La slogatura di Giacobbe
Ritiro per sacerdoti, diaconi e religiosi
Alcuni spunti.
Comunità Cistercense (Trappista)”Madonna dell’Unione”
Monastero Vasco 12080, Cuneo.
Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo
da me annunziato non è modellato sull'uomo;
infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini,
ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Gal 1,11-12.
Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me.
Voi avrete tribolazione nel mondo,
ma abbiate fiducia;
io ho vinto il mondo!,
Giovanni 16,33.
Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia;
la mia potenza infatti
si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze,
perché dimori in me la potenza di Cristo.
Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, …
nelle angosce sofferte per Cristo:
quando sono debole, è allora che sono forte.
2 Corinti 12,9-10.
2
SOMMARIO
Introduzione.
4
La figura di Giacobbe.
6
Giacobbe: la vicenda personale di ciascuno.
10
Come nasce e si sviluppa ilnostro “Giacobbe”: il nostro auto inganno. 12
La formazione: “Giacobbe”: l’auto inganno matura.
18
Il comportamento del nostro “Giacobbe”.
21
La slogatura del nostro “Giacobbe.”
23
La lotta nella notte della mancanza.
26
Il celibato: la “slogatura” del sacerdote.
31
Il “Giacobbe” degli Apostoli.
34
La “slogatura” di S. Paolo.
39
Conclusione
43
3
Introduzione.
Prima di inoltraci nella spiegazione del titolo, di conseguenza del contenuto di questo
ritiro, è importante accennare come si dovrebbe svolgere un ritiro e quale finalità, o se
volete quale frutto dovrebbe scaturire da questi giorni di ascolto e di preghiera.
L’ Ascolto non è principalmente prestare attenzione a quanto potrò dirvi in questi
giorni. Dirò, più o meno, cose a voi note, forse più o meno adeguate e pertinenti di
quanto voi potreste dire, in modo migliore, a me.
Sia a voi che a me, richiamo una verità che diamo per scontata e che, in pratica, non
facilmente ha una incidenza vitale, e mi servo di un testo di S. Agostino:
Parliamo a voi come a condiscepoli alla stessa scuola del Signore. Abbiamo infatti
un unico Maestro, nel quale tutti siamo una cosa sola. Egli, affinché non ci venga la
tentazione di insuperbirci per la nostra funzione di maestro, ci ammonisce dicendo:
Non fatevi chiamare "Rabbi" dagli uomini; uno solo infatti è il vostro maestro, il Cristo.
Sotto questo maestro, la cui cattedra è il cielo è per mezzo delle sue Scritture che
dobbiamo essere formati, fate dunque attenzione a quelle poche cose che vi dirò. Me lo
conceda colui che mi comanda di parlare.
Chi di voi sapeva già queste cose, le ripensi; chi di voi le ignorava le accolga.
Spesso l'animo santamente curioso viene sollecitato, purché alla fragilità e debolezza
umana venga concesso di scrutare cose sublimi come queste. Ma sì che viene concesso.
Ciò che nelle sacre Scritture è nascosto, non è chiuso per essere negato, ma anzi perché
venga aperto a colui che bussa.1
Le verità della fede vanno strenuamente custodite! Ma attenzione! Ci sono due
deviazioni che ci sembrano più adeguate e attuali: l’irrigidirsi nel difenderle ad oltranza,
come custodi della fede, oppure, all’opposto, farne poco o niente del tutto, come coloro
che hanno compreso che è necessario adeguarle al progresso dei tempi.
L’unica via che ci rimane, che è quella valida per custodire la vera fede, è
l’assimilazione personale della linfa vitale nella quale si compie la fede e cioè ciò che
crediamo diventa vita, crescita personale, libertà interiore.
Come la cornice di un dipinto è necessaria perché il dipinto si delimiti, così i dogmi e
i precetti del Vangelo sono dati quale Via per conoscere la Verità e ottenere la Vita, Gv
14,6. 2.
A mo’ di esempio esplicativo vi richiamo una preghiera - tra le tante, anzi tra le
tutte- che troviamo nella Santa Liturgia: Signore, che ci hai accolti alla tua mensa,
conferma in noi il dono della vera fede che ci fa conoscere nel Figlio della Vergine il
1
S. AGOSTINO, Discorso 270, 2 In realtà, non è che siamo vostri maestri in quanto vi parliamo da
questa sede posta più in alto, poiché è il Maestro di tutti colui che ha la cattedra al di sopra di tutti i cieli;
ci troviamo insieme soggetti a lui in un'unica scuola, e voi e noi siamo condiscepoli.
2
S. VINVENZO di LERINS, Primo commonitorio cap. 23; P:L. 50, 667-668, (ufficio delle letture
venerdì XXXVII sett.): E’ necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano progrediscano
quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così come dei singoli come di tutti, tanto di
uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la
dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto.
4
Verbo fatto uomo, ma per la Santa Chiesa ciò non è sufficiente perché finalizzato, o
meglio indica il cammino, lo scopo, la finalità del custodire la vera fede.
Quindi, la preghiera continua e conclude, e per la potenza della sua risurrezione
guidaci al possesso della gioia eterna.3
Abbiamo qui la funzione della cornice necessaria, la Tradizione, non per essere
difesa, ma finalizzata alla crescita e alla libertà personale da dove deriva la fecondità
ministeriale
Termino questa breve introduzione con un altro testo di S. Agostino:
4. Sicché, o carissimi, non aspettatevi di ascoltare da noi quelle cose che allora il
Signore non volle dire ai discepoli, perché non erano ancora in grado di portarle; ma
cercate piuttosto di progredire nella carità, che viene riversata nei vostri cuori per
mezzo dello Spirito Santo che vi è stato donato (cf. Rm 5, 5), di modo che, fervorosi
nello spirito e innamorati delle realtà spirituali, possiate conoscere, non mediante
segni che si mostrino agli occhi del corpo, né mediante suoni che si facciano sentire
alle orecchie del corpo, ma con lo sguardo e l'udito interiore, la luce spirituale e la
voce spirituale che gli uomini carnali non sono in condizione di portare. Non si può
infatti amare ciò che s'ignora del tutto. Ma quando si ama ciò che in qualche modo si
conosce, in virtù di questo amore si riesce a conoscerlo meglio e più profondamente.
Se dunque progredirete nella carità, che in voi riversa lo Spirito Santo, egli vi
insegnerà tutta la verità (Gv 16, 13), o, come si trova in altri codici, egli vi guiderà
verso la verità totale; per cui vien detto in un salmo: Guidami, o Signore, nella tua via,
e camminerò nella tua verità (Sal 85, 11). E così non avrete bisogno di dottori esterni
per apprendere quelle cose che allora il Signore non volle dire, ma basterà che vi
lasciate tutti ammaestrare da Dio (cf. Gv 6, 45); per cui sarete in grado di contemplare
con la vostra anima le cose che avete appreso e creduto attraverso le letture e le
spiegazioni ricevute dal di fuori.
5. Stando così le cose, vi esorto, dilettissimi, in nome della carità di Cristo,… queste
cose possono appena essere percepite da una mente pura. Rinnovatevi nello spirito
della vostra mente (Ef 4, 23) - esorta l'Apostolo - per discernere ciò che Dio vuole, ciò
che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12, 2); affinché radicati e fondati nella carità,
possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza, l'altezza e
la profondità, e conoscere l'amore di Cristo superiore a ogni conoscenza, onde siate
ricolmi di ogni pienezza di Dio (Ef 3, 17-19). E' in questo modo che lo Spirito Santo vi
insegnerà tutta la verità, riversando sempre più nei vostri cuori la carità.4
3
Dopo comunione, Messa della B. V. Maria della Risurrezione.
4
S. AGOSTINO, Comm. al Vangelo di Giovanni, Discorso 96, 4-5.
5
La figura di Giacobbe.
Il Vangelo è parola viva di Dio, che penetra le midolla dell'anima e scruta le
profondità del cuore, salutarmente viene presentato a tutti noi, né illude alcuno, a meno
che l'uomo voglia illudere se stesso. Ecco, ci è stato posto davanti come uno specchio,
nel quale possiamo mirarci tutti e, se dal nostro volto sarà apparsa allo sguardo
qualche bruttura, con premura affrettiamoci a detergerlo, per non arrossire quando
torniamo a guardare nello specchio.5
Questo testo di S. Agostino ci aiuterà, quale specchio, a vedere riflesso nella figura di
Giacobbe qualcosa che forse può riguardarci da vicino.
S. Agostino vede questa figura di Giacobbe in senso “simbolico o anagogico”, vale a
dire riferito a Cristo; la sua argomentazione è molto dettagliata e ampia. Si basa,
fondamentalmente su fatto che il Vecchio testamento è figura del Nuovo.6
Siccome, come dice lo stesso Agostino, la parola di Dio è viva, raggiunge anche noi.
Di conseguenza, non è improprio leggere questo testo e assumere la figura di
Giacobbe in senso antropologico, senza, ovviamente, escluderne altri.
Seguiremo gli atteggiamenti umani, i più evidenziati di Giacobbe, come uno
specchio per la nostra vicenda personale. Ovviamente, fuori del contesto storico e
personale, per cogliere il profondo del cuore umano, o se volete, il suo inconscio.
Gn 25,27, Giacobbe … dimorava sotto le tende. Rebecca prediligeva Giacobbe.
La figura e il ruolo della madre è preponderante nella crescita di ogni essere umano,
perché, sia pure involontariamente, è quella che nutre la nostra onnipotenza originaria.
Vedremo in seguito il contenuto di questa affermazione.
Gn 27,5-6, Rebecca ascoltava…e disse al figlio Giacobbe… Ora, figlio mio,
obbedisci al mio ordine…
Gn 27,10, perché (tuo padre) ti benedica.
Gn 27,13 ma sua madre…tu obbedisci soltanto.
Gn 27,17 poi mise in mano al suo figlio Giacobbe il piatto e il pane.
Giacobbe, ligio al desiderio e al comando della madre che era poi il suo desiderio
perché aveva già carpito in precedenza la primogenitura sfruttando la debolezza del
fratello, risponde a Isacco: Lo sono.
Gn 27,35, tuo fratello con inganno a carpito la tua benedizione.
Isacco dà già, una definizione precisa di Giacobbe.
Gn 27,42, tuo fratello vuol vendicarsi di te
Ed più che ovvio, ma la madre interviene:
Gn 27,43, ebbene, figlio mio, obbedisci alla mia voce: su fuggi a Carran da mio
fratello Làbano, e aggiunge, quando sarà sbollita la rabbia di tuo fratello:
Gn 27,45, allora io manderò prenderti.
Gn 28,5, Così fece partire Giacobbe.
5
S. AGOSTINO, Discorso 270,1. 1.
6
S. AGOSTINO, Discorso, 4.
6
Gn 28,7, Giacobbe aveva obbedito al padre e alla madre, giacché era consono al suo
desiderio alla sua onnipotenza primordiale.
E qui si compie una parte dell’evoluzione della persona di Giacobbe: nella fuga da se
stesso poiché non aveva mai preso una decisione personale. Inoltre, Giacobbe viene
gratificato da Dio da un sogno rivelatore;
Gn 28,16, Certo il Signore è in questo luogo.
Tuttavia nel suo profondo continua a non aver fiducia in se stesso. La sua dipendenza
da altri è ben radicata in lui. Non ostante la promessa di Dio non è certo che Dio lo
aiuterà e pone delle condizioni a Dio:
Gn 28,20, se Dio sarà con me e mi proteggerà… il Signore sarà il mio Dio.
Continuando nel suo atteggiamento di farsi sempre accettare, se non compatire,
racconta a Labano, suo zio, tutte le sue traversie:
Gn 29,13, ed egli raccontò a Labano tutte le sue vicende.
E’ tipico del narcisista scaricare le sue responsabilità, mai assunte, sugli altri.
Poverino, lui è sempre vittima del sopruso degli altri!
Nel periodo che rimane con lo zio Labano non muta atteggiamento, vuole sempre
quanto piace a lui non tenendo conto della realtà. E Labano gli fa osservare che il suo
desiderio di avere Rachele prima di Lia, è fuori luogo:
Gn 29,26, non si usa far così nel nostro paese,dare, cioè, la più piccola prima della
maggiore.
Negli anni seguenti con sotterfugi, o meglio con doppiezza, di cui era sempre stato
“specialista,” arricchisce oltre modo (Gn 30 tutto il capitolo)
Ovviamente Labano se ne accorge e inizia a capire i sotterfugi di Giacobbe e questi,
per non affrontare una chiarificazione, che non ha mai voluto fare nella sua vita,
escogita la fuga. Il fuggire di fronte alle difficoltà è tipico del narcisista. La fuga da se
stesso si alimenta di sotterfugi e nella doppiezza. Quando questi non sono più efficaci,
vi è la fuga materiale:
Gn 31,17-31: Allora Giacobbe si alzò, caricò i figli e le mogli sui cammelli,.. eluse
l’attenzione dl Labano …Al terzo giorno fu riferito a Làbano che Giacobbe era
fuggito…perché aveva paura…e ha agito in modo insensato.
Dopo la discussione tra i due, Làbano e Giacobbe, si viene a un compromesso che
Giacobbe accetta e giura:
Gn 31,53, per il Terrore di suo padre Isacco.
La paura del padre che aveva ingannato è associata la paura del fratello Esau.
Giacobbe usa tutta la sua apparente sottomissione con tanta bravura di “leccapiedi”
per calmare l’ira di suo fratello accaparrarsi la sua benevolenza:
Gn 32,6-8: Ho mandato ad informarne il mio signore, per trovare grazia ai suoi
occhi.
Giacobbe al sentire che suo fratello Esaù sta venirgli incontro con quattrocento
uomini si spaventò molto e si sentì angosciato.
Ed escogita tutti i mezzi per sfuggire all’ira del fratello e per ultimo manda avanti le
mogli e suoi undici figli. Escogita tutti i mezzi che ha disposizione per sfuggire alla sua
responsabilità.
Gn 32,21 Pensava infatti: Lo placherà con il dono che mi precede e in seguito mi
presenterò a lui, forse mi accoglierà con benevolenza.
Giacobbe rimase solo, convinto di aver messo tutto in opera per raggirare il pericolo.
Quella notte e quella solitudine è il punto culminante della fuga da se stesso e, nel
7
contempo, contro sua voglia, diviene il momento della verifica della sua identità, per
arrivare alla quale deve sostenere la lotta con se stesso:
Gn 32,25, Giacobbe rimase solo…
Giacobbe pensa che la notte sia il tempo favorevole per agire nel nascondimento, il
tempo dunque migliore per entrare nel territorio del fratello senza essere visto e forse
con l’illusione di prendere Esaù alla sprovvista.
Ma è invece lui che viene sorpreso da un attacco imprevisto, per il quale non era
preparato:
… e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora.
Apparentemente Giacobbe ha vinto e lo “sconosciuto” sembra soccombere,
arrendersi e cerca di voler desistere dalla lotta:
Gn 32,27, Quegli disse: lasciami andare, perché è spuntata l’aurora.
Giacobbe esige una condizione per lasciarlo andare:
Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto. Lo sconosciuto misterioso fa notare che
Giacobbe ha combattuto con Dio e con gli uomini ed ha vinto.
In realtà, Giacobbe non ha vinto lo “sconosciuto” (Dio), ma ha “vinto” se stesso
arrendendosi e abbandonandosi totalmente a Dio e presentandosi al fratello, venuto
incontro con quattro cento uomini armati, zoppo e senza più vigore per lottare.
Per spiegare una tale affermazione userò una dotta, profonda e ispirata
interpretazione di Benedetto XVI in una sua udienza generale.7
Aveva usato (Giacobbe) la sua astuzia per tentare di sottrarsi a una situazione
pericolosa, pensava di riuscire ad avere tutto sotto controllo, e invece si trova ad
affrontare una lotta misteriosa che lo coglie nella solitudine e senza dargli la possibilità
di organizzare una difesa adeguata. Inerme, nella notte, il Patriarca Giacobbe
combatte con qualcuno. Il testo non specifica l’identità dell’aggressore; usa un termine
ebraico che indica “un uomo” in modo generico, “uno, qualcuno”; si tratta, quindi, di
una definizione vaga, indeterminata, che volutamente mantiene l’assalitore nel mistero.
E’ buio, Giacobbe non riesce a vedere distintamente il suo contendente e anche per
il lettore, per noi, esso rimane ignoto; qualcuno sta opponendosi al Patriarca, è questo
l’unico dato certo fornito dal narratore. Solo alla fine, quando la lotta sarà ormai
terminata e quel “qualcuno” sarà sparito, solo allora Giacobbe lo nominerà e potrà
dire di aver lottato con Dio.
L’episodio si svolge dunque nell’oscurità ed è difficile percepire non solo l’identità
dell’assalitore di Giacobbe, ma anche quale sia l’andamento della lotta. Leggendo il
brano, risulta difficoltoso stabilire chi dei due contendenti riesca ad avere la meglio; i
verbi utilizzati sono spesso senza soggetto esplicito, ed le azioni si svolgono in modo
quasi contraddittorio, così che quando si pensa che sia uno dei due a prevalere,
l’azione subito smentisce e presenta l’altro come vincitore. All’inizio, infatti, Giacobbe
sembra essere il più forte, e l’avversario – dice il testo – “non riusciva a vincerlo (26);
eppure colpisce Giacobbe all’articolazione del femore, provocandone la slogatura. Si
dovrebbe pensare che Giacobbe debba soccombere, ma invece è l’altro a chiedergli di
lasciarlo andare; e il Patriarca rifiuta, ponendo una condizione: “Non ti lascerò, se
non mi avrai benedetto (v.27). Colui che con l’inganno aveva defraudato il fratello
della benedizione del primogenito, ora la pretende dallo sconosciuto, di cui forse
comincia a intravedere i connotati divini, ma senza poterlo ancora veramente
riconoscere.
7
PAPA BENEDETTO XVI, Udienza generale 25 maggio 2011.
8
Il rivale, che sembra trattenuto e quindi sconfitto da Giacobbe, invece di piegarsi
alla richiesta del Patriarca, gli chiede il nome: “Come ti chiami?”. E il Patriarca:
“Giacobbe” (v. 28).
Qui la lotta subisce una svolta importante. Conoscere il nome di qualcuno, infatti,
implica una sorta di potere sulla persona, perché il nome, nella mentalità biblica,
contiene la realtà più profonda dell’individuo, ne svela il segreto e il destino.
Conoscere il nome vuol dire allora conoscere la verità dell’altro e questo consente di
poterlo dominare. Quando dunque, alla richiesta dello sconosciuto, Giacobbe rivela il
proprio nome, si sta mettendo nelle mani del suo oppositore, è una forma di resa, di
consegna totale di sé all’altro.
Ma in questo gesto di arrendersi anche Giacobbe paradossalmente risulta vincitore,
perché riceve un nome nuovo, insieme al riconoscimento di vittoria da parte
dell’avversario, che gli dice: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai
combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto(v.29). “Giacobbe” era un nome che
richiamava l’origine problematica del Patriarca; in ebraico, infatti, ricorda il termine
“calcagno”, e richiama il lettore al momento della nascita di Giacobbe, quando
uscendo dal grembo materno, teneva con la mano il calcagno del fratello gemello (Gn
25,26), quasi prefigurando lo scavalcamento ai danni del fratello che avrebbe
consumato nell’età adulta; ma il nome Giacobbe richiama anche il verbo “ingannare,
soppiantare”.
Ebbene, ora, nella lotta, il Patriarca rivela al suo oppositore, in un gesto di
consegna e di resa, la propria realtà di ingannatore, di soppiantatore; ma l’altro, che è
Dio, trasforma questa realtà negativa in positiva: Giacobbe l’ingannatore diventa
Israele, gli viene dato un nome nuovo che segna una nuova identità. Ma anche qui, il
racconto mantiene una sua voluta duplicità, perché il significato più probabile del
nome Israele è “Dio è forte, Dio vince”.
Dunque Giacobbe ha prevalso, ha vinto – è l’avversario stesso ad affermarlo – ma la
sua nuova identità, ricevuta dallo stesso avversario, afferma e testimonia la vittoria di
Dio. E quando Giacobbe chiederà a sua volta in nome al suo contendente, questi
rifiuterà di dirlo, ma si rivelerà in un gesto inequivocabile, donando la benedizione.
Quella benedizione che il Patriarca aveva chiesto all’inizio della lotta gli viene ora
concessa. E non è la benedizione ghermita con inganno, ma quella gratuitamente
donata da Dio, che Giacobbe può ricevere ormai solo, senza protezione, senza astuzie e
raggiri, si consegna inerme, accetta di arrendersi e confessa la verità su se stesso. Così,
al termine della lotta, ricevuta la benedizione, il Patriarca può finalmente riconoscere
l’altro, il Dio della benedizione: “davvero - disse – ho visto Dio faccia afaccia, eppure
la mia vita è rimasta salva” (v.31) e può ora attraversare il guado, portatore di un
nome nuovo ma “vinto” da Dio e segnato per sempre, zoppicante per la ferita ricevuta.
Quindi Giacobbe ha vinto perché Dio lo ha spogliato della sua struttura psicologica
di “ingannatore” e lo ha liberato della sua “menzogna” esistenziale; quindi Giacobbe, ha
“perso” per essere libero, per ritrovare se stesso.
Dio ha vinto perché il colpo inflitto a Giacobbe, rende questi privo della sua forza
naturale, incapace ormai di lottare con il fratello. La sua forza sarà ormai fondata sulla
sua debolezza e sulla “Benedizione di Dio”.
9
Giacobbe: la vicenda personale di ciascuno.
Giacobbe, e il suo nome lo dice, era ingannato della dipendenza eccessiva dalla
madre, e perciò la sua struttura antropologica era di ingannatore, sempre cioè alla
ricerca del piacere e approvazione a scapito degli altri, cioè del potere. Il suo
comportamento nella vita concreta era fatta di sotterfugi e in inganni. La dipendenza
psicologica dalla madre aveva creato in lui una eccessiva autostima ai danni di altri: i
malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati
nello stesso tempo, 2 Tim 3,13.
Per quanto riguarda noi, istruiti dalla vicenda del Patriarca, non dobbiamo dare per
scontato che perché uno è battezzato e chiamato ad uno stato particolare sia differente
dagli altri nella sua struttura di fondo.
In ogni uomo agisce il triplice lievito del piacere, dell’apparire e del potere:
Allora egli li ammoniva dicendo: Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e
dal lievito di Erode! Mc 8,15. Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. Lc
12,1: Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!, Mc 8,15.
Il lievito è una realtà che agisce e non si vede; struttura un modo di “sentire” la vita
che è a noi connaturale, istintivo, profondo ed è l’unico criterio di valutazione che
possediamo.
L’origine di tutto questo auto inganno, sappiamo bene, o almeno dovremmo saperlo,
a livello teologico, è quella “insita vi”, la concupiscenza, che deriva dal peccato
originale:
Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e
desiderabile per acquistare saggezza, Gn 3,6.
La dottrina cattolica afferma che con il battesimo viene radicalmente cancellato il
peccato ma è lasciata la concupiscenza: “ad Agonem”, cioè perché la persona abbia la
possibilità di aderire, con la sua scelta personale, al dono di Dio di cui il battesimo l’ha
arricchita.8
Una precisazione preliminare per non cadere nel pessimismo, o all’opposto, in un
“buonismo” del “tutto è buono”, è che il triplice lievito sono gli istinti dell’uomo
8
S. AGOSTINO, La Trinità, l. XIV. 17. 23. Certo, il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie
istantaneamente con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si compie
istantaneamente con la remissione di tutti i peccati , senza che rimanga da rimettere la più piccola colpa.
Ma come una cosa è non avere più la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza causata dalla febbre;
ancora, come una cosa è estrarre il dardo conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un’altra cura la
ferita procurata dal dardo; così la prima cura consiste nel rimuovere la causa della malattia, ciò che
avviene con il perdono di tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che avviene a poco a
poco progredendo nel rinnovamento di questa immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in
cui si legge: Egli perdona tutte le tue iniquità, ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: Egli
guarisce tutte le tue malattie , ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova questa
immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente l’Apostolo quando dice: Quantunque il nostro
uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno . Ora si rinnova
nella conoscenza di Dio , cioè nella vera giustizia e santità , secondo i termini usati dall’Apostolo nelle
testimonianze che ho riportato un po’ più sopra. Dunque colui che di giorno in giorno si rinnova
progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia e santità trasporta il suo amore dalle cose
temporali alle cose eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle spirituali; e si dedica con
cura a separarsi dalle cose temporali, frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a
quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in cui riceve l’aiuto di Dio.
10
fondamentali e quindi, di per sé necessari e validi. Ciò che conduce a deviazione
negative è l’orientazione che hanno preso tali istinti, ovvero l’oggetto verso il quale
sono indirizzati.9
Del resto il Signore è chiaro: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi
perderà la propria vita per me, la salverà, Lc 9,24.
Qui il Signore usa il termine “psuch”, l’esperienza istintiva della vita che si deve
perdere per trovare la vera vita che Lui dona. Vi è una distinzione tra la nostra primitiva,
innata esperienza della vita e l’esperienza donata dal Signore.
S. Paolo usa un altro schema: le opere della carne che sono prodotte “naturalmente”
in noi e i frutti dello Spirito che sono donati dal Santo Spirito e quindi esigono una
scelta personale per essere accolti:
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i
desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha
desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate
quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge.
Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio,
idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie,
ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto,
che chi le compie non erediterà il regno di Dio.
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà,
fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è legge.
Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni
e i suoi desideri. Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo
Spirito, Gal 5,16-25.
Non è un dualismo nella persona, è una diversa orientazione che la persona può dare
alla sua crescita e suppone l’adesione voluta e la scelta di essa.10
9
S. AGOSTINO, Lo Spirito e la lettera, 27. 47. Né t'impressioni il modo di dire dell'Apostolo: Per natura
agiscono secondo la legge, non per lo Spirito di Dio, non per la fede, non per la grazia. Questa è infatti
l'opera dello Spirito di grazia: restaurare in noi l'immagine di Dio nella quale fummo fatti per natura. Il
vizio è contro la natura e da esso ci guarisce appunto la grazia, per la quale si dice a Dio: Pietà di me,
risanami, contro di te ho peccato . Per questo è vero che gli uomini agiscono per natura secondo la legge:
coloro infatti che non agiscono così è per loro vizio che non agiscono così. E tale vizio ha cancellato la
legge di Dio dai cuori, e conseguentemente quando essa, sanato il vizio, si scrive nei cuori, gli uomini
agiscono per natura secondo la legge: non che per la natura sia stata negata la grazia, ma al contrario per
la grazia è stata riparata la natura. Ecco: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il
peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui , e quindi, perché non
c'è distinzione, tutti sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia.
Nell'intimo dell'uomo rinnovato dalla grazia si scrive la giustizia che la colpa aveva cancellata, e questa
misericordia scende sul genere umano per il Cristo Gesù nostro Signore. Uno solo infatti è Dio e uno solo
il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù .
10
S. AGOSTINO, sul Salmo 63, 9. Non v'è dubbio, fratelli, è sicuro: o tu uccidi l'iniquità o sei ucciso da
essa. Guardati però dall'uccidere l'iniquità come se fosse un qualcosa al di fuori di te. Guarda in te stesso
e vedi che cosa nel tuo intimo combatta contro di te. Sta' poi attento che non ti vinca la tua iniquità. Essa è
la tua nemica e, se tu non la ucciderai, [ti ucciderà]. È roba tua, è la tua stessa anima che si ribella contro
di te; non è qualcosa di esteriore. Per una parte tu sei unito con Dio; per un'altra parte trovi piacere nel
mondo: ciò che ti spinge a godere del mondo è in lotta contro lo spirito che è unito a Dio. Stia unito a
Dio! Oh, sì, gli stia unito! Non venga meno, non si lasci andare: dispone di un grande aiuto. Se persevera
nel combattimento, vincerà i moti ribelli dell'anima. C'è il peccato nel tuo corpo, ma non vi regni. Dice
l'Apostolo: Non regni il peccato nel vostro corpo mortale, sì che voi obbediate ai suoi desideri . Se non
gli obbedisci, per quanto ti persuada, per quanto ti attiri al male, col tuo rifiuto ad obbedirgli, già ottieni
11
Come nasce e si sviluppa il nostro “Giacobbe”: il nostro auto inganno.
L’individuo che percorre la sua esistenza necessita di una destinazione precisa: è
l’ideale che riveste questa funzione, indicando costantemente la direzione del viaggio e
dandogli un significato. Esso rappresenta l’orizzonte verso cui tendere e infonde il
coraggio di proseguire senza lasciarsi invadere dallo sconforto.
Anche il legame che intercorre con l’ideale, anche il più nobile, può risultare
compromesso, in modo più o meno sottile, e spingere il viandante fuori della giusta via,
in strade senza uscite alle quali accenneremo in seguito. Il sacerdote intraprende
un’esistenza ben specificata per la quale è stato scelto. Preciseremo in seguito quale sia
la sua esistenza per la quale è stato scelto.
Per comprendere queste deviazioni è utile e necessario ora spendere qualche parola
in più per cercare di chiarire qualche idea sul nostro “Giacobbe” ed in termini più o
meno a noi familiari, sul nostro “io”.
Si sente tanto parlare dell’io, cosa contenga è difficile intendersi; proviamo, ad
abbordarlo nella speranza di vedere, sia pure in modo confuso, almeno qualche sua
sfaccettatura. Quindi, prima di accostarci al nostro personaggio – il nostro “Giacobbe”
dobbiamo chiarire il termine: inconscio.
Siamo talmente abituati a sentire questo vocabolo in senso peggiorativo che subito
tale pronome personale suscita una reazione negativa (come forse provate voi in questo
momento).
L’inconscio psicologico non è necessariamente sempre e del tutto negativo. La sua
prerogativa è quella di essere atemporale e, se non infinito, certamente indefinito.
Per non dare adito a incomprensioni di tipo psicologico userò la parola “memoria”
per capire cosa contenga l’inconscio usando la spiegazione che fa S. Agostino della
memoria. 11
che ciò che è in te non regni in te; e in tal modo conseguirai d'essere un giorno liberato da ciò che ora hai
da tollerare. Quando? Quando la morte sarà assorbita nella vittoria, quando questo essere corruttibile si
rivestirà di incorruttibilità . Allora non vi sarà più niente che combatta contro di te, e tu non avrai altro
piacere se non in Dio.
11
S. AGOSTINO, Le Confessioni, libro X. 17. 26. La facoltà della memoria è grandiosa. Ispira quasi un
senso di terrore, Dio mio, la sua infinita e profonda complessità. E ciò è lo spirito, e ciò sono io stesso.
Cosa sono dunque, Dio mio? Qual è la mia natura? Una vita varia, multiforme, di un'immensità poderosa.
Ecco, nei campi e negli antri, nelle caverne incalcolabili della memoria, incalcolabilmente popolate da
specie incalcolabili di cose, talune presenti per immagini, come è il caso di tutti i corpi, talune proprio in
sé, come è il caso delle scienze, talune attraverso indefinibili nozioni e notazioni, come è il caso dei
sentimenti spirituali, che la memoria conserva anche quando lo spirito più non li prova, sebbene essere
nella memoria sia essere nello spirito; per tutti questi luoghi io trascorro, ora a volo qua e là, ora
penetrandovi anche quanto più posso, senza trovare limiti da nessuna parte, tanto grande è la facoltà della
memoria, e tanto grande la facoltà di vivere in un uomo, che pure vive per morire. Che devo fare dunque,
o tu, vera vita mia, Dio mio? Supererò anche questa mia facoltà, cui si dà il nome di memoria, la
supererò, per protendermi verso di te, dolce lume . Che mi dici? Ecco, io, elevandomi per mezzo del mio
spirito sino a te fisso sopra di me, supererò anche questa mia facoltà, cui si dà il nome di memoria,
nell'anelito di coglierti da dove si può coglierti, e di aderire a te da dove si può aderire a te. Hanno infatti
la memoria anche le bestie e gli uccelli, altrimenti non ritroverebbero i loro covi e i loro nidi e le molte
altre cose ad essi abituali, poiché senza memoria non potrebbero neppure acquistare un'abitudine.
Supererò, dunque, anche la memoria per cogliere Colui, che mi distinse dai quadrupedi e mi fece più
sapiente dei volatili del cielo. Supererò anche la memoria, ma per trovarti dove, o vero bene, o sicura
12
Antecedente all’inconscio psicologico, come siamo abituati a considerarlo
solitamente, vi è la radice della conoscenza, la quale va intesa come l’Eikona di Dio.
Eikona di Dio che prima di tutto è l’esistenza, il mio essere, perché Dio E’! L’uomo è
modellato su questa Eikona che è Cristo Gesù.
Esistenza che è comunicazione della vita e la vita è luce: in Lui era la vita e la vita a
noi comunicata è luce. Luce che usufruiamo ma non sappiamo cosa sia. La luce ci
inabita, ma ne percepiamo solo nei sui effetti che difficilmente ci conducono alla loro
fonte.
Noi viviamo prevalentemente sull’agire, cioè sull’esperienza del nostro “io” e mai, o
raramente, attingiamo il nostro essere, mediante l’agire.12
La vita umana è per sua natura desiderio perché in crescita. Quando decresce, perché
l’io non trova il suo alimento che lo nutre secondo i suoi desideri, è paura se non
angoscia, perché vengono meno le cose desiderate e possedute, come esse fossero la
vera vita, la vita stessa.
Il desiderio per sua natura è mancanza, assenza. L’assenza, spinge alla ricerca, per il
possesso. Tale desiderio che vuole colmare l’assenza si chiama concupiscenza. La
concupiscenza è “aggressione” - ad-gredere - andare verso l’oggetto desiderato.
Il lattante quando sente lo stimolo della fame e del piacere che suscita il desiderio di
nutrirsi, desidera mangiare, allora “aggredisce”, vuole impossessarsi delle poppe della
mamma. L’aggressione, se non ottiene l’oggetto desiderato al quale tende, diviene
violenza, perché cerca di escludere l’ostacolo del desiderio; nel caso del bambino, se
non vi riesce, piange. Il pianto è rabbia e depressione.
Il desiderio, raggiunto l’oggetto, che è sempre finito e momentaneo, genera un io
ideale, una strutturazione psichica: la ricerca del piacere, che inizialmente è l’io stesso,
si vive come ideale fine a se stesso.
Il bambino, che rimane sempre in noi e interagisce nell’adulto, si percepisce come
assoluto, il centro del mondo. I suoi bisogni sono come ordini impartiti alle persone che
gli stanno attorno.
Fin qui può sembrare normale e naturale. Il guaio è che il “reuccio di mamma” come Giacobbe - va sempre in cerca di sotterfugi per soddisfare il suo “potere” con
dolcezza, per trovarti dove? Trovarti fuori della mia memoria, significa averti scordato. Ma neppure
potrei trovarti, se non avessi ricordo di te.
12
S. AGOSTINO, La vera religione, 39. 72, C'è dunque ancora qualcosa che non possa ricordare
all'anima la primitiva bellezza che ha perduto, dal momento che lo possono fare i suoi stessi vizi? La
sapienza divina pervade il creato da un confine all'altro ; quindi, per tramite suo, il sommo Artefice ha
disposto tutte le sue opere in modo ordinato, verso l'unico fine della bellezza. Nella sua bontà pertanto a
nessuna creatura, dalla più alta alla più bassa, ha negato la bellezza che da Lui soltanto può venire, così
che nessuno può allontanarsi dalla verità senza portarne con sé una qualche immagine. Chiediti che cosa
ti attrae nel piacere fisico e troverai che non è niente altro che l'armonia; infatti, mentre ciò che è in
contrasto produce dolore, ciò che è in armonia produce piacere. Riconosci quindi in cosa consista la
suprema armonia: non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: In te ipsum rede: la verità abita nell'uomo
interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso: te ipsum trascende. Ma
ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l'anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il
lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non
è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione.
Vedi in ciò un'armonia insuperabile e fa' in modo di essere in accordo con essa. Confessa di non essere tu
ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un
luogo all'altro, ma cercandola con la disposizione della mente, in modo che l'uomo interiore potesse
congiungersi con ciò che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo dello spirito.
13
piccole bugie, più o meno in modo cosciente, e pseudo amicizie che lo gratifichino, con
“oggetti” o persone che alimentano la sua sensazione di possesso.
Le manifestazioni sono innumeri perché il desiderio è indefinito, se non infinito, e
non è mai sazio divenendo così una struttura caratteriale che a un certo punto della sua
crescita l’individuo non è più cosciente nel distinguere il suo essere dal suo agire.
Ora è a questo io ideale che si rivolge l’amore di sé di cui beneficiava durante
l’infanzia ed è il narcisismo, cioè il soggetto con i suoi desideri infantili, è lui stesso il
proprio ideale.
Quante volte nelle nostre azioni, anche virtuose, cerchiamo solo noi stessi. Quanto
volontariato si fa col desiderio vero di aiutare i bisognosi solo per gratificare il nostro io
infantile!
Non è raro trovare nel Vangelo avvertimenti del genere: Quando pregate, non siate
simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle
piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro
ricompensa, Mt 6,5.
Quale e quanto spazio, anche nella preghiera, mettiamo noi stessi al centro delle
nostre azioni e nelle nostre richieste e quanto poco spazio alla carità dello Spirito Santo,
che ci espropria, per farci conoscere il Padre.13
L’io ideale e l’ideale dell’io.
Questi due “ideali” dell’io e l’ideale dell’io, non sono una sostituzione lessicale del
posto che tiene l’io; hanno una ben diversa connotazione. L’io ideale, come si è
accennato sopra, è quanto viviamo nell’infanzia.
L’ideale dell’io è quanto costruiamo nella vita, sotto la spinta, più o meno conscia
dell’io ideale, (e qui si dovrebbe inserire un lungo discorso al quale dobbiamo
rimandare a più tardi: dell’importanza della formazione ricevuta nel seminario).
L’ideale dell’io, quindi, è quanto costruiamo sull’io ideale, assumendo dei valori e
relazioni più allargate, modificate, adattate alle esigenze di relazioni, anche religiose. Le
quali non permettono alla persona di emergere per divenire libera per essere
“posseduta” dal suo Signore.
13
S. AGOSTINO, sul Salmo 144,22: Molti infatti non lo invocano nella verità. Ricorrono a lui, ma
cercano altro, non lui. Perché ami Dio? Perché mi ha dato la salute. È ovvio, te l'ha data lui: da nessun
altro infatti ci viene la salute, se non da lui. … continua a picchiare alla porta del padrone di casa. Ha
ancora dell'altro da darti. Pur possedendo tutte le cose che dici d'aver ricevuto, sei ancora un mendico,
anche se non te ne accorgi. Porti ancora con te quel cencio del tuo corpo mortale né hai ricevuto la stola
della gloriosa immortalità; e, ritenendoti quasi sazio, non continui a chiedere? Beati coloro che hanno
fame e sete della giustizia perché essi saranno saziati. Se pertanto Dio è buono perché ti ha dato gli altri
beni, quanto non sarai più beato quando ti avrà dato se stesso? Lo hai importunato desiderando da lui
tante cose; per favore, desidera anche lui. E non ti credere che le cose richieste siano più dolci di lui o
che, anche da lontano, possano essere paragonate a lui. Nella verità invoca dunque Dio colui che a tutte le
cose ricevute [da Dio] preferisce Dio stesso, da cui ha ricevuto quel che lo fa godere. In effetti, come
sapete, se a gente di tal sorta si propone l'ipotesi: E se Dio volesse toglierti tutte queste cose che formano
la tua felicità, cosa faresti? Non lo si amerebbe più; non ci sarebbe alcuno disposto a dire: Il Signore ha
dato; il Signore ha tolto; come al Signore è piaciuto così è accaduto. Sia benedetto il nome del Signore .
Ma, probabilmente, cosa direbbe colui che Dio volesse privare [di quanto a lui donato]? O Dio, ma cosa
t'ho fatto? perché tante cose hai tolte a me e le hai concesse a quegli altri? Le dai agli iniqui e le togli ai
tuoi. Accusi Dio d'ingiustizia e lodi te stesso considerandoti giusto. Cambia registro! accusa te stesso e
loda Dio! Sarai nel giusto quando, in mezzo ai beni che [Dio] ti procura, chi ti colma di piacere è lui, e in
mezzo ai mali che subisci, Dio non ti è gravoso. Questo è invocare Dio nella verità.
14
L’ideale dell’io
Si può facilmente vivere per noi stessi e non per il Signore Gesù e la sua vita in noi, a
parole e anche con certe pratiche religiose, per gratificare l’io ideale mascherato
dall’ideale dell’io religioso. Per quanto riguarda noi, anche nell’esercizio del ministero
sacerdotale.
Il bambino nella crescita, scopre altre persone. Non è più lui il soggetto esclusivo a
costituire il suo ideale, non gli basta più. Scopre modelli esterni con i quali completare il
suo io ideale. Scopre la vocazione sacerdotale, il seminario.
La formazione seminaristica è presentata come necessaria e quindi implicitamente
sufficiente per conformarci all’ideale del ministero presbiterale. La comprensione delle
“piccole mancanze” dovute alla debolezza umana, si dice, vengono valutate sempre in
ambito morale e nell’ambito delle scelte coscienti.
Può capitare che durante il percorso formativo, anche con il padre spirituale, ci sia
sincerità e buona volontà, senza considerare e comprendere i compromessi inconsci che
ostacolano l’evoluzione come persona umana e la sua adesione profonda al Signore.
Il concetto di moralità e di conformazione all’ideale del ministero sacerdotale
centrato e valutato sulla conformità della richiesta alle esigenze del ministero può
prendere il soppravvento e portare a un comportamento standard piuttosto che stimolare
allo sviluppo della persona richiesto dalla conformazione al Signore Gesù.
Gesù non si è mai imposto come modello, bensì come Via Gv 14,6 in relazione al
Padre. E’ in questa prospettiva, l’unica volta nel Vangelo, è necessario leggere l’invito
di Gesù: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete
il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete
ristoro per le vostre anime, Mt 11,28-29.
L’ideale dell’io può portare ad assumere anche l’ideale sacerdotale, la spiritualità e
farne uno scopo di vita e non un mezzo di crescita della persona verso la sua identità e
libertà. Darsi agli altri per la paura di abbandonarsi al Padre.
“Sinceramente” convinto di donarsi per gli altri, per la comunità, mentre nel
profondo è un essere mosso dalla paura di non essere “onnipotente”, di non essere
“ammirato” dagli altri, di non riuscire ad affermarsi in ogni cosa che intraprende.
E’ lo zelo dei farisei, la fuga da se stesso: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che
percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio
della Geenna il doppio di voi, Mt 23,15.
Invece di approfondire la sua umanità, cioè la conoscenza di sé ed eliminare ciò che
lo tiene lontano dalla sua identità di essere uno con Cristo Gesù, cioè quanto ostacola la
docilità al Santo Spirito, si rinchiude nell’illusione di dover darsi per salvare gli altri,
l’universo intero!
Si diviene “sacerdoti zelanti”, in apparenza, ma adoratori dell’ideale dell’io fino
all’esaurimento e alla depressione: Gli risposero: Il nostro padre è Abramo. Rispose
Gesù: Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere
me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto, 8,39-40 e
impediscono al Santo Spirito di relazionarsi al Padre, Rm 8,16.
Qualcuno ha affermato che il martirio moderno del prete è l’esaurimento e ‘infarto,14
14
G. BIFFI, Il quinto vangelo, Piemme, 1994.
15
L’ideale dell’io collettivo.
La buona intenzione può creare e costituire un ideale dell’io collettivo, comunitario,
il presbiterio, le cosiddette unità pastorali!
Allora la persona non è più costretta a fare valutazioni su se stessa. Tutto è già
valutato e giudicato in base alla conformità o meno a ciò che proviene dall’ideale
collettivo.
Quando l’istanza dell’ideale dell’io, simile a una bussola interna, viene
completamente sostituita dall’ideale collettivo, tutte le direttive e lettere pastorali, ecc.
la coscienza non è più costretta a fare valutazioni: tutte le azioni, infatti, sono già state
giudicate e programmate in base alle “direttive pastorali”.
In simile contesto e con tale atteggiamento, la persona si sclerotizza, è “messa in
cassa integrazione”. In questo caso, l’obbedienza non è più un cammino di
“espropriazione” del copione, dell’ideale dell’io e l’io ideale rimane tranquillo perché si
serve della apparente sottomissione per la ricerca immaginaria della sua onnipotenza
tanto amata.
E’ il caso ben descritto da Freud e che ha un grande riscontro nella società con i
partiti, con i gruppi anarchici, nella Chiesa con i movimenti.15
Si obbedisce per non essere disturbati e per non dover affrontare il doloroso
cammino di maturazione della persona e della trasformazione del copione personale per
aderire al copione di Dio: Proprio per questo (Cristo) nei giorni della sua vita terrena
egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da
morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza
dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che
gli obbediscono,Ebr 5,7-9.16
E’ l’io narcisista! Ammirevole davanti agli uomini, abominevole agli occhi di Dio! 17
S. FREUD, Psicologia delle masse e analisi dell’io, Boringhieri, Torino, Le masse non hanno mai
conosciuto la sete della verità… Hanno bisogno di illusioni e a queste non possono rinunciare…La massa
è un gregge docile che non può vivere senza un pastore. E’ talmente assetata di obbedienza (appartenenza
al gruppo) da sottomettersi istintivamente a chiunque se ne proclami il padrone, pag. 22-23.
15
16
S. AGOSTINO, Lettera 118,3,22. La prima via è l'umiltà, la seconda è l'umiltà e la terza è ancora
l'umiltà: e ogni qualvolta tornassi a interrogarmi, ti risponderei sempre così. Non perché non ci siano altri
precetti degni d'essere menzionati, ma perché la superbia ci strapperà senz'altro di mano tutto il merito del
bene di cui ci rallegriamo, se l'umiltà non precede, accompagna e segue tutte le nostre buone azioni in
modo che l'anteponiamo per averla di mira, la poniamo accanto per appoggiarci ad essa, ci sottoponiamo
ad essa perché reprima il nostro orgoglio. Poiché tutti gli altri vizi sono da temersi nelle azioni colpevoli;
la superbia (il nostro io) invece deve temersi anche nelle azioni buone, poiché le azioni per sé degne di
lode vanno perdute se ispirate dall'amore della stessa lode.
17
S. AGOSTINO, Commento alla prima lettera di Giovani, 8,9: La divina Scrittura, dunque, da questa
ostentazione esteriore c'invita a tornare in noi stessi; a tornare nel nostro intimo da questa superficialità
che fa sfoggio di sé innanzi agli uomini. Torna all'intimo della tua coscienza, interrogala. Non guardare
ciò che fiorisce di fuori, ma quale sia la radice che sta nascosta in terra… Ritornate in voi stessi, o fratelli.
In tutte le cose che voi fate, guardate a Dio come vostro testimone. Vedete con quale animo agite, dal
momento che egli vi vede. Se il vostro cuore non vi accusa che agite a motivo di superbia, orbene, state
sicuri. Non temete, quando agite bene, che altri vi vedano. Temi invece di agire allo scopo di essere
lodato.
16
Quindi, parafrasando S. Agostino: Sia pertanto la vostra vecchiaia una vecchiaia
infantile, e la vostra fanciullezza una fanciullezza adulta. Cioè la vostra sapienza non sia
mescolata a superbia, (l’ideale dell’io) né la vostra umiltà sia priva di saggezza, (cioè
ancora legata all’io ideale).18
La tradizione viva della Chiesa va in tutt’altro senso. Prendo ad esempio S.
Benedetto il quale mette al singolare, cioè interpella la persona che vive sotto una
Regola e un Abate. I capitoli fondamentali di detta regola, sono tutti al singolare, anche
se secondo l’espressione dello stesso S. Benedetto, la Regola è scritta per i cenobiti,
coloro che vivono in comunità, per indicare che non ci si può nascondere dietro il
paravento della comunità se la persona non assume, in modo personale e responsabile, i
dettami dei precetti.
Se l’ideale del sacerdote viene ideologizzato, ci sono molte possibilità che induca
alla sottomissione e alla ricerca dell’onnipotenza immaginaria.
Questi due aspetti non sono però intrinseci alle istituzioni della Chiesa. Meno il
sacerdote si impegna nel processo di trasformazione e conformazione a Cristo, meno le
istituzioni della Chiesa sono in grado di aiutarlo a progredire e crescere in questa via.
Al contrario, più il sacerdote intraprende questo cammino, più le direttive pastorali
sono pronte a sostenerlo.
Le direttive pastorali aiutano il sacerdote a trasformarsi nella misura in cui queste lo
aiutano a crescere, come persona, e non come funzionario di una istituzione, nella
conformazione al Signore Gesù. Tutto ciò crea un cerchio che può essere dinamico
oppure vizioso.
18
S. AGOSTINO, sul Salmo 112,2.
17
La formazione: “Giacobbe”: l’auto inganno matura.
L’individuo che “decide o è spinto” a entrare in seminario, in un primo tempo, trova
l’ammirazione di molti.
Il Vescovo prima ne è, se non ammirato, certamente contento (coi tempi che
corrono). Nel seminario è benevolmente accolto. Gli studi procedono, se non
ottimamente, almeno soddisfacenti. Gli esami pure. Ora, che dopo il Concilio è imposta,
nello weekend, un “assaggio” di esperienza pastorale nella parrocchia, riesce
discretamente bene e trova sufficienti gratificazioni e altrettante approvazioni.
Arriva il momento dell’ordinazione. E’ una festa per tutta la parrocchia. Forse va a
finire anche sui giornali, certamente sul giornale diocesano oltre che quello
parrocchiale.
La prima Messa. La parrocchiale gremita. La festa ben organizzata.
Quale nutrimento più fastoso e “succoso” per “il reuccio di mamma”?
E poi? Le prime apparizioni in pubblico. Che bel “Curatino”, come è giovane. Come
si presenta affabile con la gente. Come predica bene!
Non tardano a comparire le prime difficoltà unite alla stima accumulata e iniziano i
primi conflitti interiori.
Di conseguenza, la ricerca di compensazioni affettive è spontanea e camuffata da
“dedizione” agli altri.
In realtà tale “dedizione” è una necessità, più o meno inconscia di colmare la
“mancanza” e alimentare la sua “onnipotenza originaria”.
L’attività “pastorale”, derivata da una intenzione giusta e portata avanti secondo le
direttive del Vescovo e approvate dalle esigenze della parrocchia, può allo stesso tempo
favorire nel soggetto, in maniera inconscia, il sentimento di onnipotenza o di
sottomissione.
Il Vangelo ci pone di fronte ad un’impresa più complicata e delicata se si vuole
evitare di cadere nella trappola di fuggire sempre da se stessi e cioè evitare ad ogni
costo la mancanza.19: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa
contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo. Mc 7,15.
E’ più facile accontentarsi di una discreta pastorale poiché il Vangelo pone in
questione le nostre azioni puntando sulla prospettiva del profondo del cuore. Non
19
S. AGOSTINO, sul Salmo 57,1: Ma, affinché gli uomini non si lamentassero che mancava loro
qualcosa, fu scritto sulle tavole ciò che essi non riuscivano a leggere nel proprio cuore. Non è vero,
infatti, che essi non avessero in cuore alcuna legge scritta; solo che si rifiutavano di leggerla. Fu allora
posto dinanzi ai loro occhi ciò che avrebbero dovuto vedere nella coscienza; e l'uomo fu spinto a guardare
nel suo intimo dalla voce di Dio, proveniente, per così dire, dal di fuori. Come dice la Scrittura: Sui
pensieri degli empi sarà fatto un interrogatorio . E dove c'è interrogatorio ci deve essere anche la legge.
Ma, poiché gli uomini, anelanti alle cose esteriori, erano divenuti degli estranei anche a se stessi, fu data
loro per giunta una legge scritta. Non perché non fosse già scritta nei loro cuori, ma perché tu eri fuggito
dal tuo cuore, e colui che è ovunque voleva recuperarti e costringerti a ritornare in te stesso. E cosa grida,
la legge scritta, a quanti si sono distaccati dalla legge impressa nei loro cuori ? Tornate, prevaricatori, al
cuore
18
dobbiamo dare per scontato che il nostro cuore sia sempre e profondamente retto: Più
fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere? Ger
17,9.
E quante volte abbiamo letto il salmo 50: Ma tu vuoi la sincerità del cuore e
nell'intimo m'insegni la sapienza. Purificami con issopo e sarò mondo; lavami e sarò
più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai
spezzato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o
Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo, Salmo 50, 8-12.
Vi è quindi, una dimensione più profonda della nostra attività concreta alla quale
dobbiamo accennare.
L’essere umano è profondamente segnato dalla mancanza, che emerge potentemente
quando non son soddisfatti i bisogni fisici, psichici e affettivi e che viene messa in luce
da fallimenti, malattia e solitudine. Rappresentano l’aspetto più evidente di una carenza
profonda, esistenziale, illimitata e propria della natura umana.
La mancanza non si riferisce a un oggetto concreto. Si potrebbe richiamare S.
Agostino: ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. 20
Quindi, la mancanza sembra richiamare l’infinito e può essere vista come la sorgente
del desiderio, lo slancio che trascina verso l’infinito.21
Le aspirazioni di infinito si oppongono ai limiti in un confitto silenzioso e terribile
che avviene dentro di noi.
L’uomo però prova la forte tentazione, inconscia, di sfuggire a quella precarietà
dolorosa, perché la mancanza è la ferita del desiderio ed è proprio l’essere umano a
colpire il desiderio cercando in tutti i modi di sfuggire la mancanza.
La mancanza indica al soggetto ciò che non è per farlo arrivare a ciò che deve essere.
Lo invita a porsi in uno spazio austero e sacro come un santuario, senza finte certezze,
senza facili rassicurazioni,
Giacobbe non sa con chi lotta, senza risposte immediate e senza possibilità di
possedere, ma nella disponibilità ad essere posseduto: O non sapete che il vostro corpo
è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi
stessi? 1 Cor 6,19.
20
S. AGOSTINO, Le Confessioni, libro 1,1: E l'uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si
porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti
ai superbi . Eppure l'uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi
delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te.
21
S. AGOSTINO, Discorso 34, 2. Non c'è nessuno che non ami; quel che si domanda è che cosa ami.
Non ci si esorta a non amare ma a scegliere quel che amiamo. Ma cosa potremo noi scegliere se prima
non siamo stati scelti noi stessi? In effetti, se non siamo stati prima amati, non possiamo nemmeno amare.
Ascoltate l'apostolo Giovanni. È quell'apostolo che poggiò il capo sul petto del Signore e in quel
banchetto bevve i misteri celesti. Da quanto bevve, da quella sua felice ubriachezza eruttò: In principio
era il Verbo. Umiltà sublime ed ubriachezza sobria! Orbene, quel grande eruttatore, cioè predicatore, fra
le altre cose che aveva bevute dal petto del Signore disse anche questo: Noi amiamo perché lui ci ha
amati precedentemente. Molto aveva concesso all'uomo - parlava infatti di Dio! - quando aveva detto: Noi
amiamo. Chi ama? Chi è amato? Gli uomini amano Dio, i mortali l'immortale, i peccatori il giusto, i
fragili l'immutabile, le creature l'artefice. Noi abbiamo amato. Ma chi ci ha dato questa facoltà? Poiché
egli ci ha amati antecedentemente. Cerca come possa l'uomo amare Dio: assolutamente non lo troverai se
non nel fatto che egli ci ha amati per primo. Ci ha dato se stesso come oggetto da amare, ci ha dato le
risorse per amarlo. Cosa ci abbia dato al fine di poterlo amare ascoltatelo in una maniera più esplicita
dall'apostolo Paolo, che dice: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori. Ma come? Forse per opera
nostra? No. Ma allora come? Attraverso l'azione dello Spirito Santo che ci è stato dato.
19
Solo così l’individuo può rivelarsi a se stesso, progressivamente, scoprendo di non
essere l’assoluto, imparando a conoscere le sue qualità, le sue capacità, le sue
aspirazioni, i suoi compromessi inconsci, “il suo Giacobbe” ingannato dal suo io e
perciò ingannatore di se stesso e degli altri per paura dei suoi limiti.
Può e dovrebbe, sperimentare una riconciliazione tra finito e infinito: attraverso
l’accettazione della mancanza, la finitudine diventa il ricettacolo dell’assoluto: Sono
stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita
nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso
per me. Gal 2,20.
Gli verrà rivelato che la Carità è l’unico assoluto che può essere vissuto e può
svilupparsi all’interno dei limiti di ogni essere umano. Attenzione però, non l’amore con
il quale inconsciamente cerchiamo di colmare la mancanza, ma la Carità donata e
ricevuta nella mancanza.22
Allora, la mancanza è il luogo, come la notte di Giacobbe, nella quale egli sostiene la
lotta, che permette l’esperienza della presenza di Colui che per la potenza della fede
abita nei vostri cuori: perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di
essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo abiti
per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di
comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la
profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate
ricolmi di tutta la pienezza di Dio. Ef 3,16-19.
22
S. AGOSTINO, Comm. al Vangelo di Giovanni, sermo 102, 5: E' dunque perché siamo stati amati che
noi possiamo amarlo. Amare Dio è sicuramente un dono di Dio. E' lui che amandoci quando noi non lo
amavamo, ci ha dato di amarlo. Siamo stati amati quando eravamo tutt'altro che amabili, affinché ci fosse
in noi qualcosa che potesse piacergli. E non ameremmo il Figlio se non amassimo anche il Padre. Il Padre
ci ama perché noi amiamo il Figlio; ma è dal Padre e dal Figlio che abbiamo ricevuto la capacità di amare
e il Padre e il Figlio: lo Spirito di entrambi ha riversato nei nostri cuori la carità (cf. Rm 5, 5), per cui,
mediante lo Spirito amiamo il Padre e il Figlio, e amiamo lo Spirito stesso insieme al Padre e al Figlio. E
così possiamo ben dire che questo nostro amore filiale con cui rendiamo onore a Dio, è opera di Dio, il
quale vide che era buono; e quindi egli ha amato ciò che ha fatto. Ma non avrebbe operato in noi nulla che
meritasse il suo amore, se non ci avesse amati prima di operare alcunché.
20
Il comportamento del nostro “Giacobbe”.
La paura innata della mancanza produce l’auto inganno e di conseguenza, nella vita
concreta, si diventata ingannatori.23
La paura della mancanza genera un attivismo e una “dedizione” incondizionata al
proprio ministero.24
In fondo, si utilizza il “ministero” per evitare l’incontro con se stessi nel Signore
Gesù. Nel profondo dell’immaginario, si ritiene di essere onnipotenti e riuscire sempre,
mentre coscientemente si è convinti di donarsi.
Questa situazione è illustrata dall’avvertenza del Signore: Anche la polvere della
vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate
però che il regno di Dio è vicino, Lc 10,11.
Cosa significa scuotere la povere contro di voi?
Quando la nostra attività pastorale non sembra accettata, non ne vediamo i frutti è
normale per noi lo scoraggiamento o il rifiuto di coloro che non sembrano rispondere
alla nostra sollecitudine.
La non corrispondenza è come un dono che ci viene offerto. Se siamo liberi siamo in
grado di accettarlo o no. Quando uno è arrabbiato contro di me sta offrendomi la sua
rabbia come cosa sua, come un dono. Io dovrei essere libero di accettarla o no. Se siamo
sufficientemente liberi siamo in grado di accettarla o no.
Sta a noi la scelta, ma per fare una tale scelta è necessaria una libertà e povertà
interiore, una non dipendenza dal bisogno di riempire la nostra “mancanza” con
l’approvazione e l’accettazione degli altri.
Sembra che il nostro ministero tragga la sua efficacia dal risultato che possiamo
controllare noi. Conosciamo bene il testo: quando avrete fatto tutto quello che vi è stato
ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare, Lc 17; Io ho
piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere,1 Cor 3,6.25
23
Un detto calabrese suona così: voi preti studiate sette anni per imparare ad ingannare la gente e altri
setti anni di studio per non lasciarvi ingannare dalla gente.
24
S. BERNARDO, sul Cantico sermo 49,5: La zelo, per esempio, diventa insopportabile senza la scienza.
Dove dunque c’è una forte emulazione, là è massimamente necessaria la discrezione, che è l’ordine della
carità. Lo zelo senza la scienza è sempre meno efficace e meno utile, molte volte anzi si rivela dannoso.
Più dunque è fervente lo zelo e veemente lo spirito e più profusa la carità, tanto maggiormente c’è
bisogno di una scienza vigilante che corregga lo zelo, temperi lo spirito, ordini la carità… la discrezione
infatti mette ordine in ogni virtù, l’ordine conferisce la misura e il decoro e anche la perpetuità… E’
dunque, la discrezione non tanto una virtù, quanto piuttosto una certa moderatrice e guida delle virtù,
ordinatrice degli affetti e maestra dei costumi. Togli questa e la virtù diventerà vizio, e la stessa affezione
naturale si cambierà piuttosto in perturbazione e sterminio della natura.
25
S. AGOSTINO, Comm. alla 1 Lettera di Giovanni, 3,13: C'è qui un grande mistero sul quale occorre
riflettere, o fratelli. Il suono delle nostre parole percuote le orecchie, ma il vero maestro sta dentro. Non
crediate di poter apprendere qualcosa da un uomo. Noi possiamo esortare con lo strepito della voce ma se
dentro non v'è chi insegna, inutile diviene il nostro strepito. Ne volete una prova, o miei fratelli? Ebbene,
non è forse vero che tutti avete udito questa mia predica? Quanti saranno quelli che usciranno di qui senza
21
Un altro aspetto del tentativo di riempiere la “mancanza” è ricercare l’approvazione
con il coltivare amicizia con quanti ci seguono, approvano, cooperano all’efficacia del
nostro ministero. La mancanza spinge ad appropriarci dell’affetto e dell’amicizia di tali
cooperatori.
Più sottile e più pericoloso è accettare la stima e l’ammirazione, se non di tutti, di
almeno alcuni collaboratori o collaboratrici perché tale stima e amicizia viene a
colmare, apparentemente, la mancanza. Vi ricordate la frase terribile di Gesù: Guai
quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro
padri con i falsi profeti, Lc 6,26?
Finché rimangono i benefici che ci vengono dalla nostra attività pastorale, non
troveremo mai la forza e la gioia della conversione e “parreshia” della predicazione del
Vangelo.
Fortunatamente nella nostra vita e per la nostra possibilità di conversione o
evoluzione (perché convertirsi e crescere, evolvere, volgere oltre quanto siamo, per
divenire conformi al Signore Gesù), i vantaggi sono solo surrogati e, alla fine non
soddisfano più.
In questo caso il soggetto può assumere un atteggiamento collerico o scontroso,
oppure crearsi una vita parallela di affarista, oppure di tour operetur organizzando
continui pellegrinaggi in ogni parte del mondo.26
Non è infrequente che il vuoto della mancanza si tenti di colmarlo con una “amica”,
o forse meglio, con l’abbandono del ministero, perché la Chiesa non è più una
comunità.
La Chiesa mi ha offerto un ministero, con il dovuto stipendio, trovato un’altra
occupazione, più lucrativa e più confacente alle mie aspirazioni per la realizzazione
delle mie qualità, rimetto il mio mandato alla madre Chiesa e amici come prima.
aver nulla appreso? Per quel che mi compete, io ho parlato a tutti; ma coloro dentro i quali non parla
quell'unzione, quelli che lo Spirito non istruisce internamente, se ne vanno via senza aver nulla appreso.
L'ammaestramento esterno è soltanto un ammonimento, un aiuto. Colui che ammaestra i cuori ha la sua
cattedra in cielo. Egli perciò dice nel Vangelo: Non vogliate farvi chiamare maestri sulla terra: uno solo
è il vostro maestro: Cristo (Mt 23, 8-9). Sia lui dunque a parlare dentro di voi, perché lì non può esservi
alcun maestro umano. Se qualcuno può mettersi al tuo fianco, nessuno può stare nel tuo cuore. Nessuno
dunque vi stia; Cristo invece rimanga nel tuo cuore; vi resti la sua unzione, perché il tuo cuore assetato
non rimanga solo e manchi delle sorgenti necessarie ad irrigarlo. E' dunque interiore il maestro che
veramente istruisce; è Cristo, è la sua ispirazione ad istruire. Quando non vi possiede né la sua ispirazione
né la sua unzione, le parole esterne fanno soltanto un inutile strepito. Le parole che noi facciamo
risuonare di fuori, o fratelli, sono come un agricoltore rispetto ad un albero. L'agricoltore lavora l'albero
dall'esterno: vi porta l'acqua, lo cura con attenzione; ma qualunque sia lo strumento esterno che egli usa,
potrà mai dare forma ai frutti dell'albero? E' lui che riveste i rami nudi dell'ombra delle foglie? Potrà forse
compiere qualcosa di simile nell'interno dell'albero? Chi invece agisce nell'interno? Udite l'Apostolo che
si paragona ad un giardiniere e considerate che cosa siamo, onde possiate ascoltare il maestro interiore: Io
ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio procura la crescita. Né colui che pianta né colui che irriga conta
qualcosa, ma colui che procura la crescita, Iddio (1 Cor 3, 6-7). Ecco ciò che vi diciamo: noi quando
piantiamo ed irrighiamo istruendovi con la nostra parola, non siamo niente; è Dio che procura la crescita,
è la sua unzione che di tutto vi istruisce.
Molto pertinente, anche per il sacerdote, l’avvertimento del libro del Siracide, 38,25ss: La sapienza
dello scriba si deve alle sue ore di quiete; chi ha poca attività diventerà saggio… 39,1ss, chi si applica e
medita la legge dell’Altissimo… di buon mattino rivolge il cuore al Signore, che lo ha creato, 39,5.
26
22
La slogatura del nostro “Giacobbe.”
Nel Vangelo vi è una affermazione abbastanza cruda: vi sono altri che si sono fatti
eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca. Mt 19,12.
Divenire eunuchi, o stando al nostro tema, la slogatura di Giacobbe, indica, non una
castrazione fisica - che servirebbe a nulla – ma una castrazione simbolica, la quale esige
l’abbandono del fantasma originario dell’onnipotenza e quello edipico che porta a
considerarsi indispensabile e unico per il genitore di sesso opposto. In tal caso il
ministero, la santa Chiesa.
La castrazione simbolica, oltre che essere estremamente necessaria, ci spaventa
perché rimanda alla castrazione definitiva rappresentata dalla morte. Questo parallelo è
interessante perché l’autentico valore della vita appare soltanto se consideriamo la
morte dal punto di vista della nostra onnipotenza originaria.
La paura della morte, malattia, fallimenti, vecchiaia compresa, sono la dissoluzione
della nostra onnipotenza originaria. La castrazione simbolica implica una sofferenza che
deriva dalla constatazione dell’incompletezza e della privazione uguale a quella della
morte. Allo stesso tempo è necessaria per non essere schiavi delle cose e delle
persone.27
Quante preoccupazioni inutili, quante distrazioni nella preghiera, ammesso che vi sia
ancora del tempo per la preghiera, insorgono a causa dei desideri non pertinenti al
sacerdozio o più semplicemente all’essere cristiano.28
Quanti sensi di colpa rimossi oscurano la relazione con il Signore?
27
S. AGOSTINO, sermo 165/A, 1. Il Signore, esortandoci al suo amore, cominciò col ricordare le
persone che noi giustamente amiamo: Chi amerà - dice- il padre o la madre più di me, non è degno di me
. Se dunque non è degno di Cristo chi pone il padre al di sopra di Cristo, in qual modo sarà degno di
seguire in qualche modo Cristo chi pone l'oro al di sopra di Cristo? Vi sono infatti cose che si amano male
nel mondo e rendono immondo chi le ama. L'amore illecito è un grande inquinamento dell'anima e un
peso che opprime chi desidera volare. Infatti quanto l'animo è rapito verso l'alto da un amore giusto e
santo, altrettanto è sprofondato negli abissi da un amore ingiusto e immondo. Accade a ciascuno di essere
portato là dove ha da portarlo il proprio peso, cioè il proprio amore. Poiché non è portato dove non
dev'essere portato, ma dove deve. Chi poi ama il bene sarà trasportato verso ciò che ama, e dove sarà se
non dov'è il bene ch'egli ama? Con la prospettiva di quale premio Cristo Signore ci esorta ad amarlo, se
non quello che si compia quanto chiede al Padre: Voglio che anche questi siano con me dove sono io ?
Desideri essere dov'è il Cristo? Ama Cristo e da questo peso verrai trasportato dove si trova il Cristo. Ciò
che ti trascina e ti rapisce verso l'alto non ti permette di cadere in basso. Non cercare nessun altro mezzo
per salire in alto: amando fai leva, amando sei trasportato in alto, amando ci arrivi. Ti sforzi infatti quando
lotti con l'amore immondo, vieni trascinato quando vinci, ci arrivi quando vieni coronato.
28
S. AGOSTINO, La Città di Dio, libro III,1,1: I malvagi ritengono unici mali questi che non rendono
malvagi e non si vergognano di essere malvagi fra le cose che valutano come beni proprio essi che così le
valutano. Si stizziscono di più se hanno una cattiva villa che una cattiva condotta come se stimare un bene
tutte le cose fuorché se stessi sia il più grande bene dell'uomo.
23
E’ facile credere che la trasformazione umana e spirituale avvenga per mezzo di
molte sofferenze (sforzi eroici, penitenze, ingiustizie subite, ecc.) mentre questi dolori
possono anche non avere effetti umanizzanti, ma, al contrario, favorire l’acquisizione di
vari benefici, suscitando l’ammirazione degli altri, rinforzando la sensazione di avere la
coscienza a posto o addirittura soddisfacendo il masochismo latente.
La sofferenza che aiuta davvero la trasformazione cristiana, nel Signore Gesù, è
quella che trae origine dalla rinuncia ad ogni vantaggio, certezza e dominio, quella che
deriva da un confronto coraggioso con la mancanza assoluta. Essa comporta anche una
presa di distanza dalla mancanza affettiva e trovare compensazione nel identificarsi nel
ruolo di vittima.29
Non è questa la sofferenza cristiana, ma ben altra: Chi ci separerà dunque dall'amore
di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il
pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il
giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più
che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né
vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né
profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo
Gesù, nostro Signore. Rom 8, 36-39.
E’ la carità di Cristo riversata nei nostri cuori dalla Spirito santo, la quale per
emergere necessita la sofferenza della mancanza, Rm 5,3-5.30
Una parte di noi si oppone alla castrazione e ci trascina verso ciò che risulta più
semplice e comodo. Siamo combattuti tra il desiderio di assoluto e la voglia di sfuggire
alla mancanza… cercando di colmarla: infatti io non compio il bene che voglio, ma il
male che non voglio., Rm 7,19. Non c’è nulla di più facile della confusione tra “fare il
pieno” e “vivere la pienezza”.31
29
S. AGOSTINO, sermo 142,4: Odia ciò che hai fatto tu, ama ciò che ha fatto Dio. In che consiste il tuo
se non nei peccati? E chi sei tu se non ciò che ha fatto Dio? Non fai conto di ciò che sei stato fatto, ti è
caro quello che hai fatto tu; ami fuori di te le opere tue, trascuri in te l'opera di Dio. Di conseguenza vai,
di conseguenza scivoli in basso, quindi accresci anche la distanza da te stesso; meritamente ascolti: Un
soffio che va e non ritorna . Ascolta piuttosto colui che chiama, dicendo: Convertitevi a me ed io mi
convertirò a voi. Dio infatti non va e torna; nella correzione è immanente, nella riprensione è immutabile.
E' lontano perché tu ti sei allontanato; tu sei precipitato lontano da lui, Dio non si è occultato a te. Ascolta
perciò mentre ti parla: Convertitevi a me ed io mi convertirò a voi. Che io mi converto a voi infatti non è
che questo: il convertitevi a me. Dio che insegue sta alle spalle di chi fugge, illumina il volto di chi
ritorna. Dove fugge infatti, fuggendo da Dio? Dove fuggi fuggendo da lui che non è contenuto in nessun
luogo e in nessun luogo è assente, che dà libertà al convertito, punisce chi gli è avverso? Fuggendo lo hai
quale giudice; ritornando, abbilo padre.
30
S. BERNARDO, sermone I Dedicazione, 5: Seguire il Signore senza la croce non è pensabile; ma
portare l’asprezza della croce senza l’unzione, chi lo potrebbe? E’ necessario che l’unzione della grazia
dello Spirito venga in aiuto alla nostra debolezza Rm 8,26 per addolcire la croce con l’unzione del sigillo
dello Spirito.
31
S. AGOSTINO, sermo 25,4: Cosa dire degli stessi giusti? Non vivono forse in giorni cattivi? E ciò in se
stessi, a prescindere da quel che soffrono a causa degli uomini malvagi in mezzo ai quali vivono. Sì,
anche in se stessi, dal momento che esistono. Rivolgano lo sguardo a se stessi, scendano dentro di sé, si
esaminino attentamente. Dentro di sé trovano giorni cattivi. Non vorrebbero la guerra ma la pace. Chi non
ha questo desiderio? Eppure, pur detestando tutti la guerra e volendo tutti la pace, anche colui che vive
nella giustizia, se volge a sé lo sguardo, trova in se stesso la guerra. Domandami quale guerra. Beato
l'uomo che tu, Signore, istruisci e che rendi dotto mediante la tua legge . Ecco, qualcuno mi chiede qual
guerra abbia ad esperimentare in sé il giusto. Rendilo istruito mediante la tua legge. Parli l'Apostolo! La
carne ha brame contrarie allo spirito e lo spirito brame contrarie alla carne . E dove mai butterò la
24
Il cambiamento profondo può iniziare soltanto al prezzo di una sofferenza
esistenziale: la mancanza, tale da mettere in scacco tutte le nostre strategie mentali.
La mancanza ha lo stesso contenuto dell’angoscia: L’angoscia è la possibilità della
libertà; soltanto quest’angoscia ha, mediante la fede, (fede qui, si intende la fede come
la descrive S. Paolo, quale potenza di Dio: Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel
battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che
lo ha risuscitato dai morti, Col 2,12), la capacità di formare assolutamente, in quanto
distrugge tutte le finitezze scoprendo tutte le loro illusioni… Con l’aiuto della fede
l’angoscia educa l’individuo a riposare nella Provvidenza. Lo stesso avviene nel
rapporto con la colpa…Chi nel rapporto con la colpa, viene educato dall’angoscia,
troverà. quiete soltanto nella redenzione (nel Signore Gesù). 32
Finché i benefici che ne ricava, “facendo il pieno”, cioè cercando gratificazione in
qualsiasi modo, l’individuo non può modificare la sua struttura di “giacobbatore” 33 , ma
soltanto rivedere alcuni aspetti del suo comportamento e del rapporto con gli altri, senza
intaccare il nucleo vero della sua problematica, rimando così ingannato e ingannatore.
carne, se farà udire voci di guerra, se (Dio ce ne scampi!) farà impeto a guisa di nemico? L'uomo fugge,
ma, dovunque vada, si trascina appresso la sua guerra. Né parlo del cattivo. Anche se è profondamente
buono, se vive nella giustizia, esperimenta in sé ciò di cui parla l'Apostolo: La carne ha brame contrarie
allo spirito e lo spirito brame contrarie alla carne. Infuriando questa guerra, dove trovare i giorni buoni?.
32
S. KIERKEGAARD, il Concetto di angoscia, Opere, Piemme, vol. I , pag. 473-74.
33
Espressione americana molto significativa: You got Jacobed, oppure, you have been Jacobede!
25
La lotta nella notte della mancanza.
Giacobbe è solo ed è notte; manca di ogni difesa e protezione; non può più confidare
nelle sue capacità, ha escogitato tutti gli stratagemmi per sfuggire all’ira del fratello.
Nell’incertezza di quanto accadrà al mattino dopo, quando incontrerà il fratello, è in
preda alla paura: Giacobbe si spaventò molto e si sentì angosciato, Gen 32,8, e si
rivolge a Dio: Salvami dalla mano del mio fratello Esaù, perché io paura di lui, Gen
32,12.
In questa situazione di paura e di angoscia, viene aggredito, nel buio e nella
solitudine della notte, da una “Realtà” che non vede e non conosce.
La vita umana è contrassegnata dal “buio” della mancanza nella quale non c’è nessun
appiglio di difesa.
La mancanza è generata dal desiderio. Il desiderio, appunto, è assenza. L’assenza
cerca sempre un riempimento che non riempie mai.
Una facile e tragica soluzione è il nichilismo moderno, il quale si tramuta in
“consumismo” a tutti i livelli e pretende di possedere tutte le soluzioni negando ogni
soluzione.
Paradossalmente, durante il percorso dell’esistenza, grazie all’accettazione, nella
lotta della mancanza, l’essere umano acquisisce pienezza, forza e speranza. 34
34
S. AGOSTINO, Comm. al Vangelo di Giovanni, sermo, 40, 10. Che dirò alla vostra Carità? Oh se il
nostro cuore in qualche modo sospirasse verso quella gloria ineffabile! Se sentissimo fino a gemere la
nostra condizione di pellegrini, e non amassimo il mondo; se con animo filiale non cessassimo di bussare
alla porta di colui che ci ha chiamati! Il desiderio è il recesso più intimo del cuore. Quanto più il desiderio
dilata il nostro cuore, tanto più diventeremo capaci di accogliere Dio. Ad accendere in noi il desiderio
contribuiscono la divina Scrittura, l'assemblea del popolo, la celebrazione dei misteri, il santo battesimo,
il canto delle lodi di Dio, la nostra stessa predicazione: tutto è destinato a seminare e a far germogliare
questo desiderio, ma anche a far sì che esso cresca e si dilati sempre più fino a diventar capace di
accogliere ciò che occhio non vide, né orecchio udì, né cuor d'uomo riuscì mai ad immaginare. Vogliate,
perciò, amare con me. Chi ama Dio, non ama troppo il denaro. Tenendo conto della debolezza umana,
non ho osato dire che non si deve amare per niente il denaro. Ho detto che chi ama Dio non ama troppo il
denaro, quasi si possa amare il denaro purché non si ami troppo. Oh, se davvero amassimo Dio, non
ameremmo affatto il denaro! Sarebbe per te un mezzo che ti serve nella tua peregrinazione, non un
incentivo alla tua cupidigia; un mezzo per le tue necessità e non un modo per soddisfare i tuoi piaceri.
Ama Dio, se egli ha compiuto in te qualcosa di quel che ascolti e apprezzi. Usa del mondo senza
diventarne schiavo. Ci sei venuto per compiere il tuo viaggio: ci sei entrato per uscirne, non per restarvi.
Sei un viandante, questa vita è soltanto una locanda. Serviti del denaro come il viandante si serve, alla
locanda, della tavola, del bicchiere, del piatto, del letto, con animo distaccato da tutto. Se tali sono i vostri
sentimenti, levate in alto più che potete il vostro cuore e ascoltatemi: se tali sono i vostri sentimenti,
arriverete a vedere il compimento delle promesse del Signore. Non è molto ciò che vi si chiede, poiché
grande è la mano di colui che vi ha chiamati. Egli ci ha chiamati; invochiamolo. Diciamogli: tu ci hai
chiamati, noi t'invochiamo. Abbiamo udito la tua voce che ci chiamava, ascolta la nostra voce che
t'invoca; portaci dove hai promesso, compi l'opera che hai iniziato: non abbandonare i tuoi doni, non
trascurare il tuo campo, finché i tuoi germogli saranno raccolti nel granaio. Abbondano nel mondo le
26
La Parola di Dio ci istruisce al riguardo.
Per liberare il suo popolo, Dio lo porta nel deserto. Qui, nella mancanza di tutto, il
popolo riceve un cibo misterioso: Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti
ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla
prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi
comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di
manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti
capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla
bocca del Signore, Deut 8,2-3.
Come un'aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali
e lo prese, lo sollevò sulle sue ali, Deut 32,11.
Essere nel deserto o sulle ali dell’aquila è una situazione in cui non è possibile
dominare nulla, è l’immagine della mancanza, di conseguenza, di qualsiasi
trasformazione umana poiché ci spinge oltre quanto possiamo possedere e dominare.
Questi testi biblici richiamano, oltre che la mancanza, anche la povertà.
Ovviamente, il sacerdote non emette il voto di povertà, ma deve, soprattutto lui,
vivere la virtù della povertà.
Come?
Nel suo significato più evidente, la povertà si riferisce al possesso delle cose
materiali, ma in senso più generale riguarda tutti gli “oggetti”; svolge un ruolo
particolare nel rapporto con gli oggetti della conoscenza e nella creazione del pensiero.
Gli “oggetti” del pensiero possono essere considerati dal punto di vista del
“consumo”: possiamo accumulare conoscenze come si fa con il denaro o dei
soprammobili.
Quando lo spazio mentale è occupato ci sentiamo rassicurati, ma non è raro che il
pensiero personale ne risulti soffocato.35
La povertà in rapporto con il sapere è la condizione necessaria per l’attività del
pensiero.
Non è sufficiente, anche se indispensabile, leggere le direttive pastorali dei nostri
vescovi, Papa compreso, e conoscere bene i dogmi delle fede cristiana e applicarli in
modo meccanico, ma valutare ciò che è giusto, anzi vitale:
1- per rifiutare risposte preconfezionate,
2- accettare il rischio di sbagliare,
3- ascoltare ciò che ci viene insegnato per non restare imprigionati in una colpevole
ignoranza,
4- costruirsi una coscienza, cioè assimilare con- scienza, sono quattro elementi
indispensabili per riuscire ad impegnarsi come persona, 36.
prove, ma più potente è colui che ha creato il mondo; abbondano le prove, ma non viene meno chi pone la
speranza in colui che non può venir meno.
35
S. AGOSTINO, comm. al Vangelo di Giovanni sermo 46,8: Ora, chi cerca i propri interessi e non quelli
di Gesù Cristo, per non perdere ciò che gli sta a cuore, per non perdere i vantaggi dell'amicizia degli
uomini e per non incorrere nella molestia della loro inimicizia, tace, non interviene. … La paura è la fuga
dell'anima. … I nostri sentimenti sono movimenti dell'anima. Nella letizia l'anima si dilata, nella tristezza
si contrae; il desiderio è uno slancio dell'anima, il timore una fuga. Quando sei contento, la tua anima si
dilata; quando sei angustiato si contrae; si protende in avanti quando desideri qualcosa, fugge quando hai
paura.
27
Ecco perché secondo la Chiesa la morale ha come fondamento la coscienza
personale.
Ovviamente la Chiesa si rifà al Vangelo. Gesù mette in discussione tutte le nostre
azioni e punta direttamente al cuore: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la
decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della
legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza
omettere quelle, Mt 23,23.37
La teologia va studiata bene. Va dimenticata completamente come schema mentale
rassicurante. Va poi studiata vitalmente con la preghiera.
La teologia dovrebbe condurci sulla via della santità, cioè partecipi dei misteri non
solo tramite l’intelletto, ma con tutto il nostro essere.38
La povertà è ascesi di pensiero che traccia la via senza l’aiuto di certezze.
Le verità che ci trasmette la Chiesa ci permettono una visione stabile e rassicurante
del mondo, radicandosi nella nostra affettività. Per lealtà e fedeltà alla dottrina cattolica
ma soprattutto per comodità, possiamo ripetere e restare in una conoscenza data ma non
vissuta.
Come conseguenza, la teologia dimenticata, come schema mentale, deve sparire per
lasciar emergere il desiderio. Il desiderio fa emergere la mancanza, la mancanza la
consapevolezza della nostra povertà esistenziale, la quale a sua volta dovrebbe generare
la preghiera.39
36
S. BERNARDO sul Cantico sermo 49,5: La zelo, per esempio, diventa insopportabile senza la scienza.
Dove dunque c’è una forte emulazione, là è massimamente necessaria la discrezione, che è l’ordine della
carità. Lo zelo senza la scienza è sempre meno efficace e meno utile, molte volte anzi si rivela dannoso.
Più dunque è fervente lo zelo e veemente lo spirito e più profusa la carità, tanto maggiormente c’è
bisogno di una scienza vigilante che corregga lo zelo, temperi lo spirito, ordini la carità… la discrezione
infatti mette ordine in ogni virtù, l’ordine conferisce la misura e il decoro e anche la perpetuità… E’
dunque, la discrezione non tanto una virtù, quanto piuttosto una certa moderatrice e guida delle virtù,
ordinatrice degli affetti e maestra dei costumi. Togli questa e la virtù diventerà vizio, e la stessa affezione
naturale si cambierà piuttosto in perturbazione e sterminio della natura.
37
S. AGOSTINO, comm. alla I lettera di Giovanni 8,9: Vedete le opere grandi che la superbia compie:
fate bene attenzione come esse siano tanto simili e quasi pari a quelle della carità. La carità offre cibo
all'affamato, ma lo fa anche la superbia: la carità fa questo, perché venga lodato il Signore; la superbia lo
fa per dare lode a se stessa... Tutte le opere buone che la carità vuole fare e fa, ne mette in moto,
all'opposto, altrettante la superbia e le mena attorno come suoi cavalli. Ma la carità è nel cuore e toglie il
posto alla malmossa superbia: non mal movente bensì malmossa. Guai all'uomo che tiene la superbia a
proprio auriga, perché necessariamente finirà nel precipizio. Ma come sapere se sia la superbia a muovere
le azioni buone? Chi la vede? Quale il segno di riconoscimento?... Non riusciremo a capire, se
esaminiamo le opere… La divina Scrittura, dunque, da questa ostentazione esteriore c'invita a tornare in
noi stessi; a tornare nel nostro intimo da questa superficialità che fa sfoggio di sé innanzi agli uomini.
Torna all'intimo della tua coscienza, interrogala. Non guardare ciò che fiorisce di fuori, ma quale sia la
radice che sta nascosta in terra... Ritornate in voi stessi, o fratelli. In tutte le cose che voi fate, guardate a
Dio come vostro testimone. Vedete con quale animo agite, dal momento che egli vi vede. Se il vostro
cuore non vi accusa che agite a motivo di superbia, orbene, state sicuri. Non temete, quando agite bene,
che altri vi vedano.
Dopo comunione Mercoledì fra l’ottava di pasqua: O Dio, nostro Padre, questa partecipazione al
mistero pasquale del tuo Figlio ci liberi dai fermenti dell’antico peccato e ci trasformi in nuove creature.
38
39
S. AGOSTINO, comm al Vangelo di Giovanni, sermo 102,1 L'espressione: nel mio nome, non è da
prendere secondo il suono materiale delle parole, ma nel senso vero e reale che il nome di Cristo contiene
e annuncia. Chi dunque ha di Cristo un'idea che non corrisponde alla realtà dell'unigenito Figlio di Dio,
non chiede nel nome di lui, anche se pronuncia le lettere e le sillabe che compongono il nome di Cristo,
28
E qui bisogna sapere bene cos’è la preghiera. In breve, la preghiera dovrebbe essere
non un “fare il pieno” dei miei bisogni, bensì cambiare me, con i miei schemi
“rassicuranti” che non danno mai sicurezza “vitale”.40
E’ un tasto delicato la preghiera, in quanto confondiamo la recitazione del breviario
come obbligo imposto dalla Chiesa ai suoi ministri e la celebrazione dell’Eucaristia
come servizio per il popolo.
Questi “due obblighi” sono anche e soprattutto per la persona del sacerdote oltre che
esplicitazione di un ministero.41
Un altro elemento della lotta nella notte della mancanza dovrebbe essere quello di
imparare a non colmare la mancanza servendosi degli altri, usando il pretesto
dell’amore.
La possessività è insita in ogni relazione umana perché nelle relazioni sottostà la
mancanza. L’amore umano, chiamiamolo pure la “carità apostolica”, è intrisa di
possessività.
La manifestazione più caratteristica della possessività è la gelosia: anche se talvolta
neghiamo che esista, è comunque presente nel fondo della psiche di ognuno di noi e si
manifesta o nel non essere accettati o nella esigenza di essere reputati “buoni”
sacerdoti” ed è all’opposto del precetto del Signore: Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date. Mt 10,8.42
perché quando si mette a pregare chiede nel nome di colui che ha in testa. Chi invece ha di Cristo un'idea
conforme a verità, chiede nel nome di lui, e se la sua domanda non è contraria alla sua eterna salvezza,
egli ottiene ciò che chiede.
40
S. AGOSTINO, sul Salmo 80, 2, : Dobbiamo dunque, fratelli, esortare alla preghiera tanto noi che voi.
Poiché nei molti mali di questo mondo non abbiamo altra speranza se non quella di bussare pregando,
avere fiducia e ritenere ben fisso in mente che il Padre tuo non ti concede ciò che sa non esserti utile. In
effetti tu sai che cosa desideri, ma egli solo sa che cosa ti giova.
41
S. AGOSTINO, Discorso del Signore sulla montagna, 2, 3. 14. Ma tanto se dobbiamo pregare con le
opere come con le parole, si pone ancora la domanda che bisogno si abbia della preghiera stessa se Dio
già conosce quello di cui abbiamo bisogno. La ragione è che l’applicazione stessa alla preghiera rasserena
e purifica il nostro cuore e lo rende più capace a ricevere i doni divini che ci vengono elargiti
spiritualmente. Infatti non ci esaudisce per il desiderio delle nostre preghiere, perché egli è sempre
disposto a darci la sua luce non visibile, ma intellegibile e spirituale, ma non sempre noi siamo disposti a
riceverla perché tendiamo ad altro e ci ottenebriamo nella bramosia delle cose poste nel tempo. Avviene
dunque nella preghiera il volgersi del cuore a lui che è sempre disposto a dare se noi riceviamo quel che
ha dato. E nell’atto del volgersi avviene la purificazione dell’occhio interiore, poiché si respingono i
vantaggi che si desiderano per il tempo, affinché lo sguardo d’un cuore limpido possa accogliere la
limpida luce che splende col potere divino senza tramonto e variante, e non soltanto accogliere ma
rimanere in essa non solo senza inquietudine, ma anche con l’ineffabile gioia, in cui realmente e
schiettamente si effettua la felicità.
42
S. AGOSTINO, Lettera 118, 3,22: La prima via è l'umiltà, la seconda è l'umiltà e la terza è ancora
l'umiltà: e ogni qualvolta tornassi a interrogarmi, ti risponderei sempre così. Non perché non ci siano altri
precetti degni d'essere menzionati, ma perché la superbia ci strapperà senz'altro di mano tutto il merito del
bene di cui ci rallegriamo, se l'umiltà non precede, accompagna e segue tutte le nostre buone azioni in
modo che l'anteponiamo per averla di mira, la poniamo accanto per appoggiarci ad essa, ci sottoponiamo
ad essa perché reprima il nostro orgoglio. Poiché tutti gli altri vizi sono da temersi nelle azioni colpevoli;
la superbia invece deve temersi anche nelle azioni buone, poiché le azioni per sé degne di lode vanno
perdute se ispirate dall'amore della stessa lode.
29
Veicoli di questa possessività relazionale inconscia possono essere il prestigio, la
relazione e l’aiuto di tipo psicologico e spirituale e, inconsciamente, è facile nutrirsi nel
confessionale o nelle relazioni “pastorali”.
Si può arrivare alla manipolazione mentale più o meno nascosta, che creerà una vera
dipendenza specialmente nelle persone “pie” che voglio sempre confessarsi dal “suo
confessore”.
Entrambi i protagonisti, in un primo tempo, ne ricavano vantaggi: da un lato (cioè da
parte del confessore o direttore spirituale) una manifestazione di onnipotenza, dall’altro
(da parte del “penitente”) la valorizzazione di se stessi nel sentirsi “ascoltati” e accetti.
Entrambi questi benefici, nonostante siano gradevoli, nascondono, con l’inganno, il
dolore derivato dalla mancanza.
Ognuno di noi, a livelli diversi, soffre di questa tendenza a possedere l’altro per
essere appagato da lui in modo totale e definitivo, come se fosse Dio.
Si tratta, ovviamente, di un concetto doppiamente illusorio perché se è vero che solo
il Signore ha il potere di colmare ogni nostro desiderio, anche Lui si dona nella
mancanza.
La carità di Dio riversata nei nostri cuori dal santo Spirito, Rm 5,5, prima di riempirci
ci spossessa. La fede, quale potenza di Dio, Ef 3,17, ci dovrebbe fornire la flessibilità e
la serenità necessarie per gestire la mancanza, in quanto la carità di Dio è dono gratuito
che possiamo godere ma non possedere, viene donata per renderci capaci di donarsi così
come siamo, con tutte le nostre ricchezze (che sono doni suoi), fragilità (che sono
inerenti alla nostra natura).43
43
S. AGOSTINO, comm al Vangelo di Giovanni, sermo 27,5: Forse che la vita non serve a nulla? E
perché allora siamo ciò che siamo, se non per avere la vita eterna, che tu prometti di darci mediante la tua
carne? In che senso allora la carne non giova nulla? Non giova nulla la carne nel senso in cui costoro la
intesero: essi la intesero nel senso della carne morta fatta a pezzi, come si vende al macello, non nel senso
della carne vivificata dallo Spirito. E' detto che la carne non giova nulla, come è detto che la scienza
gonfia. Dobbiamo allora odiare la scienza? Niente affatto! In che senso la scienza gonfia? Quando è sola,
senza la carità. Infatti l'Apostolo aggiunge: mentre la carità edifica (1 Cor 8, 1). Alla scienza unisci la
carità, e la scienza ti sarà utile, non da sé sola, ma a motivo della carità. Così anche in questo caso: la
carne non giova nulla, cioè la carne da sola; se però, alla carne si unisce lo spirito, allo stesso modo che
alla scienza si unisce la carità, allora gioverà moltissimo. Se, infatti, la carne non giovasse nulla, il Verbo
non si sarebbe fatto carne, per abitare fra noi. Se tanto ci ha giovato il Cristo mediante la carne, come si
può dire che la carne non giova nulla? Ma è lo Spirito che mediante la carne ha operato la nostra salvezza.
La carne fu come il vaso: considera ciò che portava, non ciò che era. Sono stati mandati gli Apostoli:
forse che la loro carne non ci ha giovato? E se ci ha giovato la carne degli Apostoli, poteva non giovarci
la carne del Signore? Come è giunto a noi il suono della loro parola, se non mediante la voce della carne?
E come ha potuto essere composta la Scrittura? Tutto ciò è opera della carne, guidata però, come suo
strumento, dallo spirito. E' lo Spirito - dunque - che vivifica, la carne non giova nulla, ma nel senso che
quelli la intesero, non nel senso in cui io do da mangiare la mia carne.
30
Il celibato: la “slogatura” del sacerdote.
La ferita di Giacobbe, la sua slogatura, è interna, non sanguina, eppure risulta
visibile, in quanto modifica l’aspetto esteriore, riflettendo così il suo cambiamento
interiore.
D’ora in poi Giacobbe sarà limitato. Non potrà più fuggire davanti ai nemici, dovrà
confrontarsi con il fratello invece di cercare di ingannare o scappare come ha sempre
fatto in passato.
La mancanza si è impressa nel suo corpo e, allo stesso tempo la libertà dal suo
inganno è entrata nella sua anima.
Questa ferita è il simbolo dell’incompiutezza dell’avere, di cui dobbiamo diventare
consapevoli per aprirci alla pienezza dell’essere. L’anca slogata di Giacobbe lascia
vuota una cavità, una mancanza che permette di ricevere la potenza dell’essere che
appartiene a qualcuno al di fuori di noi, a Dio, per riceverne la vita.
Il celibato imprime nell’uomo (e nella donna) una mancanza: Poi il Signore Dio
disse: Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». Gen
2,18. l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile v. 20.
Quindi l’uomo vive dimezzato!
Oltre alla mancanza originaria di ogni essere umano, il celibato aggiunge un’altra
mancanza. Con il celibato l’essere umano vive un'altra mancanza che non è solamente
quella della natura, ma è contro natura.
Come “riempie” il Signore questa mancanza nella persona che l’accetta?
Nel Vangelo troviamo la risposta a questa mancanza imposta dal celibato.
Nel vangelo di Marco vi l’episodio della scelta dei discepoli che ci può aiutare a
comprendere e di conseguenza, “riempire” questa mancanza “contro natura e sopra
natura”.
Mc 3,13-15:
Gesù salì sul monte. Con questo gesto fa uscire i discepoli dal loro modo di vivere,
cioè di riempire la mancanza. Erano pescatori ed è cosa ben diversa comminare in
montagna che gestire una barca sul lago di Tiberiade. Vi è un cambiamento radicale di
gestire la propria attività.
Chiamò. E’ una scelta operata da un Altro, non è un desiderio o iniziativa soggettiva,
non dipende dalla persona. Anzi sembra quasi inaspettata.
A Sé quelli che Egli volle. Tale chiamata è imprevista in quanto nessuno di loro
sapeva in anticipo di questa decisione del Signore. Tale chiamata non è quindi secondo i
31
desideri personali, bensì secondo il disegno e la volontà di un Altro, al quale essi
aderiscono.
Ed essi andarono da Lui. Non solo in senso materiale in quanto erano già con Lui,
bensì aderirono rispondendo a un progetto di un Altro.
Ne costituì dodici. I dodici non sono più delle persone singole, bensì persone unite in
una comunione di vita con Lui. Comunione non in quanto “gruppo”, bensì comunione
vitale e personale, come i tralci nella vite: Io sono la vite, voi i tralci. Gv 15,5.
Che stessero con Lui. Non solo in senso materiale e, anche qui, in senso vitale:
Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Gv
15,9.
E anche per mandarli a predicare: A voi è stato confidato il mistero del regno di
Dio, Mc 411, confidato nel senso cioè di rivelato e affidato. Ciò suppone una
conoscenza e fedele obbedienza. “L’oggetto”, il contenuto del mistero del regno è il
Signore Gesù: Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e
questi crocifisso. 1 Cor 2,2.44
Il Concilio Vaticano II ha tracciato una guida sulla natura del sacerdozio e del suo
ministero, ma sembra rimanere sul piano operativo e di partecipazione al Sacerdozio di
Cristo distinto da quello universale comunicato a tutti i fedeli, un sacerdozio
ministeriale.45
Nel dopo Concilio è nata un “ideologia ministeriale” e non un apprendimento della
teologia del presbitero.46
In conseguenza a questa “ideologia”, il presbitero è divenuto un “funzionario”
dell’istituzione “chiesa”, con il dovuto stipendio.
Il ministero è affidato per donare e non per succhiare nel tentativo di riempire la
mancanza
La “mancanza”, insita in ogni essere umano, per il presbitero, deve essere vissuta
come ricerca di Colui che mi ha “ghermito, afferrato” con la sua chiamata: E questo
perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle
Nella preghiera del rito per l’ordinazione presbiterale troviamo, ovviamente, gli stessi contenuti i
quali esplicitano in cosa consista il ministero sacerdotale, l’ultimo dei requisiti, quelli del ministero dati
dal Signore:
- Il ministero sacerdotale da te ricevuto, con il suo esempio guidi tutti a una integra condotta di vita.
- Mediante la sua predicazione, con la grazia dello Spirito Santo, fruttifichi nel cuore degli uomini.
- Sia dispensatore dei tuoi misteri: lavacro di rigenerazione, nutrire alla mensa dell’altare; riconcili i
peccatori e i malati ricevano sollievo.
- Sia unito a noi, o Signore, nell’implorare la tua misericordia per il popolo a lui affidato
Non si accenna a nessuna attività “caritativa sociale”, a programmazioni pastorali, ecc.
44
45
Concilio Vaticano II Decreto: Presbytetorim Ordinis. Cfr anche il Decreto Optatam totius sulla
formazione sacerdotale.
46
Prima del Vaticano II, in conseguenza alla Controriforma del Concilio Tridentino vi erano delle
direttive abbastanza rigide che col tempo erano divenute rassicuranti per i sacerdoti e fedeli soffocando la
responsabilità personale. Il Vaticano II ha voluto mettere l’accento sulla scelta e adesione personale alla
“legge del Vangelo”. Tolto la “rigidità” delle norme, il Concilio voleva una presa di coscienza della libera
e personale adesione a Cristo. Ne nacque un certo liberalismo teologico. Non venne incrementata la
libertà e la responsabilità della persona, bensì la superficialità di un certo naturalismo, suffragato da un
certo “personalismo psicologico” che riteneva valido tutto ciò che è creativo e spontaneo. In tal modo si
venne a negare, in pratica, sottovalutando che la natura umana è ferita, l’influsso del peccato originale
nella vita del cristiano e del sacerdote.
32
sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla
risurrezione dai morti Fil 3,10-11.
Se, S. Agostino poteva dire di ogni cristiano, siete diventati Cristo, quanto più lo si
deve dire del presbitero. Non si diceva una volta : “Sacerdos alter Christus”? 47
Quindi, il presbitero può e deve tendere a “riempire” la mancanza con la
trasformazione del suo “Giacobbe” ingannato e ingannatore, fino a poter dire
vitalmente:
Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.
Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha
dato se stesso per me. Gal 2.20.
La mancanza non è indolore, è lotta nella notte sostenuta dalla potenza di Colui che
ci ha scelti: Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che
vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Rm 8,36-37.
Giacobbe alla domanda di Colui con il quale ha lottato tutta la notte, che gli chiede
come ti chiami, rivelando il suo nome, si consegna totalmente al suo “oppositore”; così
il presbitero con il suo sì, accettando la consacrazione presbiterale, si consegna
totalmente al suo Signore.48
Non è principalmente per un ministero che deve svolgere, è un donarsi della persona
e in conseguenza da questa donazione che proviene e il senso e l’efficacia del ministero:
Non ti chiamerai più Giacobbe, ingannato e ingannatore, ma Israele, Gen 32,29.
Ancora una volta, se quanto vale per il cristiano: O non sapete che il vostro corpo è
tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi
stessi? ! 1Cor 6,19, a maggior ragione è vero per il presbitero!
47
S. AGOSTINO, comm. al Vangelo di Giovanni sermo, 21,8: Rallegriamoci, dunque, e rendiamo grazie
a Dio: non soltanto siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo stesso. Capite, fratelli? vi rendete
conto della grazia che Dio ha profuso su di noi? Stupite, gioite: siamo diventati Cristo! Se Cristo è il capo
e noi le membra, l'uomo totale è lui e noi. E' questo che dice l'Apostolo: Così non saremo più dei
bambini, sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina. Prima aveva detto: Finché perveniamo
tutti all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, a formare l'uomo maturo, al livello di
statura che attua la pienezza del Cristo (Ef 4, 14 13). Pienezza di Cristo sono dunque il capo e le
membra. Cosa vuol dire il capo e le membra? Il Cristo e la Chiesa. Arrogarci tale prerogativa sarebbe da
parte nostra folle orgoglio, se Cristo medesimo non si fosse degnato farci questa promessa tramite lo
stesso Apostolo: Voi siete il corpo di Cristo e, ciascuno per la sua parte, membra di lui (1 Cor 12, 27).
48
S. AGOSTINO, semo 34,7: Ascolta cosa ti dice la carità per bocca della Sapienza: Dammi il tuo cuore,
o figlio: Dice: Dammi. Che cosa? Il tuo cuore, o figlio. Era male quando esso era dalla parte tua, quando
era tuo. Ti lasciavi infatti attrarre da vanità e da amori lascivi e perniciosi. Toglilo da li! Dove lo
trasporterai? dove lo porrai? Dice: Dammi il tuo cuore. Appartenga a me e non perirà per te. Osserva
infatti se ha voluto lasciare in te qualche possibilità d'amare te stesso colui che ti dice: Amerai il Signore
tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua anima. Cosa resta del tuo cuore per
amare te stesso? Cosa della tua anima o della tua mente? Dice: Con tutto. Esige tutto te colui che ti ha
creato. Ma non rattristarti quasi che non ti rimanga nulla di cui godere. Si allieti Israele, non in sé, ma in
colui che l'ha creato.
33
Il “Giacobbe” degli Apostoli.
Il contenuto di questo titolo, “il Giacobbe” degli Apostoli significa che anche gli
apostoli erano ingannati e ingannatori.
Attribuire agli Apostoli l’inganno di Giacobbe sembra irriverente ma S. Paolo non è
dello stesso parere: Resti invece fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore, come
sta scritto Rm 3,4.
In ogni uomo è operante il triplice lievito del piacere accettazione e potere (Mc 8,15;
Lc 12,1), e in relazione alle cose e alle persone, tende istintivamente a riempire “la
mancanza del suo essere”.
Tale “lievito” a causa del peccato e della concupiscenza, l’essere umano è sempre
orientato all’affermazione di se stesso, tentare cioè di riempire la mancanza con le cose,
strumentalizzando le persone e rendendosi schiavo di se stesso.
Prendiamo in esame brevemente l’apostolo Pietro Mt 16,17-23.49
Pietro, alla domanda di Gesù, per rispondere a essa, ha ricevuto una rivelazione del
Padre: Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente. E Gesù autentifica tale risposta: Beato
te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il
Padre mio che sta nei cieli.
Dopo di che, Pietro è apostrofato con un altro epiteto da Gesù, non certamente molto
elogiativo:. Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: Lungi da me, satana! Tu mi sei di
scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!
Cos’é che ha modificato l’elogio di Gesù in rimprovero altrettanto severo e duro?
L’inganno che era in Pietro.50
Per gli apostoli tutti rimando all’opuscolo: La vocazione: scelta divina: risposta umana, nel quale è
spiegato un po’ più in esteso l’atteggiamento degli apostoli riguardo al loro “Giacobbe”.
49
50
S. AGOSTINO, sermo 163/B,: 5. Ascolta di nuovo l'Apostolo, ascoltalo ancora a causa dell'arroganza,
dell'orgoglio, della vanteria: Anche chi pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso.
Non si poteva dire più chiaramente: inganna se stesso. Non si deve accusare il diavolo in ogni caso; talora
infatti l'uomo stesso è diavolo nei propri confronti. Perché allora ci si deve guardare dal diavolo?
Precisamente per questo, perché non ti inganni. Non sei forse allora proprio tu il tuo diavolo quando
inganni te stesso?
34
Inganno che supponeva in Pietro una concezione sbagliata del Messia. Era Pietro che
era ingannato riguardo al Figlio del Dio vivente e di conseguenza, tenta di ingannare
anche Gesù: Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: Dio te ne
scampi, Signore; questo non ti accadrà mai.
Pietro era ingannato, nonostante la rivelazione, sul Messia dalla sua idea falsa,
umana e perciò atta a soddisfare il suo desiderio di potere, tra l’altro, promesso dallo
stesso Signore: A te darò le chiavi del regno dei cieli.
La rivelazione e la promessa erano state intese al modo umano: non pensi secondo
Dio, ma secondo gli uomini!
L’inganno di Pietro non si arresta; arriverà fino alla negazione di Colui che lo aveva
scelto: Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: Non conosco quell'uomo! Mt
26,74.
Non basta avere ricevuto la consacrazione presbiterale, opera del santo Spirito, è
necessario vivere dello Spirito e camminare secondo lo Spirito: Se pertanto viviamo
dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito, Gal 5,25.51
Camminare secondo lo Spirito significa “pensare” secondo lo Spirito: L'uomo
naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non
è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L'uomo
spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi infatti
ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il
pensiero di Cristo.1 Cor 2,14.
Pensare secondo lo Spirito implica la convinzione che Dio può agire in qualsiasi
circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti, perché abbiamo questo tesoro in
vasi di creta 2, Cor 4,7.
Questa certezza è quello che si chiama “senso del mistero”. E’ sapere con certezza
che chi si offre a Dio, “perdendo il suo Giacobbe”, il modo umano di pensare e valutare
la realtà e l’efficacia del suo ministero, sicuramente sarà fecondo Gv 15,552.
Tale fecondità molte volte invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata.
Il sacerdote dovrebbe essere ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma la
mancanza esige di non sapere come, né dove, né quando: Qualunque cosa facciate,
fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che come ricompensa
riceverete dal Signore l'eredità. Servite a Cristo Signore. Col 3,23-24.
Il sacerdote deve imparare, non solo a servire il Signore, bensì anche e soprattutto a
riposare con il Signore: Ed egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e
riposatevi un po’. Mc 6,3153
51
S. AGOSTINO, sermo, 163.12. 12. Quindi, quando cominci a sentire la fatica lottando contro i desideri
perversi della carne, cammina secondo lo spirito, invoca lo spirito, domanda il dono di Dio. E se la legge
che è nelle membra si oppone alla legge che è nella tua mente dalla parte inferiore, cioè dalla carne,
rendendoti schiavo sotto la legge del peccato, anche questo sarà purificato, anche questo si trasformerà
nei diritti della vittoria. Tu grida soltanto, tu invoca soltanto. Bisogna pregare sempre senza stancarsi .
Invoca solo, invoca aiuto. Mentre ancora parli - dice – eccomi. Dopo vedi di capire, e tu avverti che dice
alla tua anima: Io sono la tua salvezza … Se lo dici con fede, se lo dici con umiltà, è immancabile la
risposta: La grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.
52
PAPA FRANCESCO, Evangelii Gaudium. 278, 279.
53
S. AGOSTINO, sermo 47,23: Al di dentro, nella coscienza. Grande solitudine, dove non solo non passa
alcun uomo ma neanche la raggiunge con lo sguardo. Là abitiamo pieni di speranza, poiché non ancora
nel possesso reale. In effetti, quel che di noi sta al di fuori è tutto sconvolto dalle tempeste e dalle
tentazioni mondane. Esiste però un deserto interiore: lì interroghiamo la nostra fede; interroghiamo se lì
35
Per riposare con e nel Signore sono necessarie alcune disposizioni esigite dalla
mancanza; le quali si possono enucleare dal verbo riposare che il Signore usa quando
invita gli apostoli a riposare in disparte. Tale verbo, in greco è: ¢napaÚsasqe
Ñl…gon.
Nel Nuovo testamento tale verbo ha più contenuti che riassumiamo in conclusioni
pratiche.
1 - La preparazione alla preghiera, in primo luogo, richiede di lasciare in disparte le
occupazioni consuete, anche le più sante, come quelle degli Apostoli, per “appartarsi”
con il Signore. Non deve essere il lavoro, la cosa più importante della giornata, bensì il
Signore: Col 3,17, E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del
Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.
Il tempo della preghiera, quindi, dovrebbe essere la normale continuazione della
relazione che, sia pure in sottofondo, esiste in ogni attività. Se si tratta poi dell’attività
caritative, non ha senso ed è preoccupante, se si sente il distacco tra attività e preghiera.
Significa che l’attività non è fatta consapevolmente nel Signore ma per gratificare il
nostro io narcisista, il quale al momento della preghiera farà sentire la sua importanza e
vorrà continuare ad essere lui il centro dell’attenzione; in altre parole il nostro “dio”
adorato e venerato.
2 - Non è sufficiente nemmeno riservare un periodo di tempo nella giornata alla
preghiera per dire che preghiamo. Non si può arrivare al momento della preghiera e
continuare a mantenere il nostro ritmo psicologico di desideri o di paure, di progetti o di
delusioni, di invidie e rancore, ecc.54
Nel tempo della preghiera i nostri problemi personali, caritativi, ecc. devono passare
in second’ordine.
La preghiera è relazione con una Persona. Quindi, la Persona con la quale siamo in
relazione è la cosa più importante. Nella misura che nasce la calma e la gioia di stare in
compagnia con il Signore, potremo con fiducia e semplicità esporre ogni nostra
angustia,55
dentro c'è la carità. … Dentro, in quel deserto, ci sono dei ruscelli di memoria che contengono acque
divine, scaturite dalla mente di chi possiede e medita la Scrittura. Occorre però che quanto hai letto e
ascoltato tu lo fissi nella tua mente puro, limpido e inviolabile e che cominci a farlo depositare in quel
deserto interiore che è la buona coscienza. Allora dall'interno della tua mente si effonderà e fluirà, in
qualche modo, il ricordo della parola di Dio, e tu, riposando con gli altri pieno di speranza, dici: È vero:
buon per me! Questa è la mia speranza; questo mi ha promesso Dio. Egli non mentisce; io sono
tranquillo. Questa tranquillità è il sonno presso i ruscelli. Prenderanno sonno presso i ruscelli .
54
Cfr. EVAGRIO il PONTICO, La Preghiera, Città Nuova Editrice, in modo particolare i primi
capitoletti.
55
S. AGOSTINO, comm. al Vangelo di Giovanni sermo 25,14: Ascoltate ciò che segue: Tutto quello che
il Padre mi dà verrà a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori (Gv 6, 37). Quale intimo segreto è
mai questo dal quale mai si è allontanati? Mirabile intimità e dolce solitudine! O segreto senza tedio, non
amareggiato da pensieri inopportuni, non turbato da tentazioni e da dolori! Non è forse quell'intimo
segreto dove entrerà colui al quale il Signore dirà, come a servo benemerito: Entra nel gaudio del tuo
Signore (Mt 25, 23)?
36
Fil 4,4-7, Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra
affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni
necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la
pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo
Gesù.
Una volta appreso che il Signore è vicino e calmato ogni tumulto psicologico, ogni
preoccupazione, ogni rancore, risentimento ecc., possiamo e dobbiamo esporre con la
fiducia del bambino al Padre ogni nostra necessità.
Bisogna decisamente cambiare prospettiva: prima il Signore, poi le nostre necessità!
Né si può dire che non è necessario che dobbiamo esporre quanto ci angustia con il falso
presupposto che Dio già sa tutto. Questo è vero, ma molte volte siamo noi che non
sappiamo e non vogliamo sapere. La relazione che avviene nella preghiera è a due. Dio
sa tutto, anche noi dobbiamo saperlo. Siamo in due che dobbiamo saperlo!
3 - Rallegratevi nel Signore, sempre, ci ammonisce S. Paolo. Il tempo della preghiera
deve sgorgare da questa gioia di stare con il Signore. Il desiderio di stare con il Signore
ci dà la possibilità e il coraggio gioioso di tagliare decisamente con ogni discussione
interiore, con ogni nostra angustia, con ogni nostra poca o per niente voglia di pregare.
Il Signore, il quale ci invita ad andare a lui perché siamo affaticati ed oppressi, sarà
in grado di farci assaporare la sua pace che supera ogni possibilità di immaginazione. In
effetti, lasciando in second’ordine il nostro “sentire”, si fa una scelta radicale, talvolta
dolorosa, tra la nostra esperienza psicologica, vitale; ci sembra di morire - e non è facile
attuarlo - e il Signore presente. Scelta più che necessaria soprattutto quanto più sono
forti le difficoltà:
1 Pt 3,14-16, E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per
paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a
rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto
con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male
di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.
Di fatto, si deve fare una scelta e una confessione di fede nella presenza e nella
potenza del Signore, assopito nella “barca” del nostro cuore e non lasciarci troppo
spaventare dai flutti della nostra burrascosa esperienza psicologica, soprattutto quando
non quadra con i nostri desideri e santi progetti. E il Signore mantiene la promessa: “Io
vi darò ristoro”!
4 - Il ristoro del Signore è specificato da quest’ultimo punto del verbo “riposare”. Lo
Spirito del Signore potrà trovare il suo “ristoro” in noi. Sarà tranquillo in casa sua:
1 Cor 3,16, Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
E la gioia del Santo Spirito, il quale finalmente può trovare dove riposare, diverrà la
nostra:
1 Pt 4,12-14, Carissimi, non siate sorpresi per l'incendio di persecuzione che si è acceso in
mezzo a voi (e dentro di voi) per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella
misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione
della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di
Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi.
E la persecuzione non è principalmente quella esterna che ci viene dagli altri, è prima
di tutto quella che ci viene dal nostro io, dalla nostra mancanza, sempre “affamata” la
nostra vita: Mc 8,35, che dobbiamo perdere, come ci invita il Signore. E questo vale
soprattutto per il tempo della preghiera:
37
2 Tim 3,12, Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno
perseguitati, dalla “mancanza”.
Accettato il superamento del nostro io, mediante la rinuncia alle nostre sensazioni,
accettando l’angoscia della mancanza, il soffio leggero dello Spirito, (1 Re 19, 11-13),
sarà percepito nel nostro cuore, non solo da Dio, ma anche da noi, poiché la preghiera
sono in due che devono sapere la stessa cosa: e la “cosa” è questa: Dio sa che è Abbà; e
perché ci sia relazione nella preghiera, noi pure dobbiamo conoscere che Dio è anche
per noi Abbà.
E’, tuttavia, il Santo Spirito, uno volta che ci siamo resi docili, nella sofferenza della
mancanza, che ci condurrà, in questa relazione che noi non conosciamo, a “conoscere”
l’altro interlocutore, il Signore; sarà sempre lo Spirito Consolatore a comunicarci il
ristoro del Signore che viene dato ai “piccoli”:
Mt 11,25-26, Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto
nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché
così è piaciuto a te e fa sussultare di gioia il nostro cuore. 56
Poiché la preghiera è relazione, fa sussultare di gioia anche e soprattutto direi, di
gioia il Signore. La relazione, infatti, è attuata dell’unico e medesimo Spirito:
Lc 10,20-22, Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi
piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli. In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito
Santo e disse: Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste
cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni
cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il
Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Solo a questo livello troviamo la nostra identità e i problemi vengono visualizzati
nella loro reale entità. Non è che il Signore ci toglie la nostra “croce”, essa è nostra, la
dobbiamo portare noi, ma il modo sarà totalmente cambiato.57
56
S. AGOSTINO, in Gv 83,1: Avete sentito, carissimi, il Signore che dice ai suoi discepoli: Vi ho detto
queste cose affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia perfetta (Gv 15, 11). In che consiste la
gioia di Cristo in noi, se non nel fatto che egli si degna godere di noi? E in che consiste la nostra gioia
perfetta, se non nell'essere in comunione con lui? … La sua gioia in noi, quindi, è la grazia che egli ci ha
accordato; e questa grazia è la nostra gioia. Ma di questa gioia egli gode dall'eternità, fin da quando ci
elesse, prima della creazione del mondo (cf. Ef 1, 4). … Questa nostra gioia cresce e progredisce ogni
giorno, e, mediante la perseveranza, tende verso la sua perfezione. Essa comincia nella fede di coloro che
rinascono, e raggiungerà il suo compimento nel premio di coloro che risorgeranno. … La mia gioia,
infatti, è sempre stata perfetta, anche prima che voi foste chiamati, quando io già sapevo che vi avrei
chiamati: e questa gioia si accende in voi quando in voi comincia a realizzarsi il mio disegno. La vostra
gioia sarà perfetta allorché sarete beati; non lo siete ancora, così come un tempo, voi che non esistevate,
siete stati creati.
57
S. AGOSTINO, sermo, 28,2: Quanto al nostro cuore; esso ha nel Signore e la luce e la voce e l'odore e
il cibo. È tutte queste cose perché non è alcuna di esse; e non è alcuna di esse perché di tutte è il creatore.
Egli è luce per il nostro cuore, per cui gli diciamo: Nella tua luce vedremo la luce . È melodia per il
nostro cuore, e per questo gli diciamo: Al mio udito tu darai esultanza e letizia . È profumo per il nostro
cuore, e pertanto nei suoi riguardi diciamo: Noi siamo il buon odore di Cristo . Se poi cercate il cibo dato che siete digiuni - beati quelli che hanno fame e sete della giustizia , e proprio del Signore Gesù
Cristo è stato detto che è diventato per noi giustizia e sapienza . Ecco, il banchetto è preparato. Cristo è la
giustizia: non c'è posto in cui non si trovi. Non ci viene preparato dai cuochi né viene importato dai
mercanti che l'acquistino nelle regioni trasmarine, come si usa con le frutta esotiche. È un cibo che
gustano tutti coloro che hanno sano il palato dell'uomo interiore. È un cibo che, inculcando se stesso,
diceva: Io sono il pane vivo disceso dal cielo . È un cibo che ristora e non viene meno; è un cibo che,
quando lo si prende, non si consuma; è un cibo che sazia gli affamati e rimane intero.
38
La “slogatura” di S. Paolo.
La prima immagine che ci viene da questo titolo, penso, sia quella della caduta da
cavallo sulla via di Damasco, Atti 9,2-8, e in parte è vero, ma è solo l’inizio della
“slogatura” perché Colui che gli è apparso dirà a Anania: e io gli mostrerò quanto dovrà
soffrire per il mio nome, Atti 9,16.
La “slogatura” di S. Paolo continuerà ad agire con il rifiuto di colmare la mancanza
con valutazioni umane: Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato
non è modellato sull'uomo, Gal 1,11.
Come il “mondo” ha imposto la croce a Cristo, perché tra Cristo e il mondo c’è una
incompatibilità insanabile: Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini,
e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini, 1 Cor 1, 20-25, così Paolo ha
imposto la croce al “mondo” essendo stato crocifisso insieme a Cristo, cioè il suo modo
di pensare e agire non sarà più mosso da valutazioni umane:
Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù
Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
In conseguenza a questa “crocifissione”: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in
me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e
ha dato se stesso per me, Gal 2,20.58
In questa crocifissione al mondo vi è una sostituzione; è la vera essenza della vita
cristiana, per cui alla vita dell’uomo “psichico” è sostituita quella dell’uomo
“pneumatico”, 1 Cor 2,14,ss; cosicché, all’esterno, il cristiano continua a vivere ora
nella carne, cioè per quanto riguarda il modo umano di vivere, accetta pienamente la
dinamica della mancanza, ma nella sua vera essenza interna vive non più lui, ma vive
58
S. AGOSTINO, Esposizione della lettera ai Galati, 17 Non poteva ovviamente dire che Cristo stesse
ancora vivendo la vita mortale, com’è mortale la vita vissuta dall’uomo nella carne; quindi prosegue
dicendo: Io la vivo nella fede del Figlio di Dio. Dal che si conclude che ora Cristo vive nel credente
abitando mediante la fede nel suo uomo interiore, in attesa di poterlo poi saziare mediante la visione: cosa
che avverrà quando la mortalità sarà assorbita dalla vita . Se peraltro Cristo vive nel credente e costui, pur
vivendo nella carne, vive nella fede del Figlio di Dio, non lo si deve al merito dell’uomo ma alla grazia
divina. Per mettere in evidenza questa realtà aggiunge: Il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me.
Per chi tutto questo? Per il peccatore, al fine di renderlo giusto.
39
Cristo, vale adire, la mancanza tipica dell’essere umano è “riempita” dalla presenza del
Signore Gesù.59
Per cui questa vita interna è vissuta e sostenuta dalla potenza della fede per mezzo
della quale il Cristo abita nel cristiano Ef, 3,17, ed è trasformato e conformato a Lui,
La crocifissione al mondo, quindi, è pensare e agire non più al modo umano, bensì:
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, Fil 2,3,60.
Il segno di questa “slogatura” o crocifissione o stimmate è ben visibile anche perché
nel corpo di Paolo, rimanevano le cicatrici delle violenze subite come marchio di
appartenenza al suo Padrone: schiavo di Cristo, Rm 1,1. Lo schiavo è proprietà del suo
Signore e porta anche visibilmente il “marchio” del suo padrone.
Se S. Paolo poteva dire di ogni cristiano: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo
Spirito di Dio abita in voi? 1 Cor 3,16, O non sapete che il vostro corpo è tempio dello
Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?
Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo! 1
Cor 6,19.20.
A maggior ragione e in modo più profondo si deve dire del sacerdote nel quale è
stato impresso, un “marchio” specifico: il carattere, che lo fa “schiavo” del suo Signore!
D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate, il “marchio” di
Gesù nel mio corpo, Gal 6,14-16.
E soprattutto dai frutti che vita dello Spirito produce nel cristiano.
E’ risaputo che S. Paolo era un violento e un persecutore della Chiesa: divenne mite
a talvolta materno Gal 5,22-23.
In queste affermazioni di S. Paolo vi sono molte difficoltà a specificare in concreto di
cosa si tratti, sia per le stimmate sia, sia come dirà in seguito, 2 Cor .12,7-8, riguardo al
pungiglione della carne e l’angelo di satana che schiaffeggia Paolo continuamente.61
Nella caduta da cavallo è chiaro che l’inganno di Paolo viene, come per Giacobbe,
distrutto.
La slogatura invece rimarrà per sempre: A causa di questo per ben tre volte ho
pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia
grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò
quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.
Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle
persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono
forte, 2 Cor 12, 8-10.
C’è un aspetto che dobbiamo accennare brevemente per capire la “slogatura” di S.
Paolo ed è all’inizio di questa seconda lettera e cito in latino perché esprime meglio
59
S. AGOSTINO, commento al Vangelo di Giovanni, sermo 13, 5: Dio è tutto per te: se hai fame, è il tuo
pane; se hai sete, è la tua acqua; se sei nelle tenebre, è la tua luce, perché rimane incorruttibile; se sei
nudo, egli è per te la veste d'immortalità, quando ciò che è corruttibile rivestirà l'incorruttibilità e ciò che è
mortale rivestirà l'immortalità (1 Cor 15, 53-54). Di Dio tutto si può dire, e niente si riesce a dire
degnamente. Non c'è una ricchezza così grande come questa povertà. Cerchi un nome adeguato e non lo
trovi; cerchi di esprimerti in qualche maniera, e ogni parola serve.
E’ quanto la Chiesa ci fa chiedere nella Liturgia, Dom. XXIV dopo Comunione: La potenza di questo
sacramento, o Padre, ci pervasa corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma
l’azione del tuo Santo Spirito.
60
61
Per l’intera questione si veda, G. RICCIOTTI, Paolo Apostolo, pag 408-412,ss.
40
cosa implichi “vivere la mancanza”: “supra modum (contro natura) gravati sumus supra
virtutem (sopra la natura) ita ut taederet nos etiam vivere“, Cor,1,8.
Il verbo taederet è molto significativo, indica il tedio della vita, in questo caso la
tentazione di farla finita poiché S. Paolo aggiunge etiam me vivere.
S. Agostino dice chiaramente che S. Paolo voleva farla finita con la vita anche se
“addolcisce la pillola” aggiungendo: per essere con Cristo.62
La lotta è impari, supra modum et supra virtutem: contro natura e sopra la natura.
Da questa situazione umanamente impossibile, deriva a S. Paolo la consolazione con
la quale può consolare i discepoli perseguitati o in difficoltà:
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e
Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché
possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con
la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le
sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra
consolazione, 2 Cor 1,3-5,63.
62
S. AGOSTINO, sermo, 305/A, 5. Perciò, dilettissimi, per il fatto che, come ho detto, non manca mai la
persecuzione e il diavolo o insidia o infierisce, dobbiamo essere sempre vigilanti, con lo spirito intento al
Signore e, per quanto ci è possibile, in mezzo a questi fastidi, tribolazioni, tentazioni, dal Signore
dobbiamo implorare fortezza, poiché, per noi stessi, siamo piccoli e assolutamente inetti. Mentre se ne
dava lettura, avete ascoltato dall'apostolo Paolo che cosa possiamo dire di noi: Come abbondano - egli
dice - le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione .
Ugualmente è detto nel Salmo: Di tutti i dolori che mi opprimono il cuore, il tuo conforto, Signore, mi ha
consolato. Come questo è stato detto nel Salmo: Di tutti i dolori che mi opprimono il cuore, il tuo
conforto, Signore, mi ha consolato, così è stato detto dall'Apostolo: Come abbondano le sofferenze di
Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Verremmo meno
all'approssimarsi del persecutore se ci mancasse chi ci dia consolazione. E poiché le risorse personali
erano di per sé inadeguate sia a sopportare, sia a superare la mancanza di un certo respiro a durarla nelle
circostanze del momento, a causa del ministero obbligante, fate attenzione a quel che sia giunto a dire:
Voglio che sappiate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre la misura, al
di là delle nostre forze . Se quella tribolazione superò le forze umane, forse anche i divini soccorsi? Ci ha
colpiti - egli dice - oltre misura e al di là delle nostre forze. Di quanto al di sopra delle forze? Bada che si
riferisce alle forze dello spirito: Al punto di essere stanchi della vita . L'Apostolo, che la carità spronava a
vivere, come doveva essere affranto per il gran numero di tribolazioni, da giungere a sentire il peso della
vita! Come lo forzava a vivere la carità, quella carità di cui altrove dice: D'altra parte, è più necessario
per voi che io rimanga nella carne ! Ecco, tanto si era inasprita la persecuzione, e tanta era la sofferenza
da stancarlo persino della vita. Ecco: timore e spavento lo invasero, tenebre piombarono su di lui, come
avete ascoltato nella proclamazione del Salmo. È infatti la voce del corpo di Cristo, è la voce delle
membra di Cristo. Vuoi riconoscervi la tua voce? Sii membro di Cristo. Timore - disse - e spavento mi
invasero, tenebre piombarono su di me. E dissi: chi mi darà ali come di colomba per volare e trovare
riposo? Non sembra che questo abbia voluto esprimere l'Apostolo dicendo: Al punto di essere stanchi
della vita ? In certo modo il tedio gli sopraggiunse perché invischiato nella carne: voleva esser libero per
andare a Cristo. L'affluire delle tribolazioni ne invadeva il cammino, ma non lo precludeva. Era stanco di
vivere, ma non di vivere nell'eternità, cui si riferisce dicendo: Per me vivere è Cristo e morire un
guadagno . Ma, essendo trattenuto quaggiù dalla carità, che ne segue? Ma se il vivere quaggiù nel corpo
significa per me lavorare con frutto, non so che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra
queste due cose, avendo il desiderio di essere sciolto dal corpo ed essere con Cristo . Chi mi darà ali
come di colomba? D'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne . Aveva ceduto ai
suoi pulcini pigolanti: custodiva sotto le ali, nutriva i piccoli, come egli stesso disse: Mi sono fatto piccolo
in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli .
S. AGOSTINO, Sul salmo 30,3: Che c’è da meravigliarsi se qualche trepidazione si trova nella
passione anche dei giusti, anche dei santi? La trepidazione deriva dalla fragilità umana, la speranza dalla
promessa divina. Quello per cui temi è tuo, quello per cui speri è dono di Dio in te. E meglio riconosci te
stesso nel tuo timore, onde nella liberazione tu glorifichi Colui che ti ha creato. Tema l’umana debolezza,
63
41
La fecondità del cristiano, e del ministero, come per il suo Signore, passa per la
croce, in quanto: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che
parla in voi, Mt 10,20.64
In altre parole, è innanzitutto la vita battesimale: Così anche voi consideratevi morti
al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù, Rm 6,11.
Il peccato è il tentativo costante di riempire la mancanza con tutto ciò che non sono
gli interessi di Cristo. Gli “interessi di Cristo” è la carità del Padre che deve permeare
tutta la vita.
La lotta contro natura è per impedire alla mancanza di essere riempita al modo
umano di pensare e agire ed è necessaria perché la potenza della carità di Dio operi in
noi e per mezzo nostro, nei fratelli nella misura che smettiamo di “succhiare” per
riempire la nostra mancanza perché ripieni di Dio.65
non viene meno in quel timore la misericordia divina. Poiché quindi temeva, [il Salmista] ha così
incominciato: in te, Signore, ho sperato, che io non sia confuso in eterno. Vedete che teme e spera; e
questo timore non è senza speranza. Anche se nel cuore umano c’è qualche turbamento, non vien meno la
divina consolazione.
64
S. AGOSTINO, sermo 64, 6. Non devi temere il serpente sotto nessun aspetto. Esso ha qualità che si
devono odiare, ma anche qualità che si devono imitare. Quando infatti il serpente è oppresso dalla
vecchiaia e sente il peso della decrepitezza, s'introduce a fatica attraverso un cunicolo e così facendo si
spoglia della pelle vecchia per uscir fuori nuovo. Imitalo tu, o cristiano, che ascolti il Cristo che dice:
Entra attraverso la porta stretta . L'apostolo Paolo dice inoltre: Spogliatevi dell'uomo vecchio con le sue
azioni e rivestitevi dell'uomo nuovo ch'è stato creato ad immagine di Dio . Hai dunque una caratteristica
da imitare riguardo al serpente: Non morire a causa della decrepitezza. Chi muore a causa di un vantaggio
materiale, muore a causa della decrepitezza spirituale. Chi muore a causa del vantaggio della lode umana,
muore a causa della decrepitezza spirituale. Quando invece ti sarai spogliato di tali forme di decrepitezza,
avrai imitato la prudenza del serpente. Imitalo in modo più sicuro: conserva la tua testa. Che significa:
"Conserva la tua testa"? Conserva in te Cristo. Può darsi che qualcuno di voi quando voleva uccidere un
serpente, ha osservato come questi per salvare la sua testa espone ai colpi di chi lo ferisce tutto il suo
corpo? Esso evita di farsi colpire nella parte di se stesso ove sa di avere la vita. Ma la nostra vita è Cristo,
poiché egli stesso ha detto: Io sono la via, la verità e la vita . Senti anche che cosa dice l'Apostolo: Capo
dell'uomo è Cristo. Chi dunque conserva in sé il Cristo, conserva per sé il proprio capo.
65
S. AGOSTINO, sermo 159, 7. 8. E' possibile che si trovino coloro che preferiscano la gioia che deriva
dalla giustizia ai diletti sensuali ed al piacere del proprio corpo. Credi tu che in mezzo a voi si trovi
qualcuno che, invece, per la giustizia disprezzi sofferenze, dolori, la morte? Almeno riflettiamo su ciò che
non abbiamo il coraggio di dichiarare. Che ne pensiamo? Dov'è il nostro pensiero? Migliaia di martiri
sono sotto i nostri occhi, sono essi gli autentici e perfetti amanti della giustizia. Di essi è stato detto:
Considerate perfetta letizia, fratelli miei, quando v'imbattete in ogni genere di prove; sapendo che la
prova della vostra fede produce la pazienza; la pazienza, poi, porta a compimento l'opera. Che cosa si
può aggiungere perché porti a compimento l'opera? Ama, brucia, s'infiamma; calpesta ogni cosa che
procura diletto e va oltre; perviene a subire asprezze, orrori, crudeltà, minacce; calpesta, supera e va oltre.
O che forza di amare, o che slancio a salire, (oh!, ire!) o (oh!, sibi perire) che superarsi morendo, (oh!,
ad Deum pervenire) o che incontro con Dio ! Chi ama la propria anima la perderà, e chi avrà perduto la
propria anima per me, la ritroverà per la vita eterna . In tal modo si deve premunire chi ama la giustizia,
così si deve proteggere l'amante della bellezza invisibile.
9. Per prima cosa però, fratelli miei, piangete ciò che eravate, perché vi sia possibile essere ciò che non
siete ancora. Quanto vado dicendo è qualcosa di grande. E come ci viene qualcosa di grande? E' il
sommo, è il perfetto, è il migliore: come a noi? Ascoltate come ci viene: Ogni buon regalo e ogni dono
perfetto viene dall'alto e discende dal Padre dei lumi, nel quale non c'è variazione né ombra di
cambiamento. Da lui procede ciò che abbiamo di bene, da lui ciò che non abbiamo ancora. Non l'avete
ancora? Chiedete e riceverete. Se voi - afferma il Salvatore - se voi, pur essendo cattivi, sapete dare cose
buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste non darà cose buone a coloro che gliele
domandano? Ognuno verifichi se stesso e renda grazie a colui che ha donato tutto ciò che di bene avrà
42
Conclusione
La notte di Giacobbe al guado dello Yabboq, il rimprovero di Gesù a S. Pietro di
pensare solo al modo umano, il taederet di S. Paolo, diventano così il simbolo della vita
umana; lasciano un “vuoto” che permettono di ricevere la potenza di Dio.
Arriva così l’aurora di un cuore nuovo, unificato grazie alla’accettazione della
mancanza: vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da
voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi
farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Ez
36,26-28.
Il sacerdote, con il carattere conferito dal sacramento dell’ordinazione, è
oggettivamente e, dovrebbe esserlo anche soggettivamente, “espropriato” dal suo modo
di vivere secondo “natura” ed è abilitato a vivere sopra la “natura”, vale a dire accettare
la mancanza per lasciare vivere in lui il Signore Gesù.
Il sacerdote è solo il tralcio innestato sulla Vite vera: Io sono la vite, voi i tralci. Chi
rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Gv
15,5.66
La sua preghiera e la sua vita dovrebbe essere una crescita in questa consapevolezza
di essere unito alla Vite nell’accettare la “mancanza” di ogni compensazione per
gustare, nella privazione, la consolazione del suo Signore: nella misura in cui
trovato in sé, ciò che deve servire alla nostra giustificazione; e, nel ringraziare colui che ha dato, gli
domandi anche ciò che non ha dato ancora. Per il fatto che tu, ricevendo, fai profitto, non è che egli
subisca perdita nel dare. Per quanto sia la capacità della tua gola, la capacità del tuo ventre, la sorgente
sopravanza il bisogno dell'assetato.
66
S. AGOSTINO, comm. al Vangelo di Giovanni. Sermo, 82, 1-2: Ciò che glorifica, infatti, il Padre è che
produciamo molto frutto e diventiamo discepoli di Cristo. E in grazia di chi lo diventiamo, se non di colui
che ci ha prevenuti con la sua misericordia? Di lui infatti siamo fattura, creati in Cristo Gesù per
compiere le opere buone (cf. Ef 2, 10).
2. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi: rimanete nel mio amore (Gv 15, 9). Ecco
l'origine di tutte le nostre buone opere. Quale origine potrebbero avere, infatti, se non la fede che opera
mediante l'amore (cf. Gal 5, 6)? E come potremmo noi amare, se prima non fossimo amati? Lo dice molto
chiaramente, nella sua lettera, questo medesimo evangelista: Amiamo Dio, perché egli ci ha amati per
primo (1 Io 3, 19). … E‘ certo, infatti, che il Padre ama anche noi, ma ci ama in lui; perché ciò che
glorifica il Padre è che noi portiamo frutto nella vite, cioè nel Figlio, e diventiamo così suoi discepoli.
43
partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della
sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di
Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi. 1 Pt 4,13-14.
Richiede fiducia, vicinanza, quasi un corpo a corpo simbolico non con un Dio
astratto o, peggio ancora, rivale che esige un servizio, ma un Signore benedicente che
rimane sempre misterioso, ma sempre presente.67
Per questo esige la lotta, contro la tendenza del nostro Giacobbe di riempire la
mancanza; tale lotta implica forza d’animo, perseveranza, tenacia nel raggiungere ciò
che si è e divenire quanto si desidera.68
E l’oggetto del desiderio è il rapporto personale con il Signore: Non vi chiamo più
servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici,
perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi, Gv 15,15.
Allora la lotta non potrà che culminare nel dono di sé a Dio, nel riconoscere la
propria debolezza, che vince quando giunge a consegnarsi nelle mani del suo Signore.69
67
S. AGOSTINO, comm al Vangelo di Giovanni , sermo 82, 3: Rimanete nel mio amore. In che modo ci
rimarremo? Ascolta ciò che segue: Se osservate i miei comandamenti - dice - rimarrete nel mio amore
(Gv 15, 10). E' l'amore che ci fa osservare i comandamenti, oppure è l'osservanza dei comandamenti che
fa nascere l'amore? Ma chi può mettere in dubbio che l'amore precede l'osservanza dei comandamenti?
Chi non ama è privo di motivazioni per osservare i comandamenti. Con le parole: Se osserverete i miei
comandamenti rimarrete nel mio amore, il Signore non vuole indicare l'origine dell'amore, ma la prova.
Come a dire: Non crediate di poter rimanere nel mio amore se non osservate i miei comandamenti: potrete
rimanervi solo se li osserverete. Cioè, questa sarà la prova che rimanete nel mio amore, se osserverete i
miei comandamenti. Nessuno quindi si illuda di amare il Signore, se non osserva i suoi comandamenti;
poiché in tanto lo amiamo in quanto osserviamo i suoi comandamenti, e quanto meno li osserviamo tanto
meno lo amiamo. Anche se dalle parole: Rimanete nel mio amore, non appare chiaro di quale amore egli
stia parlando, se di quello con cui amiamo lui o di quello con cui egli ama noi, possiamo però dedurlo
dalla frase precedente. Egli aveva detto: anch'io ho amato voi, e subito dopo ha aggiunto: Rimanete nel
mio amore. Si tratta dunque dell'amore che egli nutre per noi. E allora che vuol dire: Rimanete nel mio
amore, se non: rimanete nella mia grazia? E che significa: Se osserverete i miei comandamenti rimarrete
nel mio amore, se non che voi potete avere la certezza di essere nel mio amore, cioè nell'amore che io vi
porto, se osserverete i miei comandamenti? Non siamo dunque noi che prima osserviamo i comandamenti
di modo che egli venga ad amarci, ma il contrario: se egli non ci amasse, noi non potremmo osservare i
suoi comandamenti. Questa è la grazia che è stata rivelata agli umili mentre è rimasta nascosta ai superbi.
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S. AGOSTINO, sermo 34,7. ..Forse che stenti a darti per paura di consumarti? Tutt'altro! Se non ti
darai sei perduto. La stessa carità [ti] parla per bocca della Sapienza e ti dice qualcosa che t'impedisce
d'avere paura delle parole: Da' te stesso…. Ascolta cosa ti dice la carità per bocca della Sapienza: Dammi
il tuo cuore, o figlio . Dice: Dammi. Che cosa? Il tuo cuore, o figlio. Era male quando esso era dalla parte
tua, quando era tuo. Ti lasciavi infatti attrarre da vanità e da amori lascivi e perniciosi. Toglilo da li! Dove
lo trasporterai? dove lo porrai? Dice: Dammi il tuo cuore. Appartenga a me e non perirà per te. Osserva
infatti se ha voluto lasciare in te qualche possibilità d'amare te stesso colui che ti dice: Amerai il Signore
tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua anima . Cosa resta del tuo cuore per
amare te stesso? Cosa della tua anima o della tua mente? Dice: Con tutto. Esige tutto te colui che ti ha
creato. Ma non rattristarti quasi che non ti rimanga nulla di cui godere. Si allieti Israele, non in sé, ma in
colui che l'ha creato ..
8… Vuoi ascoltare come debba amare te? Ami te stesso, se ami Dio con tutto te stesso. Credi che giovi a
Dio il fatto che tu lo ami? Forse che, per il fatto che lo ami, Dio ci acquista qualcosa? Se non lo ami, chi
ci perde sei tu. Quando [lo] ami, tu te ne avvantaggi; tu sarai là dove non si perisce. Mi risponderai
dicendo: Ma quando non mi sono amato? Non ti amavi certamente quando non amavi Dio, tuo Creatore.
Ma tu, pur odiandoti, credevi di amarti. Difatti chi ama l'iniquità odia la sua anima .
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S. AGOSTINO, sul Salmo 119,5: Le frecce acute di persona potente sono la parola di Dio. Ecco, le si
scaglia e trapassano il cuore. Ma dai cuori così trafitti dal dardo della parola di Dio si sviluppa l'amore,
non ne risulta la morte. Sa bene il Signore come si scaglino frecce che suscitano l'amore, e nessuno più
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Nella misura che questo avviene, tutta la nostra realtà cambia. Iniziamo a
sperimentare un nome nuovo e la consolazione di Dio in ogni nostra tribolazione, non
più Giacobbe, ingannato dal suo io e perciò ingannatore per nutrire questo suo nemico,
l’io, ma Israele: benedetto da Dio.70
Colui che si lascia consolare da Dio, mediante la tribolazione della mancanza, si
abbandona a Lui, si lascia trasformare da Lui, rende benedetto il mondo senza il
fracasso dei nostri incontri, riunioni, programmi pastorali e via dicendo: non siete
infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi, Mt 10,20.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme
con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano. Mc 16,20.
E chi è mai all'altezza di questi compiti?
Siano rese grazie a Dio,
il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo
e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero!
Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo
fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono;
per gli uni odore di morte per la morte
e per gli altri odore di vita per la vita.
bellamente scaglia queste frecce d'amore di colui che saetta mediante la parola [di Dio]. Costui colpisce il
cuore dell'amante e così lo aiuta ad amare. Lo colpisce per renderlo un innamorato… In questo modo egli
riceve in cuore la freccia: non solo, ma vi si aggiungono anche i carboni che producono la desolazione e
ogni pensiero di terra viene in lui devastato. Che significa: " Viene devastato? ". È ridotto alla condizione
di terra devastata. C'erano in lui molte erbacce, molti pensieri carnali, molte affezioni mondane. Ora tutto
questo viene incenerito all'accendersi di questi carboni apportatori di desolazione, e il luogo così
devastato diviene puro, al segno che, avvenuta questa purificazione, Dio vi può costruire il suo edificio.
70
S. AGOSTINO sul salm 149, 4. [v 2.] Israele si allieti in colui che l'ha creato. Che significa Israele? "
Colui che vede Dio ". Tale il significato del nome Israele. Colui che vede Dio si allieti in colui dal quale è
stato creato. Ma cosa diremo, fratelli? Per il fatto che apparteniamo alla Chiesa dei santi, forse che già
vediamo Dio? E se non lo vediamo, in che senso siamo Israele? C'è una visione che si attua nel tempo
presente, e ce n'è un'altra che si attuerà nel futuro. La visione del tempo presente si attua mediante la fede,
la visione futura sarà visione facciale. Se crediamo vediamo, se amiamo vediamo. Cosa vediamo? Dio.
Dove è Dio? Interroga Giovanni. Dio è carità . Benediciamo il suo santo nome, e godiamo in Dio, se
godiamo nella carità. Quando uno ha la carità, perché inviarlo lontano per fargli vedere Dio? Penetri nella
sua coscienza e lì vedrà Dio. Se lì non alberga la carità, non vi abita nemmeno Dio; se invece vi alberga la
carità, Dio certamente vi abita. Ma l'uomo forse vorrebbe vederlo come quando siede nel cielo. Abbia la
carità e abiterà in lui come nel cielo. Siamo dunque Israele e allietiamoci in colui che ci ha creati. Israele
si allieti in colui che l'ha creato. Si rallegri in colui che l'ha creato, non in Ario, non in Donato, non in
Ceciliano e nemmeno in Proculiano o in Agostino. Si allieti in colui che l'ha creato. A voi, fratelli, non
raccomandiamo noi stessi, ma Dio, in quanto affidiamo voi a Dio. In che senso vi raccomandiamo Dio?
Insegnandovi ad amarlo; e ciò nel vostro interesse, non perché a lui ne derivi qualche vantaggio. Se infatti
non lo amerete, sarà a vostro danno, non suo. Non diminuirà infatti a Dio la divinità, se l'uomo non avrà
carità per lui. Tu cresci possedendo Dio, non Dio cresce per un qualche tuo apporto. Eppure lui per primo,
prima che noi lo amassimo, ci ha amati a tal segno da mandare il suo unico Figlio e da farlo morire per
noi . Colui che ci aveva creati è venuto in mezzo a noi. In che senso egli ci aveva creati? Tutto è stato
fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto . In che senso è venuto fra noi? E il Verbo si è fatto
carne e ha dimorato in mezzo a noi . È dunque lui l'essere nel quale dobbiamo allietarci. Nessun uomo
pretenda di attribuirsi le parti che spettano a Dio. Da lui ci viene la letizia che ci rende felici. Israele si
allieti in colui che l'ha creato.
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2 Cor 2, 14-16.
Albareto 9-15 novembre 2014.
Fr Bernardo Boldini.
e-mail: [email protected]
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