6 agosto 2005 Trasfigurazione del Signore La festa della Trasfigurazione del Signore compare in Oriente nel V secolo ed è celebrata il 6 agosto. La scelta della data non è casuale, si riferisce al 6 gennaio quando si commemora la prima grande teofania di Gesú, durante il Battesimo nel Giordano. La liturgia romana commemorava il mistero della Trasfigurazione nella seconda domenica della Quaresima, collegandola strettamente al mistero della Passione del Signore. In Occidente, la prima menzione della festa risale al X secolo e ben presto essa viene celebrata in molte Chiese di Francia. Un ulteriore sviluppo della festa è legato all`incremento della pietà verso i luoghi sacri in Palestina al tempo delle crociate. Callisto III, nell`anno 1457, in segno di gratitudine per la vittoria riportata sui Turchi, introduce la festa nel calendario della Chiesa universale. Gesú prese con sé Pietro, Giacomo e suo fratello Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,1). Gesú, Dio da Dio, Luce da Luce, della stessa sostanza del Padre, manifesta ai discepoli la gloria che egli ha presso il Padre. I discepoli caddero con la faccia a terra vedendo la gloria del Figlio di Dio. Gesú, nella sua divina sapienza, li prepara a sostenere lo scandalo della Croce. Poi capiranno che, per arrivare alla gloria che hanno visto, bisogna percorrere la via della croce, come il Signore. Guardando «Cristo trasfigurato», la Chiesa si rende conto che è diretta verso la gloria in cui è avvolto Cristo. Vuole capire, che prima di partecipare alla gloria del Signore, deve prima aver parte alla sua Croce. Cosí impara a vedere il senso di tutto ciò che sperimenta nel suo cammino attraverso la storia. Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, disse il Signore (Mt 16,2). Nella festa della Trasfigurazione, noi prendiamo di nuovo la nostra croce, ci rafforziamo nella nostra personale via della croce, siamo disponibili ad accettare tutto, rinnoviamo la fede nelle parole di Cristo. Ci rivolgiamo un`altra volta al Signore, gli stiamo vicini. O Cristo Dio, tu ti sei trasfigurato sul monte e i tuoi discepoli hanno potuto contemplare la tua gloria secondo la loro possibilità, perché vedendoti poi crocifisso, potessero credere volontaria la tua Passione ed annunziassero al mondo che tu sei veramente lo splendore del Padre. (Liturgia Bizantina, EE, n. 3057) S. AGOSTINO DISCORSO 79/A SULLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE SUL MONTE Chi erano i presenti che sarebbero morti solo dopo aver visto il Figlio dell'uomo nel suo regno. 1. Prima che il Signore si manifestasse sul monte, come abbiamo udito quando veniva letto il santo Vangelo, aveva detto: Alcuni tra quelli che sono qui presenti non moriranno prima d'aver visto il Figlio dell'uomo nel suo regno (Mt 16, 28). Ora noi sappiamo che il Signore Gesù Cristo verrà come giudice alla fine del mondo e darà il regno a quelli posti alla destra e il castigo a quelli posti alla sinistra (Cf. Mt 25, 31-46). Poiché egli - come crediamo e dichiariamo pubblicamente - verrà a giudicare i vivi e i morti (Symb. Apost). Al contrario tutti coloro che stavano attorno a lui quando egli parlava, venuta l'ora stabilita dalla condizione della natura mortale, morirono ma non vedranno il Signore come giudice nel suo regno se non quando sarà giunto il tempo della risurrezione. Che significa dunque l'affermazione: Alcuni di coloro che sono qui presenti non moriranno prima d'aver visto il Figlio dell'uomo nel suo regno? Senza dubbio il santo Vangelo ha risolto la questione con ciò che narra subito dopo. Poiché Gesù condusse con lui tre suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, e si trasfigurò alla loro presenza per cui il suo volto divenne splendente come la viva luce del sole (Cf. Mt 17, 1). Erano dunque essi quei tali ch'erano presenti e che non avrebbero visto la morte prima di vedere il Signore nel suo regno. Alla fine del mondo però tutti avranno lo splendore che il Signore mostrò in se stesso. Le sue membra risplenderanno come risplendette il capo. Sta scritto: Trasformerà il nostro misero corpo e lo renderà simile al suo corpo glorioso (Fil 3, 21). Ecco, egli sul monte rifulse come il sole (Mt 17, 2), ma non era ancora risorto. Non era ancora morto ma pur nella carne era Dio e con la carne non ancora risorta, grazie al potere divino, compiva le azioni che voleva. Infatti, perché sappiate che non è un'idea di superbia se speriamo ciò anche noi, sentite che cosa dice egli stesso e non dovete aver dubbi. Spiegando la parabola della zizzania dice: Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo. Il buon seme rappresenta quelli che appartengono al regno di Dio e la zizzania invece rappresenta quelli che appartengono al maligno. Il nemico che l'ha seminata è il diavolo stesso. Il giorno della mietitura è la fine di questo mondo. I mietitori poi sono gli angeli (Mt 13, 37-39). Allorché dunque verrà la fine di questo mondo, il Figlio dell'uomo invierà i suoi angeli e porteranno via dal suo regno tutti gli operatori di scandali e li getteranno nella fornace di fuoco ardente; ivi sarà pianto e stridore di denti (Mt 13, 41-42). Che avverrà del buon grano? Senti quello ch'è detto subito dopo: Allora i giusti saranno splendenti come il sole nel regno [di Dio] (Mt 13, 43). E poiché saranno così nel regno, il Signore disse: Alcuni di quelli qui presenti non moriranno prima di vedere il Figlio dell'uomo nel suo regno (Mt 16, 28). La vana proposta di Pietro. 2. Ora poi, fratelli, che significa ciò? Apparvero Mosè ed Elia, si misero ai fianchi del Signore e conversavano con lui (Cf. Mt 17, 3). San Pietro provava gioia in quella solitudine, provava fastidio della turbolenza del genere umano. Vedeva il monte, vedeva il Signore, Mosè ed Elia. Erano lassù solo coloro che a lui non procuravano fastidio. Godeva di vivere quieto senza preoccupazioni e felice, e disse al Signore: Signore, è bello per noi starcene qui (Mt 17, 4). Perché dovremmo scendere dal monte per tribolare e non preferiamo godercela qui? È bello per noi starcene qui. Se lo vuoi, facciamo qui tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia (Mt 17, 4). Pietro, non sapendo ancora come doveva parlare, voleva fare una separazione. Credeva fosse bene ciò che diceva. Ma che cosa fece il Signore? Fece scendere una nuvola dal cielo e ricoprì tutti, come se volesse dire a Pietro: "Perché vuoi fare tre tende? Eccone una sola". Allora udirono una voce dalla nube: Questo è il Figlio mio beneamato (Mt 17, 5), perché non paragonassero a lui Mosè ed Elia e credessero che il Signore fosse da ritenersi come uno dei Profeti, mentre era il Signore dei Profeti: Questo è il Figlio mio, ascoltate lui (Mt 17, 5). All'udire questa voce i discepoli caddero bocconi. Ma il Signore si avvicinò, li rialzò ed essi non videro altro che il solo Gesù (Mt 17, 6-7). Significato del mistero contenuto nella trasfigurazione. 3. Se Il Signore me lo concederà spiegherò adesso questo grande mistero. Parlano col Signore Mosè ed Elia. Mosè rappresenta la Legge, Elia i Profeti. Quando esponiamo qualche brano del Vangelo lo proviamo con la Legge e con i Profeti. Parlano dunque col Signore Mosè ed Elia, ma come servitori al suo fianco, mentre egli era in mezzo come loro sovrano. Che significa il fatto che Mosè ed Elia parlavano col Signore? Senti l'Apostolo: La Legge serve solo a farci conoscere il peccato, ora invece la giustizia di Dio si è rivelata senza la Legge (Rm 3, 21). Dov'è Mosè ed Elia c'è il Signore che riceve la testimonianza della Legge e dei Profeti. Nel tempo presente sono necessarie le testimonianze della Legge e dei Profeti. Quando però risorgeremo, che bisogno ci sarà della Legge e dei Profeti? Non andremo in cerca di testimonianze, perché vedremo il Signore in persona. Ma quando avverrà ciò? Dopo la risurrezione. Coloro dunque ch'erano caduti si rialzarono e videro soltanto il Signore. ANASTASIO SINAITA, VESCOVO Dal «Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» E' bello restare con Cristo! Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul monte Tabor. Egli aveva parlato loro del regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un'immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà a venire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo: Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Filgio dell'uomo venire nella gloria del Padre suo (cfr. Mt 16, 28). L'evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosé ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17, 1-3). Ecco le realtà meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e insieme la gloria del Cristo. Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall'alto. Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire, andiamoci come Gesù, che ora dal cielo sifa nostra guida e battistrada. Con lui sremo circondati di quella luce che solo l'occhio della fede può vedere. La nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita beata. Corriamo fiduciosi e lieti là dove ci chiama, entriamo nella nube, diventiamo come Mosè ed Elia come Giacomo e Giovanni. Come Pietro lasciamoci prendere totalmente dalla visione della gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloriosa trasfigurazione, condurre via dalla terra e trasportare fuori del mondo. Abbandoniamo la carne, abbandoniamo il mondo creato e rivolgiamoci al Creatore, al quale Pietro in estasi e fuori di sé disse: «Signore, é bello per noi restare qui» (Mt 17, 4). Realmente, o Pietro, é davvero «bello stare qui» con Gesù e qui rimanervi per tutti i secoli. Che cosa vi é di più felice, di più prezioso, di più santo che stare con Dio, conformarsi a lui, trovarsi nella sua luce? Certo ciascuno di noi sente di avere con sé Dio e di essere trasfigurato nella sua immagine. Allora esclami pure con gioia: «E' bello per noi restare qui», dove tutte le cose sono splendore, gioia, beatitudine e giubilo. Restare qui dove l'anima rimane immersa nella pace, nella serenità e nelle edilizie; qui dove Cristo mostra il suo volto, qui dove egli abita col Padre. Ecco che gli entra nel luogo dove ci troviamo e dice: «Oggi la salvezza é entrata in questa casa» (Lc 19, 9). Qui si trovano ammassati tutti i tesori eterni. Qui si vedono raffigurate come in uno specchio le immagini delle primizie e della realtà dei secoli futuri.(Nn. 6-10; Mélanges d'archéologie et d'histoire, 67 [1955] 241-244). OLIVIER CLEMENT Da «Le feste cristiane» La trasfigurazione, un bagliore del Regno. Gli evangelisti sinottici ? Matteo, Marco, Luca ? raccontano l'evento della Trasfigurazione in maniera pressoché identica. Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni ? gli ultimi due sono fratelli -, a più riprese suoi compagni privilegiati «perché erano più perfetti degli altri», dice Giovanni Crisostomo; Pietro perché amava Gesù più degli altri, Giovanni perché più degli altri era amato da Gesù, e Giacomo perché si era unito alla risposta del fratello: «Sì, possiamo bere il tuo calice» (cf Mt 20, 22). Gesù li conduce in disparte su di un'«alta montagna», luogo per eccellenza delle manifestazioni divine; la tradizione dirà: il monte Tabor. Là egli appare raggiante di una splendida luce, che fluisce sia dal suo volto «splendente come il sole» che dalle sue vesti ? opera d'uomo, della cultura umana ? e si riversa sulla natura circostante, come mostrano le icone. Mosè ? la legge ? ed Elia ? i profeti ? appaiono e conversano con Gesù. La prima alleanza addita l'alleanza ultima. Luca precisa che la conversazione verte sull'éxodos del Signore. Pietro in estasi suggerisce di piantare tre tende, nella speranza di poter rimanere a lungo in quello stato. Ma tutto è sommerso dalla «nube luminosa» dello Spirito, e in cui risuona nel cuore dei tre discepoli sconvolti, prostrati con la faccia a terra, la voce del Padre: «Questi è il Figlio mio, l'amato, ascoltatelo!». Poi tutto svanisce, e resta Gesù, solo, che ordina a quei testimoni di tacere ciò che hanno appena visto, «finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti». A partire dalla fine delle persecuzioni romane contro i cristiani, ovvero dal IV secolo, furono edificate diverse chiese sul Tabor. La loro dedicazione sembra essere all'origine della festa che, a partire dal VI secolo, si diffuse in tutto il Medio Oriente. Nel calendario occidentale essa fu introdotta stabilmente nel 1457, ad opera di papa Callisto III, in segno di ringraziamento per la vittoria da poco conseguita contro i turchi. Gli evangeli non consentono di fissare, nel ritmo annuale, una data per la Trasfigurazione. Con l'intuizione cosmica che lo caratterizza, l'Oriente fissò quella del 6 agosto, grande mezzogiorno dell'anno, apogeo della luce estiva. In quel giorno si benedicono i frutti della stagione; spesso, nei paesi del bacino mediterraneo, è l'uva a costituire il frutto benedetto per eccellenza. L'occidente, meno sensibile alla portata spirituale dell'evento, pur conservando una festa della Trasfigurazione il 6 agosto, ha preferito aggiungere una seconda celebrazione prima della Pasqua, la seconda Domenica di Quaresima, seguendo in tal modo più da vicino la cronologia della vita di Gesù. In oriente, la festa pone l'accento sulla divinità di Cristo e sul carattere trinitario del suo splendore. «Conversando con Cristo, Mosè ed Elia rivelano che egli è il Signore dei vivi e dei morti, il Dio che aveva parlato un tempo nella legge e nei profeti; e la voce del Padre, che esce dalla nube luminosa, gli rende testimonianza», recita la liturgia bizantina. Tuttavia la trasfigurazione non è un trionfo terreno, che sempre Gesù ha rifiutato nella sua vita ? e qui sta l'errore di lettura di Callisto III -; essa non è neppure un'emozione spirituale da gustare ? ecco l'errore di Petro -. È invece uno sprazzo, un bagliore di quel regno che è il Cristo stesso, una luce che è anche quella di Pasqua, della Pentecoste, della parusia, quando con il ritorno glorioso di Cristo, il mondo intero verrà trasfigurato. Mosè ed Elia, l'abbiamo detto, parlano con Gesù del suo éxodos, cioè della sua passione: solo quest'ultima farà risplendere la luce non in cima al Tabor, la montagna che rappresenta simbolicamente le teofanie e le estasi, ma al cuore stesso delle sofferenze degli uomini, del loro inferno, e infine della morte. La liturgia ci aiuta ancora a capire: «Ascoltate [dice il Padre] colui che attraverso la croce ha spogliato l'inferno e dona ai morti la vita senza fine». Per la teologia ortodossa, la luce della trasfigurazione è l'energia divina (secondo il vocabolario precisato nel XIV secolo da Gregorio Palamas), vale a dire lo sfolgorare di Dio: Dio stesso che, mentre rimane inaccessibile nella sua «sovraessenza», si rende tuttavia partecipabile agli uomini per una follia di amore. Da cui si comprende l'importanza di questa festa per la tradizione mistica e iconografica. Lo sfolgoramento, la folgorazione divina è tale da gettare a terra gli apostoli sulla montagna. Eppure sul Tabor essa rimane una luce esterna all'uomo. Ora essa ci è donata ? scintilla impercettibile o fiume di fuoco ? nel pane e nel vino eucaristici. Allora i nostri occhi si aprono e noi comprendiamo che il mondo intero è intriso di quella luce: tutte le religioni, tutte le intuizioni dell'arte e dell'amore lo sanno, ma è stato necessario che venisse il Cristo e che avvenisse in lui quell'immensa metamorfosi ? così chiamano i greci la Trasfigurazione ? perché si rivelasse infine che alla sorgente delle falde di fuoco, di pace e di bellezza presenti nella storia, vi è, vincitore della notte e della morte, un Volto. P. TEILHARD DE CHARDIN Pensieri raccolti dalle opere La trasfigurazione divenne la mia festa prediletta, perché esprime esattamente ciò che io aspetto ardentemente da Cristo: che la beata trasfigurazione si realizzi in noi e davanti ai nostri occhi. La trasfigurazione è probabilmente il più bel mistero della fede cristiana quando la comprendiamo sino al fondo: il divino traspare dal fondo di tutte le cose. La trasfigurazione e anche l'ascensione sono, secondo il mio gu-sto, le più significative e le più importanti feste dell'anno. L'universo appare trasfigurato (‘cristificato’) per mezza della ‘pleromizzazione’ (pienezza di Cristo). Io non vivo e non godo se non da questa visione. Nel acconto evangelico leggiamo che gli apostoli non videro alla fine se non il Gesù solo. Infatti Cristo solo é sufficiente perché in lui ci é dato tutto, l'universo acquista li suo senso nel Cristo universale. La trasfigurazione ci invita a correggere le nostre vedute del mondo. Per mezzo di essa possiamo scoprire il suo vero senso: la storia di un universo ‘metamorfizzato’ da Cristo. Signore, per tutto il mio istinto e in tutte le occasioni della mia vita vi ho cercato e vi collocavo nel cuore dell'universale Materia. Ora desidero la gioia di poter chiudere gli occhi sbalordito dall’universale trasparenza vostra. Signore, tutto ciò che vedo come presente mi fa sentire la presenza vostra, che siete presso di me; ogni contatto é con la vostra mano; ogni necessità mi trasmette l’impulso della vostra volontà, cosi che tutto ciò che é essenziale e durevole attorno a me divenuto, in qualche modo, come dominio e sostanza del vostro cuore, Gesù. Partendo da questo ‘punto di fuoco’, da questa ‘scintilla’, il Salvatore é divenuto la più universale, più formidabile e più misteriosa energia cosmica. Signore, dalla mia nascita sino alla fine, voi sempre vi siete presentato come nascente per noi [...]. Fate finalmente scomparire tutte le nuvole che vi nascondono ancora, dissipate gli ostili pregiudizi delle false credenze, affinché per mezzo della diafanicità nel fuoco ardente splenda la vostra universale presenza. O Cristo, sempre più grande!