Il fariseo e il pubblicano - Circolo Evangelico di Cuneo

Predicazione di domenica 22/07/2012
Cristian Viglione
Il fariseo e il pubblicano
Carissime sorelle e carissimi fratelli,
le letture di oggi sono tratte dall’ epistola ai Romani, capitolo 3 versetti dal 10 al 20 e
capitolo 3 versetti dal 21 al 31, e dall’ evangelo secondo Luca, capitolo 18 versetti dal
9 al 14.
La parabole del fariseo e del pubblicano, sulla quale ci concentriamo nella
meditazione di oggi, brilla per chiarezza e incisività. E’ talmente limpido il suo
messaggio che non necessita di molte parole: sei versetti che arrivano al cuore
dell’antropologia, al cuore della natura dell’uomo.
La sintesi sfiora qui la perfezione espressiva.
Il contesto nel quale Gesù racconta questa parabola è un discorso in più parti che sta
facendo ai discepoli dopo la guarigione di dieci lebbrosi e uno dei famosi attacchi a
lui dei farisei che gli chiedono quando sarebbe dovuto venire il regno di Dio.
Gesù e i discepoli sono in viaggio verso Gerusalemme, dove si realizzerà poi la
salvezza degli uomini di ogni tempo e il compimento della storia; i viandanti non si
recano direttamente a Gerusalemme ma anche “sui confini della Samaria e della
Giudea”, per annunciare il regno di Dio a quante più persone possibili perché
appunto l’amore di Dio non è solo per alcuni, ma per tutti gli uomini.
Andiamo allora nello specifico del testo: Luca 18: 9 “Disse ancora questa parabola
per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri”.
Innanzitutto ciò che Gesù racconta è una PARABOLA; ce ne sono molte nei quattro
evangeli, ma anche nella Bibbia ebraica se ne possono trovare.
Ma che cos’è una PARABOLA?
PARABOLA deriva dalla parola greca parabolè che è formata da due termini:
para che significa “a fianco” e ballein che significa “gettare”, quindi letteralmente
“gettare a fianco”.
Il messaggio parabolico allora è un messaggio che “getta a fianco”, cioè devia:
SI DICE UNA COSA PARLANDO DI UN’ALTRA.
Per capire a fondo il significato di questo tipo di racconto, quanto abbiamo detto non
basta ancora, manca qualche elemento. Sotto la parola greca parabolè vi è il termine
ebraico mashal: esso è presente trentanove volte nella Bibbia ebraica e può avere
diversi significati come PROVERBIO, FAVOLA, DISCORSO PROFETICO
FIGURATO, SIMILITUDINE, PARABOLA, POEMA, SENTENZA ETICA DI
SAGGEZZA. In ogni caso ha la funzione di CHIAMARE ALLA
CONVERSIONE, invita ad avere un cuore nuovo ed uno spirito nuovo, per sfuggire
alla morte e vivere.
In questo senso allora possiamo dire che LA PARABOLA HA QUALCOSA DI
PROFETICO: noi sappiamo che la PROFEZIA non è per prima cosa l’annuncio di
un avvenire futuro, ma E’ LA RIVELAZIONE DEL PRESENTE CHE LE
PERSONE NON CAPISCONO E LA RIVELAZIONE DEL PECCATO CHE
AVRA’ DELLE CONSEGUENZE DISASTROSE PER IL FUTURO SE NON
CI SI PENTE. Ovviamente anche la parabola evangelica ha questa profezia.
Mashal è uno dei mezzi più efficaci per far comprendere all’altro le cose difficili e
che mettono in discussione la sua condotta.
Da tutto questo possiamo comprendere che LA PARABOLA PRESENTA
ALL’ALTRO UN’IMMAGINE NELLA QUALE, DOPO AVER DATO IL
PROPRIO GIUDIZIO, EGLI SI TROVI OBBLIGATO A RICONOSCERSI.
La parabola del fariseo e del pubblicano, come possiamo leggere al versetto 9, è “per
certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri”, quindi per
coloro che, grazie alle loro presunte opere buone, si considerano giusti, potremmo
dire anche “santi”, cioè coloro che confidano troppo nelle loro forze, nelle loro
capacità. In più giudica gli altri disprezzando il loro comportamento. DALL’ALTO
DELLA LORO “SANTITA’” SI SENTONO IN DOVERE DI PUNTARE IL
DITO SUI MISERI PECCATORI.
Luca “chiama” quattordici testi del suo evangelo parabole e questa del fariseo e del
pubblicano è presente solo nel suo e non negli altri evangeli, per cui dovremmo fare
la massima attenzione perché nessun altro può aiutarci nella comprensione.
In questo testo ci sono due grandi temi: LA NATURA DELL’UOMO E IL SUO
AGIRE, e LA SALVEZZA DA PARTE DI DIO, cioè la GIUSTIFICAZIONE.
v.10 “Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo e l’altro
pubblicano”. Il contesto del racconto è il tempio nel quale ci si recava per rendere
culto a Dio, per pregare. I protagonisti sono due uomini, insieme a Dio che ascolta
ciò che essi dicono e agisce in base al suo amore: un FARISEO e un
PUBBLICANO. Sono due “tipologie” di persone molto diverse tra loro: uno molto
ben visto dal popolo e l’altro molto mal visto.
FARISEO deriva dall’ebraico farah che significa “separare”; è “il pio, il separato”,
colui che fa parte del gruppo religioso più rigoroso. Non è un sacerdote, ma ha
autorità e molto rispetto delle persone perché CONOSCE MOLTO BENE LA
LEGGE. Il suo ideale più alto è quello di OSSERVARE LA LEGGE IN MODO
“LETTERALE”, cioè BISOGNA FARE TUTTO CIO’ CHE LA LEGGE DICE
PAROLA PER PAROLA. Di conseguenza anche la salvezza si consegue, con la
benedizione di Dio, mettendo in pratica tutto ciò che la legge dice fin nei minimi
particolari.
E’ un estremista; ma l’esagerazione non porta mai da nessuna parte positiva, del resto
è verità che “le legge uccide, ma lo spirito vivifica”.
Per quanto riguarda il PUBBLICANO, il suo lavoro non è sicuramente caritatevole:
è L’ESATTORE DELLE TASSE. Nel mondo romano era presente, per riscuotere
le imposte, il sistema dell’appalto esattoriale, cioè lo stato metteva all’asta e dava in
concessione al miglior offerente la riscossione di ogni tipo di tributo, decime e
imposte varie.
Fissato l’ammontare complessivo per ogni zona, vinceva l’asta chi faceva l’offerta
più elevata e subito la versava: POTEVA POI RIFARSI CON OGNI MEZZO
SULLE PERSONE, CERCANDO DI GUADAGNARCI.
E’ logico che purtroppo avessero, per arrivare ad avere uno stipendio, un
atteggiamento prepotente e che incuteva paura nelle persone. Il suo mestiere era
considerato ovviamente IL PEGGIORE, tanto che anche il solo contatto con un
pubblicano era visto come una forma di impurità legale.
Quindi il pubblicano del nostro racconto è visto in questo modo.
In realtà sia il fariseo che il pubblicano non sono diversi davanti a Dio: la loro natura
è la stessa, cambia il loro atteggiamento che però non può vantare nessun merito nei
confronti di Dio.
Epistola ai Romani 3: 22-23 “Infatti non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono
privi della gloria di Dio”. La realtà del vivere quotidiano ce lo conferma e ci mostra
che “non c’è nessun giusto, neppure uno. Non c’è nessuno che capisca, non c’è
nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti sono corrotti. Non c’è
nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno” Romani 3: 10-12.
L’essere giusto allora non è una condizione propria dell’uomo, ma solo una sua
sbagliata presunzione: NESSUNO E’ MAI GIUSTO DAVANTI A DIO.
vv.11-12 “Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: <<O Dio, ti ringrazio
che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; neppure come questo
pubblicano. Io digiuno due volte la settimana, pago la decima su tutto quello che
possiedo”.
Il fariseo ha una eccessiva sicurezza della propria innocenza, e questo lo porta ad
avere un ATTEGGIAMENTO GIUDICANTE E INTOLLERANTE VERSO IL
PROSSIMO E VERSO I SUOI ERRORI. Questo dovrebbe farci pensare.
Il fariseo rappresenta l’uomo che difende la propria giustizia personale, che però Dio
non convalida. Essa è una falsificazione della giustizia, anche se magari non ha
commesso grandi peccati. Questo non è però il motivo per considerarsi immacolati:
“Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” Giovanni 8: 7.
Quanta arroganza e quanta spavalderia!!!
Anche la preghiera di questo fariseo manifesta la sua natura e la sua presunzione.
“Pregava così dentro di sé” v.11, forse una migliore traduzione potrebbe essere:
“rivolto verso se stesso”, e questa è la condizione interiore di colui che fa un
MONOLOGO, cioè che NON FA’ UN DIALOGO CON DIO, non ha Dio come
interlocutore, PARLA CON SE STESSO.
La “preghiera” RUOTA ATTORNO AL PROPRIO IO, non facendo altro che
autoconvincersi sempre di più che si ha ragione, si è giusto.
Il contenuto di questa “preghiera” allora non può essere che UN ATTO DI
CONFRONTO TRA SE’ E GLI ALTRI, ANCHE COLUI CHE VEDE IN
QUEL MOMENTO: IL PUBBLICANO. Il confronto, il paragone con gli altri è
sempre IL SEGNO DI UNO SGUARDO NON FISSATO SU DIO: se ci pensiamo
il PARAGONE si fa sempre con le persone che si pensa essere meno “capaci” o
“peggiori” rispetto a sé, PERCHE’ CI SI VUOLE SENTIRE MIGLIORE E PER
COPRIRE LE PROPRIE MANCANZE DICENDO CHE “L’ALTRO E’
PEGGIO DI ME”. Questa non è altro che DISPERAZIONE perché si chiudono gli
occhi sulla propria vera identità CREANDOSI UN FALSO SE’, UN FALSO IO.
Il paragone ha già in sé, fatto in questo modo, un altro elemento, cioè IL GIUDIZIO,
IL PUNTARE IL DITO SUGLI ALTRI. Questa è arroganza perché ci si crede
giusti a motivo delle proprie opere “meritorie”: MI SALVO DA SOLO.
Ma ciò non significa pretendere di essere sullo stesso piano di Dio?
L “preghiera” del fariseo inoltre è fatta di tante parole, “IO CHE SONO GIUSTO
POSSO PARLARE, GLI ALTRI DEVONO TACERE”. Prega solo perché si
considera DEGNO. Chi parla però non ascolta più e soprattutto NON ASCOLTA
DIO, ma se la fede nasce dall’ascolto, come potrà questi avere fede?
v.13 “Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al
cielo; ma si batteva il petto, dicendo: <<O Dio, abbi pietà di me, peccatore!>>”.
Il pubblicano è simbolo dell’uomo che sa, che è cosciente del proprio peccato e,
per questo, SI ARRENDE DAVANTI A DIO, CONSAPEVOLE CHE
SOLTANTO LUI PUO’ SALVARLO.
Anche la sua preghiera mostra ciò: CHIEDE PERDONO PERCHE’
CONSAPEVOLE DELLA PROPRIA CONDIZIONE PECCAMINOSA.
HA IL PROPRIO ESSERE CONCENTRATO SU DIO CHE GIUSTIFICA,
non il proprio sguardo perché si vergogna dei propri errori e non ha il coraggio di
guardare in alto a Dio. Anche noi quando sappiamo di aver sbagliato non riusciamo a
guardare negli occhi chi abbiamo tradito, se la nostra consapevolezza è vera e non è
ipocrita. E il pubblicano si vergogna, segno che il suo esame di coscienza è vero.
Non guarda gli altri, non fa paragoni, infatti non considera il fariseo che invece lo
disprezza. E’ consapevole della trave presente nel suo occhio e vuole far in modo che
non ci sia più… anche se l’altro avesse solo una pagliuzza non si potrebbe giudicarlo,
sarebbe appunto ipocrita.
Il pubblicano prega proprio perché si sente INDEGNO, e le sue parole sono poche e
misurate: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!”.
Lui sì che ha un vero e proprio rapporto, e un dialogo con il Signore. Quindi NON SI
PREGA PERCHE’ SI E’ SANTI, MA PER DIVENTARLO.
V.14 “Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché
chiunque s’innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato”.
Per tutto ciò che il pubblicano ha riconosciuto è tornato a casa giustificato, mentre il
fariseo no. Da riconoscere come punto in aggirabile è che LA SALVEZZA E’ UN
DONO GRATUITO DI DIO, NON IL SALARIO PER UN MERITO UMANO.
Questa parabola, come detto, ha due grandi temi: LA NATURA DELL’UOMO E
IL SUO AGIRE e LA GIUSTIFICAZIONE. A ciò corrispondono appunto DUE
CONDIZIONI DELLA SALVEZZA:
1. LA COSCIENZA CHE NESSUNO DI NOI E’ GIUSTO PER SE
STESSO.
Davanti a Dio ogni uomo è peccatore e LE BUONE OPERE MERITORIE SONO
SOLO FALSITA’, altrimenti sembrerebbe, o faremmo, DIO UN DEBITORE
COSTRINGENDOLO A INFONDERCI LA GRAZIA.
E poi colui che pensa di essere giusto da sé SI ISOLA DAGLI ALTRI, NON
COMUNICA PIU’ CON GLI ALTRI… E NEMMENO CON DIO.
2. E’ DIO CHE GRATUITAMENTE CI GIUSTIFICA.
Romani 3: 22-24 “Infatti non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della
gloria di Dio – ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la
redenzione che è in Cristo Gesù”.
Non è in potere dell’uomo la giustificazione, cioè il perdono dei peccati, ma è un
esclusivo dono da parte di Dio.
E come avviene in concreto la giustificazione?
“Mediante la redenzione che è in Cristo Gesù”.
Nello specifico come si realizza la redenzione in Gesù Cristo?
Romani 3: 25-26 “Dio lo ha prestabilito come sacrificio espiatorio mediante la fede
nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i
peccati commessi nel passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare
la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha
fede in Gesù”.
La redenzione, che si realizza in Gesù Cristo, avviene mediante il suo sacrificio, la
sua morte in croce, nella quale egli si carica su di sé i nostri peccati; verso i quali Dio
Padre ha avuto tolleranza ed è stato paziente, ed in cambio ci dona se stesso, cioè il
perdono. Questa è la giustizia di Dio che si manifesta in Gesù, anche lui giusto.
Ciò però, perché si realizzi concretamente in ogni singola persona di tutti i tempi,
necessita di una ennesima condizione che possiamo aggiungere, LA FEDE IN
GESU’ CRISTO. Affinché ogni singolo uomo di tutti i tempi possa essere
giustificato, è necessaria la fede in Gesù Cristo: riconoscere, come ha fatto Pietro, che
Gesù di Nazareth, figlio di Maria di Nazareth, e figlio adottivo di Giuseppe il
falegname, è il Cristo, il Figlio di Dio; E’ L’AGNELLO DI DIO CHE TOGLIE IL
PECCATO DEL MONDO.
Questo è il messaggio che la Scrittura ci vuole dare; ora sta a noi: VOGLIAMO
ESSERE COME IL FARISEO O VOGLIAMO ESSERE COME IL
PUBBLICANO? Ad ognuno di noi l’ardua scelta.
La nostra preghiera oggi potrebbe essere questa:
O Signore, tu ci insegni che per essere autentica una preghiera non deve avere troppe
parole, per cui non ci lasciamo andare a discorsi inutili.
Aiutaci a comprendere le nostre mancanze, i nostri errori, e permettici di riconoscere
soltanto in te, mediante il tuo unico figlio Gesù, il nostro Signore e salvatore, così
finalmente possiamo dire anche noi: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore”!!!
AMEN