Le ACLI di Bergamo e le elezioni
Sentiamo importante prendere la parola ed esprimere, ad alta
voce, alcuni punti fermi in vista della prossima scadenza
elettorale del 7 giugno prossimo per il rinnovo del Parlamento
Europeo, dell’Amministrazione Provinciale, del Comune di
Bergamo e di molti Comuni della bergamasca, senza avere la
pretesa di essere esaustivi ma cercando di porre l’attenzione su
alcune questioni per noi importanti.
Lo facciamo perché abbiamo a cuore, come credenti e cittadini,
la qualità della convivenza umana delle nostre comunità e dei
nostri territori. Non ci rassegniamo al senso di impotenza che
pare attanagliare molti nostri concittadini, allo scadimento della
politica ridotta a consenso, incapace di prefigurare scenari che
vadano oltre l’immediato, al venir meno delle ragioni che
rendono bello e appassionante il vivere insieme. Non ci
rassegniamo alla sonnolenza delle menti, alla disinformazione,
alla esasperazione dello scontro al fine di creare confusione, ad
un depauperamento del valore delle nostre istituzioni che sempre
meno sono rispettate quale alta espressione di democrazia. Una
concezione della politica segnata da una visione troppo corta
impedisce di immaginare nuove e più importanti sfide, di dare
ragione e senso all’impegno politico, di riavvicinare le nuove
generazioni a progetti per cui valga la pena di spendersi e che
diano prospettive a scelte di valore e stili fondati sulla solidarietà
tra generazioni e popoli, sull’incontro della diversità, su
relazioni di conoscenza e di scambio tra persone e culture.
La politica, ovvero la passione per il bene comune
La politica rappresenta per noi aclisti “la forma più alta della
carità” (Paolo VI), il modo concreto per esercitare quella
sovranità che da senso e valore all’identità di ciascuno, capace di
custodire, anche in tempi di derive carismatiche e populiste
alimentate mediaticamente, la passione per il bene comune da
cercare insieme, vera ragione di ogni impegno politico. Nessuno
può farlo al posto nostro e tutti siamo chiamati, in modi e forme
molteplici, a fare la nostra parte. Chi non lo fa, rinuncia non solo
ad un diritto ottenuto a caro prezzo ma lo mette in discussione
per le generazioni future. Per questo, vorremmo invitare tutti i
cittadini a partecipare al voto, a non disertare le urne, a ritenere
possibile che la città di tutti si costruisca con l’impegno di
ciascuno. La democrazia si custodisce con la partecipazione. A
dispetto dell’onda di antipolitica – spesso cavalcata
pretestuosamente anche da alcune forze politiche - oggi serve
più politica. Che è mediazione, ricerca del consenso, costruzione
dal basso di ragioni condivise. Senza scorciatoie che, in nome
del pragmatismo, della semplificazione e dell’efficienza,
azzerano ogni forma di diversità e di confronto.
Serve vigilanza e discernimento
Siamo in un tempo segnato da una crisi economica che sta
mettendo a dura prova progetti e pensieri ritenuti, fino a poco
tempo fa, assoluti. Il moloch del mercato, il primato
dell’economia sulla politica, la forza della finanza libera da ogni
vincolo, parevano essere idee incontrastate e senza alternativa.
La situazione attuale, che costringe moltissime persone anche
delle nostre comunità a fare i conti con la precarietà del lavoro,
fa emergere sentimenti contrastanti. Lo scenario recente
dimostra come non sia possibile prescindere dalla responsabile
personale, dall’assunzione di stili di vita e di una consapevolezza
che ci aiutino a recuperare il senso di ciò che che siamo e di
come ci comportiamo nelle nostre comunità. Occorrono
vigilanza e discernimento perché nelle nostre terre, segnate da
sempre da una cultura impregnata di solidarismo e di attenzione
a chi fa più fatica, non soffino i venti della chiusura e del
risentimento.
Dalla parte dell’Europa
Le elezioni europee sono l’occasione per esprimere, ancora una
volta, la nostra gratitudine ai “padri” europei che in tempi di
guerra e di divisione hanno avuto il coraggio di immaginare il
sogno di un continente unito.
L’appuntamento elettorale per il rinnovo del Parlamento
Europeo deve rappresentare l’occasione per abituarci a ragionare
e a fare i conti con una visione strategica di più ampio respiro,
oltre le questioni nazionali, spesso di cortile. E’ l’occasione per
“pensarci” Europa, per stare dentro scenari economici sempre
più globali con la ricchezza di un’identità europea che nasce dal
confronto di popoli e di culture, per allenarci a quel compito
fondamentale del nostro tempo che è quello della “convivialità
delle differenze”. Auspichiamo che il dibattito elettorale delle
prossime settimane sia centrato sui temi europei e non sia invece
pretesto per affrontare questioni e beghe locali.
Tra le molte sfide con le quali l’Europa deve fare i conti, tre
sono, a nostro avviso, le più urgenti:
a. la mondializzazione dell'economia, a partire dal fallimento
di un sistema dominato da una moltiplicazione sfrenata
degli strumenti finanziari e segnato da una mancanza di
regolazione, di trasparenza e di responsabilità degli attori.
Per questo occorre stigmatizzare la rinascita di tentazioni
protezionistiche, valorizzare il lavoro umano, promuovere
l'impresa e ristabilire il ruolo dello stato quale garante
dell'interesse generale;
b. Il cambiamento climatico e il pericolo di “un
rovesciamento ecologico”. Occorre muoversi con
decisione verso un “re-orientamento della crescita
economica”, che passa anche attraverso una ritrovata
“frugalità nel consumo dei beni e negli spostamenti.
c. Infine, la sfida demografica, cui si deve rispondere con una
attenzione accresciuta al benessere delle famiglie e con un
maggiore impegno nell'integrazione dei migranti.
Un’Italia plurale
Proprio in chiave europea si possono e si devono guardare molti
temi al centro del dibattito politico, primo fra tutti quello
dell’immigrazione.
Ribadiamo con forza che, piaccia o meno, l’Italia vive già e non
da oggi una realtà di intercultura. Certo, corollario di questa
convinzione è che tutto deve essere inserito in un rigoroso
rispetto della legalità, necessaria garanzia per l’integrazione. Ma
c’è una soglia che non va oltrepassata: quella del rispetto delle
persone e della loro dignità. Crediamo che porre l’alternativa tra
accoglienza e legalità non sia la via da percorrere ma che ogni
politico debba percorrere e sperimentare percorsi capaci di
coniugare accoglienza e legalità, onde evitare che la strenua
ricerca della legalità costringa a trascurare che chi deve
sottostare alla legge sono uomini.
Crediamo non si debbano considerare come ontologicamente
legati i temi della sicurezza e dell’immigrazione, sconfiggendo
l’idea che tale connubio sia inevitabile.
Crediamo che la sicurezza la si eserciti anzitutto rivitalizzando i
territori, costruendo relazioni e legami sociali, favorendo,
attorno ai valori costituzionali, percorsi di incontro e di
partecipazione, coinvolgendo gli stessi immigrati in percorsi di
responsabilizzazione e di azione concreta per il riscatto della
loro immagine e della loro presenza. Per questo esprimiamo il
nostro dissenso nei confronti del “pacchetto sicurezza”,
approvato recentemente con voto di fiducia, che rischia di
provocare una profonda frattura nell'ordinamento nazionale,
introducendo una serie di misure restrittive nei confronti dei
cittadini immigrati che comprimono la sfera dei diritti
fondamentali e della dignità umana e favoriscono un clima
pericoloso di paura e di sospetto che alimenterà la clandestinità
anzichè combatterla. Problemi complessi esigono risposte
complesse e articolate. Non bastano slogans o parole d’ordine
che al più rassicurano, nel breve, i tanti impauriti ma non
servono a risolvere le questioni in gioco.
Cosa ci sta a cuore
Il diritto alla casa
Quando pensiamo ai nostri paesi e alla nostra città li intendiamo
come un sistema di relazioni umane dentro cui trovano spazio e
composizione le attività economiche, culturali, la cura della
salute e dell’ambiente, il rispetto della natura e della storia, le
reti di solidarietà, l’accoglienza e l’educazione, i diritti e i
doveri, l’interesse privato e l’interesse pubblico. Un territorio
luogo di relazione, di condivisione e di comunicazione. Capace
di dire, anche in questo tempo, il senso di un’identità urbana che
nasce solo dalla forza e dalla volontà di includere e di offrire
luoghi di scambio, di confronto, di incontro. Per questo,
abbiamo giudicato con favore il nuovo Piano di Governo del
Territorio (PGT) che l’attuale Amministrazione Comunale di
Bergamo ha consegnato alla città. Esso rappresenta, anche per
molte altre Amministrazioni Comunali, un’idea e un’occasione,
insieme complessa e sintetica, di “progetto di comunità” attorno
al quale Bergamo si trasformerà ed evolverà nei prossimi anni.
E’ auspicabile che ogni Comune si attrezzi a pensare un’idea di
sviluppo sostenibile del proprio territorio e della propria
comunità e di benessere per quanti abitano. Occorre essere
consapevoli che il problema abitativo è una questione che
coinvolge i diritti di cittadinanza, le politiche di welfare e
l'organizzazione della società nel suo insieme. La casa non è una
merce come le altre, perciò non può seguire semplicemente le
leggi del mercato, senza l'apporto di un intervento regolatore.
La casa e l’edilizia, per noi, non si riducono dunque a mere
questioni “tecniche” o unicamente costruttive ma si integrano
dentro la convinzione di una comunità “aperta” da perseguire nel
disegno urbano in opposizione ai possibili pericoli di periferie
dormitorio o ghettizzazione: i destini degli uomini,
indipendentemente dal loro ceto e dalla loro provenienza,
interferiscono, creano legami, costruiscono relazioni. Se non si
accetta questo, il rischio è di creare bunker e recinti.
Un’urbanistica vissuta e meditata mettendo al centro la persona,
come intesa dalla nostra Costituzione, ovvero come soggetto di
relazioni che la nutrono e la esprimono appieno, è tale se anche
il diritto alla casa è sentito, appunto, non solo come il diritto ad
un tetto, ma come il diritto a vivere in un ambiente che esprime
la relazione di chi abita i luoghi e esprime la bellezza dei luoghi
stessi.
Famiglia
Riteniamo fondamentale che nelle politiche familiari non si
vedano solo le famiglie portatrici di fatiche, ma che ci si occupi
di tutte le famiglie. Osservando infatti le risposte delle varie
amministrazioni comunali, si ha la percezione che le “politiche
familiari” siano collocate su diversi fronti e non vengono mai
attuate “politiche sociali” che impattino sulle famiglie - politiche
sociali che han l’obiettivo di far star bene le persone (e le
famiglie). Dobbiamo sforzarci di pensare a tutte le politiche a
partire dalla famiglia: il lavoro (con il sostegno all’occupazione
e la riduzione della precarietà, che pone i giovani nell’incertezza
e non facilita la formazione di una famiglia), l’abitazione
(favorendo politiche di sostegno all’edilizia popolare,
agevolando l’acquisto della casa per le coppie e sostenendo le
famiglie in difficoltà con le rate dei mutui o con il pagamento
degli affitti), l’assistenza sociale per la cura dei non
autosufficienti, l’attenzione per le famiglie immigrate, la
socialità intesa come spazio in cui si favoriscono relazioni e
incontri di storie da cui possono nascere percorsi di cura e di
coinvolgimento reciproco. Il fisco deve essere a misura di
famiglia. Oltre la retorica dei principi e dei valori, serve una
politica della famiglia capace d’interventi strutturali, per favorire
fattivamente la nascita di nuove famiglie, il sostegno e
l’educazione dei figli. In Italia si ha una pesante denatalità e
spesso si dimentica che i figli sono anche produttori di
ricchezza: con il calo demografico si ha una caduta pesante del
PIL (oltre che un segno tangibile di chiusura alla speranza verso
il futuro), fattore che certo non farà che acuire la già pesante
crisi economica attuale.
Welfare
E’ necessario un sistema sociale non assistenziale ma capace di
stabilire legami con e fra i cittadini (anziani, giovani, famiglie,
adolescenti, immigrati...) sia per consentire loro di affrontare
situazioni di disagio o di vulnerabilità sociale (mancanza di
formazione, lavoro, casa, sicurezza) accedendo ai servizi offerti,
sia per garantire ad ognuno il pieno coinvolgimento nella
progettazione e realizzazione degli interventi previsti dalla rete
dei servizi istituzionali, profit e non profit. Anche nella nostra
provincia diversi fattori hanno contribuito a modificare e
compromettere la capacità delle famiglie di generare da sé
strumenti di sostegno, incidendo soprattutto sulla capacità di
adempiere autonomamente al crescente fabbisogno di cura e
assistenza alla persona anziana, disabile e della stessa famiglia.
Quello dell’assistenza è un fenomeno che in pochi anni ha
raggiunto proporzioni notevoli e che si è diffuso
nell’indifferenza sociale e politica, il che dimostra quanto
difficile sia la trasformazione di un bisogno sociale esteso in un
problema di rilievo pubblico, che trovi risposte efficaci. Certo è
che in una società con una maggioranza di anziani è richiesta
una maggioranza di solidarietà, quindi un welfare che oltre ad
essere espressione di solidarietà sia anche espressione di
giustizia.
Crediamo inoltre che si debbano perseguire tenacemente
“politiche di integrazione”. Non può esserci coesione sociale se
non c’è integrazione, da intendersi in senso lato e non
meramente o strettamente legata solo all’inclusione delle fasce
di immigrazione presenti in città e provincia, ma da intendersi
come integrazione tra classi sociali, tra generazioni, tra categorie
di lavoratori, tra centro e periferia, tra pubblico e privato.
Un appello
“Sortirne da soli è avarizia. Sortirne insieme è politica”. Così si
esprimevano i ragazzi di Barbiana. Di fronte al tempo presente e
alle sue sfide, ciò che ci è chiesto è proprio questa capacità di
scommettere sulla possibilità di uscire insieme da questa
situazione. Per questo rinnoviamo l’invito a votare domenica 7
giugno prossimo e ad abitare con passione e cura i nostri
territori. Perché siano sempre più solidali, accoglienti e inclusivi
e, anche in forza di ciò, orientati alla speranza.
La Presidenza delle ACLI di Bergamo
Bergamo, maggio 2009