OLTRE EXPO: LEONARDO A MILANO Nel 1482 Leonardo da Vinci scriveva a Ludovico Maria Sforza detto il Moro, duca de facto di Milano, offrendo la propria collaborazione: “Posso costruire bombarde comodissime e facili da portare…farò carri coperti, sicuri e inoffensibili i quali, entrando con le loro artiglierie in mezzo ai nemici, travolgeranno anche le moltitudini più compatte”. Solo in ultimo aggiungeva: “Credo di non essere inferiore a nessuno in architettura…farò in oltre in scultura…e in pittura, ciò che si può fare, a paragone di ogni altro, e sia chi vuole”. Le proposte di Leonardo, il quale evidentemente giungendo nella ricca Milano aveva intenzione di occuparsi di un settore molto remunerativo, erano di ordine economico e politico. Il discorso sulle nuove armi muoveva dalla rinomanza di Milano come città di punta nella produzione di armi tradizionali in Europa: con la tecnologia d’avanguardia progettata da Leonardo il Ducato avrebbe potuto sbaragliare ogni concorrenza anche nel settore dell’artiglieria. Inoltre, poiché Ludovico deteneva il potere usurpandolo al nipote, Leonardo, dimostrando di avere già intuito il destino di guerra che sovrastava lo stato sforzesco, suggeriva al duca di investire nell’esercito e nella difesa. Il Moro non seppe valutare adeguatamente quelle indicazioni che avrebbero forse potuto evitargli la disfatta e Leonardo si trovò ingaggiato come pittore per una pala sul tema dell’Immacolata Concezione commissionata dall’omonima confraternita per una cappella nella chiesa di San Francesco Grande, e fu la Vergine delle Rocce. Di essa esistono due versioni, una prima versione conservata al Louvre di Parigi, l’altra, successiva, alla National Gallery di Londra. Nella sua permanenza a Milano il maestro di Vinci continuò ad essere ingaggiato prevalentemente per le sue capacità artistiche, fu così che la scelta del Moro si trasformò in un enorme regalo all’umanità intera. Tra le altre cose Leonardo dipinse presso la corte ducale due famosi ritratti di due delle amanti di Ludovico, una allora giovanissima Cecilia Gallerani ed una più matura Lucrezia Crivelli. Passeranno alla storia come la Dama con l’ermellino, oggi custodita a Cracovia presso il museo Czartoyski e la Belle Ferronière, oggi al Louvre. Ma cosa resta in città dell’opera di Leonardo a Milano? Abbiamo già accennato in un precedente articolo alla sala delle Asse presso il Castello Sforzesco, si tratta della sala VIII nel percorso del Museo d’arte antica, oggetto di infiniti restauri che speriamo prima o poi ci verrà restituita nel suo splendore. C’è poi il Ritratto di Musico presso l’aula Leonardi della Pinacoteca Ambrosiana, datato 1485. Considerato erroneamente per secoli un ritratto di Ludovico il Moro, in realtà il dipinto, come evidenziato dal cartiglio sul quale sono evidenti righe e note di una partitura musicale e tornato alla luce dopo la rimozione dello strato di vernice in basso effettuata nel 1904, rappresenterebbe Franchino Gaffurio, maestro di Cappella del Duomo di Milano dal 1484 nonché frequentatore della corte ducale e certamente in rapporti amichevoli con Leonardo. Si tratta dell’unico ritratto maschile a noi pervenuto realizzato dal maestro e presenta una notevole affinità stilistica con la Dama con l’ermellino e la Belle ferronière citate prima. Simili sono infatti il taglio, il rapporto della figura con lo spazio e l’eccezionale introspezione psicologica. La forza e la suggestione che trapelano dall’effigiato, colto in un momento d’attesa, forse in procinto di cominciare il suo canto, sono superbe. Altri in passato vi avevano riconosciuto altri musicisti presenti a Milano in quegli anni, in particolare il fiammingo Josquin des Prèz, anch’egli attivo nello stesso periodo come maestro di cappella presso il Duomo. Altri, in tempi più recenti, hanno proposto una suggestione ancora più audace. Potrebbe trattarsi dello stesso Leonardo da giovane, un autoritratto, pratica molto diffusa tra i principali artisti di quel tempo. Ma a Milano Leonardo ha lasciato soprattutto l’Ultima Cena, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Ludovico il Moro pensava di trasformare la chiesa in una sorta di mausoleo della famiglia Sforza e fu proprio lui a commissionare l’opera all’artista. Fu realizzata tra il 1494 ed il 1497 e tecnicamente non si tratta di un affresco ma di un dipinto a tempera grassa su intonaco. Il momento che Leonardo scelse fu quello più drammatico del racconto evangelico, quello in cui Cristo proferisce la frase “Uno di voi mi tradirà”. Partono da queste parole quelli che Leonardo chiama “i moti dell’animo”; gli apostoli si animano drammaticamente, i loro gesti sono di stupore e di meraviglia. C’è chi si alza perché non ha percepito le parole di Cristo, chi si avvicina, chi inorridisce, chi si ritrae, come Giuda, sentendosi subito chiamato in causa. Le figure degli apostoli si impongono per monumentalità, esse sono rappresentate in un ambiente che, dal punto di vista prospettico è esatto. Attraverso semplici espedienti prospettici, come la quadratura del pavimento, il soffitto a cassettoni, le tappezzerie alle pareti, le tre finestre del fondo e la posizione della tavola, si ottiene l’effetto di sfondamento della parete su cui si trova il dipinto, tale da mostrarlo come un ambiente nell’ambiente del refettorio stesso. Il Cenacolo nell’ultimo restauro ha guadagnato dei particolari che appaiono dotati di una luminosità e freschezza cromatica finora insospettate. Il colore è usato nei toni della luce. Luce le cui sorgenti sono una finestra reale del refettorio e le tre dipinte sul fondo, che si aprono su un cielo teso all’imbunire. Dopo Leonardo molti altri artisti si sono cimentati nel rappresentare lo stesso soggetto ispirandosi chiaramente al Cenacolo di Leonardo e provando a reinterpretarlo in maniera differente. Solo a Milano basta pensare all’Ultima Cena di Rubens o Daniele Crespi alla Pinacoteca di Brera, quella di Gaudenzio Ferrari a Santa Maria della Passione, o quella di San Lorenzo Maggiore di un suo allievo. Quest’ultima in particolare rimette in evidenza alcuni dei misteri nascosti nel Cenacolo, come l’errata proporzione della mano che afferra il pugnale (San Pietro o un quattordicesimo apostolo?) o il volto femminile di San Giovanni (Maria Maddalena?) su cui tanto si è scritto. La presenza di tante imitazioni dimostra però che l’Ultima Cena di Leonardo non è un’opera la cui celebrità risale ai giorni nostri, ma un’opera mirabile di un incredibile genio che ha rappresentato un riferimento a cui ispirarsi per intere generazioni di artisti a partire dalla fine del Quattrocento. Felice Marino Associazione culturale Antares – [email protected]