Il tema proposto ci chiede di porre alcune premesse per

1° FORUM
SULLA DEUS CARITAS EST
LE PROSPETTIVE
DELLA
CARITAS DOPO VERONA
Intervento di S. E. Mons. Mario Paciello
Vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti
PREMESSE
Non è mia intenzione fare valutazioni critiche sul Convegno, né trarre
conclusioni e dare ricette ma piuttosto fare una panoramica sugli aspetti
del Convegno: il fine, le attese, le verifiche, le prospettive.
Ho fatto quindi, una rilettura sotto uno specifico angolo prospettico: cosa
dice Verona alle Caritas Diocesane.
Accogliete, perciò, questa mia conversazione come un umile contributo,
frutto di una rilettura degli atti e di un tentativo di sintesi, fatto tra le mille
sollecitudini pastorali di un Vescovo.
1. “Dopo Verona”
“Dopo Verona” è l’orizzonte in cui contestualizziamo la nostra riflessione.
Il Convegno da poco celebrato è per la Chiesa Italiana non un evento
isolato, una tappa senza premesse o un frutto senza radici. Come
sappiamo, il Convegno di Verona è il quarto appuntamento che ha visto le
Chiese che sono in Italia riflettere su prospettive e scelte pastorali.
Non solo, il tema del Convegno Nazionale è nato da un progetto decennale
che è stato consegnato dai Vescovi all’inizio del nuovo Millennio:
“Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”.
Perciò, per noi, dire “dopo Verona” è cogliere elementi di continuità nel
cammino della Chiesa italiana.
Ma dire “dopo Verona” è anche cercare di cogliere elementi di novità che
differenziano il prima e il dopo.
Ad un mese dalla celebrazione del Convegno Nazionale, ci rendiamo conto
come le novità prodotte dagli incontri, dagli interventi e dalle indicazioni le
coglieremo con più chiarezza nel tempo. Oggi cercheremo alcuni elementi
che ci sembrano, in radice, percorsi da sviluppare. Certamente nel tempo
potremo coglierne altri.
2. La Caritas
Ci è stato chiesto di rileggere gli interventi, le esperienze fatte, gli incontri
alla luce di un tema e di un vissuto.
Il tema è quello della carità; tema su cui è imperniato tutto il Convegno, in
particolare nella lettura degli ambiti di vita.
L’esperienza è quella della Caritas. Sappiamo bene come in più di
trent'anni la parola Caritas ha assunto volti, vissuti, strutture e scelte che
hanno fatto di essa un comune sentire e vivere delle nostre Chiese in Italia.
Poste queste premesse, ci soffermiamo innanzitutto a cogliere elementi di
continuità tra il Convegno di Verona, il cammino della Chiesa Italiana e, in
essa, delle Caritas.
“DOPO VERONA”: ELEMENTI DI CONTINUITÀ
1. La centralità dell’esperienza di fede
“Testimoni di Gesù Risorto” è stato per Verona non solo un titolo, ma un
invito a incamminarsi nella continuità di un percorso di fede, di una storia
fatta di testimoni, di volti, di luoghi.
Il racconto della testimonianza dei santi delle nostre terre ha trovato eco
nell’invito rivolto da Papa Benedetto XVI alla Chiesa Italiana: “Questa è la
vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4b). La verità di
quest’affermazione è documentata anche in Italia da quasi due millenni di
storia cristiana, con innumerevoli testimonianze di martiri, di santi e beati,
che hanno lasciato tracce indelebili in ogni angolo della bella Penisola nella
quale viviamo. Alcuni di loro sono stati evocati all’inizio del Convegno e i
loro volti ne accompagnano i lavori. Noi siamo gli eredi di quei testimoni
vittoriosi!”1.
La centralità dell’esperienza di fede ci è stata riconsegnata nella logica
della continuità propria del testimone. Esso, pur consegnato tra mani e
piedi diversi, conserva il suo messaggio quando custodisce la fedeltà con se
1
Benedetto XVI, omelia, 19 ottobre 2006.
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
2
stesso. “In un mondo che cambia, il Vangelo non cambia”2 ci ha ricordato
Papa Benedetto nell’omelia presso lo Stadio Bentegodi di Verona.
L’esperienza e l’incontro con il Risorto è per noi esperienza fondamentale
per il nostro essere e operare.
La Chiesa dopo Verona è chiamata a conservare viva l’esperienza del
Risorto, è chiamata a vivere il tempo della gioia e dell’annuncio come le
donne al sepolcro, come i discepoli che ritornano da Emmaus. Questo ci
impegna a mantenere viva la centralità dell’esperienza di fede in ogni
attività, in ogni impegno, in ogni percorso.
La centralità dell’incontro con il Signore ci è stata anche riproposta dal
Card. Ruini come primo obiettivo a cui puntare per il dopo-Convegno3.
Anche le Caritas dopo Verona si sentono spronate a non separare
l’esperienza di fede dalle opere di carità ma a conservare sempre vivo
questo legame.
2. La ricezione del Concilio
Nella sua prolusione, il Card. Tettamanzi ci ha ricordato la continuità del
Convegno di Verona nell’ottica dell’intenzione originaria del primo
Convegno di Roma: “Il nostro Convegno prosegue i precedenti di Roma
(1976), Loreto (1985) e Palermo (1995), quali momenti importanti nei quali la
Chiesa in Italia ha ricevuto e vissuto il messaggio di rinnovamento venuto
dal Concilio. Era proprio questa l’intenzione originaria del primo Convegno:
«tradurre il Concilio in italiano»”4.
Così lo stesso Card. C. Ruini chiedendosi in quale modo “interpretare
storicamente il nostro essere Chiesa negli anni che ci attendono” ci ha
invitati “a proseguire e sviluppare l’attuazione del Concilio Vaticano II sulla
base
dell’“ermeneutica della
riforma”,
cioè
del
rinnovamento
nella
continuità dell’unico soggetto Chiesa e dei principi del suo insegnamento;
2
Ivi.
“Si tratta “di riproporre a tutti con convinzione” quella “misura alta della vita cristiana
ordinaria” che è la santità, come ci ha chiesto Giovanni Paolo II al termine del Grande
Giubileo (Novo millennio ineunte, 31). Paola Bignardi, nel suo intervento di martedì,
definendo la santità “unica misura secondo cui vale la pena essere cristiani”, ha rimarcato
come a questa richiesta non ci siano per noi alternative praticabili. Infatti il cammino
verso la santità non è altro, in ultima analisi, che il lasciar crescere in noi quell’incontro
con la Persona di Cristo “che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione
decisiva”, secondo le parole della Deus caritas est riprese ieri dal Papa nel suo discorso:
così, nonostante tutte le nostre miserie e debolezze, possiamo essere riplasmati e
trasformati dallo Spirito che abita in noi”. (C. Ruini, Intervento conclusivo, p.5).
4 D. Tettamanzi, Prolusione Convegno di Verona, p. 2.
3
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
3
continuità che ammette forme di discontinuità in rapporto al variare delle
situazioni storiche e ai problemi nuovi che via via emergono”5.
Dopo Verona non possiamo dimenticare questo compito così importante
già consegnatoci da Giovanni Paolo II all’inizio del nuovo millennio6 e,
ancora oggi, affidatoci nel magistero di Benedetto XVI7.
La Caritas Italiana, nata “avendo ben presenti le direttive conciliari”8, non
può dimenticare che essa ritrova nel Concilio non solo la sua sorgente, il
suo inizio, ma anche lo stile ecclesiale, le scelte fondamentali, le direttive
per un percorso che l’aiutano ad essere sempre più se stessa.
La Caritas dopo Verona non può che sentirsi chiamata ad essere sempre
più una caritas “conciliare” e non può che sentirsi interpellata ad una
ricerca sempre nuova del suo servizio nella Chiesa Italiana con lo stile del
Concilio Vaticano II.
3. Evangelizzazione
L’invito all’annuncio del Vangelo è radicato nel comando di Gesù: “andate
in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15).
La responsabilità nell’annuncio del messaggio di Cristo è radicata nella
stessa natura della Chiesa. Paolo VI ci ricordava nella Evangelii Nuntiandi:
“Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua
identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare”9.
Nell’annuncio del Vangelo la Chiesa è chiamata a confrontarsi con le sfide
del tempo in cui essa vive, ad ascoltare, imparare e usare i nuovi linguaggi
con i quali trasmette la radicalità e la novità della Parola di Dio.
C. Ruini, Relazione conclusiva Convegno di Verona, n. 9. Il cardinale ci rimanda alla
profonda relazione tenuta da Papa Benedetto XVI alla Curia Romana il 22 dicembre 2005.
6 Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, 6 gennaio 2001, n. 57.
7 “Questo IV Convegno nazionale è una nuova tappa del cammino di attuazione del
Vaticano II, che la Chiesa italiana ha intrapreso fin dagli anni immediatamente successivi
al grande Concilio: un cammino di comunione anzitutto con Dio Padre e con il suo Figlio
Gesù Cristo nello Spirito Santo e quindi di comunione tra noi, nell’unità dell’unico Corpo
di Cristo (cfr 1Gv 1,3; 1Cor 12,12-13); un cammino proteso all’evangelizzazione, per
mantenere viva e salda la fede nel popolo italiano; una tenace testimonianza, dunque, di
amore per l’Italia e di operosa sollecitudine per il bene dei suoi figli” (Benedetto XVI,
Discorso al IV Convegno Ecclesiale Nazionale).
8 Decreto di erezione della Caritas Italiana: “La Conferenza Episcopale Italiana in ossequio
al precetto divino della carità verso Dio e verso gli uomini come massimo e primo
comandamento del Cristianesimo, avendo ben presenti le direttive conciliari ed il coerente
magistero Pontificio, memore di un passato della Chiesa italiana, sempre ricca di iniziative
verso gli umili e i provati dalla sventura, ritiene necessaria la costituzione di una speciale
organizzazione da chiamarsi “Caritas italiana” per promuovere e coordinare le attività
caritative in Italia” (CEI, Notiziario, 14/1971, 250).
9 Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, 8 dicembre 1975, 14.
5
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
4
L’urgenza dell’annuncio del Vangelo e il nuovo rapporto con la storia sono
emersi in questi anni nei programmi pastorali, nelle indicazioni e nei
progetti dei Vescovi italiani. All’inizio del nuovo millennio in modo
sintomatico questa necessità si è manifestata nello stesso titolo degli
orientamenti pastorali della Conferenza Episcopale Italiana per il primo
decennio del Duemila: “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”. Il
Convegno di Verona e il post Verona non possono dimenticare questa
“tensione missionaria” e le sfide che il nostro tempo ci offre. In tutte le
sintesi degli ambiti di vita è emersa l’urgenza di aiutare le nostre comunità
a riscoprire la natura missionaria della Chiesa10.
Nella Chiesa Italiana la Caritas si propone non come opera di assistenza
ma quale esperienza di testimonianza e annuncio del Vangelo della Carità.
Gli
orientamenti
pastorali
offerti
dalla
CEI
per
gli
anni
’90
“Evangelizzazione e testimonianza della carità” ce lo hanno ricordato:
“l’evangelizzazione deve passare in modo privilegiato attraverso la via della
carità reciproca, del dono e del servizio”11.
A sostegno di questo atteggiamento ci viene incontro l’enciclica “Deus
Caritas est” dove Papa Benedetto XVI ci ricorda che “tutta l'attività della
Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell'uomo: cerca
la sua evangelizzazione mediante la Parola e i Sacramenti, impresa tante
volte eroica nelle sue realizzazioni storiche; e cerca la sua promozione nei
Vita affettiva: “Il dinamismo pastorale inoltre deve essere sempre più orientato in senso
missionario, per incontrare gli uomini dove vivono, amano, soffrono e lavorano. La cura
pastorale va rivolta anche alle situazioni difficili e di disordine morale, oggi così frequenti”.
Lavoro e festa: “Una vera e propria voglia di uscire fuori dalle parrocchie, di produrre
una “pastorale più missionaria”, di “sporcarsi le mani”, come viene detto. In una parola:
di “portare fuori la speranza”. Questo comporta un’esigenza di testimonianza cristiana in
luoghi (e, magari, non-luoghi) che solitamente non sono avvezzi a riceverla”.
Fragilità: “Sono stati, in particolari, auspicati la riaffermazione della specificità della
missionarietà della Chiesa, che porta l’amore di Cristo Risorto quale speranza per il
mondo…”.
Tradizione: “All’opposto di questa apertura e di questa sfida educativa sta invece (come
avvertito in diversi passaggi delle sintesi) il rischio di un’auto-referenzialità della proposta
cristiana, che chiede di essere superata attraverso un dialogo continuo con la cultura, o
meglio – come alcuni sottolineano – con le culture odierne, nei loro diversi linguaggi, con i
sempre nuovi strumenti della comunicazione sociale, con la moltiplicazione e insieme la
perdita di centro dei valori di riferimento nei diversi ambiti dell’esistenza. Ciò si mostra
tanto più urgente, quanto più la nostra società diviene pluralistica negli aspetti culturali e
religiosi”.
Cittadinanza: “Si chiede che la responsabilità per la città sia portata al cuore delle
celebrazioni eucaristiche, al cuore della ricerca della Parola nelle Scritture, che risuoni
nella normale omiletica, che sia tenuta presente nella catechesi ordinaria ed in modi
adeguati sin dai primi passi della iniziazione cristiana”.
11 CEI, Orientamenti pastorali Evangelizzazione e testimonianza della carità, 8 dicembre
1990, 10.
10
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
5
vari ambiti della vita e dell'attività umana. Amore è pertanto il servizio che la
Chiesa svolge per venire costantemente incontro alle sofferenze e ai bisogni,
anche materiali, degli uomini”12.
La Caritas dopo Verona si sente incoraggiata nella sua natura prettamente
pastorale e formativa13.
Alcune prospettive per il “dopo Verona”
Da questi elementi di continuità che fanno del dopo Verona una tappa del
lungo cammino della Chiesa in Italia possiamo trarre alcuni percorsi per
una nuova tappa del nostro operare.
a. superare la frattura tra l’agire e l’essere.
Per le Caritas Diocesane porre al centro l’esperienza di fede vuol dire:
-
proporre l’esperienza del Cristo Risorto quale sorgente di ogni attività
e impegno;
-
verificare costantemente il nostro impegno alla luce delle esigenze e
prospettive del Vangelo;
-
aiutare le nostre comunità diocesane e parrocchiali a proporre
esperienze di fede che interpellano la vita attraverso realtà e percorsi
reali.
b. sentirsi parte di una Chiesa chiamata alla comunione e
missione.
Nel Convegno di Verona abbiamo respirato un clima di comunione tra le
diverse diocesi, associazioni, realtà ecclesiali. Questo atteggiamento è stato
evidenziato nella relazione conclusiva dallo stesso del Card. Ruini14. Lo
spirito di comunione ha unito tutti nella comune ricerca di percorsi di
annunzio e testimonianza del Vangelo.
Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas est, 25 dicembre 2005, 19.
“La Caritas Italiana è l'organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale
Italiana al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la
testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e
ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell'uomo, della giustizia sociale e della pace,
con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica” (Statuto della
Caritas Italiana n. 1).
14 “Un ulteriore elemento di novità, meno evidente ed appariscente ma che si riferisce alla
vita stessa della Chiesa e dei cattolici in Italia, mi sembra possa individuarsi in una
crescita che ha avuto luogo in questi anni, sotto vari aspetti, tra loro certamente connessi.
Si sono rafforzati cioè i sentimenti e gli atteggiamenti di comunione tra le diverse
componenti ecclesiali, e in particolare tra le aggregazioni laicali, mentre si è fatto
nettamente sentire, anche nel corso del nostro Convegno, il desiderio di una comunione
ancora più concreta e profonda”. (C. Ruini, Discorso conclusivo, p. 4).
12
13
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
6
Le Caritas portano con sé dal Convegno di Verona non solo una esperienza
ma anche uno stile che apre alcune prospettive:
-
essere sempre più nella Chiesa Italiana, nelle diocesi, nelle
parrocchie un servizio al comune impegno della Chiesa a vivere e
testimoniare la carità. Sappiamo bene che la Caritas non è chiamata
a sostituirsi alla responsabilità di tutti i battezzati all’invito alla
carità rivolto dal Signore ai suoi discepoli.
-
Ogni Caritas è interpellata dalla comunione mettendosi a servizio di
una pastorale integrata che mette in rete non solo i bisogni e le
attese ma anche le risorse e, innanzitutto, le esperienze di carità.
-
Infine, non possiamo dimenticare l’orizzonte missionario che, nella
Caritas, non può che coniugarsi con l’invito alla testimonianza. Il
Vangelo della carità deve incarnarsi in percorsi concreti di santità.
Non possiamo dimenticare che Papa Benedetto XVI nel suo discorso
all’assemblea ha raccordato l’impegno della Caritas al percorso di
santità della Chiesa Italiana: “La Chiesa in Italia ha una grande
tradizione di vicinanza, aiuto e solidarietà verso i bisognosi, gli
ammalati, gli emarginati, che trova la sua espressione più alta in una
serie meravigliosa di “Santi della carità”. Questa tradizione continua
anche oggi e si fa carico delle molte forme di nuove povertà, morali e
materiali, attraverso la Caritas, il volontariato sociale, l’opera spesso
nascosta di tante parrocchie, comunità religiose, associazioni e gruppi,
singole persone mosse dall’amore di Cristo e dei fratelli”15.
“DOPO VERONA”: ELEMENTI DI NOVITÀ
Del “dopo Verona” ci siamo proposti di cogliere elementi di novità.
Il “nuovo” che raccogliamo dalle sintesi, dagli interventi, dalla esperienza
stessa di Verona ci viene innanzitutto dalle nuove sfide che il tempo
attuale presenta all’annuncio del Vangelo e alla missione della Chiesa.
Le sfide culturali, sociali, esistenziali che brevemente presenteremo e che
emergono da molti interventi, non scuriscono completamente le risorse
positive della Chiesa e del mondo contemporaneo, le quali ci permettono di
cogliere prospettive per la nostra missione e per l’impegno della Caritas
stessa.
15
Benedetto XVI, Discorso al IV Convegno Ecclesiale Nazionale.
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
7
1. Le sfide
A Verona siamo giunti non solo con le attese e le speranze del nuovo
millennio ma anche con nuove domande che, già al sorgere dell’anno
duemila, si sono presentate a tutta l’umanità.
Non possiamo dimenticare il crollo delle “torri gemelle” che l’undici
settembre 2001, non solo ci ha sconvolti, ma ci ha fatti sentire ancor più,
parte di una storia universale e delle sorti di tutta l’umanità.
Potremmo dire che una sfida importante che oggi ci interpella nasce dal
sentirci parte di una storia e di una geografia che va al di là delle nostre
Città o Nazione.
La presenza degli immigrati, il nuovo confronto con l’Islam e con nuovi
popoli (il Card. Ruini ci ha ricordato la Cina e l’India16), l’uso dei nuovi
mezzi di comunicazione pongono domande nuove alla Chiesa Italiana, alle
nostre comunità diocesane e parrocchiali. A tal proposito è sembrata
interessante la provocazione lanciata dal Dott. Pezzotta a proposito del
nuovo rapporto con coloro che da altre nazioni vengono in Italia: “È
superata la questione dello straniero da accogliere; ora dobbiamo porci
quella dell’entrare in relazione e in comunione con chi ha deciso di restare
tra noi. È una sfida forte anche per le nostre comunità cristiane che obbliga
a pensare in termini interculturali”17.
Accanto all’ingresso di nuovi popoli e alla partecipazione della nostra
società alle sorti dell’umanità sentiamo anche vive le sfide lanciate dal
secolarismo, dal relativismo e dall’utilitarismo alle nostre famiglie, alle
nostre città, al mondo giovanile, al pensiero comune. Domande e questioni
nuove interpellano i cristiani del nostro tempo.
Queste sfide, ci ha ricordato il Santo Padre, fanno dell’Italia un Paese
“profondamente bisognoso”18 della testimonianza cristiana.
Le sfide lanciate dalla cultura contemporanea sono emerse non solo nella
prolusione del Card. Tettamanzi e nell’intervento conclusivo del Card.
Ruini, ma anche in tutte le sintesi proposte dagli ambiti di riflessione. In
modo sintetico le pongo alla vostra attenzione perché esse, interpellando
tutta la Chiesa Italiana, pongono domande nuove anche alle Caritas delle
Chiese Particolari.
“Lo stesso risveglio dell’Islam, d’altronde, si accompagna ad altri importanti sviluppi
che sono in corso e che vedono protagoniste altre grandi nazioni e civiltà, come la Cina e
l’India, configurando ormai uno scenario mondiale assai diverso da quello che faceva
perno unicamente sull’Occidente” (C. Ruini, discorso conclusivo, p. 3).
17 S. Pezzotta, Intervento Convegno Verona. Prospettiva sociale, 7-8.
18 Benedetto XVI, Discorso al IV Convegno Ecclesiale Nazionale.
16
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
8
Mi sembra di poter cogliere alcune sfide che interpellano la persona in
quattro dimensioni della sua vita:
-
nella sua consapevolezza e nella sua libertà: le “non risposte” sulle
domande di senso19;
-
nelle relazioni: fragilità della famiglia, l’analfabetismo e immaturità
affettiva20;
-
nella dimensione sociale: immigrazione, nuove povertà, soggetti a
rischio,
terrorismo
globale,
città
degradate
fisicamente
ed
eticamente21, ingresso dell’euro e declino demografico22, precarietà
lavorativa,
difficoltà
nei
rapporti
tra
lavoro
e
famiglia,
disoccupazione, divario territoriale tra nord e sud, lavoro nero e
sfruttamento, malavita23;
-
nella dimensione ecclesiale e spirituale: i continui cambiamenti in
atto nella società e nella Chiesa italiana24, l’incontro con le altre
religioni25,
la
debolezza
del
nostro
essere
cristiani26,
autoreferenzialità della proposta cristiana27.
2. Le risorse
La consapevolezza di nuovi orizzonti di evangelizzazione non hanno
mostrato a Verona un volto di Chiesa ripiegata su se stessa e scoraggiata.
Anzi, lo stesso Papa Benedetto, nel ricordarci le sfide del tempo presente,
ci ha invitati a riconoscere nella Chiesa e nella cultura italiana un “terreno
favorevole” per la testimonianza della fede.
Ci chiediamo, perciò, quali risorse sono emerse della Chiesa presente a
Verona.
Anche in questo caso mi sembra ti poter cogliere e sintetizzare le risorse
presenti in quattro ambiti:
-
il vissuto delle nostre comunità ecclesiali (le parrocchie);
G. Ghirlanda, Presentazione del Convegno al Santo Padre.
“Ricorrente è inoltre l’espressione “analfabetismo affettivo” per significare lo stato di
immaturità personale diffuso in particolare tra adolescenti, ma anche tra giovani o adulti,
in difficoltà ad assumersi impegni e responsabilità, in particolare quando devono
compiere scelte che richiamano il “per sempre”, peraltro elemento costitutivo dell’amore”.
(Sintesi ambito affettività).
21 A. Sabatini Ambito fragilità, S. Pezzotta, Prospettiva sociale.
22 Ruini, Discorso conclusivo.
23 Analisi emersa nell’ambito del lavoro e festa.
24 Ruini, Discorso conclusivo.
25 Bignardi, Prospettiva spirituale.
26 Ivi.
27 Esposito, Sintesi ambito tradizione.
19
20
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
9
-
il vissuto sociale (giovani e immigrati);
-
il bisogno di relazioni autentiche e le fragilità;
-
valorizzazione di esperienze già in atto (Policoro, ReteInOpera, il
Progetto Culturale).
Le risorse proposte dal Santo Padre ed emerse nei diversi gruppi ci aiutano
a cogliere i semi di speranza presenti nel Convegno di Verona, i quali, se
colti e valorizzati, potrebbero rendere il “dopo Verona” un tempo ricco di
speranza per la Chiesa Italiana.
3. Le prospettive
“Quali prospettive per la Caritas Italiana dopo Verona?”: è questo il tema
che mi è stato chiesto di presentare. Negli elementi di continuità con la
tradizione della nostra fede e nelle nuove sfide e risorse cogliamo
certamente delle prospettive che non possono essere disattese dalle Caritas
che sono in Italia.
Avviandomi alla conclusione, desidero presentarvi alcuni elementi emersi
dallo stesso Convegno con la consapevolezza che il lavoro avviato in questo
Forum ci coinvolgerà in una riflessione e collaborazione che continuerà
nelle prossime tappe verso il XXXI Convegno Nazionale e nelle nostre
Diocesi.
a. Centralità di una esperienza di fede adulta che sappia coniugare
il Vangelo con la vita
L’orizzonte della santità quale proposta di vita per tutti i cristiani resta il
primo obiettivo su cui puntare per il dopo Verona. Ce lo ha ricordato il
Santo Padre, ci è stato consegnato come compito dal Card. Ruini, è emerso
da ogni intervento. L’orizzonte della santità si incarna in scelte di vita,
percorsi storici, proposte e itinerari vocazionali. Le Caritas Diocesane,
accogliendo questo orizzonte, sono chiamate a proporsi quale ambiente
ecclesiale in cui vivere la chiamata alla santità proponendo l’accoglienza
dei poveri e la carità come strada preferenziale per l’incontro con il Signore:
“ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
L’orizzonte della santità ci sollecita a non assecondare la tentazione della
burocratizzazione ed efficientismo nelle opere e nelle strutture ecclesiali.
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
10
Una tentazione che potrebbe coinvolgere anche le persone e le strutture
delle Caritas.
Il nostro servizio alle Chiese che sono in Italia viene rivitalizzato
dall'appello alla santità.
b. La centralità della persona e la dimensione educativa e formativa
L’ottica della speranza ha permesso a tutti di guardare alla persona non
solo nell’analisi degli atteggiamenti, delle fragilità o delle sue potenzialità.
Mettendo al centro l’uomo e il progetto che Dio ha sull’uomo, è emersa la
necessità di puntare sulla dimensione educativa o formativa.
Ce lo ha ricordato il Santo Padre: “perché l’esperienza della fede e
dell’amore cristiano sia accolta e vissuta e si trasmetta da una generazione
all’altra, una questione fondamentale e decisiva è quella dell’educazione
della persona”28.
La prospettiva educativa ci chiede di continuare il percorso formativo,
promosso in questi anni dalla Caritas, nell’ottica della trasmissione di una
esperienza che coinvolge, particolarmente le nuove generazioni, in scelte
definitive e integranti tutte le dimensioni della persona: quella affettiva,
sociale, razionale, spirituale.
La dimensione educativa permette, così come emerso nei gruppi29, di
coinvolgere l’intera comunità ecclesiale nell’opera formativa e nella
responsabilità della trasmissione della fede.
Benedetto XVI, Discorso al IV Convegno Ecclesiale Nazionale.
Affettività: “Ricorrente è inoltre l’espressione “analfabetismo affettivo” per significare lo
stato di immaturità personale diffuso in particolare tra adolescenti, ma anche tra giovani
o adulti, in difficoltà ad assumersi impegni e responsabilità, in particolare quando devono compiere scelte che richiamano il “per sempre”, peraltro elemento costitutivo
dell’amore”.
Lavoro e festa: “Emerge anzitutto la necessità di far conoscere la Dottrina Sociale della
Chiesa. Perciò si chiede siano rilanciate le scuole diocesane di formazione sociale: per
un’educazione consapevole dei diritti di cittadinanza. Ciò si accompagna a una richiesta
di potenziamento della catechetica, che aiuti a cogliere il senso non solo del lavoro e della
festa, ma del tempo dell’uomo in relazione al tempo di Dio”.
Fragilità: “Sono state poi evidenziate alcune specifiche necessità, chiarendo come
all’ascolto ed all’accoglienza delle attuali forme ed espressioni delle fragilità ci si possa e ci
si debba “educare” e quali risorse in particolare siano essenziali per irrobustire e rendere
maggiormente credibile la testimonianza della Chiesa, come madre e compagna”.
Tradizione: “È proprio il tema dell’educazione ad emergere come una sorta di filo
conduttore (pur attraverso flessioni e accenti differenziati) lungo tutto il lavoro di
riflessione e di valutazione sull’esperienza, compiuto nei diversi gruppi di studio sulla
tradizione. Ed è importante sottolineare che la preoccupazione formativa ed educativa non
ha riguardato solo i contenuti da trasmettere ma anche, e in certi casi soprattutto, le
modalità e le forme con le quali li si comunica”.
Cittadinanza: “La domanda di formazione permanente ed integrale, di vera e propria
educazione, esprime la voglia di non limitarsi a ripetere principi. È attraverso questo
28
29
Le prospettive della Caritas dopo Verona - Mons. Mario Paciello
11
c. L’attenzione alla persona a partire dagli ambiti di vita
Il Convegno è stato caratterizzato, sia nella preparazione che nella
celebrazione, da un comune discernimento a partire da cinque ambiti di
vita: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione e
la cittadinanza.
Questi ambiti ci sono stati offerti come “aree dell’esperienza personale e
sociale”30, perciò essi hanno una valenza antropologica che permettono
alla testimonianza cristiana di assumere un volto reale e storico.
La scelta di operare un discernimento sulla vita sociale e culturale del
nostro Paese e sull’esperienza delle nostre comunità ecclesiali a partire
dagli ambiti di vita, è stata riconosciuta non solo come una novità del
Convegno di Verona, ma anche come scelta felice per operare il
discernimento comunitario già proposto nel Convegno di Palermo. Questa
pista penso che potrebbe presentarsi alle nostre comunità come una
prospettiva di discernimento e impegno ecclesiale per i prossimi anni.
I progetti avviati dalla Caritas Nazionale e dalla nostre realtà diocesane mi
sembra che possano essere una risposta al discernimento in atto nella
Chiesa Italiana.
d. L’orizzonte della speranza
L’orizzonte
della
speranza
è
stato
il
traguardo
del
cammino
di
preparazione, lo sfondo della celebrazione del Convegno31, il leit-motiv delle
relazioni e degli interventi32, il messaggio fondamentale e unitario di
Verona33.
sforzo di formazione e questa pratica dell’intelligenza credente che si cerca una risposta
alla esigenza di identità attraverso la pratica continua della mediazione e non attraverso le
scorciatoie pericolose e sterili del fondamentalismo, onde uscire dalla “cultura
dell'impossibile”.
30 CEI, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. Traccia di riflessione al Convegno
Ecclesiale di Verona 16-20 ottobre 2006, 29 aprile 2005, 46-47.
31 “L’appello del Convegno è di tornare e ritornare senza sosta, con lucidità e coraggio, a
interrogarci – per agire di conseguenza – su: chi è la speranza cristiana? Quali sono i suoi
tratti qualificanti? Come essa incrocia l’uomo concreto d’oggi nei suoi problemi e nelle sue
attese? La speranza è Gesù Cristo!” (D. Tettamanzi, Prolusione, 3).
32 “Stretta al Signore Gesù, la vita di ciascuno di noi acquista il profumo del Vangelo e
parla… Una Chiesa che spera è libera, aperta, coraggiosa, capace di affrontare ogni
difficoltà…La Chiesa della speranza ha la chiave per entrare in comunicazione con le
persone di questo tempo: è quella dell’amore, con le sue infinite declinazioni esistenziali:
accoglienza, compassione, misericordia, consolazione” (P. Bignardi, Prospettiva spirituale,
3.4); “La prima cosa che si deve fare è costruire e vivere una spiritualità della Speranza.
Dobbiamo sforzarci di essere segno e manifestazione della gioia che vive in noi nel mondo
e tra gli individui che si accalcano in una corsa senza fine. Dobbiamo essere lieti e
contenti di essere qui, in questo mondo. La Speranza cristiana è l’annuncio del
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Alle tante domande, attese, questioni presentate è risuonata come
essenziale e sempre attuale la sollecitazione del Cardinale Tettamanzi: “La
nostra speranza, infatti, è una Persona: il Signore Gesù, crocifisso e risorto.
In Lui la vita è trasfigurata”. Per “mostrare il disegno di un’umanità
rinnovata”34 e dare speranza al mondo abbiamo “bisogno assoluto di Parola
e di sacramento”35.
La speranza, fondata su Gesù, può essere l’orizzonte di senso che illumina
tutti gli aspetti della nostra vita: “in questa luce vogliamo vivere gli
affetti”36, la famiglia, il lavoro, la festa, il rapporto tra le generazioni, la
cittadinanza come esempio di responsabilità.
La comunione voluta e insegnata da Cristo37 è la forza dirompente della
speranza, è luce e profezia per tutti gli uomini, per ogni ambito di vita38 e
della convivenza umana39.
Un ruolo primario, come segno vivo di speranza, ce l’hanno la donna e i
giovani40.
compimento, della realizzazione di una gratuità, di un’eccedenza che s’inserisce nella
storia. L’atteggiamento che dobbiamo assumere a fondamento di una spiritualità della
Speranza è quello della lietezza d’essere stati creati e redenti”. (S. Pezzotta, Prospettiva
sociale, 9).
33 “Nella misura in cui ci nutriamo di Cristo e siamo innamorati di Lui, avvertiamo anche
lo stimolo a portare altri verso di Lui: la gioia della fede infatti non possiamo tenerla per
noi, dobbiamo trasmetterla” (Benedetto XVI, Discorso alla Diocesi di Roma, 5 giugno,
2006).
34 Messaggio alle Chiese Particolari.
35 D. Tettamanzi, Prolusione.
36 Messaggio alle Chiese Particolari.
37 “È questo il tempo di superare i particolarismi, le chiusure, i piccoli recinti, per
costruire percorsi di fraternità vera e di comunione. È pertanto necessario metterci in
“rete” e “fare opere” con il desiderio di produrre frutti di rinnovamento ecclesiale, sociale e
una nuova missionarietà segnata dalla testimonianza” (S. Pezzotta, Prospettiva sociale, 9).
38 Il rapporto “vita – testimonianza della speranza” è stato più volte e in molti modi
ribadito dai relatori: “In questo contesto siamo chiamati a rendere attuale, con il nostro
comportamento, con l’impegno e con i fatti, il messaggio della Speranza cristiana
attraverso l’ascolto, l’attenzione, l’incontro e il dialogo con le speranze delle donne e degli
uomini del nostro tempo… La Speranza cristiana non è un’aspirazione o un buon
sentimento, ma, in quanto tensione escatologica… ma è una permanente trazione verso il
futuro”. (S. Pezzotta, Prospettiva sociale, 4.9); “La coerenza della vita, pertanto, è richiesta
a ciascuno di noi se vogliamo aiutare davvero i nostri fratelli a compiere quel passo che
porta a fidarsi di Gesù Cristo”. (C. Ruini, Discorso conclusivo, 10).
39 “L’azione dei cristiani deve pertanto orientarsi a ricercare, cogliere, valorizzare,
custodire, costruire e alimentare i luoghi della Speranza. I cinque ambiti in cui si articola
il Convegno vanno in questa direzione e affrontano con lungimiranza i temi della vita
affettiva, del lavoro e della festa, della fragilità, della tradizione e della
cittadinanza...L'annuncio del Vangelo non può mai essere separato dalle opere e queste si
esercitano nella realtà sociale, nella politica e nelle Istituzioni “ (S. Pezzotta, Prospettiva
sociale, 4.9); “Non [bisogna] rinchiuderci nel breve raggio del nostro lavoro quotidiano e
per non cedere a quella miopia spirituale che fa male alla speranza”. (C. Ruini, Discorso
conclusivo, 3).
40 “Il percorso delle donne oggi è un gran segno di Speranza; esse possono dare un
contributo importante alla cultura della Speranza. Lo possono fare per le esperienze che
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L’orizzonte della speranza alimenta la carità:
-
la rende segno delle “cose nuove” orientandola verso la Carità che
non finisce (1 Cor 13);
-
la sostiene nel confronto, a volte anche drammatico, con le forze del
male;
-
la libera dal limite dello spontaneismo e della frammentazione;
-
la arricchisce donandole un senso-altro che non si accontenta della
gratificazione immediata, dei primi posti o dei favori dei potenti;
-
lascia intravedere in coloro che incontriamo i segni profetici di chi ci
attende nel Regno dei Cieli.
Carità e speranza ci ricordano che siamo chiamati ad essere testimoni di
un’opera che è iniziata con la resurrezione di Gesù Cristo. Di questa opera
siamo destinatari ma anche missionari per questo mi piace concludere,
così come ci ha suggerito il Card. Ruini, implorando “la forza e la grazia
perché i germogli che sono stati piantati possano giungere a maturazione” 41.
vivono nell’affettività, nelle relazioni, nella sensibilità, nella dimensione della maternità,
del dono e per la chiamata alla conversione che rivolgono all’universo maschile”...“I
giovani sono più di altri soggetti portatori di Speranza. Analizzando la società italiana e
dentro essa la condizione giovanile, avvertiamo la presenza di segni contradditori e forti
ambivalenze…Si è scritto che i giovani sembrano essere un “popolo in attesa”, più
orientato ad adattarsi che a trasformare la realtà, quasi impauriti nel diventare adulti,
nell’uscire da casa, nell’assumersi responsabilità, piegati ad una coabitazione familiare
prolungata… Il nostro sguardo deve sempre volgere al domani e le nostre azioni e
decisioni puntare verso un bene comune attento ai giovani”. (S. Pezzotta, Prospettiva
sociale, 6-7).
41 C. Ruini, Discorso conclusivo, 1.
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