I CONTRASTI TRA CRISTIANESIMO ED EBRAISMO L’ETICA E LA GIUSTIZIA Per gli Ebrei solo la giustizia può essere definita sacra, questa, infatti, non rientra nell’ambito naturale perché è la scelta deliberata di non sopraffare l’altro. Tutti gli attributi di Dio vengono intesi come attribuzioni dell’etica, infatti, è unica, come lo è DIO. I comandamenti che riassumono l’etica sono: Rifiutare la vendetta personale rimettendosi a giudici imparziali Non fare uso del nome di DIO Non praticare l’idolatria Non darsi alla fornicazione Non commettere omicidio Non compiere furto Non cibarsi della carne viva o del sangue (=principio vitale) L’amore etico di Dio doveva realizzarsi nell’amore degli altri –Ama il prossimo tuo, egli è come tee ciò significa che l’altro è un altro se stesso. Il Talmùd recita ancora “l’amore del prossimo è la sintesi di tutta la legge”. L’amore non viene inteso come semplice profusione d’affetto, ma come riconoscimento dei diritti dell’altro. L’etica non è contrattabile ed è importante in se stessa; ciò vuol sostenere che l’amore verso Dio deve essere assoluto e che è necessario condurre una vita equilibrata senza pensare a premi o punizioni. Per i cristiani invece è importante la preghiera come unico mezzo per raggiungere la salvezza, denotando una mentalità diametralmente opposta. L’etica svolge un’altra importante funzione che è quella di riconoscere l’importanza dell’uomo, in quanto è propriamente UMANA. Tipico degli ebrei che danno molto rilievo alla dimensione terrena dell’esistenza. La legge non è esclusiva del popolo “eletto”, ma è di tutti (PRINCIPIO UNIVERSALISTICO). Vi è anche il riconoscimento del valore assoluto dell’individuo, infatti “Ogni uomo vale quanto tutto il mondo” recita il Talmud. Questo tipo di visione non permetteva uno sfruttamento del prossimo che fosse indiscriminato. Le classi dominanti ebraiche erano sempre limitate dal “patto sociale” che era basato sull’equità e sulla giustizia. La Chiesa è caritatevole, non mira a correggere l’ingiustizia sociale. I giudei sono molto più rispettosi degli schiavi che sono considerati persone e non strumenti di lavoro. Paolo di Tarso dice agli schiavi di obbedire ai propri padroni, giustificando l’ineguaglianza. Sembra un’assurdità di fronte alla frase “Non c’è più né schiavo, né libero”, contenuta nella Bibbia cristiana. Questa massima viene in verità interpretata solo sotto il profilo della libertà religiosa che accomuna il libero allo schiavo. Sant’Agostino identifica la schiavitù come mezzo d’espiazione dal peccato e quindi non si può più nemmeno liberare uno schiavo, perché non è compito degli uomini. L’interesse di tali affermazioni era ideologico e politico, ma soprattutto economico, perché nelle proprietà dei vescovi lavoravano un gran numero di schiavi. Col tempo diventarono frequenti gli affrancamenti, ma solamente perché era più conveniente una manodopera servile piuttosto che schiavile. All’interno del sistema feudale la Chiesa occupa una posizione di primo piano sotto l’aspetto economico. Tra IX e XI secolo ha nelle sue mani tutta l’alta amministrazione. La condanna che la Chiesa attua nei confronti del commercio e dell’usura è da riportare al fatto che mettevano in pericolo un sistema economico per lei tanto vantaggioso. IL RAPPORTO TRA L’UOMO E DIO VISIONE DELLA STORIA GIUDAISMO CRISTIANESIMO In divenire Vicenda compiuta L’uomo cessa di essere il soggetto della storia per divenire l’oggetto di una lotta sopraterrestre Il CRISTIANESIMO è stato definito da alcuni studiosi una religione romantica, perché si basa su di un rapporto personale con la divinità, tipico dei culti misterici, nei quali era molto comune il mito del re-salvatore che redime da una colpa originale. Paolo di Tarso, che si può definire il primo cristiano, non creò idee, ma fece collegamenti e fuse credenze giudaiche e culti misterici. Aveva una visione fantastica dell’aldilà, così la fede divenne la cosa più importante. Fu lo stesso Paolo ad elaborare la dottrina del peccato originale che afferma l’irresponsabilità dell’individuo che pecca, infatti, è uno sbaglio che ha avuto origine in un lontano passato dell’uomo. La visione ebraica del peccato come atto del singolo scompare totalmente. Nella religione cristiana l’etica diviene superflua e la legge inutile, così la giustizia si riduce a semplice sentimento o esperienza. I credenti vengono proclamati tutti uguali, ma chi sta al di fuori di questa cerchia è perduto. La redenzione può avvenire solo attraverso i SACRAMENTI. La Chiesa non poteva, aspirando ad essere pari ad un organismo statale, permettersi di non avere alcuna legge e per supplire a questa mancanza assimila i precetti contenuti nell’Antico Testamento. I sacramenti mantengono in ogni caso sempre un ruolo vitale, perché servono a vivificare la tensione religiosa. I fedeli sentono il bisogno costante di un miracolo, anche se assume una veste abituale, che i sacerdoti cercano di non far perdere di valore. Grazie alla funzione centrale che le cerimonie assumono, in quanto garanti della salvezza, favoriscono il rafforzarsi del ruolo della Chiesa, che ne ha il controllo. L’individuo crede perché crede nella Chiesa e crede solo ciò che la Chiesa crede. Il ruolo svolto dal singolo è completamente passato in secondo piano e perciò rimane IMMOBILE di fronte a qualsiasi avvenimento. Il valore che invece gli viene attribuito nella religione ebraica è completamente diverso (vedi l’approfondimento: “Lo studio della legge”). LO STUDIO DELLA LEGGE Israele è stato scelto per portare un grosso peso: fare da tramite tra Dio e l’uomo. La legge che Dio ha dato loro è una “regola sacerdotale”, che però non deve essere seguita solo dai rabbini, ma dall’intera popolazione. Per riuscire ad espletare la propria missione, il popolo “eletto” viene separato dagli altri per impedirgli di dimenticare il suo compito. La separazione avviene tramite una lunga serie di proibizioni che ne mantengono la purezza. Il motivo di queste non è da ricondurre ad un particolare sentimento nazionalistico, ma alla necessità di meditare continuamente sull’etica dalla quale scaturivano in seguito i vari divieti. Gli ebrei dovevano studiare per conoscerne la legge in modo da garantirne il rispetto. Era quindi alto il livello di alfabetizzazione, anormale nelle seguenti civiltà cristiane in cui era necessario che solo il sacerdote facesse da tramite tra Dio e l’uomo e in cui la conoscenza non è più ciò che istruisce, ma che redime. LA FIGURA DI GESU’ Gesù viene visto dai cristiani come figlio di Dio, venuto a salvare l’uomo dal peccato originale, per permettergli di raggiungere la salvezza. Questa visione del Messia non faceva assolutamente parte della cultura giudaica che non aveva una visione negativa della vita sulla terra. Infatti, nell’ebraismo, la cacciata dal paradiso terrestre non è l’affermazione della condanna che Dio fa nei confronti dell’intera umanità, ma solo di Adamo ed Eva che gli hanno disubbidito. A sostegno di questa concezione concorre anche la visione che gli ebrei hanno del peccato, che è solo atto del singolo e non può avere conseguenze sugli altri. Da questo punto di vista il cristianesimo è stato fortemente influenzato dalle religioni misteriche tra le quali era diffusa la credenza di una colpa commessa dall’uomo in un tempo antico, che deve essere espiata. L’ellenismo ha inoltre una forte influenza sul cristianesimo per quanto riguarda l’esoterismo e la diffusione di pratiche ascetiche, legate ad una visione negativa della vita terrena condotta dall’uomo. Per gli ebrei la FEDE è fiducia operante e il MESSIANISMO giudaico ne è testimone. Una corrente che ha sempre fatto parte della cultura ebraica e che esprime fiducia nel futuro in cui deve avvenire un mutamento che riguarda la vita terrena, perché il MESSIA giunge per punire i ricchi e apportare grandi modifiche all’ordine sociale costituito. Solo con un impegno attivo degli uomini il tempo della “riconciliazione” (o messianico) può finalmente giungere. Alla luce di tali conoscenze è facile capire che per gli ebrei era impossibile interpretare la venuta di Gesù in qualità di Salvatore, giunto a liberarli dal peccato originale visto che nemmeno lo concepivano. IL SUCCESSO DEL CRISTIANESIMO Vi sono alcuni tratti fondamentali del pensiero cristiano che hanno permesso la sua diffusione con grande rapidità nelle zone influenzate dall’Impero Romano. Le quattro istituzioni fondamentali dell’Impero: 1. Re-salvatore deificato 2. Stato mondiale divinizzato in cui le singole città-stato costituiscono le cellule dell’organismo politico 3. Una numerosa burocrazia ramificata 4. Un esercito professionale Le corrispondenze col cristianesimo risultano evidenti: 1. Il re-salvatore del cristianesimo è Gesù, venuto a mondare l’uomo dal peccato originale 2. La Chiesa è lo stato terreno di Dio, in cui le singole comunità sono le cellule del corpo 3. Nell’Impero Romano, dove c’era molta tolleranza nei confronti delle associazioni religiose comunitarie, i cristiani poterono costituire una chiesa organizzata. Fin dall’inizio caratterizzata dalla suddivisione dei compiti (presbiteri ed episcopi), col tempo divenne un EPISCOPATO MONARCHICO, in cui la divisione tra clerici e laici era netta e i fedeli erano completamente sottomessi ai vescovi. I presbiteri formano un ordine professionale, assumendo le caratteristiche di una “corporazione” con aspirazioni terrene quali il potere e la ricchezza. Oltre a queste tre istituzioni, ce ne sono altre che hanno svolto un ruolo primario per l’affermazione del cristianesimo: · La concezione immobilistica della vita, con conseguente sottomissione ai potenti; dovuta al fatto che la salvezza doveva giungere dall’esterno e che l’unico compito del cristiano era quello di credere nel Cristo. · L’affermazione che l’ineguaglianza è frutto del peccato e conseguente legittimazione della schiavitù. CHI AMA IL POTERE SCOPRE PRESTO DI AMARE ANCHE LA CHIESA, CHE GLI PUO’ PERMETTERE DI RAGGIUNGERLO! L’EVOLUZIONE DELL’ODIO Paolo di Tarso è considerato il primo cristiano. Era convinto che con la venuta di Gesù fosse iniziato il regno di Dio e che al momento della “redenzione” si sarebbero salvati solo coloro che avevano ricevuto la “Grazia”, e per questo motivo sosteneva che non era più necessario seguire le leggi. Non erano d’accordo con lui i “seguaci di Gesù”, che sostenevano che solamente con la seconda venuta del Messia la sua opera si sarebbe compiuta. La concezione di Paolo era combattuta all’interno del mondo giudaico, così cominciò a rivolgere la propria predicazione ai gentili. Presto vi fu un allontanamento dalla mentalità palestinese e un successivo tentativo di “incamerare” i libri sacri degli Ebrei che, secondo San Paolo, dovevano essere letti allegoricamente. Con questo artificio poteva sostenere che al loro interno era preannunciata la venuta del Cristo. I Cristiani potevano così vantare che la loro religione era già contenuta nelle sacre scritture ed opporsi meglio alla fede ebraica che era rinvigorita da un illustre passato. Nello stesso tempo, per non essere confusi con l’altro credo, privarono Israele del suo appellativo di popolo eletto a proprio favore. Secondo San Paolo gli ebrei non erano più in grado di interpretare le scritture, perché avevano subito un indurimento. In seguito il giudizio cristiano divenne molto più duro, come in Giovanni Crisostomo, secondo cui l’ebreo è un essere satanico ed è “dover di tutti i cristiani odiare gli ebrei”. LA CHIESA CRISTIANA E LE LEGGI CONTRO GLI EBREI La Chiesa cristiana divenne da combattuta a favorita (Costantino –313-), ed infine unica religione di stato (Teodosio I -380-). Le lotte contro i cristiani, benché enfatizzate dagli stessi, sembra che in realtà non siano state molto violente. Gli imperatori si accorsero presto che per loro era molto vantaggioso unificare tutto l’Impero in una sola religione, in modo da sfruttarla come fondamento ideologico del potere. Con Costantino cominciarono i primi provvedimenti a danno degli ebrei. Nel 338d.C. furono proibiti i matrimoni misti e nel 438 d.C. entrò in vigore il Codice teodosiano, con il quale si proibiva agli ebrei di costruire sinagoghe, occupare cariche pubbliche e fare proselitismo (gli ebrei comunque non erano animati da molto fervore in queste iniziative). Lasciava però continuare la religione. Col Codice di Giustiniano vi furono ulteriori restrizioni riguardo il possesso degli schiavi e di altri beni immobili. I regni barbarici applicarono solitamente il Codice teodosiano. Alla fine del VI secolo lo stesso papa Gregorio Magno confermò l’inferiorità giuridica degli ebrei, anche se considerò illegittime le conversioni forzate. La condizione degli ebrei subì un forte peggioramento durante il periodo della prima crociata, caratterizzato da fanatismo religioso. I cristiani si sentivano impegnati nella lotta contro gli infedeli che, all'interno dello stato, venivano identificati negli ebrei. Vi furono uccisioni in Francia prima, e in Germania poi. Alcuni vescovi obbligarono gli ebrei a scegliere di convertirsi oppure morire. Solitamente però i conti e i vescovi li difesero; solo alcuni fanatici applicarono questo tipo di politica. Il diritto canonico garantiva protezione agli ebrei, ma la cultura cristiana forniva l’immagine di un popolo “deicida”. I primi movimenti persecutori vennero da parte della popolazione più misera e questi assalti assunsero il nome di POGROM. Nel 1096, solo a Magonza, vi furono più di 1000 morti; a Worms e Colonia suicidi di massa per evitare di essere presi dalla folla o per non doversi convertire. A metà del XII secolo risalgono le accuse di omicidio rituale, che consistevano nel rapimento di bambini e nella loro uccisione durante particolari cerimonie. A Trento, nel 1475, un gruppo di ebrei fu processato per avere ucciso un bambino cristiano, Simonino. Alcuni furono condannati a morte, ma non si ebbe mai riscontro dell’esistenza di questo fanciullo. Un’altra accusa che venne fatta loro fu di profanazione. Si diceva rinnovassero il supplizio di Cristo infierendo sull’ostia consacrata fino a farla sanguinare. Era un’assurdità perché implicava che fossero consapevoli della verità del cristianesimo. La posizione della Chiesa in questa situazione era paradossale; si proponeva quale garante dell’ortodossia ebraica, infatti, poteva intervenire per sedare le dispute interne, ma stabiliva, con Innocenzo III, che lo stato giuridico degli ebrei doveva essere di “perpetua schiavitù”. Nel IV Concilio Lateranense venne imposto inoltre il segno distintivo (1215), che avrebbe contribuito all’idea che il giudeo non è umano. Con le crociate gli ebrei vennero colpiti anche sul piano economico-sociale. A causa del sistema feudale non potevano più praticare l’agricoltura perché richiedeva un cerimoniale cristiano, al quale naturalmente non si potevano sottoporre. Inoltre, in vari stati, era la legge stessa a vietare il possesso di terreni da parte dei giudei. Nei comuni le corporazioni di mestiere fecero in modo di allontanarli dall’artigianato e dal commercio. L’unico campo che rimase possibile fu il prestito a interesse (usura). Fu una tappa fondamentale nella formazione dello stereotipo del giudeo da parte di molti contadini, che quando perdevano la propria terra, li additavano come gli unici colpevoli. Per riuscire a praticare l’usura dovettero assicurarsi la protezione dei sovrani che li utilizzarono come tesorieri. Carlo Magno concedesse alla famiglia a cui aveva affidato la tesoreria l’immunità. L’imperatore Enrico IV la estese a tutti gli ebrei che ormai entravano a far parte del patrimonio regio. In Inghilterra furono espropriati delle terre dai sovrani, mentre in Francia Filippo II Augusto arrestò tutti gli ebrei (1180), liberandoli solo sotto pagamento, e inoltre fece annullare tutti i debiti che i cristiani avevano contratto con questi. La situazione era migliore sotto il dominio arabo in Spagna, dove erano subordinati ai musulmani, ma protetti. Vi furono persecuzioni solo nel XII secolo da parte degli Almohadi e molti giudei si rifugiarono nella Spagna settentrionale. A Toledo ci fu un centro di fioritura culturale, grazie ai testi salvati dagli arabi, che gli ebrei cominciarono a tradurre e far circolare in Occidente. Nel 1135 nacque a Cordoba Mosé Maimonide, il maggiore filosofo ebreo del Medioevo, che sostenne la compatibilità tra ragione e fede. La componente giudaica, pur dipendendo dal sovrano, poté mantenere un legame con la terra e lavorare nell’artigianato. La condizione presente era ancora lontana da quella che si sarebbe caratterizzata poco avanti. Nel 1231 Gregorio IX affidò l’Inquisizione ai domenicani; cominciò ad interessarsi anche degli ebrei, benché non fossero di sua diretta competenza. Infatti, alcuni ordini religiosi quali i FRANCESCANI e i DOMENICANI, furono particolarmente intolleranti nei confronti di questi. I francescani istituirono i Monti di Pietà, che miravano a combattere il prestito ebraico, contribuendo all’impoverimento delle comunità. Le persecuzioni si inasprirono nel ‘300, caratterizzato da varie calamità naturali. In Francia nel 1320 vi fu la “Crociata dei pastorelli”. Una massa di gente affamata che si spostava per saccheggiare e distruggere. Nel suo percorso sterminò alcune comunità e fu sedata solo quando prese di mira i beni del clero. Nel 1321, a Carcassone, furono accusati di aver avvelenato i pozzi, in combutta con i lebbrosi, per eliminare i cristiani. Il sentimento d’odio che le masse provavano nei confronti degli ebrei dava libero sfogo alla frustrazione covata dalla popolazione in miseria. Con la “Peste nera” del 1348 i massacri raggiunsero il loro culmine. Il movimento dei “flagellanti” compì molti stermini e fu disperso quando ritenuto pericoloso per la Chiesa stessa. L’autorità ecclesiastica non giustificava i pogrom ai danni delle comunità, ma non riusciva o non voleva intervenire con forza e determinazione sufficienti a fermarli. Solo papa Clemente VI cercò di frenare questi massacri, ma non ebbe successo. A testimonianza della forte incidenza di questi eccidi si può notare l’arresto della crescita delle comunità, fino al XVI secolo. Dal XIV furono ricorrenti anche le manifestazioni di pubblica umiliazione, durante le quali subivano rituali a dir poco bizzarri, ai quali si potevano sottrarre solo dietro pagamento. Il fanatismo popolare fece in modo che le comunità si isolassero ulteriormente e rafforzassero le forme meno razionali di religiosità. Ebbero successo: · La mistica ebraica (dà importanza a simboli e formule), ripresa nel “Libro della luce” · La “Qabbalàh”, facente parte del filone mistico, che incitava alla preghiera · Il movimento dei chassidim che, al contrario dell’intellettualismo della religione rabbinica, indicavano la perfetta imperturbabilità di fronte al dolore e non la riflessione, come via capace di portare a Dio · “Il libro dello splendore” che stabiliva una corrispondenza simbolica tra Toràh e Sefiròt L’UMANESIMO mostrò qualche apertura nei confronti della cultura ebraica, ma sempre riguardo la “Qabbalàh”, che ne era un filone eccentrico. Inoltre i cristiani cercavano sempre di convertirli e quindi le due realtà erano inconciliabili. DALLA SUBORDINAZIONE ALL’ESCLUSIONE Dal XIII, fino al XVI secolo, la condizione degli ebrei passò dalla subordinazione all’esclusione. Le cause furono: 1. Il fanatismo popolare 2. L’incremento del prestito cristiano 3. La Chiesa che ne decise l’esclusione Nel 1290 Edoardo I d’Inghilterra decretò l’espulsione degli ebrei dal regno e la confisca di tutti i loro beni, mentre quelli che risiedevano a Londra furono fatti annegare nel Tamigi. Luigi IX ,re di Francia, eseguendo la direttiva di papa Gregorio IX, fece sequestrare e bruciare il Talmud (1242). Carlo II, a Napoli, decretò la conversione forzata di tutti gli ebrei. In Francia furono cacciati e riammessi varie volte, fino alla definitiva cacciata del 1394. La situazione ebraica stava peggiorando anche in Spagna, dove a Siviglia il vicario Ecija Ferran Martinez infiammò le folle a distruggere le sinagoghe e cacciare gli ebrei. Ebbe inizio un gigantesco pogrom, alimentato dal basso clero e deplorato dall’alto. A partire dal 1411 le prediche di Vincent Ferrer ispirarono fenomeni di conversione tra le comunità e nel 1412 la Corona di Castiglia impose ai giudei limitazioni di residenza e segno distintivo. Si dovevano tenere disquisizioni pubbliche riguardo i princìpi religiosi e le dispote che vi erano tra rabbini e cristiani avevano raggiunto un carattere intimidatorio. Le conversioni in questi anni furono circa di 20000 persone. Ne risentì la fede ebraica ortodossa. Molti pensarono che il ritualismo dei padri fosse eccessivo e si convertirono nella speranza di evitare le persecuzioni e seguire comunque i comandamenti. In Spagna si era creata un’area di conversos di dubbia sincerità e per questo, sotto la spinta domenicana, Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia crearono l’Inquisizione spagnola, che aveva il compito di perseguitare i falsi cristiani (1478). Poco dopo fu creato il Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione che fu uno dei cinque maggiori organi della monarchia. I falsi cristiani venivano detti marranos (=porco). La tortura era ampliamente usata per estorcere confessioni e i processi si concludevano con gli autodafé (=atti di fede), durante i quali venivano lette le sentenze e i condannati messi al rogo. Prima della metà del XVI secolo l’Inquisizione spagnola aveva messo al rogo circa 20000 marranos. Nel 1490 un conversos confessò di essere coinvolto nell’omicidio rituale di un bambino, che in realtà non era mai esistito e divenne noto come Santo Nino della Guardia. Questo caso alimentò l’idea che vi fosse un complotto tra conversos ed ebrei. Al 1492 risale l’espulsione che i re cattolici emanarono nei confronti di coloro che non avessero accettato di convertirsi. La massa degli esiliati fu intorno alle 150000 persone. Molti di questi andarono in Navarra, dove furono espulsi nel 1498, mentre un’altra parte in Portogallo, con espulsione nel 1496. In realtà non fu effettiva in Portogallo poiché il re temeva di perdere la ricchezza e la competenza economica degli ebrei. Quando nel 1536 fu introdotta l’Inquisizione, circa 20000 nuovi cristiani fuggirono dal paese. L’espulsione decretata nei territori spagnoli coinvolse anche le svariate comunità presenti nel meridione d’Italia, in Sicilia ed in Sardegna. La conversione non sottraeva comunque dalla persecuzione, infatti, erano sempre circondati da un velo di sospetto. In Spagna divenne decisivo poter provare la propria limpieza de sangre e solo Ignazio de Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, si oppose a questa linea di pensiero; la Chiesa invece diede il proprio avvallamento. Anche in Germania e in Svizzera gli ebrei furono espulsi (non definitivamente), per accontentare le masse più povere. Risale a questo periodo la leggenda dell’Ebreo Errante, costretto a viaggiare di paese in paese fino alla nuova venuta di Cristo, perché si era rifiutato di aiutarlo sul Calvario. La RIFORMA PROTESTANTE fu molto importante per gli ebrei presenti sul territorio tedesco perché peggiorò ulteriormente la loro condizione. Lutero, infatti, sperava che si convertissero e che insieme a lui contrastassero il papato. Scrisse il trattato “Gesù ebreo di nascita”. Per alcuni anni la riforma suscitò molte aspettative nelle comunità, che però non si volevano convertire, e quando Lutero vide il rischio che fossero loro ad influenzare i cristiani alla conversione, mutò atteggiamento. Nel 1536 istigò il proprio protettore, l’elettore di Sassonia, ad espellere gli ebrei dal proprio stato. Nel 1542 Lutero pubblicò “Contro gli ebrei e le loro menzogne”, col quale invitava i cristiani a bruciare il Talmùd, distruggere le sinagoghe ed espellere gli ebrei. In contrapposizione Carlo V rinnovò ed estese i diritti di cui godevano. La SITUAZIONE IN ITALIA fu molto diversa dagli altri paesi, o almeno ritardata. Il XIV secolo fu ancora di espansione per gli ebrei. Vi furono molte immigrazioni verso le regioni padane per fondarvi comunità. In questa zona si specializzarono nel prestito e in seguito nell’artigianato e nel commercio. Furono favoriti perché le autorità comunali incoraggiavano l’apertura dei banchi e solo nel XV secolo la situazione cambiò a causa della comparsa dei Monti di Pietà. A Venezia i cristiani non potevano praticare il prestito dal 1254. Con la guerra di Chioggia del 1378-81 la Serenissima autorizzò chiunque al prestito, con interessi non superiori al 10%. In queste circostanze vi fu un forte sviluppo della comunità ebraica veneziana e risale al 1494 la prima menzione ufficiale della comunità e nel 1509 la città lagunare offrì la propria protezione agli ebrei di Mestre. Le professioni esercitate dai singoli individui erano le più svariate. Tra i giudei vi erano banchieri, medici, avvocati e commercianti che influenzavano ogni settore della vita economica. Proprio a Venezia, su iniziativa di Daniel Bomberg, furono stampati la Bibbia rabbinica, il Talmud babilonese e quello di Gerusalemme. Un’altra importante iniziativa della città fu l’istituzione del ghetto (ricorda l’ebraico ghet, divorzio; l’origine dovrebbe essere da getto, gettare per le fonderie che vi erano nel secolo precedente). L’obbligo a risiedere nel ghetto risale al 1516. Consisteva in un’isola collegata alle altre da due ponti e chiusa da due cancelli. Era molto importante per la comunità perché la difendeva dagli attacchi esterni. A causa dell’eccessivo affollamento ne venne creato un altro nel 1541. Fondamentale fu il cambiamento della politica della Chiesa che con Eugenio IV iniziò la propria modifica. Infatti estese a tutta l’Italia molte limitazioni riguardo al Talmud e al commercio (1442), che furono revocate solo dopo pagamento. Sisto IV accolse gli ebrei perseguitati dall’Inquisizione spagnola e anche Alessandro VI, Giulio II, Leone X e Clemente VII ne favorirono l’insediamento a Roma . Nel 1543 fu istituita la casa dei Catecumeni a Roma per accogliere ebrei e altri infedeli che intendevano convertirsi. Venivano accolti anche i bambini e qualche volta senza il consenso dei genitori. Con l’evolversi della situazione furono introdotte le prediche forzate e papa Giulio III arrivò ad ordinare il rogo del Talmud. Nel 1555 venne fondato il ghetto romano, in un’area del quartiere di Sant’Angelo, recintato da un muro e con un portone che veniva chiuso durante la notte. All’interno poteva esserci una sola sinagoga, nessun immobile era di proprietà di ebrei ed era proibito ogni genere di commercio. Nell’arco di due secoli tutti gli stati italiani che non avevano espulso gli ebrei, li obbligarono a risiedere nel ghetto. Ciò avvenne in Toscana e in Piemonte, mentre a Milano non vi fu l’edificazione di un ghetto, perché gli Spagnoli li espulsero dal proprio territorio. Nacque un’ideologia segregazionista nei confronti di una cultura, che probabilmente, veniva temuta per la sua forza. Inizialmente il ghetto fu visto positivamente anche dagli ebrei, in quanto forniva loro protezione, ma lo spazio al suo interno divenne sempre più affollato e il tasso di mortalità non fu più elevato rispetto all’esterno, solo grazie al rispetto delle rigorose norme igieniche che regolavano la loro vita. Sul piano economico cominciarono ad immiserirsi, non potendo esercitare il commercio o altre attività, e si erano ridotti a fare i mercanti di stracci. Gli ebrei romani vissero nel ghetto fino al 1870, quando furono liberati dai soldati del Regno d’Italia. In un periodo di vessazioni molti si rifugiarono nel misticismo e nel messianismo. Questo particolare momento fece da sfondo alla comparsa di David Reubeni, presunto ambasciatore di un fantomatico regno. La sua prima tappa fu Venezia nel 1523 ma, non avendo molto successo, si spostò a Roma, dove ottenne credito presso papa Clemente VII. Il pontefice gli fornì lettere di raccomandazione e Reubeni si recò in Portogallo dal re. Qui si scatenò l’entusiasmo dei conversos e Diogo Pires, segretario della cancelleria reale, si riconvertì all’ebraismo. Dovettero entrambi fuggire dal paese. Diogo fu bruciato sul rogo nel 1532, Reubeni nel 1538. Particolare fioritura ebbe la cultura mistica di Safed, in Galilea, dove Isaac Luria fece una nuova versione della Qabbalàh. Nella sua opera parla di un movimento cosmico per il quale Dio si concentra in se stesso, ritraendosi dal mondo e aprendo una falla nell’armonia universale. Il male viene visto come necessario a causa della contrazione di Dio e gli ebrei hanno il compito di “restaurare” l’armonia, intervenendo con la preghiera. VERSO LA SOCIETA’ MODERNA Con la rottura dell’unità cristiana gli ebrei cominciarono a ritrovare un ruolo sociale e intellettuale. I Sefarditi, di origine Iberica, furono accolti nell’Impero Ottomano, dove poterono sviluppare un intensa attività commerciale. Cercarono di intervenire in aiuto degli altri ebrei d’occidente. Su loro richiesta i Turchi attuarono il blocco del porto di Ancona, per protestare contro le persecuzioni che venivano attuate nella città contro la comunità presente. Molti dei conversos portoghesi tornarono alla religione dei padri non appena al sicuro dalla persecuzione dell’Inquisizione. In Spagna era avvenuto un fenomeno particolare. A causa della limpieza de sangre, l’identità ebraica non dipendeva più dalla religione, ma era di base etnica. Il popolo diviene indipendente dalla propria fede. Fu di notevole rilevanza l’emigrazione dei conversos portoghesi verso Venezia, dove poterono riconvertirsi, a patto di risiedere nel ghetto e portare il segno distintivo (cappello giallo). Il rabbino Simone Luzzatto, nel 1638, esaltò il contributo che la componente ebraica aveva dato alla città di Venezia. Anche lo Stato pontificio cercò di attrarre i possibili immigranti. Livorno, con Cosimo I, diede garanzie di libertà di culto, che attrassero molti ebrei. Nel 1591 e nel 1593, Ferdinando I emanò le LIVORNINE, che concedevano molti diritti agli ebrei. Non erano costretti a risiedere nel ghetto, né a portare un segno distintivo. A metà del XVII secolo, grazie ai molti giudei che erano immigrati, la città era diventata il maggior porto del Mediterraneo. Altre correnti migratorie furono verso la Francia che, nonostante l’editto di espulsione, tollerava il loro ritorno, soprattutto grazie all’influenza del cardinale Richelieu. Moltissimi si spostarono nei Paesi Bassi. Ad Anversa divennero importanti per il traffico delle spezie. Quando le Province Unite attuarono il blocco della città (1595), si trasferirono ad Amsterdam. Nei 50 anni seguenti la pace di Westfalia, le comunità in questa città raddoppiarono il loro numero. Qui potevano occuparsi anche del commercio e della lavorazione dei diamanti, dove non vi erano ancora corporazioni ad ostacolarli. Il grande giurista Ugo Grozio, su richiesta degli Stati Generali delle Province Unite, diede il proprio parere riguardo la situazione ebraica, stabilì che doveva essere concessa loro la libertà di culto. Nel 1615 gli Stati Generali autorizzarono gli ebrei a praticare la loro religione, ma furono ancora vietati i matrimoni misti. Nel 1657 fu loro concessa la cittadinanza. Il ritorno alla religione dei padri non fu indolore. Si verificarono svariati episodi di eterodossia e conseguenti scomuniche (cherem). Di notevole rilievo fu il ruolo svolto nelle svariate colonie olandesi e, in particolare, nel 1564 giunsero a Nuova Amsterdam, destinata a divenire New York, dove nel 1792 furono tra i fondatori della borsa di Wall Street. Questo fu possibile perché il calvinismo era meno ostile nei loro confronti. Infine, nel 1664, Carlo II legittimò la loro presenza anche sul suolo inglese. Gli Ashkenaziti, ebrei di origine tedesca, crearono nuove comunità in Germania e Boemia. A Praga vennero tolte le limitazioni nel campo dell’artigianato e presto divenne la seconda comunità d’Europa in assoluto, dopo Roma. La Guerra dei trent’anni fu un occasione di rilancio per gli ebrei tedeschi, che fecero fortuna come fornitori delle truppe e mercanti di cavalli. Diversi finanzieri divennero “ebrei di corte”, cioè banchieri della corona. Questo comportava l’immunità e l’esclusione dai dazi. Il prestigio che raggiunsero fu tale da migliorare le condizioni di tutti gli altri. Purtroppo, al termine della guerra subirono nuovi soprusi e fallimenti economici, perché legati ad un unico potente. Vi furono però alcune notevoli eccezioni. Molti degli ebrei, espulsi dopo la guerra dalle città imperiali, si diressero verso la Polonia e la Lituania. In questi stati si occuparono della gestione delle terre signorili tramite un accordo detto arenda, con la quale le proprietà venivano prese in affitto e gestite dall’affittuario. Grazie alla debolezza delle corporazioni, in Polonia orientale ed in Lituania poterono entrare nei settori dell’artigianato e del commercio. In queste regioni formavano la maggior parte del ceto borghese. In Polonia occidentale la situazione era più difficile, in particolare a Varsavia, dove non potevano neppure entrare. Nell’Europa orientale vivevano in piccoli villaggi, shtetl, e parlavano una lingua, yiddish, che era un misto tra tedesco antico, ebraico e slavo. Queste comunità diedero origine al Consiglio dei Quattro Paesi; un parlamento che fino al XVIII secolo esercitò poteri di governo sugli ebrei. La situazione in Polonia si fece critica con Sigismondo III Vasa e il consolidamento della Chiesa Cattolica sul territorio. Nel 1647 scoppiarono i POGROM, devastazioni ed eccidi causate da contadini, COSACCHI, che chiedevano rivendicazioni sociali e che, tra i loro bersagli preferiti, avevano gli ebrei che venivano visti come la prima causa della loro miseria. Infatti in un’economia basata sull’affitto dei terreni, si trovavano in contatto diretto solo con i giudei e non con i nobili. Vi fu una nuova diaspora verso l’occidente, anche se le comunità orientali mantennero una notevole importanza. Ancora una volta si diffuse il messianismo. Nel 1651 Shabbatai Zevi annunciò la prossimità della venuta del Messia. Cominciò a predicare l’antinonismo, dottrina di trasgressione della legge. Tra le altre mancanze vi era il pronunciare il nome di Dio. In seguito dichiarò di essere lui stesso il Messia, peregrinò in varie comunità, fungendo da regista ad un vasto movimento popolare. Molti giudei sperarono di poter rientrare nella terra d’Israele, grazie all’intervento di mediazione che Shabbatai stava attuando col sultano. Quando però fu arrestato accettò la conversione all’islamismo pur di evitare la morte. Alcuni suoi seguaci formarono una setta giudaico-musulmana. Questi episodi non cambiarono la generale predisposizione degli ebrei ad inserirsi nella società moderna. La loro stessa religione incoraggiava la razionalità e l’amore verso il prossimo, mentre rifiutava l’ascetismo e non faceva della ricchezza una colpa. Gli ebrei coltivavano così l’impegno di solidarietà sociale, con la ricerca della prosperità individuale. Furono i primi ad insegnare all’occidente che il denaro era una merce come le altre e che portarono agli uomini la passione per la continua ricerca della verità. Portarono inoltre il disincanto verso l’ordine sociale costituito, poiché per loro solo l’etica era sacra e nessun potere umano poteva esserlo. Il cammino verso l’integrazione non fu lineare e molto diverso in oriente e occidente. Nel primo si sarebbe chiuso in se stesso, mentre nel secondo sarebbe progredito, anche se ricco di contraddizioni e profonde tensioni che sarebbero esplose poi nella Shoàh. LA RELIGIONE EBRAICA I PRINCIPI L’ebraismo, progenitore di tutte le altre religioni monoteistiche, è centrato non sull’idea di un profeta o salvatore ma su quella di POPOLO ELETTO; è infatti inconcepibile pensare l’ebraismo senza il concetto di “popolo”. Questa religione non ha dogmi definiti, è infatti una specie di “convergenza di opinioni tra i credenti”. È anche per questo che lascia la possibilità di un’interpretazione individuale. Tuttavia è possibile individuare una serie di principi su cui si basano i credenti; essi, formulati da Mosé Maimonide, sono 13 e vengono recitati in forma di preghiera quotidianamente: 1. Fede nell’esistenza di Dio 2. Nella sua unità 3. Nella sua incorporeità 4. Nella sua eternità 5. Adorazione di un solo Dio 6. Fede nei profeti 7. Mosé è il più grande dei profeti 8. Fede nell’origine divina della Torah 9. Fede nella sua immutabilità 10. Fede nell’onniscienza di Dio 11. Dio ricompensa i buoni e punisce i malvagi 12. Fede nella venuta del Messia 13. Fede nella resurrezione dei morti In aggiunta a questi, pur non trovandolo tra le scritture, ma insito nel pensiero comune, vi è la “Fede nell’elezione divina di Israele”. La SHEMA’, o professione ebraica di fede (“Ascolta, Israele, il Signore Iddio nostro è l’unico Dio”), riassume in sé i principi essenziali dell’ebraismo che sono la fede nell’esistenza di Dio e l’adorazione di un solo Dio. LA FIGURA DI DIO Dio nell’ebraismo è al di là del tempo e dello spazio e l’universo è a lui subordinato; Egli è trascendente e immanente, esiste al di fuori del mondo e nello stesso tempo è coinvolto in esso. Dio ha donato al suo popolo la Torah (il libro sacro), che sancisce il legame diretto con quest’ultimo: per questo è vietata la preghiera rivolta a Dio per mezzo di un intermediario. E’ in quest’ambito che deve essere ricercato il motivo dell’assenza di veri e propri sacerdoti addetti al culto. LA REDENZIONE E L’IMMORTALITA’ DELL’ANIMA Per gli ebrei verrà il giorno in cui questo mondo sarà perfezionato. La figura chiave di questo perfezionamento sarà il Messia. E’ in base a tale pensiero che, all’interno della religione ebraica, ha preso sempre più piede l’idea di una futura era messianica. In tale epoca le anime di tutti i morti verranno riportate in vita dalla bontà di Dio e si riuniranno al corpo sulla terra. E’ una concezione diversa da quella cristiana, per la quale il Paradiso è ultraterreno. L’ebraismo non è quindi una religione salvifica: esso vede questa vita come buona in se stessa e non solo come un mezzo per acquisire la salvezza eterna. Non è nemmeno una religione esclusivista (vale a dire incentrata solamente sul popolo ebreo di nascita); anche i convertiti, e non solo, possono partecipare alla salvezza: Dio ama i giusti di tutti i popoli. L’idea di Israele come città scelta da Dio per servirlo non è razzista: chiunque si converta all’ebraismo può partecipare al compito di Israele di risanamento del mondo (pur sempre restando, da parte ebrea, il carattere di prescelti). OBBLIGHI DEL CREDENTE La descrizione più vivida di quel che l’ebraismo richiede dai suoi aderenti ricorre nel libro del Deuteronomio. “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.” Le osservanze rituali, non sono (per quanto importanti) i tratti fondamentali della fede ebraica. Al centro di tutto infatti sta una affermazione etica: l’uomo può imitare Dio attraverso la Giustizia, la Rettitudine, la Santità e mostrando compassione. E’ per questo che i rabbini durante i secoli hanno affiancato alle leggi e alle azioni imposte, una più considerata “moralistica” volta a combattere le male azioni umane. Tuttavia l’ebraismo non dice che la vita deve essere perfetta; essa deve essere vissuta come dono di Dio; l’ebreo deve solo non approfittarne e santificarla. Egli deve “cercare di non commettere peccato”. Regolano quotidianamente la vita dell’ebreo un numero esoso di norme che vengono tratte dal Levitico. Si basano sui principi di “puro” e “impuro”. Non devono essere intesi come simili di buono e cattivo, in quanto riguardano comportamenti sempre moralmente meritevoli che devono essere eventualmente, nel caso della “impurità”, espiate attraverso una penitenza personale. Tali concezioni furono introdotte dalla comunità rabbinica per mantenere una netta distinzione tra ambito umano e divino. Infatti compiere atti impuri è considerato, dall’ebraismo, sfidare la potenza di Dio, cercando di porsi sullo stesso livello. Ad esempio avvenimenti quali il parto e la morte, legati ai principi di nascita e fine di una vita, decisi da Dio, pur essendo considerati positivamente, pretendono una successiva purificazione di colui che ha preso parte ad un evento troppo vicino alla sfera del divino. L’uomo non può sostituirsi a Dio. I LIBRI SACRI Il culto si svolge nella sinagoga (o tempio ebraico). I servizi vengono officiati dal rabbì e dal cantore (colui che legge le preghiere in musica), figure non essenziali in quanto ogni ebreo può celebrare un qualsiasi servizio. Le funzioni religiose si basano sulla Torah, che viene conservata nel “armadio sacro” (posto sempre sulla parete rivolta verso Gerusalemme). La Torah o Pentateuco è l’opera principale della letteratura religiosa ebraica e contiene i primi cinque libri della Bibbia. Esso non è vocalizzato, quindi è il lettore che deve sapere inserire la componente vocalica. A livello di contenuto il Pentateuco costituisce il fondamento dei precetti religiosi. Le restanti parti della Bibbia sono occupate, in ordine d’importanza, da i libri dei Profeti e degli Scritti. Dallo studio e dalla discussione della Torah furono scritti la Mishnah ed in seguito la Ghemarah, che furono racchiuse nel Talmud. La tecnica usata per commentare il testo era l’esegesi, evitando qualsiasi interpretazione allegorica. Gli approfondimenti razionali intorno alla materia religiosa furono continui, tanto da arrivare a affermare che “Dio [era] come interrogazione infinita di Dio”. GERUSALEMME: PATTO DI ALLEANZA La città più rilevante per gli ebrei e per la religione ebraica è Gerusalemme (sede del primo tempio nell’antichità e capitale oggi dello Stato d’Israele), ritenuta santa. Tale concetto deriva dal carattere di questa quale centro e simbolo concreto dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Essa si tramutò da fortezza collinare a fulcro della religiosità ebraica, dopo che Davide l’ebbe strappata ai Gabusei. Egli stabilì in questo luogo la sua capitale e vi fece trasferire il santuario israelita centrale (Arca del Signore). Gerusalemme divenne come una capitale spirituale da cui la parola di Dio avrebbe dovuto dipartirsi per arrivare a tutta l’umanità, sede della Giustizia e della Rettitudine e città messianica di Dio. DIVISIONI ALL’INTERNO DELL’EBRAISMO All’interno dei dodici milioni di ebrei presenti al giorno d’oggi nel mondo sussistono delle divisioni, sia etniche sia religiose. A livello etnico possiamo notare come questi si suddividano in ebrei orientali, residenti in Spagna, Portogallo e Israele, e quelli del resto d’Europa. Per quanto riguarda invece l’ambito religioso distinguiamo tra ebrei sionisti (credono nello stato di Israele come una nazione e come il proprio futuro) ed ebrei non sionisti (credono l’ebraismo solamente una religione); inoltre è molto importante la differenziazione tra Ortodossi e Riformisti. Questi ultimi due gruppi costituiscono le più importanti divisione dell’ebraismo. Vediamo su cosa si basano le loro incongruenze: l’ortodossia ritiene decisamente che il testo attuale del Pentateuco è la parola di Dio “infallibile, sublime, creata prima del mondo” e che tutto il criticismo biblico sia un’eresia. I riformisti invece credono fermamente nella reinterpretazione, affermata dalla Bibbia, della rivelazione, non arrivando più ad affermare l’immutabilità della legge divina. Inoltre tra le due correnti possiamo individuarne una terza: l’ebraismo conservatore statunitense. Esso afferma che i precetti del Pentateuco sono vincolanti per il popolo ebreo poiché hanno acquisito un valore di “tradizione” per la comunità. Tuttavia entrambi questi gruppi sono d’accordo sull’importanza del valore “etico” della legge. EBREI, GIUDEI, ISRAELITI, ISRAELIANI La parola “ebreo” deriva dal termine biblico Eber, nome di un discendente di Sem. questa significava “regione posta al di là”: infatti gli ebrei inizialmente risiedevano nella zona al di là dell’Eufrate. Per quanto riguarda la parola “giudeo”, si possono richiamare due diverse derivazioni: da una parte indicherebbe il popolo abitante la Giudea (regione d’Israele); dall’altra parte essa deriva da avvenimenti storici legati al popolo d’Israele. Dopo la morte di Salomone, il regno da lui fondato fu scisso in due: quello d’Israele a nord e quello di Giudea (con Gerusalemme) a sud. Quando l’Impero babilonese conquistò la Giudea, gran parte di questo popolo fu deportato e volendo conservare la forma di religione, ma non avendo più il Tempio di Gerusalemme, attuò in essa delle modifiche: non più importanza ai sacrifici ma più alla parola, assieme alla rigorosa osservanza del Sabato. Quindi essendo stata attribuita l’autenticità a questa seconda teoria da numerosi studiosi ed etnografi, il termine “giudaismo” intende la forma (cambiata) della religione ebraica, dopo l’esilio in Babilonia. In sostanza quindi l’uso di “ebreo” o “giudeo”, ai nostri giorni, è pressoché uguale. Ma anche il termine “israelita” deve essere chiarito nel suo significato. Esso però, diversamente dalla parola GIUDEO (le cui origini sono più incerte), ha un significato ben preciso: designa tutti gli abitanti dello Stato d’Israele; è perciò sbagliato attribuirgli il valore di EBREO.