- Figlie della Chiesa

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XXV Domenica del Tempo Ordinario
Antifona d'ingresso
“Io sono la salvezza del popolo”,
dice il Signore,
“in qualunque prova mi invocheranno, li esaudirò,
e sarò il loro Signore per sempre”.
Colletta
O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo
hai posto il fondamento di tutta la legge,
fa’ che osservando i tuoi comandamenti
meritiamo di entrare nella vita eterna.
Oppure:
O Padre, che ci chiami ad amarti e servirti
come unico Signore,
abbi pietà della nostra condizione umana;
salvaci dalla cupidigia delle ricchezze,
e fa’ che, alzando al cielo mani libere e pure,
ti rendiamo gloria con tutta la nostra vita.
PRIMA LETTURA (Am 8,4-7)
Contro coloro che comprano con denaro gli indigenti.
Dal libro del profeta Amos
Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».
SALMO RESPONSORIALE (Sal 112)
Rit: Benedetto il Signore che rialza il povero.
Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre. Rit:
Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
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che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra? Rit:
Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo. Rit:
SECONDA LETTURA (1Tm 2,1-8)
Si facciano preghiere per tutti gli uomini a Dio il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e
ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo
condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al
cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla
conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che
ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di
essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei
pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e
senza
contese.
Canto al Vangelo (2Cor 8,9)
Alleluia, alleluia.
Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi,
perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Alleluia.
VANGELO (Lc 16,1-13)
Non potete servire Dio e la ricchezza.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi
averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione,
perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione?
Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò
stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”.
Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi
cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse:
“Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo
mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a
mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
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Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di
poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza
disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la
vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si
affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Preghiera sulle offerte
Accogli, o Padre, l’offerta del tuo popolo
e donaci in questo sacramento di salvezza
i beni nei quali crediamo e speriamo con amore di figli.
Per Cristo nostro Signore.
Antifona di comunione
Hai dato, Signore, i tuoi precetti,
perché siano osservati fedelmente.
Siano diritte le mie vie nell’osservanza
dei tuoi comandamenti. (Sal 119,4-5)
Oppure:
“Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore,
e le mie pecore conoscono me”, dice il Signore. (Gv 10,14)
Oppure:
“Non potete servire a Dio e a mammona”,
dice il Signore. (Lc 16,13)
Preghiera dopo la comunione
Guida e sostieni, Signore,
con il tuo continuo aiuto
il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti,
perché la redenzione operata da questi misteri
trasformi tutta la nostra vita.
Lectio
La liturgia di questa XXV Domenica del T.O. ad una prima lettura può risultare di difficile
comprensione: il profeta Amos ci mostra un Dio arrabbiato e pronto ad adempiere le minacce
contro i ribelli e i peccatori, il vangelo invece loda un amministratore disonesto. Sorge subito nel
nostro pensiero un po’ di imbarazzo e di sconcerto: che volto ha questo Dio? Ma è possibile che io
devo imitare chi agisce in modo ingiusto? Perciò alcuni commentatori, nello sforzo di attenuarne il
disagio, attirano l’attenzione sull’ambiente palestinese e sui suoi costumi. I grandi proprietari
terrieri, per lo più stranieri, avevano alle proprie dipendenze degli amministratori locali, ai quali
lasciavano grande libertà e piena responsabilità: loro compito era di realizzare per il padrone il
profitto pattuito, ma, una volta assicurato questo profitto, avevano anche la possibilità,
maggiorando il prezzo, di realizzare guadagni personali. Si può dunque pensare che il fattore,
nell’intento di procurarsi amici che lo avrebbero aiutato nei momenti di difficoltà, abbia
semplicemente rinunciato alla propria parte di profitto, senza danneggiare il padrone. Ciò
renderebbe più credibile l’elogio di quest’ultimo (16,8). La parabola, però, non attira l’attenzione
sui mezzi a cui il fattore ricorre per farsi degli amici. Il vero centro della parabola è racchiuso nella
constatazione che “i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce” (16,8). Per questo,
leggendo con cuore sapiente i brani che oggi ci vengono proposti, ci accorgiamo che l’attenzione
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che ci viene chiesta è quotidiana e rivolta ad una relazione vera con Dio, evitando i sotterfugi e i
compromessi. Per vivere quella “vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” che Paolo
consiglia di chiedere nella preghiera come dono, è necessario imparare a procurarsi degli “amici”
facendo leva sul “poco” che siamo e sapendo investire persino sulle nostre fragilità per trasformare
ogni situazione in un’occasione…ma proviamo ad entrare nel vivo di questa Parola.
vv. 1-2: Diceva anche ai discepoli: "Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato
dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi
conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare".
Nella parabola di Luca torna per ben sette volte il termine «amministratore» o «amministrazione»,
che viene, così, ad essere la parola chiave del brano e del messaggio che il Signore vuole lasciarci.
Proviamo allora a cercare nelle Scritture una luce che ci aiuti a capire meglio e a verificare
l’amministrazione che il Signore ha affidato anche a noi all’inizio della nostra vita con il nostro
battesimo.
Nell'Antico Testamento ritorna varie volte questa realtà, soprattutto riferita alle ricchezze di città e
imperi: nei libri delle Cronache si parla degli amministratori del re Davide (1 Cr 27,31; 28,1) e così
nei libri di Ester (3,9), Daniele (2,49; 6,4) e Tobia (1,22) incontriamo amministratori di re e
principi. È un'amministrazione tutta mondana, legata agli averi, al denaro, alle ricchezze, al potere;
quindi legata a realtà negative, come l'accumulo, l'usurpazione, la violenza. Il Nuovo Testamento,
invece, ci introduce subito in una dimensione diversa, più elevata, perché riguardante le cose dello
spirito, dell'anima, quelle che non finiscono, che non mutano col mutare dei tempi e delle persone.
San Paolo dice: «Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora,
ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1 Cor 4,1s) e Pietro: «Ciascuno,
secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme
grazia di Dio» (1 Pt 4,10). Quindi comprendiamo di essere anche noi amministratori dei misteri e
della grazia di Dio, attraverso lo strumento semplice e povero, che è la nostra stessa vita; in essa
siamo chiamati ad essere fedeli e buoni. Ma questo aggettivo, «buono», è lo stesso che Giovanni
usa riferendolo al pastore, a Gesù: kalòs, cioè bello e buono. E perché? Semplicemente perché
offre la sua vita al Padre per le pecore. Questa è l'unica vera amministrazione che ci viene affidata
in questo mondo, per il mondo futuro.
vv. 3ss: L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie
l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò
perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa
sua".
L’amministratore, posto in una situazione difficile, avanti il suo allontanamento, l'affronta
riflettendovi sopra: «Disse tra sé: che cosa farò?» (Lc 16,3), e finisce per escogitare una soluzione
al contempo scaltra e geniale: «So io che cosa farò» (Lc 16,4). L’autore della parabola vuole che ci
si lasci impressionare dalla prontezza e dalla furbizia con cui il fattore cerca, senza un attimo di
esitazione, di mettere al sicuro il proprio avvenire. Appena si accorge che il suo futuro è in
pericolo, il fattore si mostra astuto, voltando a proprio vantaggio la difficile situazione in cui è
venuto a trovarsi. Ebbene, il cristiano non dovrebbe essere altrettanto pronto, scaltro e risoluto
nell’assicurarsi nel tempo presente il regno di Dio?
vv. 8ss: “Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza…”
Il brano dice che il padrone loda il suo amministratore disonesto, perché aveva agito con
«scaltrezza» e ripete il termine, «scaltro», poco dopo. Una traduzione più corretta potrebbe essere
«sapiente», cioè «saggio», o «prudente». È una sapienza che nasce da un pensare attento,
approfondito, dalla riflessione, dallo studio e dall'applicazione della mente, degli affetti a qualcosa
che interessa grandemente. Come aggettivo, questo vocabolo si trova ad es. in Mt 7,24, dove ci
viene mostrata la vera saggezza dell'uomo che costruisce la sua casa sulla roccia e non sulla
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sabbia, cioè dell'uomo che fonda la sua esistenza sulla Parola del Signore o ancora in Mt 25,2,
dove sagge sono le vergini che hanno con sé e la lampada e l'olio, così che non si lasciano
sorprendere dalle tenebre, ma sanno aspettare sempre, con amore invincibile, incorruttibile, il
ritorno del loro Sposo e Signore. Dunque questo amministratore è sapiente e prudente, non perché
si prende gioco degli altri, ma perché ha saputo regolare e trasformare la sua vita sulla misura e
sulla forma della vita del suo Signore: ha messo tutto l'impegno del suo essere, mente, cuore,
volontà, desiderio nell'imitare colui che serviva.
Un termine poi ripetuto più volte è «disonesto», «disonestà»; l'amministratore è detto disonesto e
così la ricchezza. La disonestà è una caratteristica che può intaccare l'essere, nelle cose grandi, nel
molto, ma anche in quelle minime, nel poco. Il testo greco non usa propriamente il termine
«disonesto», ma dice «amministratore dell'ingiustizia», «ricchezza dell'ingiustizia» e «ingiusto nel
minimo», «ingiusto nel molto». L'ingiustizia è una distribuzione cattiva, non equa, non equilibrata;
in essa manca l'armonia, manca un centro che attiri a sé ogni energia, ogni cura e intento; crea
fratture, ferite, dolori su dolori, accumuli da una parte e manchevolezze dall'altra. Tutti noi
veniamo a contatto, in qualche misura, con le realtà dell'ingiustizia, perché appartengono a questo
mondo. E ci sentiamo trascinati da una parte o da un'altra, perdiamo l'armonia, l'equilibrio, la
bellezza; è così, non possiamo negarlo. La parola del vangelo condanna proprio questa disarmonia
così forte, che è l'accumulo, il mettere da parte, l'aumentare sempre più, il possesso e ci mostra la
via della guarigione, che è il dono, il condividere, il dar via con cuore aperto, con misericordia.
Come fa il Padre con noi, senza mai stancarsi, senza venir meno.
L’ultimo termine di paragone è rappresentato dai «figli della luce» (Lc 16,8) a voler dire: «come»
l'amministratore e i figli del mondo «così» voi, imitatene non la disonestà ma la capacità di
discernere con acutezza e di agire con prontezza e scaltrezza nella consapevolezza che verrà il
tempo in cui bisogna rendere conto. Nel dettaglio: come i figli del mondo sono arguti e scaltri nella
disonesta ricchezza, così i figli della luce lo siano nei confronti di «quella vera, la vostra» (Lc 16,
11-12), la ricchezza del Regno vista nel volto e nei gesti di Gesù e ascoltata nella sua parola (Mt
13,16; Lc 10, 23-24). Su tale ricchezza va concentrato il proprio pensare e il proprio agire.
vv. 10ss: “Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti…”
Sin qui l’insegnamento della parabola resta a livello generale: afferma il valore della risolutezza,
ma non dice in quale situazione applicarla, aperto a un ampio ventaglio di possibili attuazioni. Si
limita a dire: imparate per i vostri scopi a essere furbi e determinati come i figli di questo mondo lo
sono per i loro. Non sappiamo se Gesù abbia pronunciato la parabola per dare ai discepoli questo
insegnamento, o se l’abbia invece applicata a qualche caso più preciso. Comunque, Luca non vuole
che l’istruzione rimanga vaga e la indirizza verso un caso concreto e per lui importante: l’uso della
ricchezza. A tale scopo fa seguire alla parabola dei detti del Signore, in origine probabilmente
indipendenti, che sono accomunati dal termine «denaro» (cf 16, 9.11.13).
Un primo detto sembra riprendere il ragionamento del fattore: «so che cosa fare, perché, quando
sarà stato allontanato dalla amministrazione, mi accolgano in casa loro», e si presenta come una
diretta e solenne applicazione della parabola: «Io vi dico: fatevi amici con la disonesta ricchezza,
perché quando essa verrà a mancare vi accolgano nelle dimore eterne» (16,9). Per la maggioranza
dei commentatori «farsi amici con la disonesta ricchezza» significa aiutare i poveri: gli amici sono i
poveri, amici di Dio che devono diventare amici nostri. Per altri gli amici sono i meriti presso Dio, o
anche Dio stesso. Comunque, la sostanza dell’insegnamento non cambia. C’è un solo modo per
essere astuti come il fattore della parabola: utilizzare le proprie ricchezze per aiutare i bisognosi.
Concretamente Luca pensa all’elemosina, tema che gli è particolarmente caro (cf: 11,41; 12,33;
19,8; At 9,36; 10,2.4.31; 11,29; 24,17).
Un altro detto del Signore (16,10-12) sposta l’attenzione dal dovere della carità al dovere della
fedeltà nell’amministrazione dei beni del padrone. Qui il fattore della parabola assume una valenza
negativa: la sua disonestà non va imitata. Forse si tratta di un avvertimento rivolto in particolare ai
membri della comunità, che avevano l’incarico di amministrare i beni comuni.
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v. 13: “Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si
affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza".
L’ammonimento sottende che il denaro vuole sempre fare da padrone, e spesso ci riesce.
La parola «mammona» appare, in tutta la Bibbia, solo in questo capitolo di Luca (vv. 9.11 e 13) e
in Mt 6,24. È un vocabolo semitico che corrisponde a «ricchezza», «possessi», «guadagno», ma
diventa quasi la personificazione del dio-denaro, che gli uomini servono stoltissimamente, schiavi
di «quella cupidigia che è idolatria» (Col 3,5). Qui tutto diventa chiaro, è piena luce.
Il figlio della luce è chiamato a discernere e a scegliere. Il denaro considerato un idolo, conduce
alla negazione di Dio, aut-aut, o l'uno o l'altro (Lc 16,13), conduce alla negazione dell'uomo che è
ridotto, nella sua identità, a ciò che ha e non a ciò che è, e nelle sue relazioni con gli altri, ad
essere considerato come semplice strumento della propria capitalizzazione. Il discepolo deve
essere pertanto scaltro nel dire no a una via bugiarda, che non merita fiducia a motivo del suo
rendere ciechi e sordi verso sé stessi, verso gli altri, verso Dio. La ricchezza, come dice s. Giovanni
Crisostomo, è una via disonesta in sé: «Potreste voi dimostrare che la ricchezza è giusta? No,
perché la sua origine è quasi sempre avvelenata da qualche frode.». Dunque il discepolo deve
essere altrettanto scaltro nel dire sì a Dio, a Gesù e al Vangelo che aprono alla bellezza
inenarrabile del dono nella gratuità: «Ebbene io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza
disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc
16,9). Il dare in una misura buona, pigiata, colma e traboccante (Lc 6,38), il gettare sui poveri i
propri beni è farsi tesori nel cielo (Lc 12,16) e restituire sorriso agli umiliati della terra. La
ricchezza, quella vera, dei figli della luce si chiama Vangelo ed è custodita nei poveri! È per questo
che siamo chiamati da Dio in Cristo a una esistenza luminosa, a donarci e donare: «Mio e tuo non
sono che parole. Non aiutare i poveri è rubare: quanto possediamo non appartiene a noi, ma a
tutti. Dio, all'inizio, non ha fatto uno ricco e uno povero, ma ha dato a tutti la stessa terra» (G.
Crisostomo). I poveri, eredi per così dire naturali del Regno, saranno coloro che accolgono quanti li
hanno visti e accolti quaggiù.
Comprendiamo bene adesso qual è la domanda che ci rimane, dopo l'incontro con questa Parola
del Signore: «Io chi voglio servire?». La scelta è una sola, unica, precisa... tratteniamo nel cuore
questo verbo stupendo, meraviglioso e dolce, il verbo «servire». Tornano alla mente le parole di
Giosuè al popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire»
(Gs 24,15)!
Sappiamo che siamo ingiusti, che siamo amministratori infedeli, stolti, sappiamo che non abbiamo
nulla, ma oggi possiamo decidere di scegliere, con tutto ciò che siamo, di servire il Signore (cf At
20,19; 1 Ts 1,9; Gal 1,10; Rm 12,11).
Appendice
Quelli che fanno il bene dovrebbero impegnarsi almeno quanto quelli che fanno il male
E` una parabola molto chiara e non c`è bisogno di spiegarne i dettagli. Ci dica lo stesso Signore
perché inventò questa parabola. "Perché", egli dice, "i figli di questo mondo son più avveduti dei
figli della luce" (Lc 16,8). Il Signore non loda, certo, la malizia dell`amministratore, ma la sua
avvedutezza. Non lo loda per la frode che fa, ma per l`ingegno col quale provvede al suo futuro.
Non sapendo, infatti, come vivere, poiché non era capace di zappare e si vergognava di chieder
l`elemosina, trovò un aiuto singolare, aggiungendo una frode alla malversazione dei beni del suo
padrone. Non viene lodato per la moralità della sua azione, ma per l`astuta trovata. E a questa
avvedutezza applaude il Signore, quando dice: "I figli di questo mondo sono più avveduti dei figli
della luce". Quelli sono più avveduti nel male che questi nel bene. A stento, infatti, si trovano
alcuni santi che mettano tanta accortezza nell`acquisto dei beni eterni, quanta furbizia hanno
questi nell`accaparrarsi i beni temporali. Per questi essi vegliano giorno e notte, lavorano,
s`angustiano, e con frodi, furti, rapine, tradimenti, spergiuri, omicidi non cessano mai d`accumular
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tali ricchezze. E chi può dire quanta furbizia mettano nell`ingannarsi l`un l`altro? Sentano i figli
della luce e si vergognino di farsi vincere dai figli di questo mondo. Queste cose sono state scritte
proprio perché diventiamo più accorti senza tuttavia imitarli nell`ingiustizia. Perciò viene aggiunto:
E io vi dico: "Fatevi degli amici col mammona d`iniquità" (Lc 16,9), ma non come fece
l`amministratore infedele. Non frodando l`altrui, ma dando il vostro. Tutte le ricchezze che sono
avaramente conservate, sono inique. E non sono equamente distribuite, se, dopo aver messo da
parte ciò che serve a te, non dai il resto agli indigenti. Perciò l`Apostolo: Ci vuole - dice - una certa
uguaglianza; la vostra abbondanza colmi la loro indigenza e la loro abbondanza supplisca alla
vostra necessità (cf. 2Cor 8,13). Dalle quali parole si vede bene che non ci viene ordinato di dare il
necessario, ma il di più. L`Apostolo non vuole che diamo al punto da ridurci in penuria. Le
ricchezze, allora, che per sé sono inique se son divise a questo modo, generano amici e il premio
eterno. Le ricchezze non divise sono ingiuste, ma se son divise, diventano giuste. Né c`è più
affatto ricchezza, se i beni son ridotti alla necessità. Tolto il superfluo, finisce il problema
dell`iniquità della ricchezza. Il Maestro continua: "Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto,
chi è ingiusto nel poco, è ingiusto anche nel molto (ibid.)". Questo vale particolarmente per gli
apostoli e per i dispensatori dei beni della Chiesa. Non sono dunque da affidare cose importanti a
quelli che nella vita privata non sono stati fedeli, e di quel poco che avevano non fecero opere di
misericordia e di pietà. Ma non dobbiamo dubitare della fedeltà amministrativa di coloro che
generosamente sovvengono gli altri col poco che hanno. Perciò l`Apostolo ammonisce che i
vescovi non devono essere cupidi di danaro né procacciatori di lucro ingiusto. Bisogna tener
presente nella elezione dei capi come si siano diportati nel poco e quanto abbiano di misericordia e
di pietà. Perciò è detto ancora: "Se non siete stati fedeli nell`amministrare le ricchezze di questo
mondo, chi vi affiderà le vere?" Se non avete usato in misericordia dei beni transitori, chi potrà
affidarvi l`amministrazione dei beni della Chiesa, che sono veri e santi?
"E se non siete stati fedeli nel bene altrui, ciò che è vostro chi ve lo darà?" Non son beni nostri le
cose che possono essere perdute a ogni momento della vita, come tutti i beni temporali. Son nostri
invece i beni che non possiamo perdere. Son ricchezze altrui le ricchezze temporali; essere buoni e
non mettere la nostra speranza nei beni temporali, questa è, invece, la nostra vera ricchezza. Ma
questa ricchezza veramente nostra non ci sarà data, se non saremo fedeli nell`amministrare i beni
temporali; a questa condizione i veri beni ci sono stati predestinati. (Bruno di Segni, In Luc., 2, 7)
La corona della vittoria
Lottiamo, dunque, o fratelli miei, sapendo che il combattimento è vicino a che molti partecipano
alle gare corruttibili. Non tutti sono coronati, ma solo quelli che si sono molto allenati e lottano
bene. Lottiamo, dunque, per essere tutti coronati. Corriamo sulla strada retta (cf. 2Pt 2,15) per
l`agone incorruttibile e partiamo in molti a gareggiare per essere incoronati. Se poi non possiamo
tutti conseguire la corona, ne siamo almeno vicini. Bisogna sapere che chi affronta una gara
corruttibile, se viene trovato manchevole, viene fustigato, preso e cacciato dallo stadio. Che vi
sembra? Cosa patirà chi è manchevole nella gara della incorruttibilità? (La Scrittura) dice di quelli
che non hanno salvaguardato il Battesimo: "Il loro verme non finirà e il loro fuoco non si spegnerà
e saranno di spettacolo ad ogni carne" (Is 66,21).
Sino a quando stiamo sulla terra, pentiamoci. Siamo come l`argilla nella mano dell`artigiano. Il
vasaio se gli si sforma o gli si rompe il vaso che sta lavorando, lo plasma di nuovo, ma se l`ha
messo già nella fornace, nulla può farci. Così anche noi. Sino a quando stiamo su questo mondo
pentiamoci con tutto il cuore dei peccati che abbiamo commesso nella carne, per essere salvati dal
Signore, mentre c`è tempo per la penitenza. Dopo che siamo usciti dal mondo, di là non possiamo
più confessarci e pentirci. Così, fratelli, facendo la volontà del Padre e conservando pura la carne
ed osservando i comandamenti del Signore potremo conseguire la vita eterna. Dice il Signore nel
Vangelo: "Se non avete custodito il poco chi vi darà il molto? Vi dico che chi è fedele nel poco è
fedele anche nel molto" (Lc 16,10-12). Questo, dunque, dice: conservate pura la vostra carne e
intatto il Battesimo per conseguire la vita eterna.
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E qualcuno di voi non dica che questa carne non sarà giudicata e non risorgerà. Di grazia, in che
foste salvati, in che otteneste la vista se non essendo in questa carne? Bisogna dunque, che noi,
come tempio di Dio, custodiamo la carne. Nel modo con cui foste chiamati nella carne, nella carne
anche vi presenterete. Se Cristo nostro Signore che ci ha salvati, da Spirito che era si è incarnato e
così ci ha chiamati, allo stesso modo anche noi in questa carne riceveremo il premio. Amandoci
l`un l`altro perché tutti possiamo entrare nel Regno di Dio. Avendo ancora tempo per essere
curati, affidiamoci a Dio che guarisce, dandogli la ricompensa. Quale? Il pentirsi con cuore sincero.
Egli prevede tutto e sa ciò che è nel nostro cuore. Lodiamolo non solo con la bocca, ma col cuore
perché ci riceva come figli. Dice, infatti, il Signore: "Sono miei fratelli quelli che fanno la volontà
del Padre mio" (Mt 12,50; Mc 3,35; Lc 8,21).
Fratelli miei, facciamo la volontà del Padre che ci ha chiamati per vivere e seguire sempre più la
virtù. (Pseudo-Clemente, Epist. II Cor., 7-10)
L`amministratore infedele
"Se non siete stati fedeli nei beni che vi sono estranei, chi vi darà ciò che è vostro? " (Lc 16,12). Le
ricchezze ci sono estranee, perché esse sono fuori della nostra natura: non nascono con noi, né
trapassano con noi. Cristo, invece, è nostro, perché è la vita. "Così egli venne nella sua casa, e i
suoi non lo ricevettero" (Gv 1,11). Ebbene, nessuno vi darà ciò che è vostro, perché voi non avete
creduto a ciò che è vostro, non l`avete ricevuto.
Cerchiamo dunque di non essere schiavi dei beni che ci sono estranei, dato che non dobbiamo
conoscere altro Signore che Cristo; "infatti uno è Dio Padre, da cui tutto deriva e in cui noi siamo,
e uno è il Signore Gesù, per cui mezzo tutte le cose sono" (1Cor 8,6).
Ma allora? Il Padre non è Signore e il Figlio non è Dio? Certo, il Padre è anche il Signore, perché
"per mezzo della Parola del Signore i cieli sono stati creati" (Sal 32,6). E il Figlio è anche Dio, "che
è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli" (Rm 9,5).
In qual modo allora, nessuno «può servire a due padroni»? E` perché non c`è che un solo
Signore, dato che non c`è che un solo Dio. (Ambrogio, In Luc., 7, 246-248)
[…] Nelle passate domeniche, san Luca, l’evangelista che più degli altri si preoccupa di mostrare
l’amore che Gesù ha per i poveri, ci ha offerto diversi spunti di riflessione circa i pericoli di un
attaccamento eccessivo al denaro, ai beni materiali e a tutto ciò che ci impedisce di vivere in
pienezza la nostra vocazione ad amare Dio e i fratelli. Anche quest’oggi, attraverso una parabola
che provoca in noi una certa meraviglia perché si parla di un amministratore disonesto che viene
lodato (cfr Lc 16,1-13), a ben vedere il Signore ci riserva un serio e quanto mai salutare
insegnamento. Come sempre il Signore trae spunto da fatti di cronaca quotidiana: narra di un
amministratore che sta sul punto di essere licenziato per disonesta gestione degli affari del suo
padrone e, per assicurarsi il futuro, cerca con furbizia di accordarsi con i debitori. E’ certamente un
disonesto, ma astuto: il Vangelo non ce lo presenta come modello da seguire nella sua disonestà,
ma come esempio da imitare per la sua previdente scaltrezza. La breve parabola si conclude infatti
con queste parole: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con
scaltrezza” (Lc 16,8).
Ma che cosa vuole dirci Gesù con questa parabola? Con questa conclusione sorprendente? Alla
parabola del fattore infedele, l’evangelista fa seguire una breve serie di detti e di ammonimenti
circa il rapporto che dobbiamo avere con il denaro e i beni di questa terra. Sono piccole frasi che
invitano ad una scelta che presuppone una decisione radicale, una costante tensione interiore. La
vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e
altruismo, tra bene e male. Incisiva e perentoria la conclusione del brano evangelico: “Nessun
servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e
disprezzerà l’altro”. In definitiva, dice Gesù, occorre decidersi: “Non potete servire a Dio e a
mammona” (Lc 16,13). Mammona è un termine di origine fenicia che evoca sicurezza economica e
successo negli affari; potremmo dire che nella ricchezza viene indicato l’idolo a cui si sacrifica tutto
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pur di raggiungere il proprio successo materiale e così questo successo economico diventa il vero
dio di una persona. È necessaria quindi una decisione fondamentale tra Dio e mammona, è
necessaria la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro agire e la logica della
condivisione e della solidarietà. La logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra
poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica
della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo
equo, per il bene comune di tutti. In fondo si tratta della decisione tra l’egoismo e l’amore, tra la
giustizia e la disonestà, in definitiva tra Dio e Satana. Se amare Cristo e i fratelli non va
considerato come qualcosa di accessorio e di superficiale, ma piuttosto lo scopo vero ed ultimo di
tutta la nostra esistenza, occorre saper operare scelte di fondo, essere disposti a radicali rinunce,
se necessario sino al martirio. Oggi, come ieri, la vita del cristiano esige il coraggio di andare
contro corrente, di amare come Gesù, che è giunto sino al sacrificio di sé sulla croce.
Potremmo allora dire, parafrasando una considerazione di sant’Agostino, che per mezzo delle
ricchezze terrene dobbiamo procurarci quelle vere ed eterne: se infatti si trova gente pronta ad
ogni tipo di disonestà pur di assicurarsi un benessere materiale sempre aleatorio, quanto più noi
cristiani dovremmo preoccuparci di provvedere alla nostra eterna felicità con i beni di questa terra
(cfr Discorsi 359,10). Ora, l’unica maniera di far fruttificare per l’eternità le nostre doti e capacità
personali come pure le ricchezze che possediamo è di condividerle con i fratelli, mostrandoci in tal
modo buoni amministratori di quanto Iddio ci affida. Dice Gesù: “Chi è fedele nel poco, è fedele
nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto” (Lc 16,10-11).
Della stessa scelta fondamentale da compiere giorno per giorno parla oggi nella prima lettura il
profeta Amos. Con parole forti, egli stigmatizza uno stile di vita tipico di chi si lascia assorbire da
un’egoistica ricerca del profitto in tutti i modi possibili e che si traduce in una sete di guadagno, in
un disprezzo dei poveri e in uno sfruttamento della loro situazione a proprio vantaggio
(cfr Am 4,5). Il cristiano deve respingere con energia tutto questo, aprendo il cuore, al contrario, a
sentimenti di autentica generosità. Una generosità che, come esorta l’apostolo Paolo nella seconda
Lettura, si esprime in un amore sincero per tutti e si manifesta nella preghiera. In realtà, grande
gesto di carità è pregare per gli altri. L’Apostolo invita in primo luogo a pregare per quelli che
rivestono compiti di responsabilità nella comunità civile, perché - egli spiega - dalle loro decisioni,
se tese a realizzare il bene, derivano conseguenze positive, assicurando la pace e “una vita calma
e tranquilla con tutta pietà e dignità” per tutti (1 Tm 2,2). Non venga pertanto mai meno la nostra
preghiera, apporto spirituale all’edificazione di una Comunità ecclesiale fedele a Cristo e alla
costruzione d’una società più giusta e solidale. […] (Papa Benedetto XVI, dall’Omelia del 23
settembre 2007)
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