Friedhelm Moser, Piccola filosofia per non filosofi © Giangiacomo Feltrinelli Editore Premessa Quando, all’età di quindici anni, cominciai a interessarmi di filosofia e dalle parti di Karstadt acquistai un volumetto economico dal titolo Kant: scritti scelti, avevo una strana idea dell’argomento. La filosofia, pensavo, porta chiarezza nella confusione del mondo, mostra all’essere umano le vie per la felicità e risponde alle domande estreme. Con gli anni l’immagine che avevo della filosofia è cambiata. Oggi non direi più che la filosofia serve essenzialmente a svelare e stabilire delle verità. Ma allora a che serve? Lasciate che vi racconti un paio di episodi della mia quotidianità filosofica. Vado in città e siamo in campagna elettorale. Ogni due lampioni un candidato o una candidata sorride. Gli slogan recitano: “Sicurezza per la Germania” e “Non cambieremo tutto, ma miglioreremo molte cose”. Niente di particolarmente originale, e mi domando come mai astuti politici e abili pubblicitari non si facciano venire in mente qualcosa di più arguto. Ma poi mi rendo conto che l’arguzia può anche essere controproducente. La maggioranza degli elettori – e di loro si tratta – chiede affidabilità e onestà. La furbizia non dà sicurezza. Per questo in campagna elettorale sarebbe segno di stupidità mostrarsi troppo intelligenti. Più uno è scaltro, più finge di essere mediocre. Compiaciuto di questo piccolo paradosso, assumo una smorfia probabilmente non meno stupida di quella delle sagome che fiancheggiano la strada. È per questo, forse, che nella zona pedonale quella bella donna dalla pelle scura mi sorride divertita? Sono tentato di seguirla, ma un pensiero mi passa per la mente. È un’idea suggestiva elaborata dall’evoluzionista Richard Dawkins. A suo parere ogni creatura vivente – anche l’essere umano – è solo una “macchina per la sopravvivenza” dei geni. E se mi capita di trovare attraente una donna dalla pelle scura, ciò avviene soltanto perché i miei geni “sanno” che la fusione con cromosomi esotici farebbe salire vertiginosamente il loro valore nella borsa dell’evoluzione. Questo dice Dawkins; e io dico ai miei geni: “Contenetevi, bestie, sono ancora io che comando”. Del resto non avrei neanche tempo. Ho un appuntamento per pranzo con degli amici. La coppia che mi siede di fronte al ristorante italiano si è comprata una casa e da alcuni mesi è impegnata nella ristrutturazione e nell’arredamento. La casa rappresenta anche il principale argomento della nostra conversazione. “Non pensi di comperarti anche tu una casa prima o poi?” mi chiedono. “Pagare l’affitto in fondo è come buttare i soldi dalla finestra.” Mi passano per la mente i vantaggi di non possedere una casa, ma, per dessert, non ho voglia di una discussione su questioni di principio. Perciò dico: “Ho già comprato una casa. Molte case. Quando giocavo a Monopoli con mia sorella”. Ci si può ridere sopra. Ma l’idea non è del tutto assurda. Il gioco simula la realtà, ma forse la realtà non simula il gioco? Mi ripropongo, dopo il caffè, di andare alla biblioteca universitaria per scovare dei testi sul tema del “gioco”. Il “gioco”, infatti, come il “paradosso” o l’“evoluzione”, mi sembra un ottimo spunto per il libro che sto progettando (e che ora voi avete fra le mani). La filosofia – questo dovrebbero dimostrare i miei aneddoti – è strettamente legata alle peregrinazioni del pensiero. Il filosofo ama le vie traverse e le strade secondarie. Mentre cammina, dimentica facilmente dove era diretto. Attraversa la vita come uno che va a zonzo senza fretta per una città che non conosce. Ha in tasca una guida – la letteratura filosofica –, ma la consulta di rado. Perché non è interessato solo alle bellezze più rinomate della città. Una fontana pittoresca, scovata nel cortile di una casa, lo emoziona forse più di un’intera pinacoteca. Questo libro vi invita a visitare alcuni “quartieri” particolarmente interessanti della filosofia. Tutto ciò di cui avete bisogno è spirito d’iniziativa e un po’ di tempo libero. E per favore non dimenticate il consiglio di Schopenhauer: “I pensieri messi su carta sono come le orme di uno che cammina sulla sabbia: si vede la strada che ha preso, ma per sapere ciò che ha visto lungo la strada bisogna usare i suoi stessi occhi”.