“IN CAMMINO CON I POVERI: L’IMPEGNO DELLA CARITAS PER IL FUTURO” Intervento del Direttore della Caritas diocesana di Brescia Diacono Giorgio Cotelli all’assemblea della Congrega della Carità apostolica Brescia, sabato 29 settembre 2007 All’inizio di questo breve momento che mi permette di incontrarvi, devo confessare due cose: la prima è che sono emozionantissimo, trovandomi a incontrare una platea così qualificata, i Confratelli della Congrega della carità apostolica di Brescia. Non posso non ricordare gli anni che vanno dal 1535 al 1538, anni nei quali avvenne la fusione dei consorzi caritativi fondati presso alcune parrocchie della città fin dal 1230, per iniziativa dal beato Guala vescovo di Brescia. Quanta storia di carità, quanta solidarietà nei confronti dei più deboli e a servizio delle persone: quanti uomini e donne grazie a voi hanno ritrovato il sapore della speranza e quanti anni ancora vi vedranno protagonisti nell’incontro con i bisogni e le nuove povertà! Noi della Caritas siamo molto giovani, la nostra storia è breve ma permettetemi di sottolineare una singolare coincidenza tra il vostro essere in convegno nel giorno 29 settembre 2007 e la data della nostra nascita. Esattamente 35 anni fa, e questo deve farci riflettere, a Roma si apriva in questi giorni il primo convegno delle Caritas diocesane. Come ieri, il 28 settembre 1972, riuniti in udienza con il Papa Paolo VI, il Papa bresciane disse: “(…) la vostra azione non può esaurire i suoi compiti nella pura distribuzione di aiuto ai fratelli bisognosi. Al di sopra di questo aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica, il suo aspetto spirituale che non si misura con cifre e bilanci, ma con la capacità che essa ha di sensibilizzare le Chiese locali e i singoli fedeli al senso e al dovere della carità nelle forme consone ai bisogni e ai tempi; giacché mettere a disposizione dei fratelli le proprie energie e i propri mezzi non può essere solo il frutto di uno slancio emotivo e contingente, deve essere invece la conseguenza logica di una crescita nella comprensione della carità, che, se è sincera, scende necessariamente a gesti concreti di comunione con chi è in stato di bisogno. (…) Tutto ciò, naturalmente, suppone uno sforzo da parte vostra per creare armonia e unione nell’esercizio della carità, di modo che le varie istituzioni assistenziali, senza perdere la propria autonomia, sappiano agire in spirito di sincera collaborazione fra di loro, superando individualismi e antagonismi, e subordinando gli interessi particolari alle superiori esigenze del bene generale della comunità”. 1 La seconda confessione consiste nel fatto che quando ho letto il tema affidatomi, “In cammino con i poveri: l’impegno della Caritas per il futuro”, alla luce delle parole di Paolo VI non mi è sembrato un tema da sviluppare ma un monito, un consiglio, lasciatemi dire un imperativo. La Congrega della carità apostolica di Brescia dice a noi della Caritas diocesana, e a me in modo particolare, “il vostro impegno futuro sia essere in cammino con i poveri”. Basterebbe questo per qualificare il piano pastorale dei prossimi anni a Brescia. Di questo vi ringrazio. Questo mettermi in cammino vorrei veramente farlo per alcuni tratti insieme a voi. Questo fa parte dei desideri di noi che lavoriamo nella carità. Parlavo di desiderio: desiderare viene dal latino de-siderare, derivante a sua volta da sidus, cioè stella. De-sidus significherebbe allora “tirar giù le stelle”. In che senso? Come un tempo si scrutava il cielo stellato per orientarsi e capire la direzione nel viaggio, così “desiderare” porta ciascuno a scegliere quelle stelle, quei sogni, quei valori che lo attraggono, lo scaldano e orientano quindi il suo cammino. Così mi metto anch’io con voi col naso all’insù e guardo il cielo: quante stelle! Tra quelle che scelgo, che sento mie, ce n’è una grande e luminosa che mi tengo ben stretta: la missione “seguire Gesù”. È una stella che ci fa sognare, che orienta il nostro fare, che ci fa scegliere e ci permette di desiderare l’incontro di Gesù nei poveri. Noi dobbiamo desiderare intensamente di incontrare Gesù nei poveri. Lo incontriamo nella Parola e nella liturgia, dove diventiamo carne della sua carne e tutti i giorni nella ferialità Lui si fa presente nei poveri. Il povero è l’icona di Gesù e a noi è chiesto di essere l’icona di Gesù servo. Nell’incontro di Gesù nei poveri avviene un prodigio, si crea in noi la possibilità di essere rivestiti, come dice san Paolo, “degli stessi sentimenti che furono di Gesù”. Di sentire, in altre parole, come sentiva Gesù, di amare come amava Gesù, di pensare come pensava Gesù e, infine, la possibilità di agire come agiva Gesù. Padre Mosconi aprendo il convegno ecclesiale di Verona (“Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo”) affermava che “uno diventa la Parola che incontra”: l’importanza quindi di essere rigenerati dal Cristo risorto e al contempo, immersi in Lui attraverso il battesimo, noi diventiamo persona nuova. Pertanto, di fronte ai dati che ci sono stati esposti, di fronte alle nuove povertà e, permettetemi, di fronte anche alle nostre povertà che ci fanno sempre essere in affanno sul fronte della nostra presunzione di essere in grado di dare risposte esaustive, noi dobbiamo, partendo dalla constatazione del nostro limite, far spazio ad una domanda: se Gesù è vivo e ciò è il fondamento della nostra fede, se Gesù è vivo nei poveri, come incontra le nostre fragilità e come incontra attraverso di noi i poveri? 2 Gesù ci incontra nei poveri ed è per questo che i poveri sono per noi risorsa e disvelano un nuovo cammino: per grazia ci chiama ad intraprendere un cammino formativo, non alternativo a quello che accresce in maniera classica la nostra professionalità. Un cammino formativo nuovo, una seconda navigazione che non esclude la prima ma si concentra sul tema del cuore. Abbiamo bisogno, per incontrare Gesù nei poveri, della formazione del cuore. Conformarci a Gesù nella consapevolezza, come diceva Giuseppe Moscati, santo medico di Napoli: “Non la scienza ma la carità ha trasformato il mondo”. La formazione del cuore ci porta all’incontro con Gesù o meglio a percepire l’invito che Gesù ci fa, perché non dimentichiamo mai che è Lui che ci convoca. È Lui che ci invita a non fuggire, a non perderci nei meandri solipsistici del nostro io. Come Maria ai piedi di Gesù siamo chiamati a nutrirci della Parola e di una parola che rigenera: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Matteo 11,28-30). Venite a me. È l’invito a seguire Lui: venire a Gesù è seguire Lui. Gesù fa suo l’invito della sapienza e infatti nel libro del Siracide si dice: “Avvicinatevi, voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia scuola. Fino a quando volete rimanerne privi, mentre la vostra anima ne è tanto assetata? Ho aperto la bocca e ho parlato: acquistatela senza denaro. Sottoponete il collo al suo giogo, accogliete l’istruzione. Essa è vicina e si può trovare. Vedete con gli occhi che poco mi faticai e vi trovai per me una grande pace” (Sir. 51,23-27). Voi che siete senza istruzione. Che significa senza istruzione? Io che ho studiato, sono un educatore professionale o un assistente sociale o uno psicologo, ecc. È necessario che il primo passo della formazione del cuore implichi il processo di kenosis. Ciò significa la spogliazione, l’abbassamento, il non essere nulla perché tutto ciò che sono è frutto dell’azione gratuita di Dio. Kenosis è il processo di svuotamento per lasciar spazio a Lui, Lui solo può dare senso e significato alla mia vita e alla vita di chi incontro. Gesù per primo come dice san Paolo ce ne da testimonianza. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; 3 e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil. 2,611). La vostra anima ne è tanto assetata. La formazione del cuore ci apre alla consapevolezza del nostro deserto, della necessità di attingere all’acqua viva che è Gesù. Sottoponete il collo al suo giogo. Occorre che come Gesù diventiamo ubbidienti (ob-audire: ascoltare in profondità e ascoltare stando di fronte all’altro, stando davanti all’altro). Senza denaro. Convocati a ricevere un dono. Vedete con gli occhi. Cosa vedono Pietro Giacomo e Giovanni? “Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto” (Luca 9,28-36). Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Non si tratta di una metamorfosi, la traduzione letterale dice “e divenne un volto altro”. Gesù rivela il volto del suo Papà. Ci svela ciò che prima né Mosè né Elia poterono vedere, il volto di Dio, il volto della misericordia di Dio, il volto nel quale si specchia Gesù. Ma nel volto di Dio noi possiamo vedere il vero volto dei nostri fratelli e solo allora il nostro aiuto andrà nella giusta direzione, sarà un aiuto giusto, un aiuto che parla della giustizia e si inserirà nella fedeltà di Dio alle sue promesse: ricondurci tutti a Lui. Spero di essere riuscito a comunicarvi qual è l’esperienza attraverso cui la Caritas potrà camminare in futuro con i poveri. Rimanere nell’amore di Gesù mettendoci alla sua sequela. Allora, quale migliore conclusione, o meglio quale inizio, delle parole del versetto 8 del capitolo 6 del profeta Michea: “uomo ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede da te. Praticare la giustizia, amare teneramente, camminare umilmente con il tuo Dio.” 4 Il nostro desiderio penso l’abbiate capito: è quello di ripartire dalla formazione del cuore che parla a noi e al mondo dello stile di Gesù. Lo dico a bassa voce: prendiamoci insieme del tempo, anche se sottratto ai nostri molti impegni per e con i poveri, un tempo nel quale insieme ai nostri collaboratori offriamo a Lui, il Signore della storia, le nostre domande, mettendoci in ascolto di Lui: Lui solo ha le risposte. Poi, da lì ripartiamo per affrontare le sfide che il futuro ci riserva. Il nostro caro Papa Benedetto nella sua prima lettera enciclica Deus Caritas Est dice: “Fare quanto ci è possibile, con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù sempre in movimento.” L’augurio a tutti voi che ci spinga sempre l’amore di Cristo. 5