Di fronte alle BR e alla RAF: la percezione sociale del terrorismo in Italia e in Germania. Opinioni pubbliche e culture politiche a confronto Marica Tolomelli (Università di Bologna) 1. L'oggetto della ricerca Cambio di scena: se si considera il clima politico nell'Europa occidentale nella fase di passaggio tra gli anni Sessanta e Settanta si ha l'impressione di un vero e proprio capovolgimento di scenario. Mentre gli anni Sessanta furono profondamente segnati dall'emergere di forme di azione collettiva dai contenuti sostanzialmente positivi, incentrati sull'aspirazione ad una trasformazione democratica del mondo in un contesto di massima crescita economica - trasformazione che si voleva ancorata alla mobilitazione "di massa" e all'intervento in tutti gli ambiti della vita sociale -, gli anni Settanta evocano l'immagine di un periodo inquieto ed inquietante, scosso da una inaspettata quanto profonda recessione economica e segnato da una sconfortante crisi delle istanze di mutamento. Come elemento indicativo di tale brusco passaggio, evidentemente più forte in alcuni paesi che in altri, si possono assumere le disposizioni comportamentali dei giovani: negli anni Sessanta essi assurgevano a soggetto sociale e politico a pieno titolo facendosi protagonisti del già citato afflato rivoluzionario culminato nei movimenti del Sessantotto, mentre negli anni Settanta il loro protagonismo registrava un forte calo di entusiasmo. Ciò si poteva riscontrare in comportamenti che oscillavano tra tentativi di estraniarsi in "isole" il più possibile fuori dall'ordine sociale esistente da un canto e, dall'altro, la dedizione totale alla lotta contro il "sistema" fino alla scelta della lotta armata clandestina. In Italia e in Germania tale passaggio, dalle grandi speranze attribuite alla "contestazione globale" al rifiuto intransigente della realtà sociale o tramite estraniazione o scegliendo la via della lotta sovversiva fu vissuto con particolare intensità. Entrambi i paesi furono infatti profondamente scossi tanto dal manifestarsi dell'azione collettiva nella seconda metà degli anni Sessanta quanto dall'irrompere della violenza politica nel decennio successivo. Negli anni Sessanta il movimento studentesco e l'autunno caldo in Italia e i movimenti convergenti nella Opposizione Extraparlamentare - APO - nella Germania Federale avevano profondamente turbato la vita sociale e politica di entrambi i paesi, stimolando mutamenti di carattere culturale - negli stili di vita, nelle relazioni interpersonali - e politico - creando una particolare sensibilità per forme di democrazia diretta e assetti organizzativi non burocratici. Negli anni Settanta Italia e Germania furono altrettanto scosse dall'efferatezza delle azioni di gruppi politici che, vedendo nell'abbattimento dello 1 Stato l'unica possibilità di vero mutamento sociale, avevano posto la violenza politica al centro della propria strategia d'azione. Tuttavia una precisazione preliminare è a questo proposito necessaria: nei due paesi considerati il terrorismo fu un non completamente fenomeno analogo, assimilabile soprattutto sotto il profilo della propria autorappresentazione e delle forme d'azione privilegiate, mentre differenze anche notevoli esistevano relativamente alle origini della sua formazione, al grado di radicamento sociale e alla dimensione politica assunta. Circa il diverso ambito di formazione del terrorismo occorre osservare che in Italia la pratica dell'intimidazione e della diffusione di un sentimento di insicurezza sociale attraverso il ricorso alla violenza politica ebbe una doppia matrice: da un canto si ebbe un terrorismo, significativamente il primo a manifestarsi, che si caratterizzava per l'uso a colpire indiscriminatamente le folle al fine di creare un diffuso clima di insicurezza favorevole all'intervento di un potere forte (terrorismo reazionario). Dall'altro, prese forma un terrorismo intenzionato a colpire in maniera mirata figure simboliche e rappresentative dei centri di potere che si intendeva "disarticolare" al fine di indurre una esasperazione dei conflitti sociali e, di conseguenza, il definitivo abbattimento dell'ordine sociale esistente (terrorismo antisistema). Il quadro politico italiano entro cui il terrorismo si inserì era insomma caratterizzato da una tendenza alla chiusura rispetto alle istanze di mutamento poste dal movimento del Sessantotto e dalla mobilitazione operaia che vi fece seguito. Le bombe del 12 dicembre 1969 sancirono in maniera drammatica una contrazione nella struttura delle opportunità politiche1, ciò che fu prontamente percepito dai gruppi traenti la protesta sociale e che li indusse ad interpretare tale azione violenta come un sintomo di un'involuzione politica in corso2. Un'involuzione in senso reazionario che non lasciava più margini all'azione collettiva e che pertanto quasi costringeva alla scelta della violenza politica chiunque intendesse perseguire un progetto di mutamento radicale dell'ordine sociale esistente. Nella Germania Federale lo scenario politico era invece sostanzialmente aperto e relativamente ricettivo rispetto alle istanze di mutamento avanzate dal Sessantotto tedesco. Nonostante il clima di delusione e sconfitta seguito alla smobilitazione del movimento già a partire dal giugno 1968 - in coincidenza con l'approvazione delle leggi d'emergenza da parte del Parlamento tedesco, ciò contro cui era cresciuta la mobilitazione sociale nei mesi precedenti -, le elezioni politiche dell'autunno 1969 lasciavano presagire possibilità di aperture alla guida del paese. La vittoria 1 Ci si riferisce qui al modello di mobilitazione sociale proposto da S. Tarrow, Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia 1965-1975, Roma/Bari 1990. 2 Cfr. il commento di A. Sofri, La corsa nei sacchi, in: MicroMega, 1 (1988), pp. 171-189. 2 elettorale, per la prima volta nella storia della Bundesrepublik, della coalizione socialliberale guidata dal Cancelliere Willy Brandt avvenne infatti all'insegna della parola d'ordine "mehr Demokratie wagen!". Con il cambio di governo dell'autunno 1969 in Germania si apriva insomma una nuova stagione politica che mostrava almeno una parziale volontà di apertura verso le questioni sollevate dalla protesta sociale degli anni precedenti. Diversamente dal contesto politico italiano quello tedesco degli anni Settanta presentava pertanto una tendenza all'allentamento della struttura delle opportunità politiche, alla liberazione di spazi in cui poteva trovare espressione l'azione collettiva - che in quel decennio prese forma nella varietà delle Bürgerinitiativen, nella nascita del movimento ecologista contro l'energia nucleare, nella presa della parola da parte della Neue Frauenbewegung. Ciò nonostante anche in Germania gli anni Settanta furono profondamente turbati dall'irrompere del terrorismo antisistema raccolto attorno ad alcuni gruppi famosi che, come la Bewegung 2. Juni o la Rote Armee Fraktion, vedevano nella violenza politica l'unico mezzo con cui contrastare l'ordine politico ed economico della Bundesrepublik, visto come un sistema solo apparentemente democratico ma legato in realtà da un rapporto di stretta continuità con il regime nazionalsocialista. Volendo spiegare l'origine del terrorismo in Germania si è allora portati ad enfatizzare soprattutto fattori di carattere storico-esistenziali che non elementi legati alla contingenza politica, benché non si possano del tutto ignorare le dinamiche di radicalizzazione scatenatesi parallelamente al declinare del movimento del Sessantotto3. Oltre che nelle cause all'origine della loro formazione tra il terrorismo italiano e quello tedesco esistevano differenze anche riguardo la presenza sociale del fenomeno, sia sotto l'aspetto del grado di diffusione che quello degli ambienti sociali coinvolti. Per tutto il corso degli anni Settanta l'Italia fu travagliata da un susseguirsi di attentati e azioni terroristiche quasi senza soluzione di continuità. Se le azioni più efferate o di più alta portata simbolica segnavano i “momenti alti” della guerra allo Stato, manifestazioni violente meno clamorose si intensificarono progressivamente soprattutto nella seconda metà del decennio. Dagli incendi alle automobili di dirigenti o quadri intermedi aziendali, alle cosiddette "gambizzazioni", agli attentati a forze dell'ordine, esponenti del mondo politico, giudiziario, economico, sindacale e dell'informazione, il terrorismo non si limitò affatto ad alcune azioni esemplari, ma 3 Mentre nella fase di formazione il Sessantotto tedesco si dichiarava favorevole alla violenza "simbolica" intrinseca a forme di azione coercitive come l'occupazione di un'Università, un sit-in o il lancio di pomodori e rifiutava recisamente la violenza "offensiva", nella fase della radicalizzazione e poi smobilitazione del movimente si assiste ad una notevole crescita del grado di accettazione della violenza. 3 tese piuttosto ad una generalizzazione della strategia della violenza intimidatoria come forma di azione.4 Nella Germania federale la situazione era diversa. Anche a prescindere dal dato quantitativo, che registrava un numero considerevolmente minore di attentati e vittime rispetto al contesto italiano, in questo paese il terrorismo non raggiunse le dimensioni "endemiche" italiane, nel senso che nonostante alcune fasi di particolare intensità di azioni (come ad esempio il maggio 1972) e diverse azioni ad altissimo impatto emotivo e simbolico, oggettivamente la vita quotidiana non era segnata da continue manifestazioni di violenza.5 Se si considera l'aspetto del radicamento sociale emerge inoltre che mentre in Italia il terrorismo riguardò fortemente anche il movimento operaio, in Germania questo ne rimase sostanzialmente estraneo.6 Il terrorismo tedesco si concentrò infatti in maniera quasi esclusiva sulle figure rappresentative del sistema istituzionale dello Stato "imperialista" (compresi anche alcuni esponenti della difesa americana stazionati nella Germania federale) senza alcun collegamento con la conflittualità all’interno del mondo del lavoor. Ciò significa che mentre per i lavoratori delle più grandi fabbriche italiane il terrorismo costituì una realtà concreta, che in certi casi li obbligò addirittura ad organizzare dei servizi di sorveglianza a difesa dei luoghi di produzione, mentre in altri li stimolò a forme di adesione o sostegno, i lavoratori tedeschi e più il generale il movimento operaio e sindacale rimase sostanzialmente estraneo e distanziato dal terrorismo poiché non giunse mai a toccare la realtà lavorativa. Le due manifestazioni di terrorismo considerate si distinguevano infine anche per un diverso spessore politico. In Italia il terrorismo assunse una dimensione inquietante non solo per l'efferatezza delle azioni e per l'elevato grado di diffusione, ma anche per la determinazione dei principali gruppi - tra cui spiccavano le Brigate Rosse - nel perseguimento del loro fondamentale obiettivo, l'abbattimento dello 4 Per un quadro generale sulla portata del terrorismo in Italia cfr. D. Della Porta, Il terrorismo di sinistra, Bologna 1990; Id. e M. Rossi, Cifre crudeli: bilancio dei terrorismi italiani, Bologna 1984; M. Galleni, Rapporto sul terrorismo, Milano 1981 (che tuttavia considera insieme sia il terrorismo antisistema che quello reazionario); La mappa perduta, a cura del "Progetto memoria", Roma 1994 (quest'ultimo considera esclusivamente il terrorismo antisistema). 5 B. Peters, RAF. Terrorismus in Deutschland, Stuttgart 1991; B. Rabert, Terrorismus in Deutschland. Zum Faschismusvorwurf der deutschen Linksterroristen, Bonn 1991; P. Waldmann, Terrorismus. Provokation der Macht, München 1998. Mentre in Italia tra il 1977/78 si contavano oltre una quindicina di gruppi eversivi (compresi anche gruppi molto piccoli e di breve vita), in Germania il terrorismo consisteva in primo luogo nella RAF e nella Bewegung 2. Juni, appoggiate dall'attività delle semi-clandestine Revolutionäre Zellen. Complessivamente il gruppo dei terroristi si aggirava attorno ad un centinaio di persone, contro le sette-ottocento persone che si stimavano in Italia. 6 Significative per comprendere il grado di coinvolgimento del movimento operaio italiano sono le interviste condotte da M. Cavallini, Il terrorismo in fabbrica. Interviste con gli operai della FIAT, Sit-Siemens, Magneti Marelli, Alfa Romeo, Roma 1978. 4 Stato. A questo proposito basti ricordare la portata politica che le BR ascrissero al sequestro Moro: ciò che avrebbe posto in seria difficoltà il governo italiano stava nel fatto che il sequestro non fosse finalizzato ad un preciso riscatto, bensì alla volontà di sottoporre a processo, davanti ad un autoproclamatosi tribunale del popolo una figura simbolica del potere politico italiano. Con il sequestro Moro le BR intendevano cioè intervenire direttamente sugli equilibri politici esistenti cercando di sovvertirli; la loro azione era insomma eminentemente politica e offensiva, non legata cioè ad una necessità di autolegittimazione. Diversamente si connotava invece il terrorismo in Germania, dove l'anno precedente il sequestro Moro, nell'autunno 1977, la RAF aveva compiuto un'azione di paragonabile scalpore con il sequestro del presidente del BDA - Bund Deutscher Arbeitgeber - Hanns Martin Schleyer. Tuttavia, questa azione, con cui si era voluto colpire una figura simbolica del potere economico tedesco, legava il perseguimento di finalità politiche all'obiettivo prioritario della liberazione di una decina di terroristi detenuti nelle carceri tedesche. Per quanto quest'ultimi venissero definiti prigionieri politici nel braccio della forza del "fascista ed imperialista regime tedesco", all'azione non furono attribuiti altri significati se non quello di dare prova della propria forza e determinazione a colpire "il cuore" del potere dominante. Il caso Schleyer sotto questo profilo si rivela emblematico di un carattere peculiare del terrorismo tedesco, ovvero il suo crescere su se stesso in un gioco fatto di sfidarepressione-azioni di liberazione instauratosi tra le formazioni terroristiche e lo Stato7. Rispetto al terrorismo italiano, che per il suo alto livello di diffusione poteva essere considerato un fenomeno sociale a pieno titolo, il terrorismo tedesco pareva invece più marginale, in un certo senso avulso dal contesto sociale su cui esso intendeva intervenire, dunque di minore portata politica. L'elemento che più colpisce è, tuttavia, che nonostante queste oggettive differenze di dati, per nulla diverso appare invece il clima politico, l'atmosfera di stato di allarme dovuto al sentimento diffuso di una minaccia incombente. La sensazione che fosse in corso uno scontro la cui posta in gioco consisteva nella capacità di “reggere” dei due giovani sistemi democratici – italiano e tedesco - alimentò in entrambi i paesi un fortissimo stato di insicurezza e tensione. Si può pertanto sostenere che, indipendentemente dal grado di minaccia dal terrorismo oggettivamente 7 Da notare che la prima azione con cui la RAF diede pubblicamente atto della propria costituzione fu un'azione di liberazione dei detenuti Baader e Ennslin guidata da Ulrike Meinhof. Anche altre importanti azioni clamorose, come ad esempio il sequestro dell’esponente della CDU Peter Lorenz nel febbraio 1975, erano finalizzata alla liberazione di alcuni detenuti. 5 rappresentato, l'immagine degli "anni di piombo" - "bleierne Jahre", può essere indistintamente usata per descrivere il clima politico degli anni Settanta in entrambi i paesi. E' a partire da tale constatazione che si aprono una serie di problematiche su cui si intende sviluppare la ricerca qui sinteticamente illustrata. 2. Le questioni La ricerca che si intende sviluppare non vuole essere una ricostruzione analitica della storia del terrorismo in Italia e in Germania. Lo studio non mira tanto alla trattazione delle cause all’origine del terrorismo nei due paesi quanto piuttosto all’analisi delle reazioni delle società rispettivamente italiana e tedesca rispetto al manifestarsi del fenomeno e all'efferatezza delle sue azioni. La questione portante l'intera ricerca è pertanto quella che sinteticamente ho definito la percezione sociale del terrorismo in Italia e in Germania, ciò che significa analizzare come nei due paesi la società si pose di fronte alla sfida in corso tra i gruppi terroristici e lo Stato, come la spiegò, interpretò e giudicò. Espresso in termini più concreti si intende ricercare e ricostruire le posizioni che si cristallizzarono all'interno della sfera pubblica, ovvero le opinioni pubbliche circa il problema del terrorismo e la reazione dello Stato. Sia in Italia che in Germania le azioni più clamorose di sfida allo Stato da parte delle organizzazioni terroristiche sono state realizzate con i sequestri di personalità prestigiose e autorevoli nella vita politica ed economica - sequestro Schleyer in Germania (settembre-ottobre 1977), sequestro Moro in Italia (marzo-maggio 1978). Nel corso di questi sequestri in entrambi i paesi si è scatenato un vivacissimo dibattito sulle cause sociali e politiche del terrorismo, il suo "terreno di coltura", le responsabilità dei "simpatizzanti", la forza effettiva dei gruppi terroristici, gli atteggiamenti da tenersi da parte del potere politico e i provvedimenti giuridicopenali con cui contrastare il terrorismo. L'analisi comparativa delle opinioni pubbliche in Italia e in Germania nelle situazioni di maggiore drammaticità provocata dalle azioni terroristiche rappresenta pertanto un primo livello della ricerca con cui si intende far emergere con chiarezza le coordinate argomentative dominanti nei due paesi. Il dibattito sociale, le pubbliche opinioni formatesi in merito al terrorismo in Italia e in Germania rappresentano inoltre un campo d'osservazione particolarmente appropriato a partire dal quale affrontare una seconda questione, quella dl rapporto delle società italiana e tedesca verso le istituzioni, il potere politico e lo Stato tout court. La liceità di tale questione risulta evidente se si tiene conto del fatto che il terrorismo (antisistema) impersonava simbolicamente il rifiuto, la negazione dello Stato - intendendo precisamente il sistema politico ed economico su cui si reggeva in 6 capitalismo in Occidente – e che esso era espressione di una visione radicalizzata, caricaturale, della realtà. Con la loro critica estrema all'ordine sociale esistente le formazioni terroristiche stimolarono di fatto un processo di riflessione critica che, in sede di un pubblico dibattito, andò a toccare le questioni più importanti e al contempo più delicate alla base della vita sociale nei due paesi: la legittimità della violenza, la libertà di espressione, le forme di repressione in un sistema democratico, lacune e vizi delle democrazie occidentali, per giungere sino alla discussione sulla legittimità delle forze politiche e delle stesse istituzioni dello Stato. Le posizioni che emergono da tali ambiti di discussione, mosse dal dibattito sul terrorismo, ma estese ad analisi più complessive della realtà sociale in Italia e in Germania, si rivelano pertanto particolarmente significative ai fini di un'analisi - il secondo livello della ricerca qui presentata - che intende affrontare il rapporto Statosocietà sotto il profilo del consenso e del grado di identificazione sociale con il rispettivo ordine statuale. Inoltre, considerato che il terrorismo rappresentò anche una forma radicalizzata di conflittualità si ritiene che dai pubblici dibattiti sul terrorismo si possano anche evincere importanti indicazioni utili a comprendere le culture politiche dominanti rispettivamente in Italia e in Germania negli anni Settanta. Se con cultura politica si intende l'insieme delle attitudini, disposizioni comportamentali, credenze e valori che contraddistinguono le modalità di interazione, le pratiche sociali e le modalità di mediazione di interessi divergenti all'interno di un sistema politico dato,8 si ritiene che le reazioni procurate dall'innalzamento estremo della conflittualità che i due paesi vissero negli anni Settanta siano rivelatrici di come il conflitto si collocasse nelle rispettive culture politiche. Riassumendo, al secondo livello dell'analisi la ricerca sulle pubbliche opinioni in merito terrorismo viene assunta come cartina di tornasole, come un filtro di lettura con cui addentrarsi nell'analisi delle culture politiche dominanti nelle società italiana e tedesca in particolare sotto gli aspetti delle attitudini verso la politica, le istituzioni statuali ed, infine, verso il conflitto sociale. 8 Sul concetto di cultura politica la lettura scientifica prodotta è vastissima. In questa sede si è optato per la connotazione più prettamente sociologica del concetto in quanto si ritiene che sia quella che meglio rende conto dell'aspetto dinamico-processuale alla base della formazione di ogni cultura politica. Cfr. al proposito A. Santambrogio, Sul concetto di cultura politica: una prospettiva sociologica, in: F. Crespi e A. Santambrogio (a cura di), La cultura politica nell'Italia che cambia, Roma 2001, pp. 43-83. Cfr. anche la definizione di Politische Kultur di D. Berg-Schlosser in D. Nohlen (a cura di), Kleines Lexikon der Politik, München 2001, p. 389 sg. 7 3. La prospettiva analitica: perché una comparazione tra Italia e Germania? La ricerca finora esposta sarà sviluppata in una prospettiva comparativa. Le ragioni di tale scelta sono piuttosto evidenti, considerato il rilievo che il terrorismo ha avuto per la storia contemporanea in Italia e nella Germania federale. Il contemporaneo manifestarsi di tale fenomeno in entrambi i paesi costituisce cioè quella base di omogeneità contestuale fondamentale per qualsiasi tipo di comparazione. Ricorrendo alla terminologia della comparativistica il fenomeno del terrorismo può essere assunto come il tertium comparationis9 su cui impostare un'analisi che, partendo da un presupposto di comparabilità,10 si propone di rendere conto delle diverse accentuazioni e peculiarità caratterizzanti le singole unità di comparazione scelte. Come già inizialmente accennato, considerato da vicino il fenomeno del terrorismo ha assunto nei due paesi caratteri per certi versi anche profondamente divergenti - relativamente al contesto politico di formazione dei gruppi terroristici, al grado di diffusione e di politicizzazione. Eppure l'elemento qualificante il terrorismo antisistema, il suo porsi frontalmente contro lo Stato facendo ricorso alla violenza politica, costituisce un carattere di fondamentale comunanza tra i casi considerati, l’elemento su cui si regge l'assimilazione dei due fenomeni e che rende pertanto plausibile l'ipotesi di ricerca comparata. Oltre alla necessità di verificare in via preliminare il grado di omogeneità di fondo tra le unità di comparazione scelte si pone anche il problema di scegliere un appropriato tipo di comparazione. A questo proposito occorre prendere in cosiderazione gli sviluppi registrati dalla comparatistica negli ultimi decenni e alla modellistica proposta dai precursori della storia comparata oltre che da altri scienziati sociali. Basti accennare alla distinzione tra cinque tipi di comparazione postulata da Theodor Schieder negli anni Sessanta, al modello basato su tre forme di 9 Il concetto è inteso da Theodor Schieder come un comune punto di riferimento storico che sottintende una omogeneità di base tra le unità di comparazione scelte. Cfr. Th. Schieder, Möglichkeiten und Grenzen vergleichender Methoden in der Geschichtswissenschaft, in Id., Geschichte als Wissenschaft. Eine Einführung, München/Wien 1965, pp. 187-211, in part. p. 210. Sulla necessità di precisare il tertium comparationis prima di procedere a qualsisiasi analisi comparata cfr. Th. Welskopp, Stolpersteine auf dem Königsweg. Methodenkritische Anmerkungen zum internationalen Vergleich in der Gesellschaftsgeschichte, in "Archiv für Sozialgeschichte", 35 (1995), p. 339-367, in part. p. 343. 10 Tenuto conto delle differenze esistenti tra il terrorismo italiano da una parte e quello tedesco dall'altra si pone innanzitutto il problema della effettiva comparabilità delle unità di comparazione scelte. Diversamente dal significato comunemente attribuito all'aggettivo comparabile, tendente ad enfatizzare gli elementi di somiliglianza tra oggetti diversi, nelle scienze sociali la comparazione pone nello stesso ordine di importanza le analogie tanto quanto le divergenze, anzi sono proprio le divergenze che rendono particolarmente significativa la comparazione. Sulle diverse connotazioni che può assumere l'aggettivo "comparabile" cfr. il saggio introduttivo sulla storia comparata H.-G. Haupt/J. Kocka, Historischer Vergleich: Methoden, Aufgaben, Probleme. Eine Einleitung, in: Id. (a cura di), Geschichte und Vergleich. Ansätze und Ergebnisse international vergleichender Geschichstsschreibung, Frankfurt/New York 1996, pp. 9-45. 8 comparazione proposto da Theda Skopcol e Margaret Somers, 11 o, ancora, alla definizione dei quattro tipi elaborata da Charles Tilly 12. La lista dei diversi modelli comparativi proposti potrebbe certamente continuare13 senza tuttavia arricchirci di orizzonti sostanzialmente innovativi se non ribadire un carattere fondamentale dell’analisi comporata, ovvero che tra l'interesse conoscitivo perseguito e il taglio comparativo scelto debba esservi un chiaro nesso logico14. Di fronte alla varietà delle tipologie proposte si ha infatti l'impressione che in conseguenza della elevata flessibilità empirica cui si presta la comparazione che, vale la pena ricordarlo, non è un metodo ma una prospettiva analitica15, sia stato sviluppato un modello comparativo a misura di ogni interesse conoscitivo perseguito. Senza voler tuttavia rinunciare ad ogni sorta di tipologizzazione si può far ricorso alla distinzione fondamentale tra il "method of agreement" e il "method of difference" illustrata da John Stuart Mill già nel 188116 e riproposta, anche se in termini sostanzialmente diversi poiché adattati alle esigenze specifiche della ricerca storica, da Marc Bloch sul finire degli anni Venti17. La distinzione alla base di ogni tipologia di comparazione sta infatti nelle due opposte tendenze, ovvero da un canto la tendenza alla generalizzazione, alla tipicizzazione o, ancora, alla universalizzazione sottesa ad ogni comparazione focalizzata sugli elementi di comunanza e omogeneità e, dall'altro, la tendenza ad una individualizzazione quasi storicistica intrinseca alla comparazione enfatizzante le divergenze e l'alterità di ogni singola unità sottoposta a confronto. E` evidente che si tratta di due tendenze polarizzanti sul piano della modellistica teorica, mentre nella ricerca empirica sono più frequenti analisi comparative più bilanciate, spostate eventualmente più sul versante delle comunanze o su quello delle divergenze senza tuttavia che una prospettiva oscuri completamente l'altra18. 11 Th. Skocpol/M. Somers, The uses of comparative history, in "Comparative Studies in Society and History", 22 (1980), pp. 172-197. 12 Ch. Tilly, Big Structures, large processes, huge comparisons, New York 1984. 13 Cfr. ad esempio la classificazione proposta da A.A. van den Braembussche, Historical Explanation and Comparative Method: Towards a Theory of the History of Society, in "History and Theory", 28 (1989), pp. 1-24. 14 Per una visione d'insieme sulle tipologie della comparazione cfr. H. Kaelble, Der historische Vergleich. Eine Einführung zum 19. und 20. Jahrhundert, Frankfurt/New York 1999, pp. 25-47. 15 Su questo punto insiste con convincenti argomentazioni Th. Welskopp, Stolpersteine auf dem Königsweg. Methodenkritische Anmerkungen zum internationalen Vergleich in der Gesellschaftsgeschichte, in "Archiv für Sozialgeschichte", 35 (1995), pp. 339-367. 16 J.S. Mill, Philosophy of Scientific Method, a cura di E. Nagel, New York 1881. 17 M. Bloch, Pour une histoire comparée des sociétés européennes (1928), in: Id., Mélanges historiques, Vol. 1, Paris 1983. Per una trattazione critica della tipologia proposta da Bloch cfr. A.H. Sewell, Marc Bloch and the logic of comparative history, in "History and Theory", 6 (1967), pp.208-218. 18 Questa tendenza corrisponderebbe al modello della comparazione sintetica proposto da Th. Schieder nel già citato saggio. 9 Nel caso dell'oggetto della ricerca qui esposta, in considerazione delle unità di comparazione scelte e delle questioni che si intendono affrontare si ritiene opportuno assumere una prospettiva comparativa che, ponendo sullo sfondo gli elementi di omogeneità, si focalizzi maggiormente sugli aspetti contrastanti. Questo perché si ritiene che il confronto tra fenomeni fondamentalmente analoghi ma distinti e divergenti a seconda del contesto sociale in cui si manifestano - due contesti politiconazionali, due diverse strutture sociali - ci ponga di fronte alla necessità di cercare di comprendere e spiegare le ragioni delle differenze riscontrate nel corso dell'analisi. Cercare di rispondere agli interrogativi sollevati da un confronto per contrasto può inoltre rivelarsi particolarmente utile ad individuare il complesso dei fattori esplicativi più convincenti e forti per ogni singolo caso verificato. L'intenzione implicita a un simile tipo di analisi comparativa è allora, evidentemente, quella di ottenere un livello di comprensione del fenomeno studiato maggiore di quello ottenibile dallo studio di un singolo caso senza sottoporlo a confronto. Con ciò non si intende minimamente svalutare i pregi della ricerca storiografica “classica”, centrata su uno specifico contesto nazionale, regionale o locale, bensì semplicemente osservare che spesso la comparazione per contrasto consente di individuare con maggiore chiarezza le peculiarità di ogni singola unità di comparazione in modo tale da riuscire a rendere conto degli aspetti caratterizzanti e individualizzanti ogni singolo caso in maniera più nitida rispetto alle accentuazioni che porrebbe invece una ricerca non comparativa. 4. L'approccio metodologico Analizzare la percezione sociale del terrorismo in Italia e in Germania significa prendere in considerazione tre distinti momenti di un complesso processo: a) innanzitutto la problematizzazione sociale del tema in questione in modo da evidenziare le principali coordinate dei dibattiti nei due paesi; b) successivamente, la cristallizzazione di tale problematizzazione nella forma delle opinioni pubbliche dominanti, cercando di evidenziare i criteri di valutazione ad esse sottesi, le correnti argomentative che le orientarono, nonché le forze politiche e culturali che le dominarono e il ruolo giocato dai mezzi di comunicazione di massa. Il quadro sarà infine completato con c) la messa in luce anche delle "opinioni non-pubbliche"19 perché 19 L'espressione di opinione non-pubblica fu coniata dal gruppo dell'Istituto di ricerca sociale di Francoforte negli anni Cinquanta per indicare il contrasto esistente sul tema dell'Olocausto tra l'opinione pubblica ufficialmente sostenuta dalla classe politica e l'opinione non-pubblica ma diffusa in ampi settori sociali. Cfr. Gruppenexperiment. Ein Studienbericht, elaborato da F. Pollock, Frankfurt/M. 1955. Sul concetto di opinione 10 sottaciute, negate o comunque contrastate dalle opinioni dominanti, al fine di offrire un quadro più differenziato e il più possibile attendibile rispetto alla questione posta. Per quanto riguarda la problematizzazione sociale del terrorismo la ricerca sui movimenti e l'azione collettiva ha, sulla base di numerosi studi empirici, illustrato come la percezione di un problema non dipenda tanto dall'esistenza oggettiva di contraddizioni o situazioni di disagio, ma in misura ben superiore dalla interpretazione e tematizzazione pubblica che di tali situazioni si compie20. Un qualsiasi tipo di malessere sociale può allora divenire rilevante ed essere percepito come problema nel momento in cui esso viene socialmente costruito - dibattuto ed interpretato - nell'arena della sfera pubblica. Perché un problema diventi un "vero" problema esso necessita insomma di una mediazione interpretativa socialmente condivisa.21 La percezione sociale di un problema riguardante un'intera collettività dipende pertanto dai "sensori" di cui essa dispone, vale a dire le coordinate costitutive — strutturali, cognitive, etiche e normative — entro cui essa si riconosce, agisce, vive e si riproduce. Dunque l'ordine istituzionale, il tipo di organizzazione economica e politica e dunque anche il sistema dei valori e dei princìpi fondamentali, così come la memoria e le esperienze storiche a cui una collettività impronta la propria vita sociale costituiscono gli elementi di riferimento essenziali a partire dai quali una società si autorappresenta e percepisce la propria realtà. Solo a partire da tali presupposti essa può individuare come problematiche quelle situazioni che all'interno della sfera pubblica vengono discorsivamente interpretate in contrasto rispetto al sistema di valori condiviso. Muovendo da tali premesse si tratterà allora di analizzare i termini in cui avvenne la problematizzazione del terrorismo in Italia e in Germania, cercando di mettere in luce gli aspetti che più stimolarono il pubblico dibattito nei due paesi e le forze sociali più sensibili alle questioni che il terrorismo sollevava: la questione del ricorso all'uso politico della violenza come legittima forma d'azione con cui contrastare un sistema di potere accusato di asservimento ad interessi economici e politici sovranazionali; la necessità di spiegare socialmente le cause del ricorso alla violenza politica in sistemi di mediazione democratica di interessi e conflitti, nonché le non-pubblica in senso di opione alternativa cfr. K.-H. Stamm, Alternative Öffentlichkeit. Die Erfahrungsproduktin neuer sozialen Bewegungen, Frankfurt/New Yiork 1988. 20 B. Klandersman / H.P. Kriesi / S. Tarrow (a cura di), From Structure to Action. Comparing Social Movement Research across Cultures, Greenwich 1988. 21 Cfr. St. Hilgartner e Ch. Bosk, The Rise and Fall of Social Problems. A Public Arenas Model, in: "American Journal of Sociology", 94 (1988), pp. 53-78. Per gli autori i problemi (sociali) sono il prodotto di un processo collettivo di definizione. 11 questioni relative alle misure repressive più appropriate ed incisive con cui contrastare il terrorismo. Con riferimento alle elaborazioni teoriche offerte dalle scienze sociali in materia di opinione pubblica in sistemi democratici, si muove dal presupposto che la costruzione sociale del problema terrorismo avvenne entro un contesto internamente strutturato e non a livello di casuale circolazione di informazioni, commenti o prese di posizione. All'interno delle democrazie occidentali è la sfera pubblica il luogo preposto alla tematizzazione argomentativa di ogni aspetto della vita sociale attraverso la raccolta e la rielaborazione di informazioni, opinioni e interessi, mentre le opinioni pubbliche costituiscono le espressioni finali, il massimo livello di elaborazione cui tale processo perviene. Ricostruire la percezione sociale del terrorismo richiede pertanto di soffermarsi sull'analisi del processo di formazione delle opinioni pubbliche nei due paesi considerati. Nell'approfondimento di tale questione si parte da una concezione di opinione pubblica che non coincide con l'idea di opinione dominante di carattere demoscopico, nel senso di aggregato di opinioni.22 Richiamandoci al modello normativo di sfera pubblica nelle moderne società occidentali proposto da Jürgen Habermas già negli anni Sessanta23, ma tenendo conto anche di una serie di studi critici, approfondimenti e correzioni che a quel modello sono state nel frattempo apportate24, con opinione pubblica si intende l'opinione risultante da un processo discorsivo di "condensazione" di opinioni, caratterizzato dalla elaborazione di temi e argomenti - attraverso filtraggi, selezioni, confutazioni, rafforzamenti o rivalutazioni di opinioni - entro la struttura comunicativa della sfera pubblica. Sulla base di tale definizione sono pertanto da ritenersi elementi costitutivi dell'opinione pubblica la sua veicolabilità in contesti pubblici e l'elevato grado di approvazione riscontrato in tali contesti25. Al fine di riuscire a ricostruire analiticamente le opinioni pubbliche sul terrorismo in Italia e in Germania si farà ricorso al modello teorico proposto dai sociologi Jürgen 22 Per critica una ormai datata ma ancora pienamente attuale al concetto di opinione pubblica in senso demoscopico cfr. P. Bourdieu, L'opinion publique n'existe pas, in: "Les temps modernes", 318 (1973), pp. 12921309. 23 J. Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Bari 1977 (1° ed. ted. 1962). 24 Per un'ampia trattazione sociologica del concetto di sfera e opinione pubblica cfr. F. Neidhardt (a cura di), Öffentlichkeit, öffentliche Meinung, soziale Bewegungen. Numero speciale della "Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie", Köln 1994, in part. il saggio di B. Peters, Der Sinn von Öffentlichkeit, pp. 42-76. Sulla storia del concetto di sfera e opinione pubblica cfr. L. Hölscher, Öffentlichkeit, in: O. Brunner / W. Conze / R. Koselleck (a cura di), Geschichtliche Grundbegriffe, Stuttgart 1975, vol. 4, pp. 413-468. 25 Questo l'orientamento seguito da E. Noelle-Neumann, Öffentliche Meinung. Die Entdeckung der Schweigespirale, Frankfurt/M.-Berlin 19913. 12 Gerhards e Friedhelm Neidhardt26, i quali distinguono tre livelli fondamentali in cui si articolerebbe la sfera pubblica e, di conseguenza, anche il processo di formazione delle opinioni pubbliche. Al primo, più elementare livello, quello più informale e meno istituzionalizzato, si trovano tutte le circostanze (pubbliche, ma anche private) di discussione e commento tra piccoli gruppi; un secondo livello viene individuato invece nell'ambito che genericamente possiamo definire della società civile, ambito entro cui si compie la formazione di gruppi e associazioni sulla base di interessi mirati o legati ad obiettivi particolari; infine, il terzo livello, quello politicamente più incisivo ma strettamente legato al funzionamento degli altri livelli, si regge sul sistema dei mezzi di comunicazione di massa. Da tale punto di vista risulta problematico,tanto sul piano teorico quanto su quello empirico, stabilire con precisione i rapporti di interdipendenza che si instaurano tra i vari livelli della sfera pubblica. Mentre il modello proposto da Gerhards e Neidhardt tende a sostenere un legame monodirezionale che muoverebbe dal livello più informale verso quello più istituzionalizzato, si ritiene che sul piano empirico e soprattutto nelle società dominate da mezzi di comunicazione di massa la questione sia ben più complessa. Nel caso specifico della problematica che qui si intende affrontare sarà allora importante cercare di evidenziare il più nitidamente possibile le direzioni seguite dagli inputs argomentativi e seguirne il percorso all'interno del pubblico dibattito. Ricorrendo al modello sinteticamente accennato ci si propone di mettere in luce le dinamiche, i contrasti di interesse e i conflitti che condizionarono discorsivamente il processo di condensazione delle opinioni in opinioni pubbliche ai vari livelli sopra indicati, con esclusione del primo per evidenti ragioni di mancanza di fonti. Nella scelta di tale approccio metodologico si è consapevoli che quando ci si allontana da un modello teorico-normativo per addentrarsi in un'analisi empirica è necessario tenere conto della complessità delle società contemporanee. L'elevato grado di complessità sociale si riflette necessariamente anche sulla strutturazione della sfera pubblica, la quale risulterà più frammentata e disarticolata, tendente a formare un puzzle di sfere pubbliche parziali, tra loro autonome e non sempre mediate dalle strutture comunicative poiché sottoposte ai meccanismi di gerarchizzazione ed esclusione creati dai mezzi di comunicazione di massa27. 26 Il modello si richiama esplicitamente a quello proposto da J. Gerhards e F. Neidhardt, Strukturen und Funktionen moderner Öffentlichkeit. Fragestellungen und Ansätze, in: S. Müller-Doohm (a cura di), Öffentlichkeit, Kultur, Massenkommunikation. Beiträge zur Medien- und Kommunikationssoziologie, Oldenburg 1991, pp. 31-88. 27 Per una trattazione critica e stimolante di questa problematica cfr. J. Requate, Öffentlichkeit und Medie als Gegenstand historischer Analyse, in "Geschichte und Gesellschaft", 1 (1999), pp. 5-32. 13 Se l'analisi delle opinioni pubbliche ci consente di tracciare le coordinate tematiche ed argomentative di riferimento nel contesto comunicativo entro cui si esplicò la percezione sociale del terrorismo, essa peccherebbe tuttavia di parzialità se non venisse "corretta", nel senso di una relativizzazione, attraverso un'analisi delle modalità di esclusione o selezione delle opinioni volta al recupero delle opinioni non-pubbliche. Formulate più concretamente le questioni che si intende affrontare riguarderanno i dibattiti che si svilupparono all'interno delle forze sociali e politiche in misura diversa coinvolte nel conflitto aperto dal terrorismo nei due paesi. Mentre per quanto riguarda il contesto italiano si dovrà rendere conto del dibattito apertosi internamente al movimento operaio e al partito comunista, nel caso della Germania l'attenzione verterà invece sulle animose controversie scatenatesi tra gli intellettuali e lo schieramento politico moderato-conservatore. Le immagini, gli argomenti e le interpretazioni risultanti da questo livello dell'analisi - che tendenzialmente corrisponde al livello della società civile proposto dal modello di Gerhards e Neidhardt - saranno poi messe in relazione con quelle offerte invece dai mass media, tendenzialmente più centrate sulla drammatizzazione e spettacolarizzazione dei fatti di terrorismo che non sulla loro spiegazione. L'analisi delle opinioni non-pubbliche si concentrerà infine sulle posizioni espresse da quelle forze politiche e sociali di radicale opposizione ai sistemi politici vigenti rispettivamente in Italia e in Germania, le quali rispetto al terrorismo si ponevano in un rapporto di fluida distanza. Nella trattazione dei nessi tra percezione sociale del terrorismo e culture politiche in Italia e Germania si procederà ponendo i risultati raggiunti nella prima parte dell'analisi in relazione con alcune questioni alla base delle culture politiche nei due paesi - il rapporto verso lo Stato, il modello democratico affermatosi e il conflitto. Nel fare ciò si confronteranno le indicazioni emerse dalla analisi sviluppata con gli studi e le correnti interpretative dominanti in materia di cultura politica nei due paesi. Sotto questo profilo il progetto di ricerca perseguito intende offrire un contributo all'approfondimento e dunque anche alla comprensione della cultura politica caratterizzante rispettivamente la società italiana e tedesca nel decennio considerato. E` evidente che muovendo dalla prospettiva analitica scelta - la comparazione per contrasto - le tematiche indicata verranno affrontate in maniera sistematica in entrambi i contesti studiati. Ogni questione sarà cioè sviluppata parallelamente nel caso italiano e in quello tedesco in modo da mantenere sempre viva e presente la contrapposizione tra i due casi. 14 Per quanto riguarda la periodizzazione si è scelto di distinguere tra due momenti. Mentre l'analisi della problematizzazione del terrorismo si svilupperà lungo il "lungo" periodo degli anni Settanta, dalla comparsa del terrorismo sulla scena sociale fino alla vigilia delle azioni più clamorose, nella trattazione delle opinioni pubbliche ci si soffermerà invece in maniera più particolareggiata su archi di tempo molto brevi, ma particolarmente appropriati ad uno studio di tipo comparativo. Al fine di evitare una ricostruzione troppo generica ed approssimativa dell’opinione pubblica nei due paesi si è infatti deciso di focalizzare l'osservazione su quegli eventi che più fortemente scossero la società in Italia e in Germania: il sequestro del presidente della Associazione dei datori di lavoro (BDA) Hanns-Martin Schleyer (5.9-18.10.1977) nella Germania federale e il sequestro del presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana Aldo Moro (16.3-9.5.1978) in Italia. 5. Le fonti L'impianto comparativo scelto per lo svolgimento di questa ricerca richiede oltre che la comparabilità dell'oggetto da studiare anche una relativa omogeneità nella scelta delle fonti relativamente ai due paesi considerati. Il quadro analitico di riferimento assunto per la ricostruzione e l’analisi delle opinioni pubbliche ci orienta invece nella scelta qualitativa delle fonti. La fonte principale a partire dalla quale costruire un primo livello di analisi è data dalla pubblicistica (quotidiani e settimanali di attualità a diffusione nazionale). La scelta di concentrarsi in primo luogo sulla stampa deriva da due diverse considerazioni: la prima, di ordine metodologico, sta nella necessità di condurre un'analisi comparativa in maniera sistematica e basata su entità di comparazione omogenee; la seconda è invece intrinseca all'oggetto stesso della ricerca e deriva dal ruolo centrale esercitato dai mass media sia nel dare visibilità al terrorismo sia nello stimolare e "guidare" la formazione dell'opinione pubblica in merito al fenomeno in questione.28 Si è assolutamente consapevoli dei rischi che si corrono con una scelta di fonti così unilaterale. In uno studio sulla trattazione del sequestro Moro da parte della stampa, Alessandro Silj ha giustamente avvertito che in «Italia ciò che viene generalmente spacciato per "opinione pubblica" non è altro che la proiezione delle 28 Sulla questione del rapporto tra terrorismo e mass-media esiste una vasta letteratura. Cfr. U. Eco, M. Livolsi, E. Panozzo E., Informazione: consenso e dissenso, Milano 1979; A. Silj, Brigate Rosse e Stato. Lo scontro spettacolo nella regia della stampa quotidiana, Firenze 1978; G. Bechelloni, Il colpo di Stato in diretta. Mass media e (s)mobilitazione. Per evitare la germanizzazione occorre riflettere sui nuovi meccanismi, in: "Problemi dell'informazione", 1 (1978), pp. 3-19; C. Marletti, Il caso Moro e l'informazione. Potere e terrorismo: due strategie del consenso attraverso i media, in: "Il lavoro dell'informazione", 2-3 (1978), pp. 60-77. 15 percezioni e dei desideri di editorialisti e uomini politici.»29 Eppure, si ritiene che un'analisi approfondita delle fonti a stampa rappresenti una primo, fondamentale livello di analisi al fine di mettere a fuoco le argomentazioni portanti su cui il pubblico dibattito si sviluppò. Per rispondere al criterio della omogeneità/comparabilità delle fonti si eseguirà una analisi sistematica della stampa nazionale di analogo orientamento politico: la Frankfurter Allgemeine Zeitung e il Corriere della Sera sono stati selezionati come quotidiani espressione dello establishment, la Frankfurter Rundschau, la Süddeutsche Zeitung, Die Zeit e Der Spiegel per quanto riguarda la pubblicistica più orientata a sinistra in Germania e rispettivamente L'Unità, Il Manifesto, L'Avanti, Repubblica e L'Espresso in Italia. Per quanto riguarda le fonti di orientamento più moderato-conservatore si passeranno in rassegna Die Welt e la scandalistica Bild-Zeitung per la Germania e il Giornale, La Stampa e L'Avvenire per l'Italia. L'analisi della formazione dell'opinione pubblica al livello della società civile richiede invece di prendere in considerazione con particolare attenzione i dibattiti interni ai partiti politici (atti di convegni o resoconti di altre iniziative prese sul tema del terrorismo) e - soprattutto per quanto riguarda l'Italia - al movimento operaio, come pure le pubbliche prese di posizione da parte di intellettuali o altre forze sociali - gruppi politici non partitici, esponenti delle istituzioni confessionali ecc. Per quanto riguarda la mediazione delle opinioni pubbliche al livello della comunicazione di massa, oltre alla già citata stampa sarebbe necessario prendere in visione anche le fonti audiovisive. In particolare si ritiene potrebbe essere molto interessante un'analisi comparata delle notizie trasmesse dai telegiornali - ad esempio dai telegiornali della sera sul primo canale rispettivamente in Italia e in Germania - relativamente ai sequetri Moro e Schleyer. A questo riguardo però i costi richiesti dalla consultazione di tali fonti pongono una seria limitazione che si spera di poter superare con il reperimento dei fondi straordinari necessari. 29 A. Silj, Brigate Rosse - Stato, p. 47. 16