Necessità di un approccio razionale all’accertamento del danno esistenziale Angelo Bianchi, Corrado Brilli, Pasquale Giuseppe Macrì, Saverio Luzzi Questo contributo si propone di enfatizzare l’importanza di un approccio valutativo fondato su solide basi giuridiche e scientifiche in tema di danno esistenziale. Questa esigenza nasce dalla collaborazione di un gruppo di professionisti di varie discipline che da tempo opera nel campo della valutazione del danno alla persona. Di questo gruppo fanno parte neuroscienziati (neurologo e neuropsicologo forense), medici legali ed avvocati. La discussione periodica dei casi, fin dal sorgere della domanda fino alla conclusione della causa, è stata il metodo di lavoro prediletto da questo gruppo, con risultati molto positivi sia negli effetti che nel livello di soddisfazione e di crescita professionale di ciascuno dei partecipanti. In una prima fase della pur breve storia del danno esistenziale si è assistito ad una inquietante tendenza verso la fuoriuscita dai tradizionali canoni di accettabilità delle evidenze scientifiche; in alcuni casi, si è assistito ad una sorta di “illuminismo rovesciato”, dove ad essere celebrata era proprio la fine della tirannide scientifica sul danno alla persona: il danno esistenziale avrebbe finalmente potuto – e dovuto – far definitivamente a meno del supporto della scienza empirica, rivelatasi troppo angusta e soffocante. Dall’altra parte, non pochi tra gli esperti della materia (in particolare tra i medici legali) hanno a loro volta proclamato una sorta di non expedit nei confronti del coinvolgimento nel regno nebuloso dell’esistenziale, dimenticando forse che nessun danno – proprio nessuno, neppure il più biologico dei danni possibili – potrà mai essere valutato in modo adeguato se non in rapporto alla concretezza della vita così come essa si realizza nelle quotidiane attività realizzatrici della persona. Oggi tutti o quasi sembrano finalmente d’accordo circa l’autonomia ed i contenuti della nuova figura giuridica, ormai ampiamente delineata sia sul piano dottrinale che giurisprudenziale. Sul piano applicativo, tuttavia, persistono a nostro parere alcune incertezze che se non tempestivamente corrette rischiano di vanificare i risultati raggiunti. Queste incertezze si distribuiscono, a parer nostro, su ogni fase del processo civile: 1. Va da sé che l’avvocato che per primo riceve la domanda di tutela debba essere ben consapevole dello statuto ontologico del danno esistenziale, soprattutto dei suoi confini col danno biologico di natura psichica, ed anche – suppure il tema sia stato meno esplorato – col danno morale. Non appare necessario né opportuno che ogni citazione si concluda – canonicamente – nella triplice richiesta di risarcimento: questo nuoce gravemente non solo alla solidità concettuale delle diverse figure di danno, ma anche – come vedremo – alla stessa equità complessiva del sistema, che non ha nulla da guadagnare dalla moltiplicazione confusa ed indiscriminata delle richieste. In linea di principio, possono aversi almeno tre diverse situazioni: a) nessun danno risarcibile; b) danno esistenziale puro; c) danno esistenziale associato a danno biologico. La prima e la seconda situazione sono tipicamente riscontrabili ove l’illecito riguardi la lesione di un diritto diverso dal diritto alla salute ed all’integrità fisica, e che inoltre possieda – per poter essere riconosciuto come danno esistenziale – significativi riflessi sul concreto fare della vittima o dei suoi familiari. E’ certamente vero che la lesione di qualsiasi diritto (ma che dire del desiderio?) comporta una certa quota di fastidio e disagio, ma non è detto che tutto ciò debba essere necessariamente classificato come danno esistenziale, che è ben altra cosa. Perché si abbia un danno esistenziale, è necessario che la sfera delle attività realizzatrici della persona – ciò che fa di una vita la mia vita, la mia dimora nel tempo – sia stata significativamente e durevolmente intaccata. Non crediamo minimamente che il danno esistenziale sia una figura giuridica adatta ad offrire cittadinanza ad ogni sorta di frustrazione, infelicità o risentimento, che le società occidentali generano al ritmo stesso di crescita – e forse ancor più celermente – del proprio prodotto interno lordo. Proprio così: sempre più soddisfatti e più infelici ad un tempo. Già il seicento olandese – secolo opulento per eccellenza – aveva mostrato, in molteplici segnali, questa duplice sembianza. La terza situazione, certamente più frequente, riconosce diversi percorsi, che dovranno essere attentamente esaminati, argomentati e supportati da solide evidenze scientifiche: - è possibile ipotizzare una situazione dove la lesione di un diritto del tutto diverso dalla salute, ad esempio un diritto patrimoniale (una banca che non concede o concede un prestito in tempi diversi da quelli concordati), possa provocare nel soggetto coinvolto disturbi o malattie clinicamente rilevabili ed eziologicamente riconducibili all’esposizione prolungata a fattori stressanti (per esempio ricoveri ospedalieri per episodi acuti di ipertensione arteriosa, insonnia, ecc.), e che questi disturbi a loro volta ne compromettano in modo significativo la capacità di fare (occuparsi dei figli minorenni, accudire la casa, spostarsi in auto, ecc.). In questo caso la sequenza è: lesione di un diritto patrimonialedanno biologicodanno esistenziale. - Ma può aversi anche una situazione ove la lesione di un diritto costituzionalmente tutelato (per esempio l’onorabilità o la riservatezza) provochi immediate ripercussioni sulla sfera delle attività realizzatrici della persona (per esempio la revoca di un incarico, oppure un trasferimento), e solo secondariamente si rifletta sulla salute del soggetto o di altri coinvolti. In questo caso la sequenza è: lesione di un diritto della personadanno esistenziale danno biologico. - Infine, ma non per importanza, un danno diretto all’integrità fisica e/o psichica (un incidente stradale, un infortunio sul lavoro, un’aggressione in corso di rapina, ecc.) potrà provocare conseguenze esistenziali perfino più gravi della stessa lesione medicalmente accertabile. In questo caso la sequenza è lesione del diritto alla salutedanno biologicodanno esistenziale. L’avvocato dovrà attentamente scrutinare le singole situazioni, ed avvalersi – in questa fase di analisi e costruzione della domanda – del contributo scientifico di consulenti non chiamati soltanto né principalmente a “certificare” generiche richieste risarcitorie, quanto piuttosto a discriminare con competenza e rigore le diverse fattispecie, in particolare per quanto concerne la natura, entità e credibilità degli eventuali disturbi allegati, come pure per quanto concerne la loro supposta connessione causale con la condotta illecita tratta in giudizio. Questa fine capacità discriminativa – che va ben oltre i confini della tradizionale diagnostica differenziale – rappresenta appunto, a nostro avviso, il munus aggiuntivo che le scienze esperte (medicina legale e neuroscienze, in particolare) possono offrire in tema di accertamento e valutazione del danno esistenziale. Questo apporto non dovrà concretizzarsi, lo ripetiamo ancora, in una pura e semplice richiesta “certificatoria” – quasi sempre generica e troppo spesso bizzarra – quanto piuttosto nell’utilizzo competente di un metodo di lavoro improntato alla discussione ed alla pianificazione multidisciplinare dell’azione forense. Detto en passant, siamo sempre più convinti che questo metodo di lavoro – solo minimamente più dispendioso in termini di tempo e di organizzazione – possa risultare massimamente vantaggioso anche in altri settori d’intervento multidisciplinare, dove le competenze scientifiche e giuridiche devono necessariamente lavorare insieme. Ma di questo parleremo un’altra volta. 2. Càpita che il giudice assegni al CTU quesiti che implicitamente nascondono una distorsione interpretativa che necessariamente si rifletterà – a parità di ogni altra condizione – sull’esito delle indagini peritali. Quesiti del tipo: “Accerti il perito se in conseguenza dell’illecito si sia verificata lesione dell’integrità fisica o psichica o se il pregiudizio inferto riguardi esclusivamente la sfera dell’esistenza” sono fondati sull’errato presupposto che il danno biologico non possa coesistere insieme al danno esistenziale, suggerendo inoltre che esista un gradiente di importanza tra il danno biologico e quello “solo” esistenziale. Dobbiamo dire che questo doppio pregiudizio è largamente condiviso da molti esperti nella valutazione del danno alla persona, soprattutto tra i più carichi di anni e di esperienza, che in molti casi sembrano anch’essi persuasi che il danno esistenziale non debba convivere né tantomeno competere – né in termini economici né concettuali – col danno biologico, al quale si dovrà comunque riservare un posto di assoluto privilegio, per non dire di egemonia in responsabilità civile. Questo doppio, errato pregiudizio (incompatibilità di principio e “superiorità” del danno biologico su quello esistenziale) dovrà essere nei prossimi anni gradualmente rimosso, come autorevole dottrina e cospicua giurisprudenza hanno già da tempo cominciato a fare. Per quanto concerne i quesiti formulati in modo improprio, essi andranno immediatamente contestati, e ne dovrà essere richiesta la riformulazione adeguata in termini di piena compatibilità di principio tra le diverse figure di danno. 3. Anche se il quesito viene posto in maniera corretta, le conclusioni del CTU possono comunque dar luogo a difficoltà interpretative. Ecco un esempio, dove il CTU – al termine di una minuziosa e tecnicamente ineccepibile indagine – così conclude: “La quantificazione del danno residuo globalmente considerato per l’aspetto biologico ed esistenziale è del X per cento”. In questo caso il CTU ha indebitamente riunificato danno biologico e danno esistenziale, assegnando ad entrambi un’unica percentuale tabellare. Così facendo, ha implicitamente negato l’autonomia del danno esistenziale, ed inoltre ha per così dire ingiunto a quest’ultimo di “rientrare nei ranghi” del sistema tabellare, magari un pochino rivisto al rialzo… E’ evidente che in questo modo la confusione regna sovrana, con buona pace della dottrina e della stessa giustizia sostanziale: il danno esistenziale in nessun caso potrà essere assimilato ad una specie di “ritocchino” percentuale. I giudici, prima di ogni altro soggetto coinvolto – prima ancora delle stesse vittime – dovrebbero indignarsi e ribellarsi di fronte a questo fraintendimento, purtroppo assai frequente. 4. Infine, la stessa sentenza del giudice può a sua volta nascondere malintesi ed equivoci. In caso di grave danno biologico, per esempio, il giudice può omettere di prendere in considerazione il danno esistenziale allegato, con la giustificazione – non sempre espressa in modo esplicito - che l’entità del danno biologico riconosciuto comprende in sé ogni altra posta risarcitoria. Come dire: cosa vuoi di più? In un caso da noi seguito, un giovane con danno cerebrale prefrontale in seguito ad incidente stradale – danno ben descritto con gli strumenti neuropsicologici e ben evidenziato con gli strumenti di neuroimmagine morfologica e funzionale – si è visto riconoscere una congrua percentuale di danno biologico, ma nessun danno esistenziale, nonostante che l’elenco delle opportunità perdute (la famosa agenda delle cose da non poter più fare…) fosse davvero lunga, e molto dolorosa: università (prestigiosa) abbandonata, fidanzamento finito, progetti andati in fumo, non (poter) essere più percepito lo stesso di prima…. In caso di danno biologico esiguo (le cosiddette, ma anche il nome andrà pian piano cambiato, micropermanenti), il giudice può essere tentato di percorrere il sentiero concettuale apparentemente opposto, ma in realtà complementare, al precedente: là il danno biologico “grande” fagocitava l’esistenziale, qui il danno biologico “piccolo” si dissolve tout court nell’esistenziale. Come nel caso di una giovane donna, coniuge di un uomo reso invalido da un grave incidente: dal momento che essa ha dato segno – e come poteva essere altrimenti, vista la necessità di mandare avanti la famiglia? – di riprendersi dall’iniziale, violento episodio depressivo, ed ha gradualmente abbandonato la terapia farmacologica, ecco che il danno psichico residuo – per sua natura mal obiettivabile, se non con metodologie di accertamento particolarmente rigorose ed affidabili – viene interamente ascritto al capitolo esistenziale, ed equitativamente (ma non sempre!) liquidato.