UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
Ufficio Stampa
83a.09
Verona, 29 maggio 2009
Comunicato stampa
Giornata mondiale senza tabacco
Il punto della ricerca scientifica dell’Università di Verona
La giornata mondiale senza tabacco dell’Organizzazione Mondiale di Sanità prevista per il 31
maggio è un’occasione importante per parlare di salute e prevenzione. Un tema molto caro
anche all’Università di Verona che investe molte risorse nel campo della ricerca in questo
settore.
Nella lotta contro il fumo la ricerca nell’ambito delle neuroscienze è di fondamentale
importanza. Il Laboratorio di Neuropsicofarmacologia diretto dal professor Cristiano
Chiamulera studia gli effetti dei farmaci che normalizzano il funzionamento della corteccia
prefrontale e che potrebbero aiutare il fumatore a relazionarsi con le tentazioni che vengono
dall’ambiente, con un forte rischio di ricaduta. Questi studi vengono portati avanti in stretta
collaborazione con il Centro Antifumo del Policlinico di Borgo Roma diretto da Fabio
Lugoboni.
Cristiano Chiamulera, docente dell’Ateneo scaligero e presidente della Srnt, Società europea
della ricerca su nicotina e tabacco, in occasione del 31 maggio lancia un messaggio che mette
in luce quella che oggi continua ad essere considerata la sfida più grande della lotta contro il
fumo: far comprendere al miliardo di uomini, donne e ragazzi la cui vita è minacciata
dall’epidemia del tabacco che i danni del fumo, pur essendo visibili solo nel lungo termine,
esistono già dopo le prime sigarette.
“Già dopo le prime sigarette si instaurano modifiche cerebrali non visibili che aumentano
progressivamente con il crescere del numero di sigarette fumate – spiega Chiamulera -. Queste
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modifiche si manifestano nel momento in cui, in presenza di particolari situazioni ambientali
di disagio o di stress, ma anche semplicemente di fronte ad un caffè o ad un bicchiere di vino,
il fumatore sente un desiderio incontrollabile di fumare. Recenti scoperte hanno dimostrato
che la parte prefrontale del cervello è responsabile dell’autocontrollo, della gratificazione
sociale e delle scelte motivate. Svariati studi clinici e di laboratorio hanno dimostrato che il
cervello prefrontale funziona meno nel fumatore e che l’intervento su fattori ambientali, quali
ad esempio lo stress, gli impulsi e le relazioni di gruppo ristabiliscono il normale
funzionamento di quest’area cerebrale. Questo conferma l’utilità di interventi psicosociali, ma
nel contempo ne identifica il meccanismo biologico, su cui è importante proseguire la ricerca
per trovare nuovi bersagli per migliorare e complementare l’efficacia della disassuefazione.
Per smettere di fumare – conclude Chiamulera - sono quindi necessarie la motivazione e la
forza di volontà del singolo affiancate da interventi mirati, non privi di un forte razionale
scientifico, e da un supporto professionale di alto livello, oltre che da una profonda
conoscenza dei meccanismi innescati dal fumo di sigaretta”.
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