Fondamenti teologici dell’etica ambientale
padre Maurizio Pietro Faggioni, ofm
professore straordinario di bioetica all’Accademia Alfonsiana, Roma
È alquanto rischioso per un moralista cimentarsi in questioni, come quelle connesse con il
tema dell'ambientalismo, per trattare le quali si richiedono cognizioni altamente specialistiche e per
le quali si aspettano soluzioni tecniche e orientamenti pratici di immediata applicabilità. Non di
rado i tecnici e gli esperti di problemi ecologici, non abituati a considerare le diverse questioni
emergenti nella luce dell'etica, scambiano per astrattezza e retorica ogni discorso che cerchi di
andare al di là della brutalità dei fatti per aprirsi al mondo dei significati e dei valori morali. Altre
volte l'accusa di fare della retorica è giustificata perché può capitare che l'eticista, invece di mediare
fra i valori e la realtà, dando le linee di fondo per guidare scelte e operatività, preferisca eludere i
problemi più impegnativi o proporre soluzioni astratte e non praticabili, stemperando il tutto in
esortazioni generiche.
Eppure è di vitale importanza che l'etica faccia sentire la sua voce in tutti quegli ambiti in
cui sono coinvolti la persona, i suoi diritti, la sua dignità, il suo ruolo nel mondo e nella storia, il
suo presente e il suo futuro. Compito dell'etica, quando lavora di conserta con altre discipline, non è
di sostituirsi ad esse, ma di arricchirle della dimensione dei valori perché scelte tecnicamente
corrette siano anche eticamente corrette e le ragioni particolari delle diverse scienze non
prevalgano sulle ragioni dell'uomo. Proprio per questo Van Renssellaer Potter auspicò, nel 1970, la
nascita della bioetica perché facesse come da ponte fra il mondo delle scienze che si interessano del
fenomeno vita e il mondo dei significati e dei valori morali.
In questa nostra esposizione sintetica, prese le mosse dalle accuse rivolte al cristianesimo da
parte di alcuni settori dell’ambientalismo, esamineremo dapprima il rapporto che l’uomo ha
contratto con il suo pianeta, sino a condurlo alle soglie del tracollo ambientale, presenteremo quindi
le diverse proposte etiche elaborate per interpretare e orientare razianalmente l’attività e la presenza
dell’uomo sulla terra e infine cercheremo di stabilire alcuni punti fermi per un modello cristiano di
etica dell’ambiente1.
1. Cristianesimo e questione ecologica
Nel 1962 usciva Silent Spring di Rachel Carson, una denuncia accorata dello stato di
degrado ambientale causato da una attività umana avida e imprevidente, triste presagio della morte
della natura2: questa data può essere indicata come l’inizio del movimento ambientalista moderno.
Nel 1962 si apriva il Concilio Vaticano II, ma l’emergente problema ecologico non pare aver
trovato spazio alcuno, neppure nei testi di Gaudium et Spes che più direttamente trattano del ruolo
dell’uomo e del senso della sua attività nel mondo.
In questi testi sono riproposti alcuni temi classici della cultura occidentale: la mistica del
lavoro, l’esaltazione della tecnica, il dominium terrae quale trasformazione della natura che riceve
il sigillo umano, come si legge in Gaudium et Spes 2, fino all'idea suggestiva che “gli uomini e le
donne possono a buon diritto ritenere che con il loro impegno sviluppano l’opera del Creatore”3.
Non si può negare che le prospettive aperte dal Concilio sulla vocazione umana nel cosmo siano
esaltanti, ma proprio negli anni in cui i Padri conciliari riproponevano l’idea dell’uomo signore e
1
Nella rielaborazione del testo pronunciato durante il Seminario ci siamo avvalsi di un nostro articolo apparso sulla
rivista "Antonianum": FAGGIONI M. P., L’uomo è ancora signore del creato? Tracce di etica ambientale in “GS”,
“Antonianum” 70 (1995), 429-472.
2
CARSON R., Silent Spring, Boston 1962 (trad. it. Primavera silenziosa, Milano 1962).
3
CONC. VATICANO II Costituzione sulla Chiesa nel mondo di oggi, Gaudium et Spes (=GS), n. 34, in Enchiridion
Vaticanum (=EV), vol. 1, Bologna 1981, 1426; cfr. GS 33 (EV 1, 1423); 57 (EV 1, 1505); 67 (EV 1, 1546).
1
vertice del creato e celebravano i trionfi dell’intelligenza umana e i prodigi della tecnica “tanto
progredita da trasformare la faccia della terra” 4 , diventava drammaticamente evidente che il
rapporto fra l’uomo e il creato si era deteriorato in modo forse irreparabile e che l’antica armonia
fra uomo e creato era diventata ormai un ricordo lontano e quasi mitico. Negli anni del Concilio, la
crisi ecologica balzò all’attenzione mondiale, facendo rapida presa nell’immaginario collettivo, in
seguito alle previsioni allarmistiche degli esperti di ecologia, di biologia, di climatologia, di
demografia, di medicina, di sociologia, di economia, in una atmosfera catastrofista alimentata dalle
funeree previsioni degli scienziati del Club di Roma e di altri futurologi5.
Non solo la Chiesa si mostrava titubante nel raccogliere prontamente la sfida della questione
ecologica, ma proprio in quel periodo, mentre ci si interrogava sulle cause e i possibili rimedi
dell’imminente disastro, usciva sulla prestigiosa rivista Science un articolo dello storico americano
Lynn White dal titolo The Historical Roots of Our Ecological Crisis nel quale si indicava nella
religione giudeo-cristiana e soprattutto nella sua espressione occidentale, sia cattolica sia
protestante, una delle principali responsabili della crisi ecologica6.
Le Sacre Scritture giudeo-cristiane pongono infatti un abisso fra uomo e natura e
attribuiscono a Dio il comando dato alla prima coppia di “soggiogare e dominare la terra” (Gen. 1,
28), stabilendo di fatto un deleterio antropocentrismo di cui è parte integrante l’ideologia dominium
terrae: tutto ciò si è tradotto lungo i secoli in un atteggiamento tirannico e distruttivo nei confronti
del mondo naturale7. La tesi di Lynn White fu rilanciata in modo ancora più unilaterale da Carl
Améry8 e, parzialmente modificata, dall’australiano J. Passmore che vedeva la vera radice dei mali
presenti nel connubio fra cultura greca e cristianesimo9. Degli innumerevoli interventi a favore e
contro queste tesi, emerge, per la notorietà dell’autore, la critica serrata all’antropocentrismo
cristiano che fa il teologo cattolico E. Drewermann il quale, nel suo zelo iconoclasta, giunge a
ridimensionare persino l’intoccabile figura di san Francesco, che invece Lynn White stesso additava
come esempio di sensibilità ecologica all’interno del cristianesimo10.
2. L'uomo e la terra: fatti e misfatti dell'antropocentrismo
È vero che l’antropocentrismo, in quanto attitudine strumentale e predatoria dell’uomo verso
la natura, ha radici culturali profonde e antiche, esse sono però molto più antiche di quanto
affermino Lynn White e gli altri accusatori del cristianesimo, più antiche della nascita della cultura
greca, risalendo agli albori della comparsa dell’uomo sulla Terra. Il fatto è che l’uomo è un animale
un po’ anomalo, perché tende naturalmente a sganciarsi dai ritmi e dagli equilibri naturali, sia
adattando i suoi comportamenti ai mutamenti ambientali sia intervenendo con strumenti più o meno
efficaci sull’ambiente per piegarlo ai suoi bisogni11.
La storia del rapporto tra l’uomo e l’ambiente può essere schematicamente illustrata
attaverso tre fasi: l’uomo sta in equilibrio con la natura, l’uomo cerca di dominare la natura, il
4
GS 5 (EV 1, 1329).
MEADOWS D. H. et all. cur., The limits to Growth. A Report for The Club of Rome’s Project on the predicament of
Mankind, New York 1972 (trad. it. I limiti dello sviluppo, Milano 1972).
6
WHITE L. jr., The Historical Roots of Our Ecological Crisis, “Science” 155 (1967), 1203-1207.
7
Il tema del dominium terrae é stato variamente inteso nella storia dell’esegesi e della teologia e non tutti gli aspetti
sono ancora completamente chiariti. Vedere: U. KROLZIK, Die Wirkungsgeschichte von Genesis 1, 28, in ALTNER G.
cur., Ökologische Theologie. Perspektiven zur Orientierung, Kreuz Verlag, Stuttgart 1989, 149-163 (trad. it.
“Dominium terrae”. Storia di Genesi 1, 28, “Rivista di Teologia Morale” 22 (1990), 257-267); ID., Umweltkrise.
Folge des Christentums, Stuttgart 19802.
8
AMÉRY C., Das Ende der Vorsehung. Die gnadenlosen Folgen des Christentums, Hamburg 1972.
9
PASSMORE J., Man’s Responsibility for Nature, London 1974, 19802 (trad. it. La nostra responsabilità per la
natura, Milano 1986).
10
DREWERMANN E., Der tödliche Fortshritt. Von der Zerstörung der Erde und des Menschen im Erbe des
Christentums, Regensburg 1981, 19864 (su san Francesco, p. 202).
11
In questa prospettiva vedere: MORONI A., I fondamenti scientifici dell’etica ambientale, “Problemi di Bioetica” 4
(1989), 23-49.
5
2
dominio umano sconvolge la natura. La quarta fase è in corso: se l’uomo continua lungo i binari
attuali, nella quarta fase il tracollo della natura trascinerà con sé l’uomo; se invece, come è
auspicabile, ci sarà un cambiamento di mentalità e quindi di scelte economiche, politiche, sociali, la
quarta fase condurrà l’uomo a trovare un nuovo equilibrio con la natura12.
2.1 L’uomo in equilibrio con l’ambiente
La famiglia degli Ominidi è arrivata tardi nella lunga storia della Terra, nell’era quaternaria,
inserendosi con un numero esiguo di individui all’interno di equilibri ecologici antichissimi. Gli
antenati dell’uomo, come ogni altro vivente, erano in equilibrio con l’ambiente, membri del tutto
naturali del proprio sistema ambientale il cui adattamento al contesto ambientale era quasi
esclusivamente biologico.
La separazione evolutiva dei due ceppi che avrebbero portato alle Antropomorfe africane e
agli Ominidi avvenne in seguito a un evento di origine tettonica che obbligò i Protominidi a passare
dalla foresta alla pianura aperta 13 : il nuovo ambiente condusse l’acquisizione del bipedismo e
obbligò gli ominidi alla trasformazione della dieta da vegetariana a onnivora, determinò una più
articolata organizzazione sociale incentrata sull’acquisizione e la distribuzione del cibo, con maschi
cacciatori e femmine raccoglitrici, promosse le capacità comunicative, accrebbe la mobilità di
gruppo e stimolò la capacità di costruire ripari e rifugi, nonché la produzione di utensili, in pratica
sassi scheggiati, frutto della prima tecnologia umana. Tutto questo richiese all’uomo una rapida
evoluzione di natura fisica, psicologica e sociale e permise l’emergere di una coscienza sempre più
chiara della sua diversità rispetto all’ambiente naturale sul quale egli cercava di imporre se stesso e
la sua intelligenza. Quando l’Homo erectus scoprì come utilizzare il fuoco per scaldarsi e tenere
lontane le fiere, possiamo dire che sia iniziata la trasformazione attiva dell’ambiente da parte
dell’uomo. Permaneva tuttavia una sorta di controllo sull’uomo da parte dell’ambiente a
somiglianza di quanto accadeva per le popolazioni animali con le quali gli uomini primitivi
convivevano14.
2.2 Dall’equilibrio naturale allo squilibrio
Il cammino verso lo squilibrio ambientale, cioè la rottura dell’equilibrio tra il gruppo umano
e l’ambiente naturale, ha percorso due tappe fondamentali, la prima coincidente con la rivoluzione
neolitica, periodo in cui l’uomo ha alterato l’ambiente naturale, ma senza comprometterne
sostanzialmente i processi di funzionamento, la seconda con la rivoluzione industriale, in cui il
crescente controllo sull’ambiente ha creato situazioni di drammatica compromissione della sua
qualità.
L’incrinatura nei rapporti tra umanità e ambiente è stato determinato verosimilmente, dalla
crisi del cibo provocata dai mutamenti climatici tra la fine del Mesolitico e l’inizio del Neolitico
con innalzamento della temperatura media e migrazione verso Nord delle faune fredde 15 .
Diventando l’ambiente meno ricco per la caccia, fonte principale di proteine e di grassi, l’uomo ha
dovuto carpire alla natura il segreto di produrre il cibo e svincolarsi così dalla dipendenza totale da
essa per quanto concerne l’alimentazione. Lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento produsse
un primo significativo incremento nella popolazione umana, fino ad allora rimasta stazionaria; il
12
Cfr. ASTESANO A., Historia ecològica y social de la humanidad, 2 voll., Buenos Aires 1974; FACCHINI F.
Evoluzione, uomo, ambiente. Lineamenti di antropologia, Torino 1988; NICHOLSON M., La rivoluzione ambientale,
Milano 1972.
13
La formazione della Rift Valley in Africa fu probabilmente l’evento chiave che promosse la divergenza evolutiva
degli ominidi dalle scimmie antropomorfe, ponendo i presupposti per la comparsa della specie umana.
Cfr. COPPENS Y., L’origine dell’uomo nella Rift Valley, “Le Scienze” 53 (1994), 70-77.
14
CONTI L., L’impatto della specie umana sull’ambiente in era pretecnologica e ai primi albori della tecnologia,
“Federazione Medica”, 27 (1984), 444-448.
15
FACCHINI F., Le origini dell’uomo, Milano 1990, p. 156 ss.
3
successivo passaggio dall’agricoltura itinerante a quella stanziale, favorendo il processo di
sedentarizzazione e di socializzazione, portò alla fondazione di villaggi e delle prime città16. Ma le
pratiche agricole e di allevamento, come la selezione di specie vegetali e animali più vantaggiose
per l’alimentazione e il lavoro, unite alla distruzione di boschi e foreste con il fuoco per ottenere il
terreno coltivabile, comportarono disturbo e modificazione di ecosistemi con estinzione di specie e
di associazioni animali e vegetali, mentre l’uso permanente di alcuni territori e la pratica delle
irrigazioni si rivelavano alla lunga nocivi per la fertilità del suolo.
Sotto l’incalzare dei crescenti bisogni sociali, la mente umana si impadroniva dell’ambiente
circostante acquisendone una conoscenza più esatta e sviluppava una tecnica artigianale che,
intervenendo sull’ambiente, lo trasformava e creava, in alternativa e in parallelo al mondo naturale,
un mondo umano, come una seconda natura. Per millenni l’uomo ha trovato del tutto logico
servirsi delle cose che l’ambiente gli offriva e non si è fatto domande sulla legittimità dei suoi
interventi sulla natura e nella natura, ma questo non significa che tutte le civiltà antiche abbiano
avuto lo stesso atteggiamento predatorio e irresponsabile nei confronti dell’ambiente17.
Le aggressive culture mesopotamiche, a motivo della degradazione dell’ambientale da essa
provocate con lo sfruttamento eccessivo del suolo, vissero ricorrenti crisi alimentari e demografiche
che alla lunga risultarono fatali18, mentre l'antica cultura egiziana e quella cinese manifestarono un
atteggiamento molto più rispettoso verso il loro ambiente e poterono quindi durare più a lungo.
Abbiamo diverse testimonianze letterarie e archeologiche degli effetti negativi dell’attività umana
sugli equilibri ambientali nel bacino del Mediterraneo a partire dall’età classica: Platone descrive
con precisione l’erosione del suolo dell’Attica seguita ad una intensa opera di deforestazione,
mentre Aristotele descrive la crisi ambientali dell’Argolide alla fine dell’Età del Bronzo,
recentemente documentata da una campagna geoarcheologica americana19. Fu tuttavia Roma, prima
repubblicana e poi imperiale, che si distinse per una politica di sfruttamento massiccio della natura.
Il disboscamento di vaste proporzioni, la conversione agricola delle aree, l’introduzione di nuove
specie animali e vegetali cambiarono drasticamente il volto della penisola italiana. Il disboscamento
del resto delle coste mediterranee, iniziato dai Romani, fu poi completato nel Medio Evo dagli
Arabi per quanto riguarda l’Africa settentrionale e la Spagna meridionale e dai Monaci cistercensi
per quanto riguarda la Francia meridionale20.
Nonostante alcuni effetti deleteri dell’intervento umano sull’ambiente, a motivo dei limitati
mezzi tecnici disponibili dalla rivoluzione neolitica sino praticamente alla rivoluzione industriale
nel XVIII secolo, non sono stati mai intaccati né l’andamento dei cicli biogeochimici, né la struttura
delle catene e delle reti alimentari naturali, né sono stati alterati in modo irreversibile quei
meccanismi omoestatici che assicurano o reintegrano il funzionamento dei sistemi ambientali
naturali. L’industrializzazione ha recato un indubbio miglioramento a numerosi aspetti della vita
umana, ma la crescita dei mezzi disponibili non è stata accompagnata da una parallela crescita
culturale e morale che permettesse la realizzazione di un corretto rapporto tra industria, economia e
ambiente. Qualunque danno ambientale del passato di solito colpiva solo un'area relativamente
piccola, mentre oggi l'uomo è in grado di disturbare il sistema ecologico globale e diventare, come
afferma B. Häring, “un creatore di deserti”21. In tutto il pianeta una generale varietà di guasti, di
16
GUZZETTI G.B., Ecologia popolazione e morale, Leumann (To) 1988, p. 33 ss.
MEAD M, FAIRSERVIS W., Kulturelle Verhaltensweisen und die Umwelt des Menschen, in ENGELHARDT H. D
cur., Umweltstrategie, Gütersloh 1975, 15-32.
18
KILMER A. D., The Mesopotamian concept of overpopulation and its solution as reflected in the mythology,
“Orientalia” 41 (1972), 160-177.
19
PLATONE, Crizia, 4, 111 B-D; ARISTOTELE, Meteorologica, lib. 1, cap. 14, 14-15 (352A5-14); cfr. BERNACCHI
E., Il degrado ambientale nell’antica Grecia, in”Le Scienze” 54 (1995), 17-18.
20
DI BERENGER A., Studi di archeologia forestale, Firenze 1965; SERENI E., Storia del paesaggio agrario italiano,
Bari 1962; ALESSANDRINI A., Storia delle utilizzazioni boschive, in ID., Il tempo degli alberi, Roma 1990, 43-58.
21
HÄRING B., Liberi e fedeli in Cristo, vol. 3, Roma 1981, p. 216.
17
4
problemi e di pericoli, evidenti specialmente nei grandi agglomerati urbani, si ripercuotono in
misura crescente sui bilanci, le politiche di intere nazioni.
Dall’inizio degli anni ‘60 gli scienziati, i politici e l’opinione pubblica dovettero prendere
coscienza degli effetti nocivi e dei danni forse irreparabili provocati sull’ambiente, suolo, acque,
aria, dall’attività umana, constatare la rottura del rapporto sinecologico fra migliaia di specie viventi
con il loro ambiente naturale, arrendersi all’idea che lo sviluppo economico non è inarrestabile per
l’esaurimento delle risorse disponibili, soprattutto energetiche.
3. Antropocentrismo? No, grazie
L’allarme per il pericolo ambientale non è né il punto più importante della questione
ecologica, anche se attualmente appare come il più impellente, né la migliore chiave di lettura del
problema, anche se di più facile presa sull’opinione pubblica: aver compreso che stiamo
intervenendo sull'ecosistema in maniera pericolosa e che questo mette a repentaglio la
sopravvivenza nostra e delle generazioni future, serve a sensibilizzarci, ma non è sufficiente per
affrontare globalmente il problema ecologico, a modificare radicalmente scelte e comportamenti
scelte pubblici e individuali, a giustificare sacrifici e rinunce ai quali non siamo più abituati.
Per poter risolvere la crisi ecologica e rimediare agli effetti disastrosi dell’attività umana
sull’ecosistema, non bastano interventi episodici e cure sintomatiche, ma occorre un mutamento di
prospettiva, una vera e propria conversione culturale che instauri un nuovo rapporto uomo-ambiente
e conduca a una riformulazione delle relazioni di responsabilità dell’uomo verso l’ambiente. Questo
ambizioso progetto costituisce lo scopo dell’etica ambientale: essa si propone di verificare
criticamente e di orientare razionalmente l’agire umano in questo campo e attraverso lo studio, la
riflessione, il dibattito pubblico giungere alla formazione di una coscienza ecologica.
Per alcuni si tratta di operare una vera e propria rivoluzione culturale che, rovesciando la
struttura antropocentrica tipica del pensiero occidentale, spodesti definitivamente l’uomo dal
centro dell’universo etico e completi la rivoluzione antiantropocentrica iniziata da Copernico e
proseguita con Darwin e Freud, che avevano contestato all’uomo l’antica centralità cosmologica e
la pretesa superiorità fisica e psichica rispetto alle creature non umane 22. Per altri si tratta, più
semplicemente, di passare da una visione fortemente antropocentrica ad una meno assolutamente
antropocentrica, da un antropocentrismo forte ad uno più moderato.
Tenendo conto dell’ampio dibattito in corso, tenteremo una revisione critica delle principali
impostazioni date alla questione ecologica, con particolare riferimento ai modelli etici, ma
implicitamente anche antropologici e cosmologici, impiegati per giustificare comportamenti e
orientare scelte23.
3.1 Il valore intrinseco degli enti naturali
Le teorie del valore intrinseco o inerente rifiutano di porsi nei confronti del mondo non
umano in termini puramente strumentali e cercano di sviluppare un approccio alternativo che
riconosca agli oggetti naturali e/o alla natura nel suo insieme un valore intrinseco o inerente e che
quindi fondi un diritto degli oggetti naturali ad essere rispettati e tutelati per se stessi,
indipendentemente dal valore che rappresentano per l’uomo 24 . Le impostazioni della teoria del
Segnaliamo fin d'ora le pagine dense e avvincenti, quasi una piccola monografia, che questo classico manuale di
teologia morale dedica, fra i primi, se non primo, all’etica ambientale (ibid., 213-263).
22
Cfr. FREUD S., Eine Schwierigkeit der Psychoanalyse (1917), in Gesammelte Werke, vol. 12, London 1947, 3-12
(trad. it. Una difficoltà della psicanalisi, in Opere, Torino 1976, vol. 8, 657-664).
23
Nel tracciare la mappa delle diverse proposte teniamo presenti soprattutto: BARTOLOMMEI S., Etica e natura,
Roma-Bari 1995; FOX W., Fondamenti antropocentrici e non antropocentrici nelle decisioni sull’ambiente, in POLI
C., TIMMERMAN P. curr., L’etica nelle politiche ambientali, Padova 1991, 115-137.
24
CALLICOTT J. B., Non-anthropocentric Value Theory and Environmental Ethics, “American Philosophical
Quarterly” 21 (1981), 299-309; ID., Intrinsic Value, Quantum Theory and Environmental Ethics, “Environmental
5
valore intrinseco sono riconducibili a tre, a seconda della qualità degli enti ai quali si intende
allargare la comunità morale: impostazioni sensiocentriche, biocentriche ed ecocentriche.
Nell’impostazione sensiocentrica si afferma che è arbitrario rispettare gli interessi umani
semplicemente perché appartengono alla specie umana, ma che sarebbe più ragionevole rispettare
gli interessi di tutti gli esseri che ne hanno, prescindendo dalla specie a cui appartengono. Se
un'entità non è sensibile, è incapace di avere interessi propri e quindi non le si deve alcuna
considerazione in quanto soggetto di diritto. Peter Singer, il più accreditato difensore di questo
criterio, ritiene che la linea di demarcazione fra soggetti degni di essere tutelati e soggetti privi di
questo diritto è data dalla semplice possibilità di poter provare o no piacere e dolore25. Questa
impostazione di pretta ascendenza empirista, in cui echeggia l’antropologia di D. Hume, di J.
Bentham e dei sensisti settecenteschi, porta a esiti sconcertanti quando applicata con rigore. Dal
momento infatti che la sensibilità consapevole richiede l’esistenza del sistema nervoso centrale,
paradossalmente questi neosensisti propugnano alcuni diritti degli animali adulti, in quanto
senzienti, ma li negano agli embrioni umani, in quanto non ancora dotati del sistema nervoso
centrale. La mia impressione è che il presupposto teorico sensista sia stato introdotto
secondariamente per giustificare da una parte i così detti diritti degli animali, almeno degli animali
superiori, e dall’altra per giustificare interventi manipolativi e distruttivi su embrioni umani26.
Dal punto di vista strettamente biologico, la visione unitaria del fenomeno vita determinata
dalle nostre conoscenze sull’evoluzione (diacronicamente) e sulla biocenosi (sincronicamente)
rende insufficiente una teoria, come quella sensista, che restringe la comunità morale ai soli
individui capaci di sentire. Non si capisce perché un'entità dovrebbe sviluppare una cognizione per
quanto rudimentale dei propri interessi affinché questi interessi siano presi in considerazione nel
contesto di azioni che la riguardano. A ben guardare il criterio della sensibilità risente ancora di una
deduzione antropocentrica, essendo l’estensione di un criterio primariamente riferito a una qualità
umana e, ogni caso, esso è insufficiente perché esclude gran parte del bioregno, mentre noi
sappiamo che la crisi ecologica è un problema globale dei viventi e del loro ambiente.
Un secondo gruppo di impostazioni, che si potrebbero dire biocentriche, pongono al centro
della considerazione etica il fenomeno vita in tutta la sua vastità. Un primo orientamento, che
rasenta spesso il panteismo, ricalca l’Etica del rispetto della vita proposta da A. Schweitzer sin
dagli anni ‘40 e ne condivide a tratti il suggestivo misticismo. In questa prospettiva la vita, in
quanto fenomeno biologico complessivo, è sacra ed ogni organismo vivente deve essere rispettato
perché espressione e attuazione di una misteriosa Volontà di vivere27.
Una seconda versione dell’etica biocentrica è quella del Rispetto degli organismi individuali
o dell’interesse di benessere28. Qui il criterio di eticità degli interventi sul mondo naturale è basato
sull'argomentazione, polemica con il sensiocentrismo, che il possesso di interessi non è limitato alle
entità che sono sensibili, ma si applica piuttosto a qualsiasi entità che sia biologicamente viva, in
Ethics” 7 (1985), 257-275; REGAN T., The Nature and Possibility of an Environmental Ethics, “Environmental
Ethics” 3 (1981), 19-34.
25
SINGER P., Animal Liberation. A New Ethics for Our Treatment of Animals, New York 1975 (trad. it. Liberazione
animale, Milano 1991); ID, Practical Ethics, Cambridge 1979 (trad. it. Etica pratica, Napoli 1979)
Sulla problematica dei diritti degli animali vedere: BATTAGLIA L., Etica e diritti degli animali, Roma-Bari 1997;
BONDOLFI A., Rapporti uomo-animale. Storia del pensiero filosofico e teologico, “Rivista di Teologia Morale” 21
(1989), 57-77; 107-123; CASTIGNONE S. cur., I diritti degli animali, Bologna 19882.
26
SINGER P., Killing Humans and Killing Animals, “Inquiry” 22 (1979), 145-156.
27
SCHWEITZER A., The Ethics of Reverence for Life, in ID., The Philosophy of Civilization, New York 1953,
307-329. Cfr. BIRCH C., COBB J. B., The Liberation of Life, Denton 1990; BLACKSTONE W. T., The Search for an
Environmental Ethics, in REGAN T. ed., Matters of Life and Death. New Introductory Essays in Moral Philosophy,
New York 1980, 301-305; TAYLOR P. W., The Ethics of Respect for Nature, “Environmental Ethics” 3 (1981),
197-218.
28
GOODPASTURE K. E., On Being Morally Considerable, “Journal of Philosophy” 75 (1978), 308-325; JOHNSON
A., A Morally Deep World. An Assay on Moral Significance and Environmental Ethics, Cambridge 1991.
6
quanto ogni vivente tende a conservare la vita e automantenersi. L’aspetto positivo di questo punto
di vista è che non nega l'importanza morale della sensibilità, perché nel rispettare gli interessi di un
entità biologica bisognerà tener conto se e in che modo questi interessi vengono percepiti, ma si
nega semplicemente e giustamente che la sensibilità sia il criterio di considerazione morale. Un
limite teorico e anche pratico, è dato dal fatto che se il fondamento del valore si trova in una qualità
comune a tutti i viventi, riesce difficile introdurre differenze di considerazione e di trattamento
giustificate in base a criteri oggettivi e ragionevoli.
Un allargamento radicale di orizzonte si ha nelle etiche ambientali di tipo ecocentrico nelle
quali si cerca di fondare la teoria del valore intrinseco dell’ecosistema nel suo insieme o dei singoli
componenti dell’ecosistema, nessuno escluso.
La capostipite è la Land Ethic di A. Leopold, nella quale si stabilisce il criterio etico che
“una cosa è giusta quando tende a preservare l’integrità, la stabilità e le bellezza della comunità
biotica; è ingiusta quando tende altrimenti” 29 . Una versione più radicale, ma concettualmente
dipendente dalla Land Ethic, è la bioetica globale sostenuta in Italia dall’antropologo fiorentino B.
Chiarelli, in questa impostazione criterio decisivo non è né l’idea metafisico-biologica di vita come
fenomeno irriducibile e sacrale, né i bisogni o i diritti delle singole entità viventi, ma il
mantenimento della configurazione ecologica empiricamente indagabile30.
La bioetica è, secondo Chiarelli, una scienza biologica e naturalistica con rilevanze
ecologiche. In questo modo, sfidando l’aporia di Hume, le leggi dell’ecologia descrittiva o empirica
vengono ribaltate in norme etiche, distruggendo l’etica in quanto scienza normativa e risolvendo i
giudizi di valore in giudizi di fatto: l’etica ambientale non è propriamente un’etica, ma è la stessa
scienza ecologica tradotta in norme comportamentali 31 . Non vogliamo ovviamente dare validità
assoluta alla cosiddetta legge di Hume, ma dobbiamo rivendicare la sua piena legittimità entro
l’ambito di pensiero in cui è stata formulata: è del tutto vero che non è possibile passare da
proposizioni is a proposizioni ought to quando l’essere che viene predicato è un essere empirico,
svuotato di densità assiologica, quale è appunto l’essere descritto con il metodo delle scienze
biologiche ed ecologiche32. Il passaggio dall’is all’ought to sarà possibile soltanto se ci rivolgiamo
all’essere degli oggetti naturali o della natura nel suo insieme con uno sguardo più penetrante, nella
luce cioè di una ontologia forte.
3.2 L’ecologia profonda
L’ecologia profonda o Deep Ecology 33 è così detta perché non solo vuole superare
l’antropocentrismo della ecologia di superficie, ma vuole anche andare oltre la stessa teoria del
valore intrinseco che, alla fine si riverbera sempre sull’uomo in quanto soggetto di responsabilità
29
LEOPOLD A., A Sand County Almanac and Sketches Here and There, London-Oxford-New York 1968 (originale
1949); ID., Some Foundamentals of Conservation in the Southwest, “Environmental Ethics", 1 (1979), 131-141
(specialmente 139-140). Cfr. CALLICOTT J. B. ed.,Companion to A Sand County Almanac: Interpretive and Critical
Essays, Madison, Wisconsin 1987; BARTOLOMMEI S., Etica e ambiente. Aldo Leopold e il valore morale degli
oggetti naturali, in MORI M., Questioni di bioetica, Roma 1988, 223-245; FLADER S. L., Thinking Like a Mountain:
Aldo Leopold and the Evolution of an Ecological Attitude Toward Deer, Wolves, and Forests, Columbia 1974.
30
CHIARELLI B., Un approccio all’etica su basi naturali, in VIAFORA C., Centri di bioetica in Italia. Orientamenti a
confronto, Padova 1993, 227-249.
31
Si vedano le aberranti conclusioni tratte da questa impostazione riguardo al problema demografico umano che viene
risolto “scientificamente” applicando all’uomo le stesse leggi ecologiche che spiegano la crescita delle popolazioni
animali e vegetali (cfr. CHIARELLI B., Un approccio, 243-249).
32
Espressa quasi incidentalmente dall’empirista scozzese in A Treatise of Human Nature (book 3, part 1, sect. 1) e
riproposta col rigore implacabile della filosofia analitica da G. M. Moore agli inizi del secolo in Principia Ethica,
Cambridge 1903 (trad. it. Milano 1964). Cfr. CARCATERRA G., Il problema della fallacia naturalistica. La
derivazione del dover essere dall’essere, Milano 1969; SCARPELLI U., Etica senza verità, Bologna 1982.
33
La distinzione fra ecologismo superficiale (antropocentrico) e di ecologismo profondo (non antropocentrico) fu
proposta nel 1973 da: NAESS A., The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movement. A Summary, “Inquiry”
16 (1973), 95-100.
7
etica e che prescinde completamente dal tipo di atteggiamento esistenziale verso certe realtà. In
questa impostazione invece che definire nuovi doveri e nuovi destinatari della nostra responsabilità,
si ritiene più importante e più fondamentale cambiare i nostri modelli percettivi: l’ecologia
profonda chiede un vero rinnovamento di orizzonti, un mutamento di Gestalt, un modo nuovo di
guardare al mondo e alla nostra compresenza nel mondo. Non si tratta quindi di una scuola o di una
corrente di pensiero dai contorni precisi, ma di una attitudine condivisa in modi diversi e
variamente risolta34.
La versione tipica è quella che W. Fox ha denominato Transpersonal Ecology35. Mentre le
argomentazioni sul valore intrinseco insistono sulla elaborazione e applicazione di certi codici di
condotta, gli ecologisti della transpersonal ecology cercano di aiutare la gente a sviluppare un
progressivo ampliamento della propria coscienza sino a percepire la natura e i singoli oggetti
naturali come parte del Sé. Una volta raggiunta questa forma di autocoscienza panica, svuotata di
ogni traccia di individualismo, sarà spontaneo per ciascuno cercare di proteggere, tutelare e
rispettare la natura, così come è spontaneo per ciascuno prendersi cura della propria sussistenza o
salvaguardare la propria integrità fisica.
Se poi si chiede a questi ecosofisti come si possa arrivare a realizzare una tale
amplificazione coscienziale, essi rispondono che si tratta di passare da una identificazione
semplicemente personale ad una identificazione transpersonale, di solito cosmologica. Invece di
partire dal frammento, da se stessi e dalla propria esperienza relazionale come fatto individuale, si
richiede di partire dal tutto e quindi di cogliere se stessi come aspetti di un processo vitale che si sta
svolgendo. Scrive W. Fox:
Se noi tutti capissimo, al livello più profondo -cioè incorporassimo, prendessimo dentro di noi,
facessimo nostro- il fatto che siamo foglie sull'albero della vita, che lo stesso cosmo ha dato origine
a tutte le differenziazioni che vediamo attorno a noi, sapremmo identificarci con tutti gli aspetti di
questo processo, questo albero della vita, e quindi saremmo disposti ad ammettere che tutte le entità
si sviluppino in modo proprio36.
È prevedibile che una visione così fortemente venata di panteismo, nel quale l’individualità
si disperde nell’ebbrezza della totalità, si trovi facilmente in sintonia con alcune religioni orientali,
soprattutto induismo, buddismo, taoismo, ed incontri i favori di coloro che, come F. Capra,
abbracciano atteggiamenti spirituali tipo New Age37.
L’ecofilosofia e l’ecoteologia femminista hanno scorto in questo approccio la possibilità di
superare in maniera definitiva l’impostazione del problema ecologico data dalla tradizione
antropocentrica, tipicamente ispirata alla logica patriarcale e quindi autoritaria e violenta, incapace
di guidare l’uomo verso un rapporto armonioso ed equilibrato con le realtà naturali 38 . Le
ecoteologhe sono molto critiche verso le tradizioni culturali occidentali ed in particolare verso il
cristianesimo storico per aver sacralizzato e naturalizzato i rapporti di dominio degli uomini sulle
34
NAESS A., Ecology, Community and Lifestyle, Cambridge 1989; DEVALL B., SESSIONS G., Deep Ecology: Living
as if Nature Mattered, Salt Lake City 1985 (trad. it. Ecologia profonda. Vivere come se la natura fosse importante,
Torino 1989); MERCHANT C., Radical Ecology. The Search for a Livable World, New York-London 1992, 85-109.
35
Cfr. FOX, Toward a Transpersonal Ecology, Developing New Foundations for Environmentalism, Boston-London
1990; ID. The Meanings of "Deep Ecology", “The Trumpeter” 7 (1990), 48-50.
36
FOX W., Fondamenti, 136; cfr. NAESS A., Self-Realization: An Ecological Approach to Being in the World, “The
Trumpeter” 4 (1987), 35-42.
37
CAPRA F., The Turning Point. Science, Society and the Rising Culture, New York 1982 (trad. it. Il punto di svolta.
Scienza, società e cultura emergente, Milano 1984).
38
CHENEY J., Ecofeminism and Deep Ecology, “Environmental Ethics” 9 (1987), 115-146; DIAMOND I.,
ORENSTEIN G. F., Reweaving the World. The Emergence of Ecofeminism, San Francisco 1990; KHEEL M.,
Ecofeminism and Deep Ecology. Reflections on Identity and Difference, in ROBB C. S., CASELBOT C. eds.,
Covenant for a New Creation. Ethics, Religion and Public Policy, Maryknoll-New York 1991, 141-164; PLANT J.,
Healing the Wounds. The Promise of Ecofeminism, Philadelphia 1989; RADFORD RUETHER R., Gaia & God. An
Ecofeminist Theology of Earth Healing, San Francisco 1992 (trad. it. Gaia e Dio. Una teologia ecofemminista per la
guarigione della terra, Brescia 1995).
8
donne (sessismo), dei padroni sugli schiavi (razzismo), e della specie umana (in pratica i maschi)
sugli animali e sulla terra (specismo): esse oppongono perciò al Dio monoteistico, maschio e
maschilista, Gaia, la dea della Terra che dà il nome all’ipotesi di J. Lovelock così prossima, per
certi versi, alle posizioni della Deep Ecology39.
Opera in queste posizioni il limite di tutti gli antiantropocentrismi che consiste nel trascurare
e perdere di vista la diversità ontobiologica fra uomo e creature non-umane: mentre però la teoria
del valore intrinseco giunge ad una omologazione assiologica fra uomo e altri oggetti naturali,
l’ecologia profonda pretende di pervenire ad una omologazione onto-psicologica, in una ebbrezza
panteista che allarga la coscienza sino a smarrirla in un vaghissimo Tutto. Quello che stupisce di
più non è la pretesa di estendere prerogative e diritti umani a creature non umane, ma la pretesa che
gli esseri umani, declassati al rango degli anellidi e delle amebe, dimostrino tanta gentilezza da
prendersi cura -ed essi soli- dell’universo mondo. Sfugge davvero il motivo razionale, il
fondamento di questo obbligo dell’umanità verso gli altri viventi e l’ecosistema.
4. Antropocentrismo riveduto e corretto
Il dibattito in corso sul fondamento dell’etica ambientale non solo ha portato allo sviluppo
delle impostazioni non-antropocentriche, ma ha anche permesso di esaminare criticamente la
tradizionale impostazione antropocentrica nella quale il centro ideale e il criterio fondamentale di
eticità è l’uomo, i suoi bisogni, i suoi diritti, i suoi valori, e gli oggetti naturali sono considerati in
funzione dei bisogni, valori, diritti dell’uomo.
Si devono quindi considerare due forme fondamentali di antropocentrismo,
l’antropocentrismo forte o radicale e l’antropocentrismo debole o moderato.
4.1 Antropocentrismo forte
Nell’antropocentrismo forte il mondo non umano è considerato degno di considerazione per
il suo valore strumentale, in quanto fonte di benessere per l’uomo40. Riceve grande enfasi il tema
della trasformazione fisica del mondo non umano, trasformazione che viene talvolta interpretata
idealmente come trionfo dell’ordine razionale sul caos, ma che viene praticamente misurata in
termini di crescita economica .
Per legittimare lo sfruttamento continuo e crescente delle risorse, si alimenta il mito della
sovrabbondanza, cioè sull'idea che le risorse della natura siano inesauribili e tutte al servizio dei
consumi umani. C’è tutta una letteratura che celebra la generosità della natura verso l’uomo, ma la
poesia non basta a nascondere un comportamento scriteriato e banditesco che ricorda molto il Far
West: per questo aspetto particolare, questo approccio è stato detto etica della frontiera o dei
cowboy. La storia ha provato che questo antropocentrismo tende ad essere egoista e poco
lungimirante, incapace di considerare gli interessi delle generazioni future e le conseguenze a lungo
termine di una devastazione dissennata della natura. La fiducia nell’ingegno umano è altissima e,
anche di fronte ai segni inequivocabili di degrado e di squilibrio ambientale, non si prende in seria
considerazione la possibilità di mutamenti culturali e comportamentali, sicuri che prima o poi si
troveranno soluzioni tecnologiche capaci di liberarci da ogni possibile male.
Questo atteggiamento mentale è alla base della situazione ambientale in cui ci troviamo al
giorno d'oggi e la sua influenza è ancora molto forte a livello di opinione pubblica.
39
J. Lovelock considera l'ecosfera come un solo grande organismo e formula così un modello che, per la sua visione
articolata ed insieme molto unitaria, si presenta il più coerentemente ecocentrico fra quelli fin qui esaminati:
LOVELOCK J., Gaia. A New Look at Life on Earth, Oxford 1979 (trad. it., Gaia. Nuove idee sull’ecologia, Torino
1990); ID., The Ages of Gaia. A Biography of Our Living Earth, New York 1988 (trad. it., Le nuove età di Gaia. Una
biografia del nostro mondo vivente, Torino 1991).
40
FOX W., Fondamenti, 119-120; SHRADER-FRECHETTE K., “Frontier or Cowboy Ethics” and “Lifeboat Ethics”,
in ID. ed., Environmental Ethics, Pacific Grove (Cal) 1981, 31-44; UDALL S. L., The Quiet Crisis, New York 1963,
66-80.
9
4.2 L’antropocentrismo debole
L’antropocentrismo debole o moderato cerca di rispondere ai gravi problemi ecologici
causati dall’antropocentrismo forte, ma non crede, come l’anti-antropocentrismo, che occorra una
rivoluzione del pensiero per far fronte alle questioni poste dalla gestione umana della natura. In
questa prospettiva l'etica ambientale è una semplice applicazione dell'etica tradizionale ad una serie
di nuove problematiche: tutto ciò che si richiede è un allargamento dell'ambito della morale e a
questo scopo è sufficiente estendere, integrare, o rendere più flessibili le categorie tradizionali, per
includervi i nuovi soggetti e le nuove situazioni. Il sistema dei diritti e dei doveri è centrato
sull’uomo e i referenti delle responsabilità sono sempre e soltanto gli uomini, mentre non si
riconosce agli oggetti naturali alcun valore intrinseco né diritto, potendosi parlare al massimo di
diritti indiretti, aventi cioé come termine ultimo l’uomo, i suoi bisogni, i suoi interessi, le sue
preferenze. In genere si prospetta un allargamento della responsabilità etica in senso sincronico,
come responsabilità collettiva verso le sorti di tutti gli uomini presenti sul pianeta come singoli e
come gruppi, e in senso diacronico, come responsabilità verso le generazioni future, una estensione
del principio di solidarietà che tiene conto degli effetti a lungo termine delle nostre azioni.
La prospettiva antropocentrica può apparire meno affascinante di quella
non-antropocentrica, ma non bisogna dimenticare che il soggetto coinvolto in prima persona nelle
decisioni in campo ambientale è l’uomo e l’uomo pensa in modo antropocentrico, perché pensa
dalla sua visuale e non gli è dato uscire dalla sua ombra, né si può trascurare che il grimaldello per
scardinare l’egoismo ecologico dell’uomo è stato ed è tuttora la preoccupazione che la crisi
ecologica comprometta gli standard di benessere raggiunti, se non la stessa sopravvivenza della
specie. In effetti gran parte del dibattito ambientale extrafilosofico è espresso in termini più o meno
antropocentrici, e lo stesso concetto di sviluppo sostenibile, la panacea delle politiche ambientali,
viene definito in prospettiva antropocentrica come “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente
senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”41.
Questo antropocentrismo revisionista riceve diverse declinazioni: l’etica della
conservazione delle risorse, l’etica della tutela delle risorse e l’etica della amministrazione delle
risorse ovvero etica del dono divino42.
I primi due modelli rispondono a una impostazione di tipo utilitarista. Nell’etica della
conservazione delle risorse, partendo dalla constatazione che ci sono limiti alla crescita materiale,
che la natura non è inesauribile, che le capacità di autorigenerazione della natura non sono infinite,
che lo sviluppo tecnologico non può essere la risposta a tutti i problemi, si cerca di conciliare le
ragioni dello sviluppo umano e quello della conservazione delle risorse disponibili, tenendo conto
dei bisogni dell’umanità attuale e di quelli delle generazioni future43. Il criterio di eticità coincide
con il massimo rendimento sostenibile, cioè con la massimizzazione del rendimento attuale
compatibile con una conservazione delle risorse che garantisca lo sviluppo futuro.
Nell’etica della protezione o preservazione delle risorse si cerca di motivare la tutela di
questo o quell'aspetto del mondo non umano perché ci dà ogni tipo di "beni e servizi" essenziali alla
sopravvivenza e ad un sano sviluppo fisico, perché costituisce una possibilità per l’allargamento
delle nostre conoscenze, perché rappresenta un tesoro di diversità genetica da impiegare a vantaggio
dell’uomo, perché è fonte di piacere estetico o di ispirazione spirituale e infine per il suo valore
simbolico, ricreativo, psicologico44. Sono ragioni che si riferiscono in ultima analisi all’uomo, ma,
41
W.C.E.D., Our Common Future, Oxford 1987, 43 (trad. it. Il futuro di noi tutti, Milano 1988, 71).
Cfr. BARTOLOMMEI S., Etica e natura, 47 ss.
43
L’etica della conservazione e sviluppo può essere declinata secondo due varianti: il modello della scialuppa di
salvataggio e il modello della navetta spaziale: G. HARDIN, Living on a Lifeboat, “Bioscience” 24 (1974), 561-568;
K. BOULDING, Human Values on the Spaceship Earth, New York 1966.
44
FOX W., Fondamenti, 123-124.
42
10
mentre nell’etica della conservazione in primo piano sta il vantaggio materiale dell’uomo e sarebbe
permesso, in via ipotetica, sconvolgere tutto l’ecosistema se ciò si traducesse in un beneficio per
l’umanità, nell’etica della protezione si sostiene invece che conservare la natura così com’è si
traduce in un bene per l’uomo.
L’etica della amministrazione, dipendente dalla visione giudeo-cristiana, è un’etica
teologica di impostazione tipicamente deontologica, in cui la responsabilità per la natura è
giustificata dalla percezione del mondo come dono divino affidato all’uomo, signore del creato, che
deve render conto della sua amministrazione a Dio stesso. L’etica ambientale cristiana prende le
distanze dall’arroganza dell’antropocentrismo forte ed evidenzia la non assolutezza del dominio
umano sulla creazione (è un teocentrismo, più che un antropocentrismo), fondando allo stesso
tempo un dovere di saggio utilizzo dei beni naturali da parte dell’uomo. A differenza della bioetica
umana, nell’etica ambientale -secondo Sergio Bartolommei- “dove in gioco è la disponibilità o
meno della natura nonumana ai fini del benessere delle persone (umane), i divieti e i vincoli [etici]
si allentano o si dissolvono sino a legittimare una totale disponibilità di principio dell’ambiente non
umano, essendo quest’ultimo solo un mezzo ordinato ai fini delle persone” 45 .Vedremo nel
paragrafo seguente come la riflessione sui dati biblici, tradizionali e magisteriali permetta tuttavia di
tratteggiare un modello assai più articolato e originale.
Il limite dei modelli antropocentrici puri, sia nella versione forte sia in quella moderata, è
che non riescono a stabilire un dovere dell’uomo nei confronti dell’ambiente al di fuori dell’utile
umano e anche l’introduzione di valori e beni spirituali fra i parametri dell’utile, non cambia
sostanzialmente la questione: se il fondamento del bene da farsi sta nell’utile umano, tutto ciò che
concorre alla massimizzazione del benessere umano alla fine può diventare lecito. Alcuni interventi
più drastici sui viventi e sull’ambiente oggi sono ritenuti eticamente inaccettabili soltanto perché
non sappiamo ancora controllarne e prevederne le conseguenze, ma se sapessimo prevederle?
L’antropocentrismo puro, sia forte sia debole, pur mantenendo una indubbia validità pratica a
livello di dibattito pubblico e di scelte politiche, non può dunque motivare in modo rigoroso una
tutela dell’ambiente, né si può prevedere che possa risolvere in modo soddisfacente i molti dilemmi
etici posti dalla crisi ecologica.
5. Proposte per un modello cristiano
Benché tardivi, dalla fine degli anni '60 non sono mancati interventi magisteriali, dapprima
quasi incidentali e frammentari e poi sempre più articolati e organici. In questo corpus ecologico
del Magistero spiccano alcuni testi di papa Giovanni Paolo II ed in particolare il numero 34
dell'enciclica Sollicitudo Rei Socialis del 1987, sui rapporti fra sviluppo e ambiente, la splendida
sintesi contenuta nei numeri 37-40 dell'enciclica Centesimus annus del 1990, sul legame fra
consumismo e crisi ecologica, le profonde rifessioni intorno alla signoria umana sul cosmo del
numero 42 dell'enciclica Evangelium Vitae del 1995 e infine il Messaggio per la Giornata mondiale
della Pace del 1990, intitolato Pace con Dio creatore. Pace con tutto il creato46.
A partire da questi testi e suggestioni e collocandoci nel rinnovato orizzonte antropologico
elaborato dalla teologia contemporanea, vorremmo delineare, schematicamente e per semplice
Praticamente le decisioni di un antiantropocentrista e di un antropocentrista di questo tipo spesso coincidono: l’uno e
l’altro, per esempio, saranno d’accordo che è necessario difendere la biodiversità, ma per un biocentrista ciò dipende
dal fatto che la tutela di ogni vivente è la legge fondamentale dell’etica ambientale, mentre per un antropocentrista la
biodiversità va tutelata perché le infinite specie esistenti, note e ignote, rappresentano una preziosa fonte di conoscenze
che potranno dimostrarsi utili in medicina o in agricoltura.
45
BARTOLOMMEI S., Etica e natura, 60.
46
Vedere, con particolare riferimento al ricco magistero ambientale di Giovanni Paolo II: PHAN P. C., Pope John Paul
II and the Ecological Crisis, “Irish Theological Quarterly”, 60 (1994), 56-69; PREZWOZNY J. B., La tutela
dell’ambiente nel Magistero di Giovanni Paolo II, “Miscellanea Francescana” 90 (1990), 377-417; ID. cur., La visione
cristiana dell’ambiente. Testi del Magistero Pontificio, Pisa 1991; ID., L’Ambiente nell’Enciclica “Centesimus
Annus”, “Miscellanea Francescana” 91 (1991), 121-122.
11
enunciazione di tesi, un possibile modello cristiano di etica ecologica47. Questo modello vorrebbe
essere una terza via o una via media che, visti i limiti tanto dell’antropocentrismo quanto
dell’antiantropocentrismo nel fondare un'etica ambientale, conservi i pregi indubbiamente presenti
nelle diverse proposte e ne eviti, per quanto possibile, gli errori.
Esso risponde a due requisiti fondamentali che gli altri modelli enfatizzano in modo
unilaterale: in primo luogo non si dovrebbe perdere di vista lo scarto ontologico fra natura umana e
natura non umana, ma nello stesso tempo non si dovrebbe dimenticare l’intima unità, biologica e
metafisica, del fenomeno vita e delle realtà mondane; in secondo luogo in questa etica ambientale la
responsabilità umana, individuale e collettiva, non si dovrebbe giustificare su calcoli utilitaristici in
vista del benessere dell’umanità attuale o futura, ma dovrebbe fondarsi sul riconoscimento del
valore intrinseco degli oggetti naturali, viventi e non viventi.
Questa etica ambientale si inscrive in modo del tutto coerente nella cosmovisione cristiana
che - come abbiamo visto - è stata accusata da Lynn White e altri di essere la causa o una delle
cause della crisi ecologica, una critica unilaterale e superficiale alla quale è già stato risposto con
larghezza dottrinale e ampiezza di argomenti48. In verità un pensiero autenticamente cristiano, cioè
svolto razionalmente in contesto di fede, non può pervenire in nessun modo ad elaborare o
giustificare un antropocentrismo quale viene raffigurato dai critici del cristianesimo, per il semplice
motivo che esso introduce sempre nel bipolo uomo-natura un terzo polo che è Dio creatore e con
ciò esclude dal suo orizzonte tanto il cosmocentrismo classico quanto l’antropocentrismo moderno
nelle sue diverse declinazioni e molteplici sviluppi49.
5.1 Quale antropocentrismo?
Nella visione cosmocentrica tipica di gran parte del pensiero greco, pre e postsocratico, si è
portati a vedere l’uomo come immerso o emergente dal caos, come un frammento o un episodio
della storia cosmica, ma nello stesso tempo portatore o ricercatore del logos, di un principio
cosmico di ordine e di razionalità che lotta per imporsi sulle forze caotiche e irrazionali
extraumane. L’ordine dell’universo è sempre frutto di lotta e di fatica, è trionfo del kosmos sul kaos
per opera del logos: e l’uomo stesso o si lascia ingoiare nel disordine e si nullifica in quanto uomo,
o impone il suo ordine alle cose e realizza le sue dimensioni più nobili ed elevate. Così
paradossalmente la concezione cosmocentrica greca esita in un antropocentrismo o meglio, secondo
l’interpretazione di J. B. Metz, abbiamo un antropocentrismo materiale o contenutistico, a livello
cioè dell’esistente, che si inscrive in un orizzonte formale cosmocentrico per quanto riguarda la
comprensione dell’essere50.
Il cristianesimo supera completamente questa cosmo-antropologia: l’uomo non è un
frammento del cosmo, ma una creatura fatta a immagine di Dio e quindi libera e autonoma,
immersa nel tempo e nella storia, la cui realtà profonda è irriducibile alle dimensioni delle altre
47
Cfr. AUER A., Umweltethik. Ein theologischer Beitrag zur ökologischen Diskussion, Düsseldorf 1984 (trad. it. Etica
dell’ambiente, Brescia 1988).
A quest’opera fondamentale e ormai classica si può affiancare qualche studio più recente: AUSTIN R. C.,
Environmental Theology, voll. 1-4, Abingdon (VA) 1987-1990; IRWIN K. W., PELLEGRINO E. D. eds., Preserving
the Creation. Environmental Theology and Ethics, Baltimore (MD) 1994; NASH J., Loving Nature. Ecological
integrity and Christian responsability, Nashville (TN) 1991; PRIVITERA S. cur., Per un’etica dell’ambiente, Roma
1995; SCHAEFFER-GUIGNIER O., Et demain la terre ... Christianisme et écologie, Genève 1990.
48
Fra gli altri: ATTFIELD R., The Ethics of Environmental Concern, Athens (GA) 19912; GLACKEN C. J., Traces on
the Rhodian Shore. Nature and Culture in Western Thought from Ancient Times to the End of the Eighteeen Century,
Berkeley-Los Angeles-London 1967
49
Cfr. BONIFAZI D., Polivalenza della categoria “antropocentrismo” nelle discussioni attuali, “Rassegna di teologia”,
34 (1993), 331-337; GIANNONI P. cur., La creazione. Oltre l’antropocentrismo, Padova 1993; SESSIONS G.,
Anthropocentrism and the Environmental Crisis, “Humboldt Journal of Social Relations” 2 (1974), 71-81.
50
METZ J. B., Christliche Anthropozentrik. Uber die Denkform des Thomas von Aquin, München 1962 (trad. it.
Antropocentrismo cristiano, Torino 1969)
12
creature, perché egli si trova in una relazione personale con Dio. In questa concezione il centro di
riferimento in ordine alla collocazione dell’essere è in Dio (teocentrismo materiale), ma in ordine
alla comprensione dell’essere il centro interpretativo è collocato nell’uomo (antropocentrismo
formale), lungo una linea che passa attraverso Tommaso e porterà alla svolta antropologica
rahneriana. Il rapporto fra l’uomo e la creazione viene dunque compreso in prospettiva
antropocentrica, ma a partire dal teocentrismo oggettivo del reale, così che la relazione ontica fra
Dio e la creazione costituisce la base o sfondo sul quale può darsi e attuarsi il rapporto fra l’uomo e
il creato. Dal punto di vista strettamente etico il tema del dominium va letto nella luce di questo
antropocentrismo affatto particolare: l’uomo ha un dominium, ma questo dominio deve essere
esercitato con la sapienza e l’amore del Creatore, secondo la volontà di Colui che ha tratto dal nulla
tutte le cose e a tutte provvede con amore. L’uomo ha ricevuto un dominium terrae, ma il dominium
altum o principale resta al Signore51 ed in nome del Signore egli come un custode e non come un
tiranno ha il compito di “coltivare il giardino”. Come abbiamo visto, la categoria della custodia si è
concretizzata nell’idea del compito provvidenziale dell’uomo verso la creazione.
Tale antropocentrismo in prospettiva teocentrica andò in crisi con l’avvento del pensiero
moderno che, spesso sotto apparenze cristiane, propone un antropocentrismo assoluto,
autosufficiente, in antitesi e rivalità con il teocentrismo cristiano, fino a diventare la vera matrice
genetica dell’ateismo contemporaneo. Il tema di fondo che percorre l’Humanisme intégral di J.
Maritain 52 è proprio la contrapposizione fra l’umanesimo teocentrico, autenticamente umano e
cristiano, e l’umanesimo antropocentrico o immanentista il cui esito non può essere che
l’individualismo e la solitudine metafisica dell’uomo, solitudine, possiamo aggiungere, anche
rispetto agli altri viventi e al mondo che lo circonda. Perdendo il riferimento a Dio, l’uomo viene ad
occupare il centro ontico del reale, edificando di fatto un antropocentrismo totale e trasformando
l’uomo in un sovrano assoluto del cosmo, svuotato ormai di ogni apertura al trascendimento. Con
l’autonomizzazione dell’antropologia dalla fede nella creazione e con lo sviluppo di una
antropologia secolarizzata, svincolata dall’orizzonte della storia della salvezza e dalla dinamica di
peccato e redenzione, si sancisce una insanabile contrapposizione fra uomo e natura che allarga,
sino a renderlo incolmabile, l’abisso fra uomo e creato: da una parte l’uomo, con la sua libertà che
lo rende simile a un dio, dall’altra il mondo naturale, chiuso nella sua ottusità ripetitiva e
necessitata.
Una conseguenza di questa assolutizzazione dell’uomo senza Dio e contro la natura, fu
l’ideologia della conquista umana del cosmo. Nella visione eroica di un R. Descartes e ancor più di
un F. Bacon, l’atteggiamento dell’uomo verso la natura sarà quello della lotta per domare le forze
del cosmo e porle a servizio del benessere dell’uomo53. L’uomo, infatti, pur essendo parte della
natura, è radicalmente superiore alle cose per cui l’intelligenza umana, scoprendo le leggi della
natura e sviluppando la tecnica, può dominare a suo vantaggio la natura e affermare il dominio che
gli spetta sul mondo. La natura si presenta agli occhi dell’uomo moderno come una miniera di tesori
cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-IIae, q. 66, art. 1 (cfr. Summa contra Gentiles, lib. 3, cap. 22;
Politica, lib. 1, lect. 6). San Tommaso inizia la trattazione del VII comandamento chiedendosi se sia naturale per
l’uomo la possessio e se essa non contraddica la signoria universale di Dio: distingue perciò il principale dominium di
Dio, che resta l’unico e assoluto signore su tutte le creature, e il naturale dominium che deriva dalla iconicità divina
impressa nell’uomo e che consiste nel poter usare le cose, quasi propter se factis.
52
MARITAIN J., Humanisme intégral. Problèmes temporels et spirituels d’une nouvelle chrétienté, Parigi 1936 (trad.
it. Umanesimo integrale, Torino 19675)
53
Uno dei motivi conduttori del pensiero di F. Bacon (1561-1626) è che la conoscenza della natura permetterà sempre
più all’uomo di avvantaggiarsi della natura per il suo benessere “sapere è potere”). Descartes (1586-1650), nell’ottica
del dualismo ontologico insormontabile fra res extensa e res cogitans, vede l’uomo “comme posseseur et seigneur de la
nature” (Discours de la Méthode 6, ed. Adam-Tannery, tom. 6, p. 61), mentre gli altri viventi sono paragonati ad automi
(ibid., tom. 6, 33).
cfr. MARTY F., Une nature quel’homme habite, in COLIN P. (presentazione), De la nature. De la physique classique
au souci écologique, Paris 1992, 21-37.
51
13
ad sfruttare o, in una visione più romantica, come una madre provvida che offre ai suoi figli
prediletti tutto quello che loro abbisogna per le necessità materiali e spirituali: attraverso il lavoro,
l’arte, la scienza, l’uomo plasma il mondo da cui emerge e si innalza al di là del mondo naturale
verso la libertà e la vita dello spirito.
Tramontato il sogno della superiorità ontologica dell’uomo e divenuto incomprensibile il
ruolo provvidenziale dell’uomo nei confronti del mondo materiale, il dominium terrae nelle sue
espressioni di conoscenza scientifica, di artificio teconologico, di utilizzo delle risorse disponibili,
non poté essere concepito che in chiave utilitaristica, ormai irrimediabilmente lontano dalle sue
radici bibliche. “Non c’è dubbio -commenta F. Boeckle- che la fede biblica della creazione abbia
contribuito in maniera decisiva alla demitizzazione del cosmo e alla desacralizzazione del mondo.
La demitologizzazione della realtà naturale e per conseguenza la conoscenza delle sue proprie leggi
hanno preparato storicamente il terreno per il pensiero tecnico. Tuttavia le tendenze di sfruttamento
in uno stile di dominio crudele della natura non sono di certo in linea con i testi veterotestamentari
sulla creazione”54.
Proprio nell’antropocentrismo biblico, abbiamo visto, sta la possibilità di superamento delle
secche degli antropocentrismi dispotici e allora la rivoluzione di mentalità richiesta dai movimenti
ecologici profondi non può essere altro che un ritorno a queste radici dimenticate, un recupero della
dimensione creaturale del cosmo, un reicanto consapevole che ci restituisca uno sguardo puro sul
mondo.
5.2 Presupposti teologici
Bisogna ammettere che manca ancora una vera e propria tradizione di pensiero ecologico
cristiano e quindi una proposta globale e coerente da parte della teologia in questo campo, come
scriveva recentemente Javier Gafo:
Al abordar el problema sobre la existencia de una ética ecològica cristiana, hay que reconocer que, a
diferencia del terreno sexual o matrimonial, el cristianismo no puede aportar una tradiciòn de
reflexiòn ni una sìntesis ya echa. Estamos ante un problema en el que existe una sensibilizaciòn
ética, que se expresa en mùltiples esbozos de soluciòn y de futuro, y en la presentaciòn de modelos
alternativos. Pero debe confesarse que las tomas de postura, provenientes del cìrculo de la ética
filosòfica o teològica, se ecuentran en un estadio precoz para abordar esta problemàtica55.
D’altra parte abbiamo assistito in questi anni ad una crescita stupefacente di interesse per i
temi ecologici, testimoniata da una estesa pubblicistica e da numerosissimi articoli su temi
particolari, dalla pubblicazione di studi e presentazioni sistematiche, di cui L’etica dell’ambiente di
A. Auer, uscita nel 1984, è ormao uno dei classici56, nonché da importanti interventi magisteriali57.
Un punto fermo derivante da questa prima stagione dell’ecologismo cristiano, è che la
questione ecologica - come ha ben mostrato J. Moltmann 58 - va posta all’interno di un chiaro
BÖCKLE F., Etica dell’ambiente: fondamenti filosofici e teologici, in POLI C., TIMMERMAN P. curr., L’etica, 58.
GAFO J., Ecologia y cristianismo, in ID. ed., Ètica y ecologia, Madrid 1991, 202
56
AUER A., Umweltethik. Ein theologischer Beitrag zur ökologischen Diskussion, Düsseldorf 1984 (trad. it. Etica
dell’ambiente, Brescia 1988)
A quest’opera fondamentale e ormai classica si può affiancare qualche studio più recente: AUSTIN R. C.,
Environmental Theology, voll. 1-4, Abingdon (VA) 1987-1990; IRWIN K. W., PELLEGRINO E. D. eds., Preserving
the Creation. Environmental Theology and Ethics, Baltimore (MD) 1994; NASH J., Loving Nature. Ecological
integrity and Christian responsability, Nashville (TN) 1991; SCHAEFFER-GUIGNIER O., Et demain la terre ...
Christianisme et écologie, Genève 1990
57
Con particolare riferimento al ricco magistero ambientale di Giovanni Paolo II, vedere: PHAN P. C., Pope John Paul
II and the Ecological Crisis, “Irish Theological Quarterly”, 60 (1994), 56-69; PREZWOZNY J. B., La tutela
dell’ambiente nel Magistero di Giovanni Paolo II, in Miscellanea Francescana 90 (1990), 377-417; ID. cur., La
visione cristiana dell’ambiente. Testi del Magistero Pontificio, Pisa 1991; ID., L’Ambiente nell’Enciclica “Centesimus
annus”, “Miscellanea Francescana” 91 (1991), 121-122
58
MOLTMANN J., Gott in der Schöpfung. Ökologische Schöpfungslehre, München 1985 (trad. it. Dio nella creazione.
Dottrina ecologica della creazione, Brescia 1986)
54
55
14
orizzonte cosmologico e antropologico. Per questo vorremmo vorremmo prima di tutto delineare,
schematicamente e per semplice enunciazione di tesi, i presupposti teologici di un possibile
modello cristiano di etica ecologica
Il mondo frutto di creazione
Il fondamento dell’etica ambientale cristiana deve essere situato nella dottrina cristiana della
creazione.Tutte le realtà del mondo derivano la loro esistenza da Dio: anche l’uomo, che pure si
trova in una relazione personale con Dio, aperto ad autotrascendersi nella comunione con il suo
Creatore, è creatura in mezzo alle creature.
La natura, se è creata, non è sacra, né entra in qualche modo nella sfera del Divino, che resta
trascendente rispetto al piano creaturale: la natura è per così dire laica, dotata di strutture,
dinamiche e leggi proprie che l’uomo può studiare e conoscere con la sua ragione. Il Concilio parla
in GS 36 di una legittima autonomia delle realtà terrene che non contraddice il riconoscimento della
loro creaturalità, ma anzi la conferma e la suppone e questo non è senza conseguenze quando si
debbano utilizzare nello svolgimento del discorso etico i dati delle scienze empiriche (ecologia,
biologia, demografia, sociologia ...).
La creazione del mondo, secondo la fede cristiana, non deriva da una necessità ontologica,
ma da una sovrabbondanza dell’amore di Dio che, donando e conservando l’esistenza alle creature
(cfr. GS 2), si autocomunica e si rivela come amore. La prima e perfetta autocomunicazione di Dio
si ha nella generazione eterna del Verbo, e solo all’interno di questa dinamica comunicativa
originaria è possibile ogni altra comunicazione: la creazione è pensabile soltanto attraverso il Figlio
e nel Figlio, che perciò è detto da Paolo “il primogenito di tutta la creazione”59. Non solo allora la
creazione dell’uomo, ma ogni creatura è per Lui, in Lui, per mezzo di Lui che è stato predestinato
dal Padre ad unirsi intimamente con il mondo assumendo la natura umana ed entrare in comunione
con tutta la realtà creata.
Valore delle creature
Le realtà che costituiscono il mondo non sono frutto di caso e necessità, per richiamare un
celebre e discusso saggio di J. Monod, ma di un dono, sono il termine di un atto creativo
assolutamente libero e trascendente ispirato a sapienza e amore. Gli enti che compongono
l’universo non possiedono una esistenza puramente oggettuale, svuotata di valenze assiologiche,
priva di una teleologia immanente, destituita di significato. Il primo capitolo del Genesi ripete come
un ritornello che le opere compiute in ciascun giorno sono tôb,buone, rispondenti al progetto di
Colui che le ha volute e quindi armoniose e belle60.
L’uomo non è l’unica creatura portatrice di un valore, perché anche le altre creature,
ciascuna a suo modo partecipando allo stesso essere, diventano dei centri etici, secondo l’assioma
che ens et bonum convertuntur. Il cristianesimo, contro ogni svalutazione del mondo, ha sempre
affermato la bontà della materia e dell’universo materiale, una bontà ontologica perché fondata
sull’essere-in-dipendenza totale da Dio. Rappresentante di spicco di questa convinzione è Agostino
che dovette difendere la dottrina cattolica contro gli estremismi sia manichei sia pelagiani e che
Costituisce uno degli studi più stimolanti sui fondamenti teologici dell’etica ambientale con un accento particolare agli
aspetti cosmologici che vengono posti in relazione non soltanto con la trascendenza del Creatore, ma anche con la
presenza dello Spirito e con la consumazione escatologica del Cristo.
59
Col 1, 15
60
cfr. HÖVER-JOHAG I., tôb, in Theologisches Wörtebuch zum Alten Testament, vol. 3, Stuttgart-Berlin-Köln 1982,
coll. 315-339 (soprattutto 324); STOEBE H. J., tôb, in Dizionario Teologico dell’Antico Testamento, vol. 1, Torino
1978, 565-576
Merita notare che i LXX tradussero i 6 tôb di Genesi 1 (4.12.18.21.25.31) non con agathòn, ma con kalòn.
15
affermò decisamente la bontà di tutte le cose create perché promanano da Dio, sono mantenute
nell’esistenza da Dio e a Dio tornano come al fine ultimo61.
L’impostazione agostiniana del problema influenzò in modo determinante la tradizione e fu
ripresa autorevolmente in un testo molto denso del Concilio di Firenze:
(Dio) quando volle con la sua bontà creò tutte le creature, sia le spirituali, sia le corporee: il
Concilio afferma che esse sono buone, perché furon fatte dal Sommo Bene, ma mutevoli, perché
fatte dal nulla e che nella natura non vi è nulla di cattivo, perché ogni natura, in quanto natura, è
buona62.
Le creature sono dunque mutabiles dal punto di vista dell’essere, in quanto semplicemente
partecipano dell’esse, pur non essendo l’Esse subsistens, e sono bonae dal punto di vista etico,
perché promananti dal bonum, anche se non sono il Summum bonum. Non si toglie all’uomo la sua
singolarità fra le creature, se si afferma che, nella visione cristiana del mondo, le creature,
precedentemente e indipendentemente dal riconoscimento umano, sono dotate di un valore
intrinseco o inerente che fonda il loro diritto ad esistere e ad essere rispettate nella loro realtà dal
momento che anch’esse hanno ricevuto l’essere come un dono63.
La normatività della natura
Le creature non solo hanno diritto ad esistere, ma anche ad esistere secondo leggi loro
proprie. “Le cose create e le stesse società godono di leggi e valori propri (legibus valoribusque)” afferma Gaudium et spes, e continua - “infatti è dalla stessa condizione creaturale che le cose tutte
ricevono la propria consistenza, verità e bontà, le loro leggi proprie e l’ordine, che l’uomo deve
guardare con rispetto (revereri), dopo averle conosciute attraverso il metodo proprio delle singole
scienze ed arti”64.
L’enciclica Sollicitudo rei socialis, nell’indicare i motivi etici che dovrebbero indurre
l’uomo a rispettare le creature, prima di ricordare due tipici motivi antropocentrici (esaurimento
delle risorse non rinnovabili ed effetti sulla qualità dell’ambiente vitale umano) fa una impegnativa
61
AGOSTINO, De natura boni, 1 (CSEL 25/2, 855); Contra Julianum Pelagianum lib. 1, cap. 8, 36 (PL 44, 666); De
civitate Dei, lib. 12, cap. 5 e cap. 26 (CSEL 40/1, 572-573. 611)
62
CONCILIO DI FIRENZE, Decretum pro Iacobitis (DS 1333): “(Deus) quando voluit, bonitate sua universas, tam
spiritales quam corporales, condidit creaturas; bonas quidem, quia a summo bono factae sunt, sed mutabiles, quia de
nihilo factae sunt, nullamque mali asserit esse naturam, quia omnis natura, in quantum natura est, bona est”. Cfr.
AGOSTINO, De natura boni, l. cit.
63
Teorico del valore intrinseco dei viventi è il teologo anglicano Andrew Linzey: LINZEY A., Christianity and the
Rights of Animals, Cambridge 1987; ID., Animal Theology, London 1992. Fra gli autori cattolici che affermano più o
meno chiaramente il valore intrinseco della natura ricordiamo: REITER J., Umwelt und Ethik: Bleibende Kriterien zur
aktuallen Diskussion, “Stimmen der Zeit” (marzo 1989), 193-204; DE TAVERNIER J., Ecology and Ethics, “Louvain
Studies” 19 (1994), 235-261 (soprattutto 253-258); FERRÉ F., L’ambiente e il problema del male, in POLI C.,
TIMMERMAN P., L’etica, 97-113.
Il documento della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani (CNBB), A igreja e a questâo ecològica, Sâo Paulo
1992 (trad. it. in Regno/Documenti 16 (1992), 485-494), che al n. 58 fa sua questa tesi.
cfr. McDANIEL J., Life-Centered Ethics in Christian Perspective, in WORLD COUNCIL OF CHURCHES, Report
and Background Papers. Meeting of the Working Group Glion, Switzerland, September 1987, Geneve 1988, 110-132;
McFAGUE S., Models of God for an Ecological, Evolutionary Era: God as Mother of the Universe, in RUSSEL R. J.,
STOEGER W. R., COYNE G. V. eds., Physics, Philosophy and Theology. A Common Quest for Understanding, Città
del Vaticano 1988, 249-271
64
GS 36 (EV 1, 1431): “Si per terrenarum autonomiam intelligimus res creatas et ipsas societates propriis legibus
valoribusque gaudere, ab homine gradatim dignoscendis, adhibendis et ordinandis, eamdem exigere omnino fas est (...)
Ex ipsa enim creationis condicione res universas propria firmitate, veritate, bonitate propriisque legibus ac ordine
instruuntur, quae homo revereri debet, propriis singularum scientiarum artiumve methodis agnitis”.
Notare la scelta accurata dei termini: firmitas, veritas e bonitas richiamano direttamente i trascendentali
esse-verum-bonum, e mentre leges rimanda -mi pare- alla scienza moderna, il pregnante e ben più impegnativo ordo ci
rinvia alla cosmologia degli Antichi.
16
affermazione sul valore delle creature e sulla necessità di tenere conto della loro realtà individuale e
della loro interrelazione nell’ecosistema:
Il carattere morale dello sviluppo non può prescindere neppure dal rispetto per gli esseri che
formano la natura visibile e che i Greci, alludendo appunto all’ordine che la contraddistingue,
chiamavano “cosmo”. Anche tali realtà esigono rispetto, in virtù di una triplice considerazione, su
cui giova attentamente riflettere.
La prima consiste nella convenienza di prendere crescente consapevolezza che non si può fare
impunemente uso delle diverse categorie di esseri, viventi o inanimati -animali, piante, elementi,
naturali- come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche. Al contrario occorre tener
conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, qual è
appunto il cosmo65.
Con questo non si vuole né sacralizzare le leggi fisiche o biologiche (sarebbe contro
l’orientamento demitizzante di Genesi 1 e soprattutto contro la stessa fede nella creazione), né
ribaltare le leggi empiriche in leggi etiche (sarebbe un mortale cortocircuito metaetico), ma
vogliamo semplicemente dire che, nel contesto di un’etica ambientale, le leggi della natura, in
quanto rappresentazioni delle dimensioni, dei dinamismi e delle linee di svolgimento dell’esistenza
creaturale, in una parola delle inclinationes naturales delle creature, forniscono un orientamento e
un limite per l’intervento umano sul mondo. L’eticista sa bene che, se si addentra in questo campo,
dovrà guardarsi accuratamente dai trabocchetti della fallacia naturalista, e ancor più che si esporrà
alla necessità di inserire nel suo discorso etico il fattore di provvisorietà caratteristico di ogni
scienza naturale, ma questo è il rischio e il prezzo per ogni etica che non voglia essere astratta e
disincarnata.
Una natura debole
Se viene non viene percepito il legame ontologico della natura con il Creatore, la relazione
creaturale costitutiva, le creature si trasformano per l’uomo o in idoli da adorare o in strumenti da
possedere e sfruttare. Nel primo caso avremmo, per usare le suggestive intuizioni di A Rizzi, una
natura forte, cioè “la natura che costituisce la totalità di senso dei viventi, che nella conservazione e
la riproduzione di se stessa trova il proprio fine (di cui gli individui -anche gli umani- sono parti e
funzioni)”; nel secondo caso avremo la natura nulla, “la natura considerata come un dato, cui
l’uomo imprime un senso a immagine e misura della propria soggettività”66. La natura biblica è una
natura debole, non è né un idolo totalizzante e autoreferente, ma neppure un oggetto insignificante
usato e plasmato a volontà dall’homo faber e technologicus: l’essere vero della natura biblica non si
può cogliere né guardando la natura in se stessa né in funzione esclusiva dell’uomo, ma attraverso
uno sguardo penetrante che riconosca nella natura l’intenzione amorosa del Creatore che, senza
perdere le distinzioni, stringe in unità la natura e l’uomo e li indirizza al loro compimento.
Da questo punto di vista la radice della crisi ecologica starebbe nell’avere smarrito il
riferimento della natura a Dio, imprigionando la creazione in una impossibile autosufficienza,
secondo la lettura di GS 36:
Se con l’espressione “autonomia delle realtà temporali” si intende che le cose create non dipendono
da Dio, che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora tutti quelli che credono in Dio
65
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), n. 34, in AAS 80 (1988), 559:
“Progressus indoles moralis discedere ne potest quidem ab obsequio erga entia, quae naturam visibilem efficiunt,
quamque Graeci, significantes sane ordinem, quo illud eminet, “cosmum” vocabant. Suo modo etiam haec res
observantiam poscunt, ob triplicem considerationem, multis cogitationibus perpendendam. Prima consistit in
opportunitate intelligendi magis magisque non posse impune varia entium genera adhiberi, nec vivorum nec
inanimorum -arborum, animalium, elementorum naturalium- proprio arbitrio, pro cuiusque necessitatibus oeconomicis.
Oportet contra aestimetur uniuscuiusque entis natura et mutua conexio in ordine composito, qui quidem est cosmus”.
66
RIZZI A., “Oikos”. La teologia di fronte al problema ecologico, “Rassegna di Teologia” 30 (1989), 22-35; 145-164
(le citazioni da p. 35)
17
avvertono quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce
(evanescit).Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre
inteso la voce e la manifestazione di lui nel linguaggio delle creature. Anzi l’oblio di Dio priva di
luce la creatura stessa”67.
La vanità (mataiòtês) alla quale, secondo Rom 8, 20, è sottoposta la creazione dopo il
peccato di Adamo descrive bene la condizione attuale della natura che, svuotata del suo intimo
significato agli occhi dell’uomo, non più symbolon mirabile del Creatore, ma oggetto da concupire
e idolo muto da adorare68. Il peccato umano è interpretato dalla tradizione come una aversio a Deo
ed una conversio ad creaturas: l’uomo, allontanandosi da Dio, cerca di colmare l’abisso del suo
desiderio con l’attaccamento morboso e dispotico alle cose, ma così facendo stravolge il senso
dell’esistenza creaturale facendone degli idoli al posto di Dio. Secondo la Bibbia sono vani gli idoli
e diventano vani coloro che confidano in essi: i pagani, dice il libro della Sapienza, sono stolti
(màtaioi ) perché “dai beni visibili non riconobbero colui che è”69; essi -incalza Paolo- “hanno
vaneggiato (emataiôthêsan) nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa (...) e
hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore”70.
La maledizione genesiaca della terra per il peccato di Adamo, non cambiò la natura delle
cose, come insegna Tommaso 71 , ma cambiò la relazione dell’uomo con le cose: l’armonia
primordiale si muta in una disarmonia nefasta che oppone l’uomo e la terra e che, nell’intenzione
del mito d’origine, diventa paradigma interpretativo e archetipo di ogni storica disarmonia fra
l’uomo e l’ambiente. La liberazione della natura dalla schiavitù del non senso, dalla schiavitù
antropocentrica che la oggettualizza, sarà possibile soltanto se la natura viene ricollocata nel giusto
rapporto con Dio e quindi con l’uomo.
5.3 Le articolazione del modello
Sullo sfondo dei presupposti cosmoantropoteologici enunciati, è possibile articolare un
modello etico che giustifichi e regoli l’intervento dell’uomo nel mondo naturale, dando infine
principi generali ovvero criteri per procedere ad una precisa produzione normativa nelle diverse
situazioni e problematiche emergenti.
La signoria partecipata
L’uomo è, fra le creature buone, “molto buono”, fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Molti esegeti moderni ritengono che il senso primo della somiglianza divina non sia in una
affermazione di carattere statico, una affermazione quindi sulla natura umana, ma una affermazione
di carattere dinamico: l’uomo è creato a immagine di Dio per essere sulla terra un segno della
grandezza e della signoria di Dio, come gli antichi sovrani che, non potendo essere presenti di
persona nelle contrade lontane del regno, vi inviavano immagini che li ritraevano. La funzione che
GS 36 (EV 1, 1432): “At si verbis rerum temporalium autonomia intelligitur res creatas a Deo non pendere, eiusque
hominem sic uti posse ut easdem ad Creatorem non referat, nemo qui Deum agnoscit non sentit quam falsa huiusmodi
placita sint. Creatura enim sine Creatore evanescit. Ceterum omnes credentes, cuiuscumque sint religionis, vocem et
manifestationem Eius in creaturarum loquela semper audierunt. Immo, per oblivionem Dei ipsa creatura obscuratur”.
68
Cfr. BAUERNFEIND O., mataios, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, vol. 6, Brescia 1970, coll. 1405-1418 (=
TWNT 4, 525-530). Non entriamo nella questione della pertinenza della lettura cosmologica di Rom 8, 19-23,
recentemente impugnata: GIGLIOLI A., L’uomo o il creato? Ktisis in s. Paolo, Bologna 1994.
69
Sap 13, 1
70
Rom 1, 21.25.
71
Gen 3, 17-18.
In Summa Theologiae II-IIae q. 164, art. 2, ad 1 Tommaso si oppone all’opinione di molti Padri come Giovanni
Crisostomo, Gregorio di Nissa, Teodoreto di Ciro e di Autorità teologiche, come Beda e Alcuino, che viene nominato
esplicitamente: questi avevano sostenuto, con diverse sfumature, che l’universo fosse diventato corruttibile o fosse stato
creato corruttibile in considerazione del peccato di Adamo. Già in S Th. I, q. 96, art. 1 ad 2, aveva affermato che “Non
enim per peccatum hominis natura animalium est mutata”. Cfr. DE LA POTTERIE I., LYONNET S., La vita secondo
lo Spirito. Condizione del cristiano, Roma 1967, 302-304.
67
18
l’uomo ha nel mondo, conclude Von Rad, è l’elemento decisivo della sua somiglianza con il
Creatore72. Non si esclude una superiorità ontologica dell’uomo, che viene chiaramente narrata in
Gen 2, 19-20 attraverso l’imposizione del nome agli animali, ma l’enfasi cade sul tema del mandato
divino e si sposta, quindi, dal piano puramente filosofico a quello economico-salvifico73.
Le stesse espressioni utilizzate in Gen 1, 28 per descrivere la funzione dominativa
dell’uomo in Gen 1, 28, indipendentemente dall’uso ideologico che se ne è fatto nel corso della
storia, mal si accordano con gli scenari di violenza e di sfruttamento cui ci ha abituati
l’antropocentrismo forte e richiamano invece lo stile della signoria divina 74 . Il termine
“assoggettare”, in ebraico kâbash, ha il significato neutro di “mettere il piede su qualcosa” e può
assumere, a seconda dei contesti, un significato violento (mettere i nemici sotto i propri piedi,
soggiogare, violentare, anche riferito a una donna come in Est 7, 8) oppure pacifico, nel qual caso
indica una semplice presa di possesso (Sal 8, 7; Gs 18, 1)75. Analogamente il verbo râdâh non
significa soltanto dominare, ma anche regnare e talvolta si applica anche all’atto del pastore di
accompagnare o guidare un gregge76. Il contesto di benedizione e di alleanza in cui si colloca il
mandato divino orienta a privilegiare i significati pacifici dei verbi utilizzati77. L’uomo è, di fatto,
colui che prende possesso del creato, ma non come un tiranno, bensì come un re saggio e
premuroso, che di frequente è paragonato dagli Antichi ad un pastore: parafrasando Heidegger, si
potrebbe dire che l’uomo è il pastore degli esseri.
L’enciclica Evangelium vitae in una pagina molto bella mette in evidenza le dimensioni
della signoria partecipata da Dio all’uomo, signoria sulla stessa vita umana, attraverso la
cooperazione alla generazione, e signoria sulla vita non umana, che così viene descritta:
Difendere e promuovere, venerare e amare la vita è un compito che Dio affida a ogni uomo,
chiamandolo, come sua palpitante immagine, a partecipare alla signoria che Egli ha sul mondo (...).
Il testo biblico mette in luce l’ampiezza e la profondità della signoria che Dio dona all’uomo. Si
tratta, anzitutto, del dominio sulla terra e su ogni essere vivente, come ricorda il libro della
Sapienza: “Dio dei padri e Signore di misericordia ... con la tua sapienza hai formato l’uomo,
perché domini sulle creature che tu hai fatto, e governi il mondo con santità e giustizia (9, 1. 2-3).
Anche il Salmista esalta il dominio dell’uomo come segno della gloria e dell’onore ricevuti dal
Creatore: “Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani (...) (Sal 8, 7-9)78.
L’essere umano è stato creato ad immagine di Dio per configurarsi attivamente al proprio
modello e l’agire di Dio diventa per l’uomo anche modello comportamentale: come il Creatore e
Signore del mondo si rivela provvidenza sapiente e misericordiosa, così deve fare l’uomo, chiamato
a partecipare la signoria divina sul mondo e sulla vita “con santità e giustizia”.
I limiti della signoria
72
VON RAD G., Das erste Buch Mose. Genesis 1-12, 9, Göttingen 1949, 46 (trad. it. Genesi, Brescia).
cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Laborem exercens (14 settembre 1981), n. 4, in AAS 73 (1981), 585: “Est
autem homo imago Dei, missis aliis rebus, eo quod a Creatore suo mandatum accepit terram subiciendi. Quod implens
praeceptum, homo, quivis animans humanus, efficit ut actio ipsa Creatoris universi in semet ipso reluceat”.
74
LOHFINK N., “Macht euch die Erde untertan”?, “Orientierung” 38 (1974), 137-142; WESTERMANN C., Genesis
1-11, Neukirchen-Vluyn 1974, 219ss. Per una rilettura del tema: CONIGLIARO F., L’interpretazione del dominium
terrae, in PUCCI R., RUGGIERI G. curr., Inizio e futuro del cosmo: linguaggi a confronto, Cinisello Balsamo
(Milano) 1999, 167-201.
75
WAGNER S., kâbash, in Theologisches Wörterbuch, vol. 4, 1982, coll. 54-59 (soprattutto col. 56)
76
ZEBEL H. J., râdâh, in Theologisches Wörterbuch, vol. 7, 1993, coll. 351-358
I LXX tradussero in Gen 1, 26.28 con il verbo àrchein, che non evoca di per sé un dominio tirannico, ma uno stare a
capo, un guidare.
77
In Gen 1, 29 l’ordine di cibarsi solo di vegetali per uomo e animali rappresenta un messaggio di non violenza che
chiarisce il senso del dominium di Gen 1, 26.
cfr. RODINÓ N., La decima parola della creazione (Gen. 1, 29). Un messaggio di non violenza, “Rassegna di
Teologia” 33 (1992), 243-266
78
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), n. 42, in AAS 87 (1995), 446-447.
73
19
Essendo la signoria umana una signoria partecipata, l’uomo non può esercitare sul creato un
dominio dispotico e senza limiti. “Il dominio accordato dal Creatore all’uomo in quanto immagine
divina -si legge nell’enciclica Sollicitudo rei socialis- non è un potere assoluto, né si può parlare di
libertà di usare e abusare, o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta
dallo stesso Creatore fin da principio ed espressa simbolicamente con la proibizione di “mangiare il
frutto dell’albero” (cfr. Gen. 2, 16-17) mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della
natura visibile e degli elementi che formano il cosmo, noi siamo sottomessi a leggi non solo
biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire”79.
Dio resta il signore e il legislatore e l’uomo non può sostituirsi a lui: il dominio umano non
può sconvolgere le dinamiche intrinseche della creatura, delle quali abbiamo già insinuato la
valenza normativa. Tutto questo è ben espresso in un passo dell’enciclica Centesimus annus che
individua appunto in un tragico errore umano la causa della crisi ambientale:
L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo con il
proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione
delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola
senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma e una destinazione
anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare ma non tradire. Invece di svolgere il suo
ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce
col provocare la ribellione della natura, piuttosto da lui tiranneggiata che non governata80.
Un dilemma etico molto attuale, connesso direttamente con queste riflessioni, riguarda
alcune interventi umani sulla vita e soprattutto alcune audaci applicazioni delle biotecnologie. Può
l’uomo mutare secondo i suoi interessi i caratteri biologici e comportamentali di una specie che già
esiste in natura o addirittura creare ex novo una specie animale o vegetale, utilizzando le tecniche
della ingegneria genetica? Dal punto di vista teleologico la difficoltà di prevedere i rischi e gli
effetti a lungo termine di queste realizzazioni, soprattutto per quello che riguarda l’immissione
nell’ambiente di organismi così modificati, induce a grande cautela e forse a chiedere qualche
moratoria per gli esperimenti più audaci. Ma a livello deontologico come si pone la questione?
All’interno della impostazione ispirata alla concezione biblica, possiamo avere un orientamento più
conservativo ed uno più perfettivo, a seconda che prevalga l’idea della semplice gestione della
natura o si apra all’uomo la possibilità e il compito di un suo intervento di prolungamento e
compimento della creazione. Tanto il Concilio quanto il Magistero susseguente sembrano
privilegiare questa seconda prospettiva, con la quale si fonda la possibilità (l’autorizzazione, si
direbbe nella morale classica) di intervenire e perfezionare la natura non umana. “Gli uomini e le
donne - scriveva Gaudium et spes- possono a buon diritto ritenere che con il loro impegno
sviluppano (evolvere) l’opera del Creatore”81.
GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, n. 34, in AAS (80 (1988), 560: “Dominium a Creatore homini datum
utpote divinae imagini (cf. Gn 1,26) non est absolutum, nec licet “utendi et abutendi” arbitrium affirmare, vel ex
commodo res disponendi. Modus, quem inde a principio ipse Creator homini imposuit quique symbolica ratione
exprimitur per interdictionem “comedendi de ligno” (cf. Gn 2, 16-17), satis clare ostendit in universitate naturae
visibilis et elementorum, ex quibus constat “cosmus”, nos legibus esse subiectos, non solum biologicis, verum etiam
moralibus, quae impune violari nequeunt”.
80
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), n. 37 in AAS 83 (1991), 840: “Homo, qui
intellegit se posse suo opere mundum mutare et quodammodo “creare”, obliviscitur hoc opus semper exerceri supra
fundamentum primigeniae donationis rerum a Deo factae. Iste cogitat sibi licere arbitrio suo terra uti et frui eam sine
condicione voluntati suae subicienti, ac si ea suam non habeat formam et destinationem priorem sibi a Deo tributam,
quam homo potest quidem excolere non autem prodere debet. Nedum suo fungatur munere cooperationis Dei in mundo,
non recte homo in Dei locum succedit, sicque abit ad concitandam naturae detrectationem quam is potius vexat quam
gubernat”.
81
GS 34 (EV 1, 1426): “Viri namque et mulieres (...) iure existimare possunt se suo labore opus Creatoris evolvere”. cfr.
GS 33 (EV 1, 1423); 57 (EV 1, 1505); 67 (EV 1, 1546)
79
20
Tutto questo traduce fedelmente il compito dato da Dio ad Adamo in Gen. 2, 15 di
“coltivare e custodire” il giardino, una volta che questo compito sia posto in sintonia con una
concezione dinamica ed evolutiva della natura. L’uomo può inserirsi all’interno delle dinamiche
evolutive, persino delle sue dinamiche evolutive, e orientarle a suo vantaggio, purché lo faccia con
la stessa attitudine del Creatore, con sapienza e amore, nel rispetto della struttura intima delle cose e
dei loro equilibri naturali: l’artificium dell’uomo prolunga nella natura l’opus dell’Artefice divino82.
Principi etici e criteri decisionali
Dal punto di vista metaetico il modello di etica ambientale cristiana fin qui presentato non
potrebbe essere definito antropocentrico in senso stretto, perché ammette un valore inerente agli
animali e agli altri oggetti naturali. Johan De Tavernier, che delinea un modello analogo, è stato
infatti definito un ecocentrico moderato, anche se egli preferisce continuare a chiamare la sua
proposta un antropocentrismo moderato83; un modello alquanto simile è stato definito da Johannes
Reiter un antropocentrismo relativo 84 . Penso che sia bene mantenere la nozione di
antropocentrismo come base per la qualificazione del modello per non oscurare il ruolo peculiare
che l’uomo occupa nella visuale cristiana e soprattutto per sottolineare un aspetto comune a
qualsiasi etica, che cioè il soggetto della responsabilità e quindi il destinatario dell’etica è pur
sempre l’uomo.
Il principio cardinale di questo modello etico è il principio di responsabilità. Il
riconoscimento di un valore intrinseco non soltanto negli uomini, ma anche nei viventi e in qualche
modo anche negli altri oggetti naturali, configura una tipica etica della responsabilità: il valore
dell’altro risuona nella mia coscienza come un appello al rispetto e alla promozione. Si tratta, dal
nostro punto di vista, di una responsabilità umana articolata e a tutto campo, responsabilità verso gli
altri uomini, presenti e futuri85, e responsabilità verso le creature non umane, animate e inanimate,
presenti e future, in quanto individui e in quanto specie 86 . È parte integrante del principio di
responsabilità il criterio di prevenzione che nel prendere decisioni sull’ambiente impone di
verificare attentamente se un certo intervento avrà effetti nocivi per l’uomo, i viventi, l’ambiente, a
breve o a lungo termine, anche tenendo conto delle capacità autoriparative della natura, che tuttavia
Questi ultimi testi contengono alcuni dei temi classici dell’antropocentrismo occidentale: la mistica del lavoro,
l’esaltazione della tecnica, il dominio come trasformazione della natura che riceve il sigillo umano, secondo
l’espressione usata da GS 2 “(hominis) industria, cladibus ac victoriis signatum”.
82
Sulla delicatissima questione del rapporto natura e artificio, physis e techne, vedere, per un primo orientamento:
COTTIER G., Riflessione sulla distinzione fra naturale e artificiale: conseguenze per l’etica biomedica, in ID., Scritti
di etica, Casale Monferrato (Al) 1994, 150-176; FERRARO S. Atteggiamenti nei confronti dell’evoluzione pilotata, in
ANCONA G., Cosmologia e antropologia per una scienza dell’uomo, Padova 1995, 96-120; FORTE B.,
Considerazioni teologiche intorno all’ingegneria genetica, “Medicina e morale” 42 (1992), 1063-107;
GIANFORMAGGIO L., Natura/Artificio nella politica dell’ambiente e nell’etica della vita, in DI MEO A.,
MANCINA C. curr., Bioetica, Roma-Bari 1989, 135-146; NEGROTTI N., Per una teoria dell’artificiale, Milno 1993;
PASSMORE J. The perfectibility of man, London 1971.
83
DE TAVERNIER J., art. cit., 258: “My choice for a moderate anthropocentrism is, however, called (moderate)
ecocentrism by some. Wim Zweers categorizes anthropocentrism as an attitude by which the notion of intrinsic worth is
restricted to the sphere of the human. Whomever recognizes intrinsic worth in nature is for him an ecocentrist. We thus
mean the very same thing: not only people but also nature is owed respect by reason of its intrinsic worth”.
84
REITER J., Umwelt und Ethik, 228.
85
Sul dibattito intorno alla responsabilità verso le generazioni future, oltre a JONAS H., Das Prinzip Veranwortung,
vedere: AGIUS E., The Rights of Future Generations. In Search of an Intergenerational Ethical Theory, Leuven 1986;
APEL K. O., The Problem of a Macroethic of Responsibility to the Future in the Crisis of Technological Civilisation:
an Attempt to Come to Terms with Hans Jonas’s Principle of Responsibility, “Man and World” 20 (1987), 3-40;
BROWN WEISS E., In Fairness to Future Generation, International Law, Common Patrimony, and Intergenerational
Equity, New York 1989; PATRIDGE E. ed., Responsibilities to Future Generations, New York 1980.
86
Sui problemi filosofici connessi con una responsabilità nei confronti della natura vedere: GRESCH J., “Serviteurs et
otage de la nature?”. La nature comme objet de responsabilité, “Cahiers de l’école des Sciences philosophiques et
religieuses”, 9 (1991), 43-80.
21
non sono infinite. La responsabilità comprende anche il cosiddetto criterio di causa, in base al
quale chi ha provocato danni all’ambiente deve ripararli per quanto è possibile e può essere
perseguito penalmente, come chiunque altro abbia commesso un delitto87
Il secondo principio è il principio di solidarietà. Esso deriva immediatamente dalla fede
nella creazione la quale ci fa scorgere l’unità di origine di ogni creatura, noi compresi, e quindi
l’unica meta verso la quale tutti gli uomini e tutto il creato tendono: il legame etico della solidarietà
si fonda quindi su un legame ontologico ben più forte del legame biocenotico o anche della naturale
biofilia intraspecifica88. La solidarietà ci snida dalla nostra filautia e ci fa sentire responsabili e
corresponsabili di qualunque decisione e atto che coinvolga qualunque membro di questa comunità
biotica, uomo, pianta, animale, e il loro ambiente vitale. “La solidarietà - spiega L. Lorenzetti esige che non si faccia danno all’altro, che non si avanzi a spese e a danno dell’altro. In positivo,
esige che si cerchi il proprio bene e il proprio sviluppo nella realizzazione e nello sviluppo
dell’altro”.89.
La solidarietà ha un aspetto intraspecifico ed un aspetto interspecifico. La solidarietà
interumana - secondo Sollicitudo Rei Socialis - “non è un sentimento di vaga compassione o di
superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario è la
determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene di tutti e di
ciascuno perché tutti siano veramente responsabili di tutti"90. La mondializzazione dell'economia è
solo un aspetto appariscente della crescente interdipendenza fra gli uomini e le nazioni che si è
venuta strutturando come sistema determinante di relazioni economiche, culturali, politiche e
religiose. Quando l'interdipendenza viene assunta come categoria morale - afferma ancora
Sollicitudo Rei Socialis - "la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come virtù,
è la solidarietà” 91 . In ambito strettamente ecologico il principio di solidarietà si esplica nel
principio di cooperazione che impone di scegliere la via della cooperazione come più feconda e
sicura per pianificare politiche ambientali e risolvere i problemi dell’ambiente e questo sia a livello
nazionale sia internazionale, e quindi di subordinare gli interessi egoistici e particolari al bene
comune92.
La solidarietà interumana rimanda a una tesi cara alla dottrina sociale cristiana, quella
dell'universale destinazione dei beni, secondo la quale i beni della terra sono originariamente di
tutti: la stessa proprietà privata, contrariamente alle tesi proprie del liberismo moderno, non è un
diritto assoluto, ma ha per sua natura una funzione sociale, che si fonda appunto sul principio
dell'universale destinazione dei beni della terra. "Dio -afferma la Centesimus Annus - ha creato la
terra e l'uomo, e all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti. Dio ha
dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né
privilegiare nessuno. È qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra. Questa, in
ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di
Dio per il sostentamento della vita umana" 93. Potremmo dire che il senso autentico del biblico
coltivare la terra e, quindi, della signoria dell'uomo sulla natura, è quello di persuadere la terra a
sfamare l'uomo e di trasformare la terra in pane sulla mensa del povero.
Cfr. GOLSER K., Questione ambiente. Tesi per un’etica dell’ambiente, “Rivista di Teologia Morale” 22 (1990),
11-20 ( soprattutto 17-20); REITER J., Umwelt und Ethik, 229-230.
88
E.O. Wilson, partendo dal presuposto che l’etica non è altro che uno stratagemma adattivo della specie e un istinto
della comunità biologica nel suo farsi, si propone di affrontare e risolvere i problemi ecologici facendo leva sui
sentimenti di simpatia e altruismo radicati nella natura umana per estendenderli verso le altre specie.
WILSON E. O., Biophilia, Cambridge (Mass) 1984, (trad. it., Biofilia, Milano 1984).
89
LORENZETTI L., Questione ecologica. Questione morale, “Rivista di Teologia Morale”, 23 (1991), pp 303-314 (la
citazione a p.310).
90
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Sollicitudo Rei Socialis, n. 38, in AAS 80 (1988), 565-566.
91
Ibidem.
92
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus Annus, n. 40, in AAS 83 (1991), 843.
93
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus Annus, n. 31, in AAS 83 (1991), 831.
87
22
La solidarietà interspecifica pone la questione delicata, ma ineludibile, dei criteri che
permettono di realizzare una autentica giustizia interspecifica 94 . Per un biocentrista o per un
ecocentrista radicale, come Paul Taylor, bisognerebbe applicare nei rapporti interspecifici una
assoluta imparzialità (species-impartiality), perchè non solo ogni entità è dotata di valore, ma ha
anche “lo stesso valore inerente, perché nessuna è superiore ad un’altra” 95 . L’affermazione si
presenta evidentemente infondata, perchè di fatto, esistono diverse specie dotate di crescente
complessità organizzativa e di crescenti capacità autopercettive (come giustamente sottolineano i
sensiocentristi) e, dal punto di vista metafisico, diversi modi di partecipare dell’essere che si
traducono in una precisa gerarchia ontologica e quindi assiologica. In generale il diritto alla
sussistenza o conservazione della propria esistenza di un certo individuo si impone con tanta
maggior forza quanto più elevata è la posizione della specie considerata nella scala zoologica: se un
bambino ha fame e suo padre cattura un coniglio per darglielo da mangiare questo è del tutto
legittimo. Nel conflitto però tra un diritto essenziale dell’animale, per esempio, qual è il diritto di
sopravvivere, e un interesse o bisogno umano secondario, come il desiderio di sfoggiare una
pelliccia, prevale sempre il diritto del primo, ma anche uccidere o far soffrire animali per studiare
un cosmetico o per ripetere un esperimento scientifico ormai tante volte verificato è assolutamente
illecito.
E’ chiaro che introdurre una teoria del valore intrinseco cambia completamente i termini del
dibattito ambientale e orienta il processo decisionale secondo coordinate del tutto nuove: se io devo
fare i conti con il valore rappresentato dall’altro, uomo, pianta, animale, palude o savana, io dovrò
sempre dimostrare che ho una giustificazione adeguata per limitare o violare il diritto dell’altro,
magari appellandomi ad un dovere più alto o prevalente, e in ogni caso dovrò ridurre al minimo
indispensabile la violazione di un suo diritto. Se quindi decideremo che è indispensabile eseguire
una certa sperimentazione su un gruppo di animali che saranno poi sacrificati, questo non significa
che abbiamo anche il diritto di farli soffrire o di prolungarne l’agonia. Secondo l’etica cristiana,
l’abuso della natura grida vendetta al cospetto del Creatore che di quella natura è il signore.
Una ecologia globale
Il modello di etica ambientale da noi delineato nei suoi elementi portanti accoglie - a nostro
avviso - le giuste istanze dell'ambientalismo, ma le supera, integrandole in un progetto di ecologia
globale centrata sulla persona in quanto colta all'interno di una fitta rete di interrelazioni con le altre
persone e con il suo ambiente, una ecologia globale nella quale l'attenzione per l'ecologia
ambientale si coniughi perciò con una sana ecologia umana. Questa prospettiva, che costituisce il
Leitmotiv o - se si vuole - il cantus firmus dell’etica ambientale cristiana, è presentata in termini
alquanto espliciti nell'enciclica Centesimus Annus:
Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli habitat
naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna
di esse apporta un particolare contributo all'equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo
poco per salvaguardare le condizioni morali di un'autentica ecologia umana. Non solo la terra è
stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la
94
VAN DE VEER D., Interspecific justice, in VAN DE VEER D., PIERCE C. eds, People, Penguins and Plastic Trees:
Basic Issues in Environmental Ethics, Belmont (CA) 1986, 51-66
La questione della giustizia interspecifica si confonde praticamente con quella dei diritti degli animali, ma assume una
intonazione particolare all’interno dei modelli neocontrattualisti di matrice rawlsiana.
ROLLIN B., The Legal and Moral Bases of Animal Rigts, in MILLER H., WILLIAM W. eds., Ethics and Animals,
Clifton (NJ) 1983, 115 ss.; WESTON A., Toward Better Problems: New Perspective on Abortion, Animal Rights, the
Environment, and Justice, Philadelphia 1992.
95
TAYLOR P., Respect fon Nature: A Theory of Environmental Ethics, Princeton 1986, 155: “(The principle of
species-impartiality) means regarding every entity that has a good of its own as possessing inherent worth -the same
inherent worth, since none is superior to another”.
23
quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve perciò rispettare la struttura
naturale e morale di cui è stato dotato96.
6 Un nuovo ethos ecologico
Da quanto siamo venuti dicendo finora, credo sia ormai chiaro che la risoluzione della crisi
ecologica e quindi il futuro del pianeta è affidato, prima che a regole e a principi morali,per quanto
nobili e persuasivi, prima che a leggi e ad accordi internazionali, per quanto saggi e lungimiranti, ad
una trasformazione delle coscienze, premessa per l’elaborazione di regole e principi, leggi e
accordi. Se davvero la crisi ecologica è legata ad una mentalità errata, dovremo sviluppare una
nuova mentalità, una modo nuovo di percepire il nostro rapporto con l’ambiente, un nuovo ethos
ecologico.
Un ethos della sobrietà, che estirpi il cuore dell’uomo dalla brama di possedere e restituisca
il primato all’essere, che conduca l’uomo a usare della terra senza abusarne, che ci insegni a evitare
l’inutile, il superfluo, l’effimero, soprattutto se per soddisfare pseudobisogni mettiamo a repentaglio
l’integrità della natura, che ci purifichi lo sguardo e ci faccia scoprire che l’ambiente non è una
preda da saccheggiare, ma un giardino da custodire.
Un ethos dell’armonia, che ci permetta di entrare in sintonia con l’alterità, sia essa
rappresentata da un uomo, da una pianta, da un animale, dall’ambiente stesso, che ci faccia agire
sempre nel rispetto del valore proprio di ogni realtà naturale, che ci introduca ad una giustizia
autentica fra gli uomini e i paesi della terra e fra tutte le specie, che mostri come orientare la natura
al bene umano attraverso la persuasione e non attraverso la violenza, inserendoci sapientemente
all’interno degli equilibri ambientali senza turbarli, che ci apra finalmente lo sguardo alla bellezza
che si squaderna nell’universo, dalla danza degli elettroni al pulsare delle stelle.
Un ethos della diakonia, un ethos del servizio, perché come la signoria di Dio è amore e
provvidenza così la signoria umana è ministero del mondo, è passare dal disimpegno all’impegno, è
lasciarsi coinvolgere dal problema ambientale come cosa propria, è porre le risorse dell’ingegno a
servizio dell’integrità del cosmo, perché esso diventi sempre più bello e ordinato, perché ogni
creatura possa essere sempre più se stessa nella comunità biotica, perché nella realizzazione del
proprio fine ogni essere possa proclamare la grandezza del suo Creatore.
L’ethos ecologico è l’ethos di Francesco d’Assisi, l’eroe antieroico a buon diritto indicato da
Giovanni Paolo II come il patrono degli ecologisti 97.
Francesco è il fratello universale, fratello di tutti, fratello degli ultimi e dei poveri perché
nella povertà ha scoperto il segreto della solidarietà e della condivisione.
Francesco è l’uomo nuovo, che ha rivolto al mondo uno sguardo trasparente e ammirato che
ha restituito freschezza e verginità al mondo violato dal peccato umano.
Francesco è l’uomo dallo sguardo penetrante che contempla la creazione come fece il
Creatore nel settimo giorno e, vedendola bella e buona, se ne compiace e se ne fa come scala per
ascendere a Lui, bellezza e bontà fontali.
Francesco è l’uomo libero, che ci insegna a stare nel mondo con libertà e gratitudine, perché
ha liberato il cuore dalla smania di possesso ed è passato dalla logica dell’uti a quella del frui, dalla
logica della violenza a quella della pace, dal dominio al servizio98.
96
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus Annus, n. 38, in AAS 83 (1991), 841.
GIOVANNI PAOLO II, Bolla Inter Sanctos, (29 novembre 1979), in AAS 71 (1979), 1509-1510.
Sul tema Francesco ed ecologia segnaliamo: CONTI M., AJASSA M., Sfida ecologica. Sfida formativa,
L’Aquila-Roma 1986; CARREIRA DAS NEVES M., Francesco profeta di pace e di ecologia, Padova 1993; DE
MARZI M., L’ecologia e Francesco d’Assisi, Roma 1982; DE ROMA G., Sorella terra. L'ecologia nella Bibbia e in
san Francesco, Torino 1991; LUZI P., Francesco d’Assisi. Guida spirituale di comportamento con l’ambiente, Torino
1989; PRZEWOZNY B. J., St. Francis and Ecologists: Their Different Inspirations, “Miscellanea Francescana” 84
(1984), 544-560; SORRELL R. D., St Francis of Assisi and Nature. Tradition and Innovation in Western Christian
Attitudes toward the Environment, Oxford 1988; VERLEYE K. J., Saint François d’Assise et la protection de
l’environnement, “Laurentianum” 18 (1977), 314-337.
97
24
Francesco è il cantore della vita che, sentendosi creatura in mezzo ad altre creature, tutte
uscite dalla mano di un unico Signore, che solo è Altissimo, ha accordato le fibre intime della sua
persona al diapason dell’universo e si è fatto voce e interprete del canto della creazione.
Franesco è l’annunciatore della pace vera e attraverso la sua esistenza armonizzata, in pace
con Dio e con se stessa, fa la pace fra l’uomo e le creature99. La pace paradisiaca infranta dal primo
Adamo, è ricostruita da Cristo, ultimo Adamo100, e donata a coloro che, come Francesco, accolgono
nella loro esistenza Cristo, la sua vita, il suo Vangelo101. Cristo, Signore del cielo e della terra, per
mezzo del quale furono fatte tutte le cose, modello dell’uomo fatto ad immagine, insegna ad
ognuno di noi come ritrovare la strada dell’armonia e della pace: il mondo, creato in Cristo e per
Cristo, viene redento da Cristo attraverso la redenzione del cuore umano e l’uomo può così
assolvere al suo compito di essere sacerdote e mediatore della benedizione genesiaca sul cosmo102.
Questi aspetti della figura di Francesco, che meriterebbero tutti ampio sviluppo e puntuale
giustificazione, sono racchiusi, con sintesi davvero ispirata, in un bel testo di Gaudium et spes con
cui ci piace concludere le nostre riflessioni:
Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l’uomo può e deve amare anche le
cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve e le guarda e le onora come se al presente uscissero dalle
mani di Dio.
Di esse ringrazia il Benefattore e, usando e godendo delle creature in povertà e libertà di spirito,
viene introdotto nel vero possesso del mondo, quasi al tempo stesso niente abbia e tutto possegga:
“Tutto infatti è vostro: ma voi siete di Cristo, Cristo è di Dio”103
FILE: FAGGIONI.DOC
98
Le cose - insegna Bonaventura - sono state create prima per la gloria di Dio e solo secondariamente per il beneficio
dell’uomo, esse sono dunque belle, prima di esser utili: BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Commentarium in IV
Libros Sententiarum, lib. 2, d. 1, p. 2, a. 2, q. 1, resp, in Opera omnia, vol. 2, Quaracchi (Fi) 1895, 44: “Dicendum
quod finis conditionis rei sive rerum conditarum principalior est Dei gloria sive bonitas, quam creaturae utilitas” (cfr.
Tommaso, S. Th., I, q. 44, art. 4)
99
Ricordiamo uno splendido testo bonaventuriano: BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Legenda Maior, cap. 5, 9,
in Opera omnia, vol. 8, Quaracchi (Fi) 1898, 519: “Quia enim ad tantam pervenerat puritatem, ut caro spiritui et
spiritus Dei harmonia mirabili concordarent, divina ordinatione fiebat, ut creatura Factori suo deserviens, voluntati et
imperio eius mirabiliter subiaceret”. Cfr. cap. 8, 11, in Opera, vol. 8, 529.
100
Interessante, a questo proposito, la fine della breve pericope della tentazione del Signore in Marco: “stava con le
fiere” (Mc 1, 13b). Allusione alla condizione paradisiaca rappresentata come una mitica età dell’oro, che sarà rinnovata
nell’era messianica, secondo la profezia di Is 11, 6-8 (cfr. Is. 65, 25).
GRÄSSER E., “KAI HN META TWN QERIWN” (Mk 1, 13b). Ansästze einer theologische Tierschutzethik, in
SCHRAGE W. cur., Studien zum Text und zur Ethik des Neuen Testaments, Berlin 1986, 144-157
101
Cfr. S. BONAVENTURA, Legenda Major, cap. 8, 1, in Opera, vol. 8, 526: “Pietas vero (...) per universalem
conciliationem ad singula refigurabat ad innocentiae statum”.
Già Tommaso da Celano aveva richiamato l’attenzione sul tema del ritorno di Francesco alla giustizia originale e quindi
all’armonia paradisiaca: “Credo ad innocentiam primam redierat, cui, cum volebat, mansuebantur immitia” (2 Cel. 125
in Analecta Franciscana, tom. X, Legendae S. Francisci Assisiensis, 1, Quaracchi (Fi) 1926-1946., 227).
102
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett enc. Redemptor Hominis (4 marzo 1979), n. 16 in AAS 71 (1979), 289-290.
103
GS 37 (EV 1, 1436).
25