permanente di se perché consegnandosi a noi nella comunione del pane e del vino ci coinvolge nel gesto profondo della sua stessa vita. All’acclamazione poi della comunità, che avviene dopo la consacrazione (mistero della fede: annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta) deve corrispondere una costante educazione all’attesa del compimento che avverrà nella pasqua eterna dove siederemo alla tavola del cielo. SIGNIFICATI PER LA NOSTRA VITA • Gesù ci invita a ricevere e a far nostro questo dono, a sentire che nella sua morte, Dio ci ha definitivamente aperto il suo amore e che la nostra vita è continuamente rinnovata e sostenuta dalla possibilità di accogliere questo amore gratuito e definitivo di Dio. • Anche la Chiesa è chiamata a riscoprirsi sempre come il popolo che nasce dall'amore di Cristo e che vive continuamente di questo amore. Ci è consegnato anche un criterio per impostare e per verificare il nostro modo di vivere le relazioni ecclesiali. • Gesù rivela anche il senso ultimo della vita d’ogni uomo e rende possibile il suo compimento: quello di un'esistenza che annuncia e condivide l'amore; un'esistenza che troverà nella morte l'ultima e definitiva possibilità, come per Gesù, di far dono di se stessa. Ma l'ultimo detto di Gesù si colora anche di tutta la fede e la speranza di cui egli è capace. In Cristo, Dio si è fatto per sempre garante della fecondità dei nostri gesti d'amore, d’ogni frammento di vita autenticamente umana, nonostante tutto ciò che sembra contrastarla. Anche l'oscurità della nostra morte, se vissuta riponendo la speranza in questo Dio, può diventare il luogo luminoso del nostro compimento e della nostra salvezza. Antifona al vespro del Corpus Domini Mistero della cena! Ci nutriamo di Cristo, si fa memoria della sua passione, l’anima è ricolma di grazia, ci è donato il pegno della gloria. Preghiera finale «Prendete, questo è il mio corpo...» (Mc 14,22-26) L'ultima cena Preghiera Signore, tu vedi i nostri fratelli mille miglia lontani da noi. Senti come pregano per noi, vedi ciò che fanno per noi. Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli, il loro dolore è il nostro, è anche il tuo dolore. Tocca il nostro cuore, aiutaci a non chiedere troppo per noi. Finché calziamo scarpe ai nostri piedi: vogliamo pregare per le persone che non hanno piedi. Aiutaci a condividere tutto con coloro che non hanno niente. Sii tu il pane per i poveri, sii con chi soffre ingiustizia e con coloro che hanno tutto: grosse automobili, belle case e tanti soldi. Signore, essi non sono più contenti di noi. Sii con gli affamati e con coloro che gettano metà del cibo dal piatto. Siamo tutti tuoi figli, abbiamo bisogno di te, abbiamo bisogno del tuo amore, per amarci gli uni gli altri. Benedici noi e i fratelli sparsi nel mondo intero. (dal Ghana) Testo 22 Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23 Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24 E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti. 25In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio». 26 E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. PER ENTRARE IN ARGOMENTO Ricchezza e rapporti familiari. Ci sono momenti della vita di famiglia in cui il detto «siate in pace gli uni con gli altri», può diventare carne e sangue, costi quel che costi: ad esempio, nei momenti delle grandi scelte. Togliere la parola a mio fratello perché, in questioni di eredità, è riuscito a prendersi la parte migliore? Svalutare il ragazzo di mia figlia perché fa «solo» un lavoro dipendente? Nelle grandi scelte emerge il tessuto familiare, la roccia su cui è fondata la casa. La radice di tali scelte è una sola: «dare la vita per gli altri». La madre che proibisce ai propri bambini di scendere in cortile a giocare con i figli di quella «vanitosa» della cognata perché, nella piccola azienda familiare, lei è riuscita sempre a mettere in minoranza il «povero» fratello, padre dei bambini, e dunque bisogna che i cuginetti non facciano amicizia, e dunque cerca di «crearle il vuoto attorno» eccetera, questa madre non da affatto la vita: trattiene la vita, toglie il respiro a sé e agli altri; e poi pretende che i figli non perdano catechismo e vengano su «buoni cristiani». Non stiamo parlando di ragioni o torti, stiamo parlando dell’ unica cosa che da gioia: non misurarsi sulla cognata, ma «dare la vita» per lei; lasciar giocare i cuginetti, deporre i giudizi definitivi, sorridere per ciò che si ha, sono proprio modi di quell’uno che ci verrà restituito già qui in cento. Purché sia in nome di Gesù che ha dato il suo Corpo. (Zattoni-Gillini, Interno familiare, annoB) SPIEGAZIONE Entriamo direttamente nella contemplazione del mistero della morte di Gesù; ci avviciniamo al cuore stesso del Vangelo. I1 testo, comunemente chiamato «l'istituzione eucaristica», ci introduce nel significato più vero e più profondo della morte di Gesù, nella quale viene coinvolta liberamente anche la vita dei discepoli. Entrare nel mistero della morte e risurrezione di Gesù significa anzitutto rendersi conto del significato che acquisisce la morte come estremo e definitivo atto della vita. È il momento nel quale la vita giunge al suo senso, alla sua definizione ultima e compiuta. Non è facile per ciascuno di noi entrare in questa prospettiva, perché quasi per istinto, rifuggiamo dal pensiero. Gesù è nell'imminenza della sua morte, negli ultimi giorni durante i quali egli non solo prevede, ma avverte la morte vicina e incombente su di lui. Sono momenti nei quali tutta la sua esistenza è chiamata a riassumersi, a protendersi in modo decisivo. La morte non è semplicemente alternativa alla vita: ne è la conclusione, il completamento, e come tale va vista in continuità con tutta l'esistenza, nella sua singolarità di atto definitivo. Osserviamo i gesti che compie Gesù :«Prendete, questo è il mio corpo», «...lo diede loro e tutti bevvero da esso; e disse: questo è il mio sangue dell'alleanza che ora è sparso per i molti». Tutto ciò che Gesù fa non si riduce a un'azione che egli compie da solo sul pane e sul calice, ma sono gesti destinati come dono ai discepoli e presuppongono ricettività. Questa corrispondenza fra il gesto di Gesù, che comprende tutto il significato della sua vita e della sua morte, e la ricezione da parte dei discepoli, fa capire che la donazione di Gesù è finalizzata a costituire una comunità nuova: la comunità dei discepoli, che ora è chiamata a ricevere e a vivere del dono di sé che Gesù fa nel gesto del pane e del calice che è il sangue sparso per la salvezza di molti e che è il segno della ristabilita e definitiva alleanza tra gli uomini e Dio. Come sono coinvolti i discepoli, così siamo coinvolti anche noi: questo dono è per noi da assumere e da vivere responsabilmente. Dopo questi gesti Gesù conclude con un'espressione molto significativa: «In verità dico a voi che non berrò più del frutto della vite fino a quel giorno quando lo berrò nuovo nel regno di Dio». Gesù, che è vicino alla tragedia della propria morte, ne prende coscienza dicendo «non berrò più di questo vino»: è l'ultima volta, è l'ultimo banchetto. Ma ancora una volta, di fronte a quella che poteva essere non solo la prospettiva di una catastrofe personale, com'è la morte per ciascuno di noi, ma poteva apparire anche come la fine della causa a cui egli aveva dedicato tutta l'esistenza, Gesù lancia una parola di speranza: questa morte non è la Fine. Egli ha ferma speranza che Dio realizzerà, proprio attraverso la sua morte, quel Regno che egli era venuto a iniziare, a impiantare sulla terra. Incontriamo un Gesù terreno che, di fronte alla tragedia del suo morire non cade nella disperazione, ma si fida di Dio, nella certezza che trionferà sulla morte e attraverso la morte, portando anche noi alla pienezza della vita. Nella rilettura dell'evento pasquale che avviene mediante la celebrazione dell’eucarestia, Gesù diventa il dono