere con precisione cosa. Si tratta di uno stato d'animo che ognuno
vive a suo modo, ma che al tempo stesso è un sentimento di tutti insieme.
Bion definisce questa funzione assunto base dell'accoppiamento, le
persone, riunite in gruppo, attivano, ad un certo punto, tutte insieme, una
fantasia condivisa e profonda: dal gruppo arriverà qualcosa, che salverà
tutti. L'idea dell'attesa messianica domina tutta la storia della nostra cultura
e non solo la cultura ebrea e cristiana, ma anche in tante altre forme e
modalità di configurare il futuro: in gruppi politici, in gruppi che aspettano
qualcosa di straordinario. Questo tipo di fantasia è una variazione
dell'illusione. Questo pensiero può essere esemplificato dalla frase: “Io
credo che la mia presenza nel mondo sia ben difesa. Questo mi dà forza e
io mi muovo per fare qualcosa”.
Il professor Cruciani ci riporta brevemente il caso clinico di
un’operatrice di una comunità terapeutica che, a seguito di un’aggressione
da parte di un paziente, fa un sogno particolare, di speranza: sogna che lei, i
suoi colleghi e tutti i pazienti sono riuniti nella sala principale e che sono
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tutti guariti; ciò le provocava una gioia immensa. Questa testimonianza può
dare l’idea dell’attesa di qualcosa di straordinario: probabilmente questo
era il sogno su cui si reggeva l’organizzazione.
Nel gruppo, però, non si dà importanza solo al futuro, ma anche al
passato: in quest’ottica ritroviamo i miti di fondazione. Il mito è presente in
ogni gruppo, anche nelle comunità terapeutiche e nelle istituzioni; può
assumere le forme più diverse ed ognuno afferma le importanti origini del
proprio gruppo.
Esiste quindi nei gruppi l’idea di un passato. Ad esempio di ciò, il
professor Cruciani riporta il celeberrimo mito della fondazione di Roma,
sviluppato poi dal poeta romano Virgilio (Andes, 70 a.C. – Brindisi, 19
a.C.) nell’Eneide, scritta tra il 29 a.C. e il 19 a.C. Il mito narra che Roma fu
fondata ad opera degli esuli della città di Troia, distrutta dagli Achei. Enea,
figlio di Venere, partiva esule e portava con sé un futuro e, quindi, il mito
della fondazione diventava anche il mito di qualcosa che accadrà.
Passando, invece, all’aspetto inquietante possiamo trovare i
fenomeni di depersonalizzazione, derivanti dal fatto che si è esposti ad una
visione delle cose in cui irrompono facilmente pensieri molto forti e si
sente la presenza degli altri. Noi, solitamente concentrati su noi stessi, se
entriamo fortemente in contatto con altri, lasciando che i loro pensieri, le
loro emozioni, le loro attitudini e i loro desideri si avvicinino a noi, tanto da
rimanerne coinvolti, abbiamo un momento in cui non ci riconosciamo più.
Questi fenomeni di depersonalizzazione sono fisiologici,
appartengono alla fisiologia del cambiamento, come lo spaesamento di
quando, dopo un viaggio aereo di poche ore, ci si trova in un altro paese,
con altre usanze e costumi e ci sembra quasi irreale. In merito a ciò, il
professore riporta un simpatico aneddoto personale nel quale racconta di
come, un anno e mezzo fa, abbia avuto una sorta di episodio di
depersonalizzazione, poiché mentre teneva una lezione presso un
Ministero, essendo particolarmente preso dall’argomento, che nello stesso
periodo stava trattando a lezione con i suoi studenti, all’improvviso ebbe un
attimo di tentennamento, non riuscendo a capire dove fosse e chi fossero le
persone davanti a lui.
Tutti questi aspetti, che sono normali e funzionali in alcune fasi del
gruppo, divengono disfunzionali in altre: si tratta di valutare il momento in
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cui si presentano, l’entità e il gradiente. In alcuni momenti, questi stessi
fenomeni possono attivare o bloccare il gruppo, a seconda della fase: è
importante, quindi, riuscire a riconoscerli e gestirli.
Dalla teoria di Bion, prendiamo due concetti per spiegare il
sentimento presente durante la nascita del gruppo, i processi che
accompagnano la metabolizzazione, l’integrazione e l’elaborazione di
questa fase: la reverìe e la funzione α.
Il termine rêverìe proviene dalla parola francese rêve, che significa
sogno. È un concetto molto vicino alla relazione che, anche secondo
Winnicott, la madre stabilisce con il bambino e, quindi, alla relazione che
l'analista, il conduttore, ha con il gruppo e che si attiva nello stesso
momento all'interno di esso. E' uno stato un po' sognante, in cui una
persona potenzia al massimo le sue capacità di empatia e di
immedesimazione nei pensieri degli altri e, attraverso questo contatto,
trasforma le emozioni e le sensazioni diffuse e pervasive, in pensieri più
definiti e comunicabili, le coordina e le organizza.
Il gruppo, quindi, sente uno stato d'animo ed è in grado di
trasformarlo in pensieri più definiti. Tale funzione si attiva in questa fase di
passaggio del gruppo ed è quella favorita dal conduttore, il quale rimane
abbastanza silenzioso. Nel gruppo c'è un'alternanza di momenti di lavoro,
di socialità e di concentrato silenzio: in questi ultimi, la persona ha la
possibilità di raccogliere gli stimoli di cui si è parlato e rimetterli a posto. Il
concetto di rêverìe è importante anche perché, quando Bion ne parla, lo fa
all'interno di una visione dei processi psichici, affermando che “ la mente
di un essere umano non può svilupparsi se non sta a contatto con un' altra
mente”. Ovvero tutti i processi, le potenzialità della mente, tutto il
movimento che avviene quando la psiche comincia a funzionare
(stimolazione dall'interno e stimolazione dall'esterno), non può avviarsi se
questa organizzazione non è accompagnata da uno scambio di
comunicazioni tra un essere umano e un altro.
Generalmente ci si riferisce ad una funzione materna –ma non
necessariamente- e si usa il termine caregiver, intendendo tutte quelle
persone che instaurano, con la mente di un bambino o con qualunque mente
che sia impegnata in un processo di crescita, un processo nel quale si
ricevono delle comunicazioni e si restituiscono in una forma meno confusa,
più organizzata, più comunicabile e più pensabile.
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Passando alla funzione α, possiamo sostenere che questa sia collegata
alla funzione di rêverie. Infatti definiamo rêverie uno stato sognante, in cui
riceviamo le comunicazioni dell'altro; chiamiamo, invece, funzione alfa, la
funzione che è in grado di trasformare sensazioni corporee confuse,
indefinite ed indeterminate, in sensazioni più precise, in pensieri più chiari,
che possano poi andare verso la simbolizzazione attraverso il linguaggio.
Questi processi, che vengono studiati in termini di fenomeni psicologici
osservabili in questi contesti, sono affrontati anche nelle neuroscienze,
quando si parla del passaggio da stati di coscienza meno definiti a degli
stati di coscienza più organizzati, in cui compaiono percezioni più chiare,
pensieri e processi di simbolizzazione. Bion ha usato un linguaggio
evocativo, perché voleva che fosse utilizzabile quando si descrivevano
questi fenomeni all'interno dell'esperienza analitica e in quella di gruppo. Il
linguaggio neurobiologico descrive le stesse cose in un contesto diverso,
che non potrebbe ben adattarsi in un contesto di gruppo.
C'è un processo di rêverìe quando qualcuno presta la propria
funzione alfa a qualcun altro; la funzione alfa ha il compito di elaborare
delle sensazioni corporee indistinte in qualcosa che può tramutarsi in
sensazioni chiare e in pensieri, ovvero un processo di elaborazione di
stimoli che all'inizio non si capiscono bene e poi acquisiscono maggior
chiarezza. Si esplica la rêverìe quando qualcuno fa questa operazione di
elaborazione nei confronti di qualcun altro, quando qualcuno presta la
propria mente, la propria funzione alfa all'altro, come ad esempio quando la
mamma elabora le sensazioni corporee indistinte che il bambino prova,
restituendogliele elaborate, “digerite”: attraverso questo processo è
possibile per il bambino costruire gradualmente dentro di sé questa
funzione. Se non si fa esperienza di rêverie, della funzione alfa prestata da
parte di un caregiver, è impossibile incorporarla dentro di sé.
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I punti chiave
Stato gruppale nascente
Passaggio da una situazione di individui separati, alla creazione di un effetto dello stare insieme; si
tratta di una transizione, dell'aprirsi a una serie di collegamenti tra sé e gli altri che costituisce una
sostanza di vivere. (Esempio Sartre)
Fenomeni che caratterizzano il gruppo
1. Fenomeni di entusiasmo:
 Illusione gruppale: accrescimento della stima di sé, sentimento pro-sociale, fantasia di essere un gruppo
ben funzionante. (Esempio di Anzieu: come entrare in un sogno, Esempio dell'innamoramento della
coppia)
 Attesa messianica: idea che arriverà qualcosa grazie al fatto di essere riuniti; proietta l'arrivo nel futuro
di qualcosa di salvifico; conferisce speranza; attiva il gruppo che aspetta che succeda qualcosa di bello.
(Esempio Bion)
Alle spalle di questi fenomeni sono presenti i miti di fondazione che fanno parte del concetto di
campo e che riguardano il passato, le origini del gruppo. (Esempio fondazione di Roma)
2. Fenomeni inquietanti:
 Fenomeni di depersonalizzazione: appartengono alla fisiologia del cambiamento, dello spaesamento,
dell'inserimento in una situazione differente; derivano dall'essere esposti ad una visione delle cose in
cui irrompono in modo molto forte il pensiero e la presenza degli altri; forte contatto con gli altri che fa
correre il rischio di non riconoscersi più, di rompere i più definiti confini di sé. (Esempio lezione del prof
al ministero, esempio viaggi in aereo di breve durata)
Bion, concetti che accompagnano il processo di cambiamento del gruppo
 Rêverìe: stato sognante in cui una persona potenzia al massimo le proprie capacità di empatia e di
contatto con gli altri e trasforma queste sensazioni in pensieri più definiti; funzione favorita dal
conduttore del gruppo; Bion ne parla in riferimento ai processi psichici affermando che la mente di un
individuo non può svilupparsi se non in contatto con un'altra mente.
 Funzione alfa: trasformazione di sensazioni corporee confuse in sensazioni più precise, pensieri più
chiari, che possono essere simbolizzati attraverso il linguaggio. (Esempio del condividere gioie e dolori
in un gruppo)
Si tratta di due funzioni collegate: la Rêverìe si attiva quando qualcuno presta la propria funzione
alfa a qualcun'altro. (Esempio del caregiver)
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DOMANDE:
Studentessa: <<Il crollo dell'illusione consiste nel fatto che i membri si rendono conto che il loro
gruppo è "normale" e non così "eccelso"?>>
Professor Cruciani: <<Sì, direi di sì. Direi che è questo a rimettere in movimento gli aspetti più
realistici, più depressivi, più limitanti, che cominciano a comparire nel gruppo. Quello che vorrei
sottolineare, anche grazie alla sua domanda, è che questo momento un po' euforico non è un
momento di errore, solo nel caso in cui l'illusione non produce uno sviluppo di pensiero è un fatto
disadattivo. La scienza comincia da un'illusione, dal pensare che i fenomeni saranno regolari e le
cose che abbiamo visto nel passato, delle quali abbiamo formulato ipotesi, si ripeteranno: questa è
l'illusione, tant'è vero che può anche essere smentita. Smentita sì, ma se smentita a priori non c'è
nemmeno l'indagine. Quindi il gruppo comincia ad entrare in contatto con un elemento
depressivo.>>
Dott.ssa Ottaviani <<E’ la caduta di una sorta di pensiero magico. A me è capitato, all'interno dei
gruppi terapeutici, di trovare l'idea che il gruppo risolverà tutti i problemi; poi invece si scopre che
alcuni problemi rimangono e che bisogna lavorare insieme perché possano essere compresi>>
Dottor Simoni <<Del resto se non ci fosse non entreremmo all'interno del gruppo, perché questo
entrarci crea degli stati iniziali di disorientamento e può provocare anche delle sensazioni quasi di
perdita dei propri confini psicologici, della natura propria della psicologia individuale e questo è
proprio quello che serve (come diceva Paolo Cruciani) per gettare il cuore oltre l'ostacolo, dove
l'ostacolo è questo passaggio da una situazione individuale, che in qualche modo sappiamo di poter
gestire, a una situazione gruppale, nuova, e in quanto nuova ci crea una serie di interrogativi, di
dubbi, sulla capacità nostra di dover stare nella situazione gruppale e del gruppo di poter esistere e
resistere in quanto tale.>>
Studentessa: <<Nel passaggio dall'illusione alla presa di realtà il conduttore ha la funzione di
oggetto transizionale?>>
Professor Cruciani: <<Questa domanda fa riferimento ad un concetto estremamente importante e
cioè il concetto di area e oggetto transizionale. Quello che caratterizza quest'area può essere
definito in tanti modi e uno dei pochi che stimo è quello secondo il quale gli oggetti non sono né
trovati né creati, ma sono un misto di contatto con la realtà e di realizzazione con la fantasia. La
possibilità di vivere pienamente la funzione creativa dell'area transizionale è preceduta dalla
capacità della madre di relazionarsi con il bambino, dalla preoccupazione materna, cioè dalla
possibilità di anticipare in qualche modo il desiderio che il bambino ha; però questa operazione
deve sostenere, in un primo momento, la fiducia del bambino che ciò che desidera arriverà, e
progressivamente spostare questo processo da un desiderio-oggetto colto dalla madre, ad un
periodo in cui si determina una separazione sempre più lunga, sempre più netta di pensiero. La
scoperta che la madre è una persona diversa da lui, e la possibilità di capire che il desiderio si
realizza perché c'è un'azione che si svolge nei confronti della madre. C'è una sintonia fra il proprio
desiderio e l'oggetto esterno, che però è riconosciuto come autonomo. In questo senso il
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conduttore del gruppo è un po’ un oggetto transizionale, e un po' una persona che svolge la
funzione di sostenere la fantasia del gruppo, portandolo anche ad una certa consapevolezza delle
difficoltà che poi dovrà provare. La collega Dott.ssa Ottaviani ha colto l'estrema delicatezza di
questo momento perché sbagliare in una dimensione o in un'altra può avere due effetti: se si
sbaglia nel senso del venire incontro, il gruppo impazzisce in una specie di maniacalità e scivola nel
gruppo massa dove l'illusione rimane; se invece l'analista non ha tempestività e non sa come
utilizzare questa fase, si comporta proprio come una madre frustrante e allora il sentimento di
fiducia del bambino viene meno. Il terapeuta, dunque, deve stare molto attento a gestire, a
svolgere questa funzione, quindi possiamo considerarlo un oggetto transizionale, ma possiamo
considerarlo forse ancor più una funzione materna che svolge questa mediazione. Forse un oggetto
transizionale può essere proprio il gruppo, nel quale sono presenti il singolo, la pluralità delle
persone e il gruppo nell'insieme: tre oggetti diversi.>>
Studentessa: <<E' sempre il conduttore del gruppo che trasforma gli elementi beta in alfa?>>
Professor Cruciani: <<Sì, il conduttore del gruppo, ma direi anche il gruppo stesso>>.
Dottor Simoni: <<La funzione alfa è qualcosa che si acquisisce piano piano. Sul legame tra Rêverìe e
funzione alfa, possiamo dire che c'è un processo di Rêverìe quando qualcuno presta la propria
funzione alfa a qualcun altro; la funzione alfa permette di elaborare sensazioni corporee indistinte
tramutandole in sensazioni chiare e in pensieri, per cui è un processo di digestione di stimoli che
all'inizio sono complicati e non si capisce bene cosa siano, poi attraverso questo processo prendono
forma e diventano più chiari. La Rêverìe si ha per esempio quando la mamma elabora per il
bambino le sensazioni corporee indistinte che lui sta provando, restituendogliele rielaborate.
Quello che è molto importante e interessante è che, proprio attraverso questo processo, è possibile
per il bambino costruire all'interno di sé questa funzione: se non si fa esperienza di Rêverìe da parte
di un caregiver, se non si fa esperienza di questa funzione alfa prestata, è praticamente impossibile
incorporarla dentro di sé.>>
Studentessa: <<La Rêverie è collegata alla funzione contenuto-contenitore?>>
Dottor Simoni <<Sì, sicuramente sì.>>
Professor Cruciani <<Innanzitutto questo problema dell'insaturo e del vago nasce dal fatto di voler
descrivere, con un linguaggio vicino all'esperienza, dei processi che per loro natura sono sfumati.
Immaginiamo che delle persone stiano in gruppo e che una di loro descriva un episodio
particolarmente coinvolgente, un episodio di gioia o un episodio di dolore. Questo episodio viene
sfaccettato e moltiplicato nella mente di tutte le persone che sono nel gruppo, quindi
un'operazione molto diversa rispetto a quella che avviene in un rapporto a due. Questo effetto di
risonanza complessiva può benissimo trovare espressione in una serie di stati d'animo che non
sono assolutamente traducibili in parole, ma sono una serie di sensazioni diffuse che possono
addirittura appoggiarsi ad alcuni oggetti che stanno nella stanza. Allora per esempio in questo caso
la funzione di Rêverìe e la funzione alfa possono diventare quel processo attraverso il quale questo
confuso stato d'animo, che si esprime con tanti pensieri fluttuanti che stanno nella stanza, si può
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trasformare in un'immagine che è più pensabile delle altre, come se una persona ad un certo punto
potesse dire "Qui c'è qualcosa che sta emergendo da uno stato di confusione”. Non è una
spiegazione, non è un'interpretazione, ma qualcosa che raccoglie le sensazioni delle persone e
consente loro di pensare meglio quello che accade. Quindi diciamo che per Bion la relazione
contenitore-contenuto è quella che esiste fra un certo pensiero e un contesto in cui questo
pensiero viene introdotto, in modo tale che venga sviluppato e trasformato in un certo modo. Bion
afferma anche che il contenuto può diventare contenitore e viceversa, poiché abbiamo a che fare
con una relazione volutamente vaga. Un contenitore è un contesto che trasforma qualcosa che
viene messo in contatto con noi, e questo contatto è meglio espresso dall'idea del contenimento
che dallo stare vicino, in quanto l'idea del contenimento accoglie, mentre lo stare vicino è una
relazione come un'altra.>>
Dott.ssa Ottaviani <<A me veniva in mente un'idea più di base del pensiero di Bion, che poi ha
permesso anche di pensare al gruppo, e cioè che il concetto di Rêverìe è importante perché c'è
dentro l'idea della mente estesa, ossia che la mente non finisce nei confini della persona. Mi piace
molto per esempio quando Neri, parlando del conduttore, lo definisce co-pensatore, cioè l'idea che
nel gruppo si pensi insieme con aspetti che possono essere contenuti, elaborati nel gruppo, che ha
anche una funzione auto interpretante, dando ragione in questo modo al pensiero che
un'emozione può essere trasmessa ad un'altra mente che la accoglie, si rende disponibile e la
trasforma in un possibile pensiero, un'immagine di questo gruppo a più livelli.>>
Professor Cruciani: <<Bion infatti ha in mente un qualcosa di dinamico, proprio quello che adesso
stava dicendo la Dott.ssa Ottaviani: una persona che è contenuta in un gruppo, o un pensiero che
raccoglie una serie di elementi che sono sparsi nell'esperienza del gruppo e creano un contenitore,
per esempio enunciando una fantasia, un mito.>>
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