Colligite fragmenta. La questione del nulla Il sottotitolo (o seconda parte del titolo) pone già in primo piano, fin dall’inizio, uno dei problemi cruciali nonché una delle maggiori aporie della metafisica occidentale. Attorno ad esso, senza tralasciare vasto spazio alla mistica tedesca o al peraltro diverso concetto di “vacuità” nel buddhismo, si snoda, prendendolo da diverse angolature, il testo di Giancarlo Vianello. Il saggio, recentemente pubblicato da Rubettino, si muove da e in una prospettiva dichiaratamente panikkariana, come emerge già dal titolo. Colligite fragmenta è infatti quello della prima parte de La realtà cosmoteandrica di Raimon Panikkar, che in quel testo prospetta il superamento dell’ottica unilaterale, discriminante e riduzionista che legge la realtà selezionando, contrapponendo in una logica confutativa, costruendo gerarchie artificiali: tutti approcci che deformano il reale nella sua interezza. Panikkar propone invece una visione a-dualista, advaita, che punti a cogliere la realtà nella sua totalità, superando la frammentazione prodotta da un eccesso di analisi e specializzazione. Raccogliere ed integrare i frammenti sparsi, le prospettive delle diverse culture e religioni, con lo scopo di una ricomposizione e di una armonizzazione è l’orizzonte aperto che viene delineato. Si tratta di un invito a pensare il proprio orizzonte di senso non in modo monolitico, ma armonico, e a considerare che ogni singolo pezzo fa parte integrante del tutto, a cui e in cui è connesso da molteplici relazioni. Da questa prospettiva l’autore ha cercato di cogliere il paesaggio culturale e spirituale cui egli e noi tutti apparteniamo, al fine di ricomporlo in una visione armonica. Il primo elemento ad emergere, in tale sinossi, sembra essere il fenomeno nichilistico, che impronta la nostra epoca. Fenomeno pervasivo presente a dire il vero fin dalla filosofia antica, ma che a seguito della elaborazione di Nietzsche ha conosciuto una potente accelerazione. Il volto con cui il nichilismo viene colto dal filosofo tedesco è quello della svalutazione dei valori, dell’Entwertung. Tuttavia, dal deterioramento dei valori emerge la coscienza della relatività degli stessi e della necessità di una riflessione attorno all’altra faccia dell’essere: il non-essere, il nulla. Nichilismo è quindi, anche etimologicamente, il sondare il fondamento del nulla, che come l’essere non si lascia definire, né di esso si può parlare, e diviene, nell’interpretazione nicciana, la cifra dell’attuale passaggio culturale, i cui frutti sono la tecnica e la massificazione. Quando concetti guida, come quelli che esiste una verità assoluta, una finalità, una logica unitaria tra tutti i fenomeni, entrano in crisi, si annichilisce veramente una particolare visione del mondo. Ecco dunque affiorare la necessità di riconsiderare la questione del nulla e delle modalità con cui si è palesata in Occidente e, in modo diverso, in Oriente. Dopo una accurata e molto documentata analisi storica del fenomeno nichilistico nella cultura occidentale, con interessanti rimandi al problema della tecnica, anche in una visione di contaminazione interculturale, e alla contrapposizione Zivilisation/Kultur, risolta però tenendosi quasi sempre ad un livello forse troppo teorico –ma del resto questa è l’impostazione del saggio-, la rimanente parte del libro è dedicata al problema del nulla e della sua rappresentabilità e addirittura dicibilità, in un costante rimando tra il nulla della filosofia e la sua possibile predicazione, oppure il suo possibile carattere illusorio o di errore linguistico, il nulla della mistica e la vacuità orientale, soprattutto quella buddhista. Il nulla è una realtà – notare la contraddizione, a mio parere non solo formale- paradossale. Esso crea difficoltà filosofiche ed aporie linguistiche, e per tali motivi è stato prevalentemente emarginato dal pensiero occidentale a partire dai suoi inizi, in un itinerario che giunge fino ai giorni nostri (quanto meno fino ad Heidegger). La crisi nichilistica, che rappresenta l’esito del pensiero metafisico, ha tuttavia fatto emergere, in autori come Sartre, Jaspers, Heidegger, una nuova sensibilità verso questa prospettiva, che peraltro aveva a suo tempo affascinato i mistici e, in primis, Meister Eckhart. Ma anche in questi casi, si era rivelata qualcosa di problematico, in quanto conduceva spesso a posizioni ai limiti dell’ortodossia. Va comunque fatto notare che, in tale ambito, veniva a determinarsi una dialettica tra nulla sommo e nulla infimo. Dio, creatore e datore dell’essere, era pensato in una prospettiva che trascendeva anche l’essere, come Nulla, il nulla sommo, spogliato di tutti i suoi attributi, di tutti i suoi nomi, nella sola, intraducibile condizione della Gottheit. Simmetricamente l’uomo, nella sua creaturalità nonché primigenia nullità ontologica, veniva pensato come un nulla infimo, che viene dotato di dignità ontologica grazie all’essere che Dio gli dona, salvo poi, superata la soglia del Nulla super-essenziale, ricongiungersi con la propria origine, nell’ottica della Gelassenheit, il distacco da ciò che è inessenziale, che porta al fondo dell’anima, che è Dio stesso. In tale prospettiva, Assoluto e relativo si trovavano accomunati nella sfera del nulla, e su questo tema la mistica elaborò ardite speculazioni. Diverso è l’approccio di matrice orientale. Tanto è vero che al posto di un equivalente di nulla, con le sue implicazioni metafisiche e logiche, troviamo il termine “vacuità” o śūnyatā, che non viene sentita in contrapposizione rigida all’essere, ma piuttosto vissuta come modalità inglobante essere e nulla, come totalità. Dopo una profonda, seppur rapida, ma necessaria introduzione alla posizione del “pensiero cinese” sulla vacuità, l’autore, dopo aver sorvolato doverosamente e -direi- esaustivamente sulle posizioni del buddhismo primitivo, passa a parlare della scuola del Buddhismo Mādhyamika, che porta a compimento nei termini più rigorosi questo approccio e fa emergere il fondamento vuoto del reale, che esiste non perché fondato su un principio metafisico, ma su una rete di relazioni, che permettono –in un certo qual modo- l’illusione della durata di ciò che, in sé, fin dal buddhismo primitivo, è anicca, “trasformazione” o “insostanzialità” (preferibile a “impermanenza”, che ha in sé un elemento di decadimento, assente dalla parola originaria). L’ultima parte del densissimo saggio affronta l’approccio al “vuoto” da parte del buddhismo cinese Ch’an, e conclude, con sicura competenza dovuta anche a un lungo studio, con la Scuola di Kyoto, ponte di sguardi e di elaborazione culturale tra Giappone e pensiero occidentale. L’epoca in cui viviamo è caratterizzata da un’ampia circolazione di pensiero su scala planetaria e da una feconda contaminazione. Nel caso specifico, la prospettiva della vacuità può essere estremamente preziosa per una riconsiderazione della questione del nulla, che il fenomeno nichilistico impone, e diventare il punto di partenza di una trasformazione planetaria ed epocale sia nel pensiero che nella prassi. Paolo Caena Giancarlo Vianello è uno studioso della Scuola di Kyōto. Sull’argomento ha pubblicato con Rubbettino: G.Vianello, M.Cestari, K.Yoshioka, La Scuola di Kyōto, 1966, e Giancarlo Vianello (a cura di), Messaggeri del nulla. La Scuola di Kyōto in Europa, 2006. Su i temi più generali legati alle dinamiche interculturali ha di recente pubblicato: The Absolute in the Everyday Life. A Buddhist Reflection on Meister Eckhart, in Fullness of Life, K. Acharya, M. Carrara, W. Parker eds., Somaya Publ., Mumbai, 2008, e Nihilism and Emptiness. The Collapse of Representations and the Question of Nothingness, in Confluences and Cross-Currents, R. Bouso, J. Heisig eds., Nanzan Institute for Religion and Culture, Nanzan, 2009. Da ultimo è da segnalare l’articolo Nichilismo, mistica del nulla e vacuità, in Esodo III 2011.