Le esperienze che hanno caratterizzato il recente passato

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VOLONTARIATO: SI’ O FORSE?
Intervento di Mario Fineschi (Presidente Consulta Regionale del Volontariato)
Empoli, 5 ottobre 2002
Le esperienze che hanno caratterizzato il recente passato propongono dei profondi quesiti
sull’evoluzione del “sistema volontariato” nel prossimo futuro. Prova evidente ne è la rete di
iniziative pressoché “settimanali” ove ad ogni dimensione ci si domanda se essere volontari è
ancora una virtù o è qualche altra cosa!
Io sono uno di quei volontari con almeno 35 anni di militanza e sono qua come Presidente della
Consulta regionale del Volontariato.
Esprimo quindi a tutti voi il mio personale e cordiale saluto, ringraziandovi per la vostra
presenza.
Questa iniziativa si pone dentro un itinerario preciso, che affonda le sue radici sul come e con
quale struttura – nel 3° millennio si intende dare forma all’impegno di rispondere ai bisogni delle
fasce più deboli della cittadinanza.
Questo meeting è un’ottima occasione per fare insieme delle riflessioni e preparare le nostre
realtà alla Conferenza nazionale di Arezzo e contribuire a renderlo meno “passerella” di autorità e
più contributo per vedere meglio dove si sta andando.
Quindi questa giornata è utile sia per le associazioni di volontariato, sia per i pubblici poteri
affinché sia possibile seguire di comune intesa tutte le problematiche che attraversano questo
mondo straordinario.
La Consulta è osservatorio molto speciale dal quale sono possibili alcune considerazioni che
lascio alla vostra riflessione.
La Consulta del Volontariato è prevista dalla legge regionale numero 28 del ’93 per favorire i
rapporti tra il governo della Regione e le associazioni di volontariato. La Consulta è stata costituita
con i Decreti del Presidente della Giunta numero 303 del 2 settembre e numero 371 del 12
novembre 1999. Di fatto essa costituisce quasi un parlamento, dotato di un proprio statuto,
rappresentativo delle associazioni di volontariato che si occupano di settori diversi, dalla tutela dei
diritti umani e dell’ambiente alla promozione della cultura e dell’arte e di conseguenza ne deriva
anche la rappresentanza politica.
La Consulta ha infatti competenze su tutte le materie fuorché quelle socio-assistenziali (affidate
dalla legge regionale 72 del ’97 alla Commissione per le politiche sociali) ed è chiamata a svolgere
non solo un ruolo di consulenza su proposte di legge e sui programmi in cui operano le associazioni
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di volontariato, ma anche ad avanzare proposte al Consiglio e alla Giunta, idee e progetti per
sostenere le attività di volontariato in Toscana.
Ritengo privilegiare queste mie odierne riflessioni considerando che le condizioni operative del
volontariato non hanno subito in questi ultimi anni soltanto le trasformazioni che fisiologicamente
differenziano il cambio generazionale, ma anche le variazioni in campo legislativo ove profonde
sono state le incidenze che contribuiscono enormemente ad approfondire il divario fra i volontari di
ieri e quelli di domani.
Mi riferisco in primo luogo:
a) alle modifiche del Titolo V della seconda parte della Costituzione;
b) alla riforma della legge 266/91
Ai nostri tempi forse era molto più facile essere e fare volontariato!
Aggiungo anche che alla trasformazione del volontariato, rispetto alla generazione precedente,
ha contribuito anche la crisi profonda della politica che tradizionalmente individuava nei partiti gli
strumenti e i canali attraverso i quali esprimere i bisogni di partecipazione dei cittadini alla vita
democratica. Al disagio e alla difficoltà di riconoscersi in un impegno di ogni singolo volontario, il
volontariato ha rappresentato per molti aspetti il sistema di anticorpi più efficace a fronte del
disinteresse sociale prodotto dal ceto politico.
La dimensione politica che il volontariato è venuto ad assumere progressivamente è la novità
più significativa che ha percorso questo mondo: dal farsi carico dell’altro, al partecipare e
interessarsi della cosa pubblica, promuovendo nello stesso tempo l’interesse degli altri cittadini,
dando così vita ad una soggettività che assume rilevanza sociale e politica in quanto rappresenta
pezzi vitali della società.
E’ consapevolezza comune che il volontariato rappresenta nel nostro paese un fortissimo
connettore, che agisce contemporaneamente per la coesione sociale rende più robusto il tessuto
democratico.
Il volontariato (o più correttamente i volontariati, per le diverse forme, funzioni e ruoli che è
venuto ad assumere), è quindi una risorsa essenziale per la comunità.
Costruisce senso di appartenenza e identità collettiva, rispondendo in modo avanzato a quanto
previsto dall’articolo 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
In particolare a partire dagli anni 80 la capacità della società di autorganizzarsi si è manifestata
proprio nell’area dove tradizionalmente si svolgeva l’attività del volontariato.
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Tuttavia siamo presenti ad una situazione atipica: si esalta da tutte le parti il ruolo del
volontariato ma si tende poi a mantenerlo in uno spazio marginale che oscilla molto spesso tra la
supplenza e l’alternanza allo Stato.
E qui si trova il primo pericoloso scoglio motivazionale del volontariato del 3° millennio: il
rischio di perdere la sua specificità e la personalizzazione del servizio ove l’ascolto e l’aderenza
massima ai valori della società civile sono i fondamentali pilastri.
Sul concetto di volontariato, sul quale nella precedente generazione c’era univocità di
contenuto, adesso si è formato un bollente minestrone (volontariato propriamente detto,
cooperazione sociale, associazionismo di promozione sociale ecc.).
Penso che quest’occasione sia propizia per esprimere alcune idee che ugualmente lascio alla
vostra riflessione.
Il termine “volontario” è un aggettivo, che si aggiunge ad un sostantivo per specificarne un
aspetto. In questo caso il sostantivo è la persona volontaria, che fa un lavoro volontario.
La cosa più importante e fondamentale non è l’aggettivo (volontario) ma il sostantivo, che è la
persona e il lavoro. Oggi si rischia un capovolgimento di significato: sembra che il valore maggiore
stia nell’aggettivo (volontario) mentre il sostantivo sembra deprezzato (la persona e il lavoro).
In realtà il valore fondante del volontariato non è l’aggettivo, volontario, ma è il sostantivo, la
persona che produce il lavoro umano. Il volontariato, se è veramente autentico, è un valore
aggiunto, non è il valore costitutivo.
Questo vale sul piano civile ove “ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie
possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e
spirituale della società” (art. 4 Cost.). Vale anche sul piano religioso: il lavoro umano è
partecipazione dell’uomo all’azione creatrice dei Dio. Una infatuazione del volontariato che
mettesse nell’ombra il valore e la dignità del lavoro umano sarebbe una pericolosa e dannosa
mistificazione.
E qui si innesta un’altra problematica non sempre annunciata e della quale il volontariato,
volente o nolente, deve farsi carico: la formazione!
Non è più consentito alle associazioni di volontariato farsi relegare in una “nicchia” rischiando
di contenere in una visione miope non moderna, la propria attività.
Il volontariato purtroppo non sempre si è dimostrato all’altezza, nel coprire gli spazi che si
venivano formando nei bisogni della società civile in continua trasformazione.
E’ così
forse mancato il progresso funzionale della associazioni che non sempre hanno attuato programmi
formativi sia per i loro dirigenti sia per il loro associati indebolendo il senso politico del loro
intervento.
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La nuova frontiera del volontariato nel 3° millennio, non è più quindi la mera gratificazione
personale di chi partecipa con costanza ad un’azione benefica, ma attraverso un’aggiornata
compenetrazione nel ruolo, è il contributo a diffondere una solidarietà di base ed una cultura nuova
per nuovi rapporti sociali ove siano pilastri riconoscibili:
 il valore della gratuità
 il senso del dono
 il rispetto della persona
Questo è il volontariato del 3° millennio che diviene lui stesso parte sociale, soggetto della
concertazione in rete o non più isolato, partecipe riconosciuto nella scelta programmatica delle
politiche di solidarietà perché per sua parte è esso stesso membro di una responsabilità pubblica.
Così le istituzioni devono riconoscere la peculiare soggettività del volontariato per elaborare,
allo stesso tavolo, una strategia della cittadinanza e le politiche sociali, confrontandosi su come
organizzare i servizi, intendere la professionalità, promuovere e valorizzare la cooperazione tra le
diverse competenze.
Cosa ci aspettiamo adesso dal legislatore?
1) che si continui a proporre norme non per il comportamento del singolo e la sua
possibile remunerazione laddove s’impegna nel sociale, ma mirare al bene delle
organizzazioni onde sia favorita l’effettiva ed attiva partecipazione sia alla vita democratica
del Paese, sia al dibattito sociale e culturale e soprattutto si possa finalmente collaborare a
definire la volontà pubblica.
2) Che si sostenga ogni forma associativa che chiaramente sia qualificata e persegua la
promozione e la valorizzazione della persona.
Bene la legge 328/00 sul sistema integrato dei servizi sociali e sociosanitari, ma meglio ancora
se la riforma della legge 266/91 nella nuova elaborazione sancirà questi punti fondamentali:
a) difenda la specificità del volontariato per arginare la deriva economicistica
della società.
b) Escluda ogni tentativo legislativo di riordino, sistemazione, semplificazione
della normativa del Terzo Settore così come sembra volere il Ministro Maroni, che
rischierebbe di omologare il volontariato alle altre espressioni del privato sociale,
togliendogli definitivamente identità, specificità, originalità. Anche da questi
momenti non certo autocelebrativi, deve scaturire forte la richiesta di una disciplina
differenziata per il volontariato.
c) Un chiaro e altrettanto netto rifiuto dello strumento della delega al Governo
per privilegiare il dibattito parlamentare, unico strumento questo rispondente al
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carattere trasversale del volontariato, ed al pluralismo di valori culturali, politici ed
etici dei quali è portatore.
Con questi pensieri lascio a voi tutti il compito del successivo dibattito, invitandovi a restare
soprattutto uniti, affinché niente e nessuno mortifichi la nostra identità.
Il 3° millennio si è aperto con uno scenario diverso da quello al quale tutti noi eravamo abituati.
Non si tratta più di azioni filantropiche, quelle che ci attendono, come poteva essere nella
trascorsa generazione.
Con l’affermarsi della democrazia si è anche affermata l’uguaglianza di tutti gli uomini ed il
loro diritto ad essere liberi.
Il volontariato di domani è chiamato ad essere l’anima etica del Terzo Settore in rappresentanza
e difesa dei soggetti deboli.
La conclusione pratica che quindi traggo da quanto precede è che il volontariato deve mantenere
rapporti di “buon vicinato” con i vari soggetti dell’economia sociale e dell’economia civile, ma al
tempo stesso deve da questi differenziarsi. Quanto a dire che il volontariato, nonostante le opinioni
contrarie in proposito, non appartiene al Terzo Settore perché diverse sono la sua logica di azione e
soprattutto il suo fine specifico. Quindi, per esempio, quando Kofi Annan alla 56° assemblea
generale delle Nazioni Unite (5 dicembre 2000), per citare un caso illustre, dichiara che “il
volontariato contribuisce alla formazione del prodotto nazionale lordo”, dice cose fuorvianti da cui
può discendere un solo esito certo: quello di annientare la fisionomia propria del volontariato e
decretarne una lenta eutanasia.
Questo è il lavoro che ci attende tutti e nel chiedervi di perdonarmi questa debolezza classica,
adatto mi appare il verso che Virgilio nell’Eneide pone in bocca alla Sibilla ammonendo Enea:
“Hoc opus, hic labor” – “Questa è l’impresa, questa è la fatica”.
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