Ludwig Feuerbach. L’essenza del cristianesimo (titolo originale: Das Wesen des Christentums). «Del pensiero di Feuerbach» - scrive Antonio Banfi nella prefazione al volume - «si può in un certo modo dire ciò che fu detto di quello socratico: che esso aveva portato la filosofia di cielo in terra. Il suo sforzo fu infatti quello di un’interpretazione umana ed umanistica della vita e dei valori di cultura». In quest’opera fondamentale per la critica alla religione, apparsa nel 1841, il filosofo bavarese indaga «la forma più grave di schiavitù cui l’uomo soggiace: la schiavitù religiosa, che tarpa le sue forze vitali». La religione riposa sulla distinzione essenziale dell’uomo dalla bestia; le bestie non hanno religione. […] L’essere dell’uomo in ciò che lo distingue dalla bestia è non solo il fondamento, ma anche l’oggetto della religione. L’essenza dell’uomo in generale (p. 24) Così, da quando si è fatto del sentimento l’elemento essenziale della religione, la materia di fede del cristianesimo - un tempo così sacra - è divenuta indifferente (31). Come l’uomo pensa, quali sono i suoi princìpî, tale è il suo dio; quanto l’uomo vale, tanto e non più vale il suo dio. La coscienza che l’uomo ha di Dio è la conoscenza che l’uomo ha di sé. L’essenza della religione in generale (34). Perciò la religione precede sempre la filosofia, nella storia dell’umanità come nella storia dei singoli individui. L’uomo sposta il suo essere fuori da sé, prima di trovarlo in sé. […] La religione è l’infanzia dell’umanità (35) Il nostro compito è appunto di mostrare che la distinzione fra il divino e l’umano è illusoria, cioè che null’altro è se non la distinzione fra l’essenza dell’umanità e l’uomo individuo, e che per conseguenza anche l’oggetto e il contenuto della religione cristiana sono umani e nient’altro che umani (36). Per il cristiano è certa, reale soltanto l’esistenza del dio cristiano, per il pagano l’esistenza del dio pagano (41). Il tempio non è che una testimonianza del valore che l’uomo attribuisce agli edifici. I templi in onore della religione sono in realtà templi in onore dell’architettura (42). Non l’attributo di divinità, ma la divinità dell’attributo è il primo vero essere divino (42). Vero ateo, cioè ateo nell’abituale significato della parola, non è perciò colui che nega Dio, il soggetto, ma colui che nega gli attributi dell’essere divino, quali l’amore, la sapienza, la giustizia. […] Una qualità non è divina per il fatto che Dio la possiede, ma Dio la possiede perché essa in sé e per se stessa è divina, perché Dio senza di essa sarebbe un essere imperfetto (43). Per arricchire Dio, l’uomo deve impoverirsi; affinché Dio sia tutto, l’uomo deve essere nulla. […] Ciò che l’uomo sottrae a se stesso, ciò di cui per sua natura è privo, se lo gode in Dio in misura incomparabilmente maggiore (47). Quanto maggior valore i monaci attribuivano alla repressione della sensualità, tanto maggior valore aveva per essi la Vergine divina: sostituiva per essi perfino Cristo, perfino Dio. Quanto più la sensualità viene negata, tanto più sensuale è il dio a cui si sacrifica la sensualità (48). L’uomo afferma in Dio ciò che nega in se stesso. La religione cristiana fece distinzione fra la purezza morale interiore e la pulizia esteriore della persona; la religione ebraica le identificava. […] Israele è la più perfetta rappresentazione di religione positiva. Rispetto all’ebreo, il cristiano è uno spirito libero. Così mutano le idee. Ciò che ancor ieri era religione, oggi non lo è più, e ciò che oggi è considerato ateismo, sarà religione domani (52). Che cosa dunque affermi, che cosa oggettivi tu in Dio? La tua propria ragione. […] Nel modo in cui pensi Dio, nel medesimo modo tu stesso pensi; la misura del tuo dio è la misura della tua intelligenza. Dio quale essere della ragione (60). Non al Cristianesimo, non all’entusiasmo religioso, ma solo all’entusiasmo della ragione dobbiamo l’esistenza di una botanica, di una mineralogia, di una zoologia, di una fisica e di una astronomia. Dio quale essere morale o legge (68). Ma Dio divenuto uomo non è che la manifestazione dell’uomo divenuto dio; infatti l’elevazione dell’uomo a Dio precede necessariamente l’abbassarsi di Dio a uomo. Il mistero dell’Incarnazione ossia Dio quale essere misericordioso (71). Nella preghiera io trascino Dio nella miseria umana, lo faccio partecipe delle mie sofferenze e dei miei bisogni. Dio non è sordo ai miei lamenti […] mi esaudisce e ha compassione di me. Dio ama l’uomo, ossia soffre delle sventure dell’uomo (75). L’amore di Dio per l’uomo - centro e fondamento della religione - è la prova più chiara, più irrefutabile che l’uomo nella religione contempla se stesso come un oggetto divino, come un divino scopo, e che i suoi rapporti con Dio non sono che rapporti con se stesso, con il suo proprio essere (78). La sofferenza è la legge suprema del cristianesimo; la storia del cristianesimo stesso è la storia della sofferenza umana. Il mistero della passione (82). La religione cristiana è la religione della sofferenza. Le immagini del crocifisso che incontriamo in tutte le chiese non stanno a rappresentarci un redentore, bensì soltanto Dio sulla croce, il sofferente. […] Un dio sofferente è un dio sensibile, suscettibile al dolore. E la proposizione «Dio è un essere sensibile» non è che l’espressione religiosa della proposizione «la sensibilità è di natura divina» (83). La coscienza che l’uomo ha di sé nella sua completezza si esprime nella Trinità. Essa compendia e riunisce in un unico essere tutti gli attributi che finora abbiamo considerato isolatamente, e perciò riduce l’essere universale - ossia Dio come dio - a un essere particolare, a una particolare facoltà. Il mistero della Trinità e della madre di Dio (86). Lo Spirito Santo deve la propria esistenza personale soltanto a un nome, a una parola […] che sta a rappresentare unicamente il sentimento e l’entusiasmo religioso, l’amore e l’anelito della creatura verso il creatore (88). Se mi rivolgo al santo, non è perché il santo dipenda da Dio, ma perché Dio dipende dal santo, perché Dio viene determinato e dominato dalle richieste, ossia dalla volontà e dal desiderio del santo. Le distinzioni poste dai teologi cattolici fra Latria, Dulia e Hyperdulia sono sofismi assurdi e senza fondamento. […] Il dio che sovrasta il mediatore null’altro è che la fredda ragione che sovrasta il cuore - qualche cosa di simile al Fato che sovrasta gli dèi dell’Olimpo. Il mistero del Verbo o del Figlio immagine di Dio (95). Come nella parola di Dio l’uomo afferma la divinità della parola, così nella creazione afferma la divinità della volontà […] La creazione dal nulla è la più alta espressione dell’onnipotenza […] perciò la creazione dal nulla rientra nella medesima categoria del miracolo, o meglio è il miracolo primo - non solo in ordine di tempo ma anche di grado - è il principio che fa possibili tutti gli altri miracoli. Il mistero della provvidenza o della creazione dal nulla (116). La provvidenza è un privilegio dell’uomo; esprime la superiorità dell’uomo sugli altri esseri naturali; lo sottrae alla concatenazione di tutto l’universo (119). La dottrina della creazione è di origine ebraica; è anzi la dottrina caratteristica, fondamentale della religione ebraica (126). Nella storia dei dogmi e delle filosofie succede come nella storia dei popoli. Antichissime usanze, diritti e istituzioni continuano a sopravvivere dopo che da lungo tempo hanno perso il loro significato. […] Vengono poi quelli che parlano del profondo significato delle istituzioni, dal momento che il loro vero significato è ad essi ormai ignoto (131). Solo nell’origine si può riconoscere la vera natura di una cosa. Dapprima l’uomo inconsapevolmente e involontariamente crea Dio secondo la propria immagine e, solo allora, questo Dio - a sua volta consapevolmente e volontariamente - torna a creare l’uomo secondo la propria immagine. Nello svolgimento della religione ebraica, più che in ogni altra, troviamo la conferma di ciò (132). L’essenza più profonda della religione si rivela nell’atto più semplice della religione: nella preghiera, un atto che dice infinitamente più, o almeno tanto quanto il dogma dell’incarnazione, benché la teologia proclami quest’ultimo il sommo mistero (136). L’uomo nella preghiera si rivolge all’onnipotenza della bontà, ossia: egli adora il proprio cuore, contempla il proprio sentimento come l’essere sommo, divino. L’onnipotenza del sentimento ossia il mistero della preghiera. Perciò l’oggetto caratteristico della fede è il miracolo, fede è fede nel miracolo, fede e miracolo sono assolutamente inscindibili (140). Il miracolo scaturisce dal sentimento, e finisce nel sentimento. Il modo stesso in cui è narrato rivela questa sua origine. La narrazione che gli si conviene è soltanto la narrazione sentimentale - Il mistero della fede il mistero del miracolo. Infatti il miracolo, esaminato attentamente, null’altro esprime se non appunto la potenza taumaturgica della fantasia, che senza contraddizione adempie tutti i desideri del cuore (148). I dogmi fondamentali del cristianesimo sono desideri appagati del cuore, l’essenza del cristianesimo è l’essenza dei sentimenti che albergano nel nostro cuore. Il mistero di Cristo o del Dio personale (154). Cristo è Dio che si è fatto conoscere di persona, Cristo è perciò la beata certezza che Dio esiste e che è così come il cuore lo vuole, come il cuore ha bisogno che sia. […] In lui si rivela il mistero del sentimento religioso: si rivela però nel caratteristico linguaggio allegorico della religione. […] A questo riguardo si ha il pieno diritto di definire la religione cristiana la religione assoluta, perfetta (159). Il concetto di specie scomparve col cristianesimo, e con esso il significato della vita di specie. È - questa - una nuova conferma di ciò che abbiamo asserito osservando che il cristianesimo non ha in sé il principio della cultura