Dispense Poesia Contemporanea TLS 2011-12

Leonardo Sinisgalli
Monete rosse
I fanciulli battono le monete. rosse
contro Il muro. (Cadono distanti
Per terra con dolce rumore.) Gridano
A squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
E dolcissime ingiurie. La sera
Incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue.
Il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
Vicino all'altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
La sua mano vittoriosa (da “Vidi le Muse”, 1943)
DOVE LATRA LEGGERA
Dove latra leggera l'anima dei cani
E il grido del fanciullo si tende al guizzo
Della fionda, e di tutto il giorno è vano
Ogni altro segno (questa vena grossa
Sul dorso della mano), il 14 luglio
Sono sceso nel regno dei morti, tra i gatti
E le pernici che fan festa sotto i tavoli.
Resterà in queste parole l'ebbrezza
Della mosca nel sole, l'occhio
Del cacciatore indifferente?
Tarquinia, 1940 (ibidem)
Tu [Contini] hai capito meglio di ogni altro che la poesia ha una sua misteriosa finalità, che nell’azione
del poeta, per la nascita e lo sviluppo della poesia, entrano in giuoco delle cariche di energia
incommensurabili, che vivono magari per attimi infinitesimali e si consumano in un soffio. Tuttavia non
sono i fenomeni del mondo fisico che possono offrirci qualche analogia di questi transiti, ma proprio
alcuni fenomeni biologici cosmici e nucleari. […] Ora che tu sei passato a considerare la natura sintropica
della poesia, potrai trovare molti lumi nell’opera di questo mio antico maestro [Luigi Fantappiè]. Io mi
sono spesso domandato quale può essere il fine della poesia. E mentre mi riusciva impossibile stabilire la
causa della poesia (ora so che la causa non c’è), capii che alle parole era commesso semplicemente
l’obbligo di conservare nel tempo la memoria del poeta (Furor Mathematicus, 1950, nuova ed. 1992, p.
200 s.)
1
Antonella Anedda
Antonella Anedda-Angioy è nata nel 1955 e vive a
Roma (con frequenti soggiorni in Sardegna).
Esperta di storia dell’arte, collabora con quotidiani
e riviste, e ha pubblicato traduzioni e poesie: da
segnalare le raccolte Residenze invernali (1992),
Notti di pace occidentale (1999), Il catalogo della
gioia (2003), Dal balcone del corpo (2007). Ha pubblicato pure
vari saggi e testi narrativi (Cosa sono gli anni, 1997; La vita dei dettagli, 2009).
Notti di pace occidentale è una raccolta che propone
testi spesso impervi e caratterizzati da un lirismo di tipo simbolistico e da frequenti allusioni
a elementi pittorici. Si coglie però una tensione
emotiva che in molti casi supera i vincoli di una ricercata
oscurità, per riuscire ad affrontare il rapporto
tra la guerra e la pace nell’epoca contemporanea,
e soprattutto nel mondo occidentale.
[La metrica]Versi liberi divisi in quattro strofe (tutte di tre versi, eccetto la seconda, di quattro versi
irregolari), con una significativa presenza di endecasillabi*, a volte non canonici (cfr.
vv. 2, 7, 11, 12, e anche 1 e 13).
Edizione di riferimento: Antonella Anedda, Notti di pace occidentale, Donzelli, Roma 1999.
Per trovare la ragione di un verbo
Il componimento che proponiamo si caratterizza per la raffinatezza delle immagini e per la
forte carica simbolica, che può rinviare ai grandi temi della pace e della guerra.
Notti di pace occidentale
Per trovare la ragione di un verbo
perché ancora davvero non è tempo
e non sappiamo se accorrere o fuggire.
Fai sera come fosse dicembre
sulle casse innalzate sul cuneo del trasloco
dai forma al buio
mentre il cibo s’infiamma alla parete.
Queste sono le notti di pace occidentale
nei loro raggi vola l’angustia delle biografie
gli acini scuri dei ritratti, i cartigli dei nomi.
Ci difende di lato un’altra quiete
come un peso marino nella iuta
piegato a lungo, con disperazione.
10. cartigli: piccoli rotoli di carta aperti (probabilmente dipinti o
scolpiti), con l’indicazione di nomi.
12. peso marino: ‘oggetto emerso dal mare’. – iuta: fibra tessile
con cui si fabbricano balle e teli da imballaggio (dall’inglese
jute, nome della pianta erbacea di origine indiana).
2
Valerio Magrelli
Valerio Magrelli (Roma, 1957) è traduttore e docente universitario di Letteratura francese (si è occupato
a lungo, tra l’altro, di Paul Valéry). Le sue poesie, molto apprezzate, sono uscite in varie raccolte
(Ora serrata retinae, 1980; Nature e venature, 1987; Esercizi di tiptologia, 1992), e poi riunite, con
aggiunte, in Poesie (1980-1992) e altre poesie (1996), cui sono seguiti Didascalie per la lettura di
un giornale (1999) e Disturbi del sistema binario (2006). È anche saggista e narratore, avendo pubblicato fra
l’altro il testo autobiografico-narrativo Nel condominio di carne (2003), il saggio Nero sonetto solubile
(2010) e la serie di microracconti Addio al calcio (2010).
La formazione filosofica di Magrelli si coglie in molti suoi testi, che conducono anche gli eventi
quotidiani a un piano di significato più alto. Si può dire che la base della poesia di questo autore sia
intimamente “traduttiva”: ovvero, che la “traduzione” dei fenomeni della realtà in altri, spesso legati
all’astrazione del pensiero, costituisca per Magrelli il fondamento del poetico. Questa traduzione
implica una strenua esattezza, e infatti la cura formale è perfetta e addirittura ossessiva in queste
raccolte (ricche di componimenti in metrica tradizionale), quasi una sfida intellettuale per riuscire a
“rendere forma” l’essenza del reale. Negli ultimi testi di Magrelli, peraltro, si fa più forte una tendenza
ironico-satirica, presente pure nei testi che proponiamo: si tratta di due canonici sonetti*, riuniti
sotto il titolo Ecce video, che trattano del rapporto fra vita reale e vita virtuale, trasmessa attraverso
il “video” televisivo.
[La metrica]
Sonetti* di endecasillabi, entrambi a rima ABAB, CDCD, EFE, FEF.
Edizione di riferimento: Valerio Magrelli, Ecce video, in Poesie (1980-1992) e altre poesie, Einaudi, Torino
1996.
Due sonetti
I due sonetti di Magrelli che proponiamo si contraddistinguono non solo per la raffinatezza
dell’elaborazione formale (specie nell’uso delle rime), ma anche per l’originalità con cui viene
trattato un tema ormai consueto, il rapporto realtà-virtualità televisiva.
Ecce video, I-II
In memoriam E. H.
ritrovato nel suo
appartamento
nove mesi dopo il decesso
seduto davanti alla tv
I. Morì fissando il suo Televisore
la sfera di cristallo del presente,
guardava il Niente e ne vedeva il cuore,
cercava il Cuore e non vedeva niente.
Chi sfidò il lezzo del buio malfermo
si accorse che veniva dall’Illeso,
non dal Morto, ma dal Morente Schermo,
non dal Corpo, bensì dal Video acceso.
Carogna divorata dagli insetti,
il Monitor frinisce e brilla breve
senza più palinsesti e albaparietti.
La Sua vita larvale svanì lieve
(goal, quiz, clip, news, spot, film, blob, flash, scoop, E.T.),
circonfusa di niente, effetto neve.
3
6. Illeso: attributo ironicamente sacrale, riferito al Televisore.
11. palinsesti e albaparietti: il palinsesto è la scaletta di una trasmissione
televisiva; Alba Parietti è una nota soubrette, qui diventata
un sostantivo generico per indicare i tanti personaggi
che affollano il mondo della TV.
12. Sua vita larvale: ‘la Sua (del Televisore) vita implicita (larvale)’.
13. goal... E.T.: serie di termini tecnici relativi al mondo della televisione
(tutti monosillabi anglosassoni), salvo E.T., che indica il
personaggio di un celebre film (1982) del regista statunitense
Steven Spielberg.
14. effetto neve: con questa espressione si indica la tempesta di
puntini bianchi che invade lo schermo quando s’interrompe la
trasmissione delle immagini.
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II. Per interposta decomposizione
(Transfert, Pasqua del Video, Eucarestia)
la parodia della Resurrezione
ebbe la forma di Tele-patia.
Fu una morte mimetica, vicaria,
e l’animula vagula, farfalla
luminosa del pixel, volò in aria,
blandula bolla che ritorna a galla.
Quale anima risale verso il cielo?
Se la merce, marcito status symbol,
si fa carne corrotta, rotto il velo
l’Immagine si muta in cirro, nimbo,
diventa puro spolverio, sfacelo,
onda di impulsi e interferenze, Limbo.
1. interposta decomposizione: la decomposizione dello spettatore,
che sostituiva quella del Televisore.
2. Transfert: qui ‘spostamento’ della morte, dall’uomo al televisore;
nella psicanalisi, con questo termine (francese, dal verbo latino
transferre ‘trasportare’) si intende soprattutto la trasposizione
dei desideri inconsci del paziente (risalenti al suo passato) nei
confronti dell’analista, un procedimento psichico centrale nella
terapia psicanalitica.
4. Tele-patia: da intendersi in senso etimologico (‘sofferenza a distanza’),
e anche in quello di ‘sofferenza dovuta alla televisione’.
5. morte... vicaria: ‘morte fatta a imitazione e sostituzione’, ossia,
la vera morte non era quella dello spettatore, ma quella del
Televisore.
6. animula vagula: citazione di un famosissimo verso dell’imperatore
e poeta latino Marco Aurelio (161-180 d.C.), completato
al v. 8 con blandula (una traduzione potrebbe essere: ‘Animuccia
(mia), vagante, dilettevole’).
7. pixel: il pixel è l’unità elementare in cui si scompone un’immagine
digitalizzata.
11. rotto il velo: metafora* consueta per intendere ‘fuoriuscita
dal corpo’ (qui dal Televisore).
14. Limbo: qui, ‘entità (spaziale) non definibile’.
4
Milo De Angelis
Milo De Angelis è nato a Milano nel 1951. La sua prima raccolta poetica, Somiglianze (1976), ha ottenuto
notevolissimi consensi, mentre molto più discussa è stata la successiva Millimetri (1983). Ha
pubblicato poi fra l’altro Terra del viso (1985), Distante un padre (1989), Biografia sommaria
(1998), Dove eravamo già stati (2001), Tema dell’addio (2005), Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010),
e anche raccolte di saggi, racconti e interviste. Ha proposto pure riflessioni critico-teoriche
sulla rivista «Niebo» da lui diretta, in particolare riguardo al simbolismo e all’orfismo in poesia.
Terra del viso è una raccolta che propone numerosi testi ancorati a vicende storiche recenti: non a
caso la prima sezione si intitola Nella storia. Tuttavia la vocazione simbolistico-metaforica*, senz’altro
forte in Milo De Angelis, si fa largo molto spesso, e soprattutto nella seconda sezione, Pezzi di ragione,
che espone riflessioni sulla vita e sulle sue forme. La tensione gnoseologica diventa qui particolarmente
notevole (mentre si allenta nella terza sezione, Per quali ragazzi?), e trova consonanze con
il pensiero di filosofi-scrittori francesi molto cari a De Angelis, come Maurice Blanchot, oltre che con
la lirica di poeti come Arthur Rimbaud.
[la metrica]Versi liberi, ma con una discreta presenza di endecasillabi* (canonici e non), soprattutto
nella conclusione del secondo componimento (vv. 6-9).
Edizione di riferimento: Milo De Angelis, Terra del viso (1985), ora in Poesie, Mondadori, Milano 2008
Terra del viso, Pezzi di ragione IX e XI
IX. L’universo che vacillava e i cani
con il buio contro i propri occhi:
soltanto una linea qualche volta
sotto lo strato sonoro del torrente.
Forme geniali o erbe che si spolpavano
al confine con le rotaie
più certe di allora e fissità
non portano via prima di capire:
così la storia perpetua tregua
o questi contadini che restano nella nebbia
adirandosi a ciascun tramonto,
materia del viso, bacche insanguinate.
XI. Brancolante nell’uomo e, più tardi,
nel dormitorio senza finestre e nella luce
della ferrovia che si alza sul tempo
rispose nascendo. La vita, spogliata
di ogni cosa, la vita che è solo vita,
ha gettato il suo ciclo sulla massa
di azoto che una lampadina trae,
anche il dubbio, dove si annullerà,
dopo la tovaglia e la cena calda.
X.5. Forme geniali: da intendersi nel senso di ‘entità nate sotto la protezione del genius loci’, cioè della divinità protettiva del luogo (più
banale l’interpretazione: ‘forme intelligenti’).
XI.4. rispose nascendo: il soggetto può essere individuato nel successivo La vita.
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Mario Benedetti
Mario Benedetti è nato a Udine nel 1955. Vive e lavora a Milano. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, in
parte riunite nel 2004 sotto il titolo Umana gloria (edizioni Mondadori). Nel 2008 è uscita la raccolta Pitture
nere su carta, caratterizzata da un’estrema sinteticità dei versi, spesso costituiti da elenchi di oggetti e da
brevi frasi prive di nessi esplicativi. Ha illustrato la sua poetica nel volume di riflessioni in prosa e in versi
Materiali di un’identità (Transeuropa, Massa 2010).
[la metrica]Versi liberi, ma con una discreta presenza di endecasillabi* (canonici e non), soprattutto
nella conclusione del secondo componimento (vv. 6-9).
Edizione di riferimento: Mario Benedetti, Pitture nere su carta, Mondadori, Milano 2008.
Supernove
1.
Candida rosa, fiore maturo,
la mente sospesa dal corpo si disnoda.
Grande Nube. Bianca, fucsia. Bianchi,
innumeri frammenti nel nero.
Corte celeste, moltitudine volante
di banco in banco, di foglia in foglia.
Aurea fiamma degli spiriti assolti.
Eco di luce che non da sé è vera.
2.
Stella in esplosione. Anelli
Concentrici. Cede
la vista, cede la memoria…
sicut oculus videns excellentissimum sensibile.
Oh… come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova…
eco di luce che non da sé è vera.
COMMENTO (da A. Casadei, Poetiche della creatività, B. Mondadori, Milano 2011)
Nei due testi l’elencazione parte da e arriva in un mondo già ri-creato: il Paradiso dantesco della “candida
rosa” (incipit del dittico) e del “come si convenne / l’imago al cerchio e come vi s’indova” (Supernove 2, vv.
5-6; cfr. Pd. 33.137 s.). Ma l’intero testo si sostanzia in una riflessione attuale sulla partitura del punto più
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alto della poesia conoscitiva,1 quella che ha parlato di Dio non solo per via filosofica o mistica, bensì ‘in
forma di parole’: al posto di Dio, però, starebbe l’esplosione che genera una nuova stella, con una
luminosità emanata da una “Grande Nube”, bianca e fucsia, tale da lasciare frammenti lattiginosi persino
nel nero cosmico. È in questa nuova (pure nel senso di ‘eccezionale’) visione che si realizza lo scarto
conoscitivo: rispetto alla visione filosofico-teologica del primo Trecento, riassunta grazie a una ripresa del
commento di Benvenuto da Imola a Par. 33.76-78,2 qui la posizione dell’io quasi si annulla nello stupore,3 e
resta come in sospeso riguardo al senso che deve essere attribuito alla luce che potrebbe essere “Aurea
fiamma degli spiriti assolti” (Supernove 1, v. 7). Tuttavia, la poesia non può condurre a un’unica
spiegazione: non accerta la verità, accerta la richiesta di senso del mondo: Benedetti parte
dall’interpretazione offerta nel Paradiso, constatando la riduzione scientifica a puro fenomeno di quanto
era sembrato manifestazione del divino. Come recita il quasi-endecasillabo che chiude entrambe le parti
del dittico: “eco di luce che non da sé è vera”, e che ricrea ancora una volta un verso dantesco (“de l’alta
luce che da sé è vera”: Pd. 33.54), ma adattandolo, come l’autore ha dichiarato in alcune interviste, alla
realtà appunto delle Supernove. Lo spazio della poesia sta qui nella specificazione “non da sé”: qualunque
ipotesi scientifica, filosofica, teologica o di altro tipo sull’essenza della luce che ci arriva, dalla stella
generatasi, come pura eco, è vera solo in modo mediato, per analogia o sinestesia, non per una sua
evidenza assoluta. L’ambito poetico nel quale essa viene collocata è dunque carico di tensione conoscitiva,
che non si estrinseca in una regola ma in un’affermazione emersa da un percorso pre-razionale (le ‘visioni’
della supernova) e poi razionale (il confronto con il modello dantesco e le sue implicazioni gnoseologiche).
È riconoscibile una vera e propria tessitura dantesca, sostanziata di vocaboli o sintagmi come ‘mente sospesa’ (Pd.
33.97), ‘si disnoda’ (cfr. Pg. 14.57), ‘corte celeste’ (cfr. Pd. 10.70: “corte del cielo”), ‘di banco in banco’ (Pd. 31.16),
‘cede / la vista, cede la memoria’ (cfr. Pd. 33.56 s.).
2
Scrive Benvenuto (il commento è consultabile tramite Cibit): “oculus namque humanus cum videt excellens sensibile,
sicut radium solis, debilitatur et redditur inabilis et impotens ad videnda alia visibilia minora; e contra autem oculus
intellectualis videns excellentissimum sensibile, sicut radium solis aeterni, vigoratur et efficitur potens ad videndum
perfectius illud lumen et alia inferiora; simile est in aliis, quia si in uno genere scibilis intelligo quod difficilius est,
multo magis quod facilius est”; cfr. Supernove 2, v. 4.
3
“Oh…”, Supernove 2, v. 5: ma è esclamazione presente varie volte nella raccolta, sino alla sua chiusa: “Qui. / Oh.” (p.
107).
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