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Saranno uniti nella tua mano
Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani
(18-25 gennaio 2009)
Enrico Maria Sironi
Saranno uniti nella tua mano. È il tema che il Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani e la Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese
hanno scelto per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e per tutto l’anno 2009. Il testo
biblico da cui è desunto è quello di Ezechiele 37,15-28, relativo alla missione affidata da Dio al suo
profeta di annunciare a Israele, diviso in due regni contrapposti, la certezza della riunione. È
significativo che i testi proposti per la riflessione e la preghiera siano stati preparati dalle Chiese
della Corea. Vivendo nella sofferenza per la divisione del loro Paese, hanno trovato nel profeta che
ha sperimentato la tragedia della separazione, l’ispirazione e l’incoraggiamento a mantenere viva la
speranza nell’unità dei cristiani e della nazione, contribuendo alla sua realizzazione.
La volontà di Dio per l’unità delle tribù di Israele in un’unica nazione è esplicita, come pure
è sua l’iniziativa di suggerire il significativo gesto profetico. Dio si serve di Ezechiele per
proclamare e realizzare il progetto della riunificazione del suo popolo richiamandolo innanzitutto
alla conversione e al rinnovamento, dato che la separazione è stata generata dal peccato della
disobbedienza e dell’idolatria in particolare, con le relative conseguenze delle deportazioni. Il
profeta annuncia che l’unità, in quanto dono di Dio, è una creazione nuova che esige una
purificazione radicale, un ritorno a lui. Dio solo può ristabilire l’alleanza di pace, può riconciliare il
cuore umano e far nascere una situazione nuova... nelle sue mani: «L’ho detto e lo farò... Farò di
loro un solo popolo» (Ez 37,14.22).
Il simbolo dei due legni riuniti in uno solo nella mano del profeta, evoca anche la divisione
dei cristiani e prefigura la certezza della loro riconciliazione nella mano di Dio. Come cristiani,
nonostante lo scandalo e la contraddizione delle separazioni ancora in atto, siamo chiamati a non
scoraggiarci e a non rinunciare alla possibilità reale del cambiamento della situazione, a proclamare
invece l’urgenza dell’unità nel nome del Signore, che sarà ristabilita come e quando lui vorrà, e a
collaborare con slancio e gioia al suo ripristino, da veri profeti, ognuno secondo le proprie capacità.
Aspiriamo infatti alla piena e visibile comunione in Cristo, nella Chiesa da lui fondata una e unica,
nel segno della croce. I due legni riuniti la richiamano con evidenza, per ricordare che è l’amore di
Gesù Cristo che riunisce, col dono totale di sé, a caro prezzo. A Sibiu, mi aveva colpito
un’espressione del card. Péter Erdö: «Non c’è spazio per trionfalismi o facili entusiasmi. Il
cammino ecumenico ha la durezza della croce».
Per questa causa santa, che non può non appassionare tutti i cristiani, siamo invitati a
pregare incessantemente (cfr. 1 Ts 5,17), cioè all’impegno costante, regolare e quindi non soltanto
alcuni giorni all’anno, come pure alla conversione del cuore, alla santità della vita, all’offerta della
sofferenza o addirittura all’offerta totale della propria vita, se il Signore lo richiede; in una parola, a
rimanere nel cuore del movimento ecumenico che è sorto per impulso della grazia dello Spirito
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Santo, come «via della Chiesa»1. Altrimenti ne va della testimonianza e della credibilità
nell’evangelizzazione del mondo che ha bisogno di solide fondamenta e della proclamazione della
speranza. Pregare per l’unità dei cristiani, fulcro di ogni preghiera cristiana e «filo rosso che lega il
cammino ecumenico»2 dalle sue origini, è riconoscere che la nostra fiducia, unita alla speranza, è
posta in Dio. È vero che per tendere all’unità sono importanti gli incontri, i dialoghi, gli studi, la
testimonianza comune, la variegata collaborazione e la missione, ma la preghiera, personale e
comunitaria, è lo strumento privilegiato attraverso il quale lo Spirito Santo manifesta al mondo la
nostra volontà di riconciliazione in Cristo, obbedendo alla sua ferma volontà espressa nella
preghiera al Padre: «Siano perfetti nell’unità, perché il mondo creda» (Gv 17, 21-23).
Effettivamente, quando si ascolta insieme la Parola di Dio che emerge dalle Scritture e si prega
insieme tra cristiani, rimanendo nella preghiera di Gesù, «il traguardo dell’unità piena si fa più
vicino»3, perché Dio ci parla per unirci e ascolta la nostra supplica sincera. È lui che ci rivela in
Cristo novità e possibilità insospettate, cose grandi (cfr. Is 48,6; Ger 33,3) e ci indica come
penetrare nel mistero del movimento ecumenico in un orizzonte di fede, speranza e carità. Così,
l’impegno ecumenico viene percepito sempre meglio come «un imperativo della coscienza cristiana
illuminata dalla fede e guidata dalla carità», secondo l’espressione di Giovanni Paolo II4.
Mi permetto di segnalare ancora il prezioso testo preparato dal card. Walter Kasper come
Vademecum5 e aiuto pratico destinato a quanti hanno a cuore il ristabilimento dell’unità dei cristiani
e come sussidio incoraggiante a tornare alle radici spirituali dell’impegno ecumenico, per non
perdere l’ispirazione, la speranza e l’entusiasmo. Sì, «il movimento ecumenico del futuro – ama
ripetere il cardinale – o sarà un movimento spirituale e mistico, o cesserà di esistere!»6. È soltanto
da questa fonte che possono sgorgare i «gesti concreti»7 auspicati per «progredire verso l’unità nel
rispetto della multiforme pienezza della Chiesa»8. Benedetto XVI ci invita alla costanza nella
preghiera per l’unità, perché «non possiamo dubitare: un giorno saremo una cosa sola, come Gesù e
il Padre sono uniti nello Spirito Santo»9. Il raggiungimento della pienezza dell’unità dei cristiani
sarà un miracolo. Noi lo invochiamo e lo attendiamo, ma senza mai dimenticare che il fatto stesso
di perseverare nell’«andare verso l’unità è già una forma di unità»10.
La preghiera ardente di san Paolo, il conquistato da Cristo (Fil 3,12), l’araldo della Parola
divina e l’infaticabile costruttore dell’unità della Chiesa, ci incoraggia con l’esempio della sua vita e
con la sapienza del suo insegnamento, alla perseveranza nell’impegno ecumenico che è il «cantiere
della Chiesa del futuro»11 e richiede convinti «artigiani della riconciliazione e dell’unità»12, in
armonia con la volontà di Cristo che, abbattendo ogni muro di separazione e distruggendo in sé
stesso ogni inimicizia per mezzo della sua croce, vuole la riconciliazione in un popolo solo, in un
solo corpo, nell’unica Chiesa (Ef 2,13-16). Pagani e Giudei sono chiamati dall’Apostolo a
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Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Ut unum sint 7.
Cfr. SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI, Instrumentum laboris n.54, Libreria Ed. Vaticana 2008.
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ID., Ut unum sint 22.
4
ID., Ut unum sint 8.
5
W. KASPER, L’ecumenismo spirituale. Linee guida per la sua attuazione, Città Nuova, Roma 2006.
6
ID., Spiritualità ed ecumenismo, in Nicolaus 29(2002)2, 203.
7
BENEDETTO XVI, cfr. l’Omelia tenuta a Bari il 29 maggio 2005, in L’Osservatore Romano [OR] 30-31.05.2005, p.7.
8
ID., dal discorso alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, 30 giugno 2005, in OR 30.061.07.2005, p.13.
9
ID., Angelus, 22.01.2006, in OR 23-24.01.2006, p.4.
10
ID., Incontro col clero della Diocesi di Roma, 2 marzo 2006, in OR 4.03.2006, p.6.
11
W. KASPER, cfr. l’intervento scritto nella XXa congregazione generale del Sinodo dei vescovi, il 21.10.08, in OR
24.10.2008, p.8.
12
BENEDETTO XVI, Omelia, Basilica di S. Paolo fuori le Mura, 25 gennaio 2008, in OR 27.01.2008, p.1.
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riconciliarsi in Cristo che «ha fatto dei due un popolo solo» (Ef 2,13-16). L’espressione «tutti voi
siete uno in Cristo» (Gal 3,28) sembra volerci rassicurare che nella sua mano, nonostante tutto,
siamo già realmente uno, in un’unità sostanziale, anche se ancora imperfetta, perché «uno solo è il
Signore, una sola è la fede, uno solo è il battesimo» (Ef 4, 1-7). È appoggiandoci con fede sulla
preghiera di Cristo al Padre (Gv 17) e sulla sua parola, che possiamo riscoprire e valorizzare non
soltanto la nostra fondamentale identità cristiana, che ci accomuna pure nella diversità arricchente,
senza però accontentarci che sia incompleta, ma anche la nostra vocazione o tensione alla sua
completezza, confermandoci nella passione per il ripristino della comunione che lui vuole: «Siano
perfetti nell’unità» (Gv 17,23). La speranza che ci viene dall’abbandonarci nelle mani di Dio che
guida gli eventi e nelle sue dinamiche, genera in noi uno sconfinato ottimismo, unito al coraggio di
riuscire a concretizzare quanto viene dichiarato di comune accordo nei numerosi documenti del
dialogo ecumenico ed è di possibile attuazione comune. Il coraggio di divulgare, di recepire e di
osare viene dallo Spirito di Dio, che attende risposte di fattiva collaborazione; cedere invece alla
tentazione contraria, quella cioè dell’inerzia, accontentandosi di approntare e moltiplicare solo
accurate proposizioni e dichiarazioni, o di limitarsi a incontri e festose celebrazioni, corrisponde a
tradire la vocazione ecumenica, ignorando l’input a fare diventare patrimonio vitale comune i
risultati raggiunti.
Come ho già ricordato, il Decreto conciliare sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio,
afferma con chiarezza che la conversione del cuore e la santità della vita, insieme alla preghiera
privata e pubblica per l’unità dei cristiani, «si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento
ecumenico» (UR 8); conditio sine qua non, potremmo dire, per la sua sussistenza. Assurda infatti
sarebbe la pretesa di vivere come un corpo senza anima. Tale ecumenismo «non datur», non esiste!
(UR 7). Incontri, assemblee, studi, ricerche, dialoghi, documenti... sono utili e efficaci soltanto se
hanno un’anima che li vivacizza, se sono animati dallo Spirito di unità che sovente si serve della
collaborazione generosa di persone umili per raggiungere il suo scopo rendendole partecipi della
preghiera e dell’offerta di Cristo al Padre: «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi
consacrati nella verità... e siano perfetti (=consumati) nell’unità» (Gv 17, 19-23). La consacrazione
dei discepoli trova il fondamento sul sacrificio della croce e sul dono dello Spirito. La
consacrazione impegna la totalità dell’essere e dell’agire, implica l’oblazione totale e Gesù la
esprime e la compie per la consacrazione dei discepoli perché a loro volta siano anch’essi capaci di
offrire la loro vita per la stessa causa. Gesù era prossimo alla morte in croce... per riunire i dispersi.
Aveva detto: «Elevato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12,32). L’unità ha un costo: la croce.
Nel corso della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 1945 la Madre Maria
Oliva Bonaldo, fondatrice dell’Istituto delle Suore Figlie della Chiesa, parlando alle novizie per
illuminarle in particolare sul valore dell’ecumenismo spirituale e indicando nell’unità il fine
specifico dell’Istituto, nato da pochi anni (1938), aveva sottolineato l’importanza non solo della
preghiera con Gesù Cristo (Gv 17), ma anche dell’offerta della sofferenza per la causa dell’unità:
«Figliole, noi siamo nate per questo, per essere una cosa sola, affinché il mondo creda... Per questo
dobbiamo pregare, per questo dobbiamo soffrire». Dopo la lezione, una novizia, Maddalena
Volpato, chiedeva alla Madre il permesso di offrire la vita per l’unità dei cristiani. Il Signore l’ha
presa in parola. Ammalatasi gravemente, dirà: «Non mi pento, sono contenta, non mi tiro indietro...
Bisogna soffrire per la Santa Chiesa». Morirà il 27 maggio 1946, a 28 anni, da religiosa professa,
ora Serva di Dio13.
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Cfr. M. MARIA OLIVA BONALDO, Maddalena, Ed. Istituto Suore Figlie della Chiesa, Roma 1996; E.SIRONI, La
speranza del e nel movimento ecumenico, in Ecclesia Mater 36(1998)1, pp. 27-34, in particolare p. 32.
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Anche se la biografia non era ancora nota a Maddalena, l’aveva preceduta, quasi nella stessa
modalità, una suora trappista, Maria Gabriella Sagheddu (1914-1939) che, offrendo pure lei la vita
senza alcuna riserva a Cristo per la stessa causa e col permesso della Madre Abbadessa dopo
averne ascoltato un’istruzione comunitaria sul tema dell’unità, aveva poi affermato: «Mi sono
offerta interamente e non ritiro la parola. Sono pronta a tutto... Il Signore mi tiene sulla croce
nuda»14. Il loro esempio, unito a quello di altre persone ardenti e generose, anche sconosciute, ma
non a Dio, «ci istruisce, ci fa comprendere come non vi siano tempi, situazioni o luoghi particolari
per pregare per l’unità. La preghiera di Cristo al Padre è modello per tutti, sempre e in ogni
luogo»15.
Mi piace richiamare a tale proposito anche un pensiero del p. Congar, sempre vero e attuale:
«Non saranno gli uomini più informati e più intelligenti che faranno avanzare maggiormente la
causa santa dell’ecumenismo, sebbene il loro lavoro sia necessario e benedetto; saranno gli uomini
di preghiera, abitati e animati dallo Spirito»16. Senza farne un pretesto per esimersi dal lavoro
doveroso e faticoso che spetta indistintamente a tutte le Chiese e alle Comunità ecclesiali – è bene
ribadirlo – va riaffermato il principio enunciato da W. Temple a Edimburgo (1937), confermato a
Lund (1952) e in seguito ripreso più volte, secondo cui sarà solo avvicinandoci maggiormente a
Cristo che ci ritroveremo riuniti gli uni agli altri17.
Congiungere le nostre mani in preghiera nelle mani di Cristo che prega il Padre per i suoi
discepoli, esprime l’unità che di fatto già unisce realmente tutti i cristiani, nonostante le divisioni, e
li stimola a perseverare nell’impegno per il suo ristabilimento in pienezza, quella che lui vorrà e
quando vorrà, perché annunciando la divina Parola, la testimonianza sia più chiara e convincente,
senza scandali e contraddizioni. In questo modo, ritrovando le mani degli uni e degli altri nelle mani
di Cristo e stringendole insieme, ritroveremo il coraggio di avanzare verso l’unità nella verità e
nell’amore, perché il mondo creda e sia salvato.
L’unità piena e visibile dei cristiani, sarà un miracolo. Avverrà a caro prezzo e come «opera
imprevedibile dello Spirito divino» che richiede a tutti i cristiani purificazione e conversione
profonda. Ne era particolarmente convinto Paul Couturier quando, riflettendo sullo scopo della
Settimana di preghiera per l’unità, scriveva nel 1938: «Quando tutti, ortodossi, protestanti,
anglicani, cattolici, docili alla grazia, saremo saliti abbastanza in alto, ove i vapori umani sono
rarefatti, lo Spirito Santo, libero di agire su questa moltitudine leale, sincera e purificata, compirà il
miracolo della nuova Pentecoste, il prodigio della ri-unione. Persuadiamoci bene che lo scopo della
Settimana è un miracolo. Occorre che la nostra fede sia sufficiente e allora il miracolo avverrà»18.
Avverrà secondo la promessa del Signore: «Diventeranno una cosa sola nella mia mano» (Ez
37,19).
Cfr. PAOLINO BELTRAME QUATTROCCHI, La Beata Maria Gabriella dell’unità, Trappiste, Vitorchiano 1983; E.
SIRONI, Preghiera e conversione all’unità. Il messaggio e la testimonianza di Paul Couturier e Maria Gabriella
Sagheddu, in Nicolaus 27(2000)1-2, pp. 293-317.
15
GIOVANNI PAOLO II, Ut unum sint 27.
16
Y. CONGAR, Saggi ecumenici, Città Nuova, Roma 1986, p. 168.
17
Cfr. Enchiridion oecumenicum 6, 1137, 1476, 2420.
18
P. COUTURIER, Ecumenismo spirituale, Paoline, Alba 1965, pp. 87-88.
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