Omelie per un anno Volume 2 - Anno “B” Anno “B” 30ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ger 31,7-9 - Riporterò tra le consolazioni il cieco e lo zoppo. Salmo 125 - Rit.: Grandi cose ha fatto il Signore per noi. Eb 5,1-6 - Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek. Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me avrà la luce della vita. Alleluia. Mc 10,46-52 - Rabbunì, che io riabbia la vista! Dio può e vuole salvarci Forse per tanta gente l’interrogativo fondamentale non è se “esiste Dio”, ma piuttosto se “Dio può e vuole salvarci”. In fondo, è la domanda che troveremo nelle letture bibliche di questa domenica. Che Dio esista è per molti una pacifica o perlomeno indiscussa “verità”, ma essa non incide normalmente sulla loro esistenza concreta, perché si tratta, per loro, della esistenza di un essere supremo e lontano. Si arriva a credere soltanto quando tale Essere supremo è riconosciuto come “rilevante” per l’uomo, ossia quando è conosciuto come senso e salvezza dell’uomo. In altre parole, la domanda vera su Dio non può non coinvolgere anche un interrogativo dell’uomo su se stesso, sul senso della propria vita. Quando ci poniamo le domande come: “Vale la pena vivere?”, “La vita merita di essere presa sul serio?”, “Per quale ragione e per quale scopo vivere?”, allora noi ci interroghiamo su noi stessi, ma ultimamente ci poniamo il problema di Dio. Infatti, con tali domande noi ci interroghiamo sul senso ultimo, su ciò che è “oltre” l’immediato, il vissuto quotidiano: la questione sull’uomo sfocia quindi inevitabilmente nella questione del fondamento ultimo dell’esistenza umana, che è Dio. Ma Dio deve apparire come il “fondamento”, il “senso”, cioè avere “importanza” per la nostra vita. Per molti, come spesso per gli Israeliti della Bibbia, tali domande diventano urgenti soltanto nei momenti di crisi. 30ª domenica del Tempo Ordinario “B” • © Elledici, Leumann 2005 1 Omelie per un anno Volume 2 - Anno “B” Il Signore salva Al popolo ebreo in esilio, il profeta Geremia annuncia la lieta notizia della sua salvezza con accenti gioiosi e consolanti: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto di Israele”. Il futuro è talmente sicuro che il profeta lo annuncia come qualcosa che è già avvenuto: Dio ha già salvato. La salvezza è il ritorno dalla “terra del nord”, ossia dalla terra dell’esilio babilonese. Il popolo era partito in pianto, ora ritornerà in mezzo a consolazioni; guidato e condotto dalla amorosa provvidenza divina. La strada della salvezza è una strada diritta, senza ostacoli e senza inciampi. La ragione e il fondamento dell’azione salvatrice di Dio non sta nel popolo di Israele, ma unicamente nell’amore paterno di Dio per il suo figlio: “Io sono un padre per Israele, mio primogenito”. La liberazione dalla schiavitù di Babilonia è frutto e prodotto unicamente dell’amore gratuito di Dio. È pura grazia! Anche i più deboli e incapaci di un lungo viaggio, come i ciechi e gli zoppi, le donne incinte e le partorienti, saranno portati da Dio in questo ritorno in patria. Ciò vuol dire che la salvezza di Dio non si basa sulle capacità e forze umane, bensì unicamente sulla potenza divina. Il Salvatore è Gesù Il brano della lettera agli Ebrei è una riflessione sul sacerdozio di Cristo. Noi metteremo in risalto quel che può ricollegarsi alla 1ª lettura, cioè al tema della salvezza. L’autore sacro istituisce un confronto tra “ogni sommo sacerdote” e Gesù Cristo. La conclusione contiene tre affermazioni fondamentali: 1) Gesù fu reso perfetto, ossia raggiunse la situazione definitiva di assoluta realizzazione di sé per opera di Dio; 2) Gesù divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono nella fede; 3) Gesù è proclamato da Dio l’unico sommo sacerdote capace di recare la salvezza. Purtroppo la lettura liturgica si ferma al v. 6 e non contiene le conclusioni suddette del v. 9. Nei versetti riportati dal lezionario l’accento cade sulla solidarietà del sommo sacerdote con gli altri uomini peccatori e quindi sulla necessaria umiltà che deve contraddistinguere la sua vita. Gesù è stato pienamente e perfettamente solidale con l’umanità intera e ha sofferto la sua passione condividendo fino alla morte la sorte di ogni uomo. Per questo, Gesù è capace di vera, umana e divina compassione e comprensione nei nostri riguardi. Egli può e vuole salvarci: la sua solidarietà con noi è una prova del suo amore autentico e della sua volontà di condividere con noi la nostra 30ª domenica del Tempo Ordinario “B” • © Elledici, Leumann 2005 2 Omelie per un anno Volume 2 - Anno “B” esistenza per liberarla dalla schiavitù del peccato. La fede che salva Gesù guarisce un cieco e gli dice: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Un fatto semplice, ma ricco di significati. Il cieco è privo di salute, costretto a lasciarsi guidare dagli altri, immobile sul ciglio della strada dove passa Gesù. Egli chiama Gesù col titolo messianico di “Figlio di Davide” perché spera da lui un miracolo. La gente lo fa zittire. Tutto sembra finito nei limiti di un desiderio disperato di guarigione e nel disprezzo e indifferenza degli altri. Ma Gesù rompe questo cerchio e chiama il cieco. La parola di Gesù mette in moto il cieco che getta via il mantello, balza in piedi e va da Gesù. Lo ha attirato e smosso dalla sua oscura immobilità e solitudine la parola-chiamata di Gesù. La parola di Gesù lo ha liberato. Correndo verso Gesù, il cieco risponde con fede alla chiamata liberatrice del suo Signore. Infatti Gesù gli dice: “La tua fede ti ha salvato”. Il cieco non solo è stato “guarito”, ma è stato anche “salvato”. L’acquisizione della vista significa per lui anche e soprattutto arrivare a credere in Gesù. Infatti il cieco guarito si mise a “seguire” Gesù, cioè divenne suo discepolo e lo seguì “per la strada”, ossia sulla via che conduce a Gerusalemme, alla morte e risurrezione. Quel cieco, dunque, nell’intenzione dell’evangelista, diventa simbolo del cristiano che, chiamato dalla parola di Gesù, è guarito-salvato in forza della fede, con cui si fa seguace di Gesù sulla via della morte-risurrezione. Per quel cieco non basta sapere che Gesù esiste ed è il Messia. Egli fa un passo ulteriore, convinto che quell’Uomo è capace di guarirlo/salvarlo. Così giunge al “sapere” caratteristico della fede. Infatti la fede non è soltanto ammettere come vero tutto quel che riguarda Gesù, ma riconoscere col cuore che egli è “importante” per noi, è la “risposta” ai nostri problemi, è “luce” per la nostra intelligenza, è “speranza” per la nostra libertà. L’esilio, evocato dal profeta Geremia, e la cecità di Bartimeo sono situazioni simili: sono una condizione in cui è urgente il bisogno della salvezza. Ma quelle situazioni sono il simbolo della nostra condizione umana peccatrice e bisognosa di liberazione. Cristo passa anche oggi, per ciascuno di noi, sulla strada della nostra vita. Riunendoci insieme per la celebrazione eucaristica, anche noi gridiamo: “Signore, pietà”. E Gesù ci chiede: “Che cosa vuoi che io faccia?”. Anche noi, come il cieco, rispondiamo: “Che io veda, Signore”. Chiediamo a Gesù di 30ª domenica del Tempo Ordinario “B” • © Elledici, Leumann 2005 3 Omelie per un anno Volume 2 - Anno “B” vedere il senso ultimo della nostra esistenza, di vedere la presenza di Dio in noi e nei nostri fratelli, di vedere Gesù nell’Eucaristia. Il nostro problema spirituale è proprio quello di saper vedere. Soltanto se ammettiamo di essere, in qualche modo, ciechi, saremo capaci di invocare la luce di Gesù. Ma una volta che la luce di Gesù ci ha raggiunto, dovremo seguirlo, come Bartimeo, sulla strada che conduce a Gerusalemme. E Gerusalemme è il luogo della croce, ma anche il giardino della risurrezione e della speranza definitiva, indefettibile. La presenza di Gesù può trasformare tutte le infinite strade della nostra quotidiana esistenza in vie che conducono a Gerusalemme. 30ª domenica del Tempo Ordinario “B” • © Elledici, Leumann 2005 4