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Don Matteo Mioni - S. Croce 10 settembre 2009
Possa il Signore Gesù toccare i nostri occhi per renderci capaci di guardare non il visibile, ma quello
che è nascosto. Possa aprirli questi occhi perché contemplino non il presente, ma le realtà ultime, per
ricevere in dono gli occhi del cuore, con i quali possiamo, per mezzo dello Spirito, riconoscere Lui in
ogni sua parola.
Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.
Lettura dal Vangelo secondo Giovanni (19, 25-30)
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Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa,
e Maria Maddalena. 26 Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che
egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!». 27 Poi disse al discepolo:
«Ecco tua madre!». E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua.
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Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché si adempisse la
Scrittura, disse: «Ho sete». 29 C'era lì un vaso pieno d'aceto; posta dunque una spugna,
imbevuta d'aceto, in cima a un ramo d'issopo, l'accostarono alla sua bocca. 30 Quando
Gesù ebbe preso l'aceto, disse: «È compiuto!» E, chinato il capo, rese lo spirito.
Partiamo dal Crocifisso della chiesa di S.Luigi. È stato fatto anni fa, quando è stata fatta la chiesa. Poi,
durante la visita pastorale il Vescovo, con un garbato rimprovero, ci ha detto: "Quel crocifisso lì,
intanto non ha la croce e poi è troppo nascosto..." – perché era in un punto in cui su quel tipo di
mattonelle lì certamente non risaltava – "... uno viene in chiesa e non si accorge dov'è il crocifisso,
dovete provvedere...". Allora abbiamo chiesto a Giuliano Melioli, che è un nostro parrocchiano, di
pensare a un modo di dare risalto al crocifisso. Lui ha fatto queste quattro mattonelle. Preciso che
quello che io dico è una mia interpretazione, non è quello per cui lui ha pensato queste cose. A me,
spesso, passando di lì, hanno suscitato queste riflessioni che io condivido con voi sul tema della
croce, ma è meglio dire sul tema del crocifisso.
Vedete che c'è un crocifisso senza la croce, o perlomeno la croce fatta in un modo molto particolare,
ci sono gli estremi, ma non c'è il classico legno. Anche nelle lettere di Paolo, dicendo il legno, è il
legno della croce. Qua manca. Anche questa è una prima riflessione che possiamo fare.
Noi siamo abituati a delle croci senza croficisso, ma qui ci aiuta ad andare all'essenziale, cioè al
crocifisso senza la croce: non è la croce che ci salva, ma è il crocifisso che ci salva per amore. Questa
mi sembra la prima cosa da cui partire. Questo crocifisso ci aiuta ad andare all'essenziale: è l'amore di
Gesù quello che conta. Una croce senza crocifisso è come un sepolcro vuoto. Un sepolcro vuoto non
dice nulla; infatti, quando sono arrivati al sepolcro vuoto non hanno detto "Il Signore è risorto",
gliel'hanno dovuto dire. Questo mi sembra il primo dato da cui partire: il centro è il crocifisso ed è
quello che poi dà senso e luce a tutto il resto.
Non voglio creare antagonismo fra croce e crocifisso, perché è come se si fosse realizzato un
matrimonio d'amore fra croce e Gesù Cristo; Gesù quella croce l'ha abbracciata, certo gli pesava,
certo era un patibolo, però l'ha abbracciata, l'ha portata, perché era lo strumento attraverso il quale lui
realizzava il matrimonio di Dio con l'umanità.
Le quattro mattonelle dicono a me due cose: da un lato c'è come un movimento di circolarità, c'è una
sorta di unità, che è data dall'atteggiamento delle mani che sono tutte protese. La circolarità è quella
dell'atteggiamento di chi sostiene, sono mani che sostengono e nello stesso tempo sono mani che
ricevono.
L'incontro con Gesù è qualcosa in cui noi siamo chiamati a sostenere il Signore. Queste mani è come
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se da ogni lato lo aiutassero a stare sulla croce. Questo è un aspetto che è un po' paradossale, un po'
scandaloso, per questo vi voglio leggere un pezzettino del diario di Etty Hillesum, una ragazza di
nascita ebrea, che non è arrivata ad una professione di fede esplicita, che nei tempi dell'Olocausto
scrive:
«Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio, con gli occhi
che mi bruciavano. Davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una
cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l'oggi con il peso delle mie
preoccupazioni per il domani. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non
venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa però diventa sempre
più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te e in
questo modo aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi e anche l'unica
che veramente conti è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche
contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far
molto per modificare le circostanze attuali, ma anch'esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in
causa la tua responsabilità; più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del
mio cuore cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino
all'ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in
salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento, invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che
sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi
salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle
grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia. Comincio a sentirmi un po' più tranquilla, mio Dio, dopo
questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso d'ora innanzi e in questo modo ti
impedirò di abbandonarmi».
Questo concetto, che non è un'elaborazione filosofica, ma è l'esperienza di quello che lei si trova a
vivere nei giorni in cui poco dopo verrà anche lei catturata, portata in un campo di concentramento e
poi uccisa. Questa insistenza sul fatto che "siamo noi a dover aiutare te"; questo è scandaloso per la
nostra fede.
Qui abbiamo delle mani che da ogni parte sostengono il crocifisso, come a dire: il Figlio di Dio ha
avuto bisogno dell'uomo. Se tutto quello che dico adesso lo rilanciamo nel nostro oggi, il crocifisso ha
bisogno oggi delle nostre mani, da qualunque lato. Quelle quattro mani lì, nelle quattro posizioni, mi
fanno pensare alle quattro porte della Gerusalemme nuova, in cui dice: da ogni parte devono entrare,
come a dire da ogni parte bisogna aiutare il Signore. Non c'è condizione della vita dell'uomo e non c'è
condizione della vita di Gesù, soprattutto sulla croce, nel momento della passione, che non vada
sostenuto. Quindi il nostro Dio è un Dio che ha bisogno di essere sostenuto, ha bisogno di essere
aiutato. Gesù ha avuto bisogno di persone concrete per arrivare fin lì e ha avuto bisogno di persone
concrete per starci sopra, quindi quelle mani chiamano in causa la nostra vita, chiamano in causa la
nostra fede, chiamano in causa il nostro battesimo. C'è questa circolarità di mani che da ogni lato
sostengono Gesù crocifisso.
Poi c'è un'altra lettura che secondo me possiamo fare. La circolarità implica l'unità, è un unico
atteggiamento, invece l'altra cosa è quella della distinzione dei doni. Quelle mani, che costituiscono i
bracci della croce – e quindi l'uomo costituisce la parte terminale del legno della croce – quelle mani le
possiamo leggere, quelle in alto le mani del Padre che consegna il Figlio agli uomini, lo consegna a
questa morte ignominiosa; le mani che stanno a fianco sono le mani in cui viene offerto il corpo del
Figlio, è il Figlio che nell'eucarestia – possiamo vedere in quel passaggio laterale il richiamo
all'eucarestia – viene offerto, come dire: lì c'è il corpo di Cristo, ci sono mani tese a donare e a
ricevere il corpo di Cristo. E poi sotto ci sono delle mani che supplicano, mani che sostengono ma,
nello stesso tempo, mani che supplicano. In questo possiamo pensare allo Spirito santo, perché ciò
che è stato effuso – lo abbiamo ascoltato adesso nel vangelo di Giovanni – lo è stato perché l'uomo
potesse pregare. Lo Spirito santo è l'anima della preghiera dei cristiani.
In questa distinzione, le mani del Padre donano il Figlio. Questa immagine interpella la nostra fede, in
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almeno due cose: la prima è lo scandalo che il Padre consegna il Figlio agli uomini. Qui viene tirato in
ballo proprio il rapporto tra il Padre e il Figlio. Ancora oggi, sentendo "Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?" noi siamo convinti che Gesù in quel momento ci abbia "mollato" e abbia gridato al
Padre il suo abbandono. Invece sappiamo, anche dalla rilettura del salmo 21, che in realtà è il
contrario, è un salmo di supplica, di fiducia, nel quale Gesù dichiara il suo abbandono nel Padre, però
se Gesù grida "Dio mio, Dio mio,perché mi hai abbandonato?" continua a scandalizzarci, continua a
interpellare la nostra fede.
Poi c'è anche, in questo rapporto tra Padre e Figlio, Luca che dice: "Padre, nelle tue mani consegno il
mio spirito". Poi c'è Giovanni che dice. "Tutto è compiuto", tutto è consegnato. Però qui c'è la prima
grande provocazione alla nostra fede, il Padre che consegna il Figlio. È altrettanto scandaloso, come
ci ha richiamato Etty Hillesum, che noi ci sentiamo chiamati a sostenere il Figlio nel momento della
croce, nel momento della passione.
Questa mattonella a me dice lo scandalo della fede, la fede come scandalo, la croce come prova della
fede, perché qui noi ci giochiamo tanto, nel capire chi è Dio, nel capire chi è il Figlio, nel capire chi
siamo noi.
Poi c'è l'altra immagine, quella delle mani laterali: il Padre dona il Figlio, quindi richiama l'eucarestia.
Mi sembra che, se leggiamo l'Ultima Cena, Gesù dice quello che non è riuscito a dire sulla croce. In
quel momento non poteva, quindi quello che noi leggiamo nei racconti dell'Ultima Cena non sono altro
che il dare voce a quello che sta accadendo, sono una profezia di quello che sarebbe accaduto.
Quindi il legame tra il Figlio e queste mani mi sembra quello dell'uomo che accoglie dal Padre il corpo
del Figlio, è la chiesa che accoglie l'eucarestia, siamo noi che andiamo a nutrirci del pane di vita.
Quello è il pane di vita, quel corpo, così ridotto, è il pane di vita e noi siamo lì con le mani che da un
lato sostengono, ma nello stesso tempo ricevono. Quello che noi riceviamo non è altro che il frutto
maturo della croce, è il frutto maturo dell'albero, di quell'albero del giardino, è il compimento di quella
storia di salvezza iniziata nel giardino. Lì finalmente possiamo ricevere quello che Dio ci ha detto non
toccatelo, ma perché ve lo voglio dare io, vuole essere l'oggetto del mio dono; non perché voi non
potete attingere alla pienezza della vita, all'albero della vita, al frutto della vita, ma sono io che ve lo
voglio donare.
Qui credo che noi possiamo rivedere il frutto matura dell'albero della vita, l'eucarestia è la
realizzazione di quello che è iniziato ad avvenire nel giardino terrestre. Noi siamo lì ad attingere a
piene mani.
Poi c'è l'immagine bassa: qui ci sono mani che sostengono e mani che supplicano. Qui c'è il dono
dello Spirito. Il Padre dona la vita, il Padre dona il Figlio, il Padre dona lo Spirito, perché gli uomini
possano pregare. Stare sotto la croce è la più formidabile scuola di preghiera che noi possiamo
concepire, ma non scuola di preghiera come quella che facciamo in seminario, quelle vanno molto
bene, ma è la prima scuola di preghiera perché lì innanzitutto il Figlio prega il Padre. Noi impariamo a
pregare da come il Figlio si rivolge al Padre e poi lì il Figlio prega la chiesa. Nel brano che abbiamo
letto di Giovanni, il Figlio chiede a uno dei figli di accogliere la madre e chiede alla madre di accogliere
la chiesa. In quel frangente si aggrega la comunità dispersa; lì sotto non c'è quasi più nessuno, allora
Gesù, donando l'uno all'altro e chiedendo alla chiesa di diventare il segno dell'accoglienza reciproca
ricostituisce la comunità, ridà vita a quel principio da cui erano partiti, che era quello dell'amarsi,
accogliersi l'un l'altro.
Allora, lo stare ai piedi della croce è scuola di preghiera perché si vede come il Figlio prega il Padre e
si vede come il Figlio prega la chiesa e prega per la chiesa (questo lo abbiamo ascoltato nel cap. 17 di
Gv).
In questa luce noi impariamo a pregare, stando sotto la croce noi impariamo a pregare perché ci viene
donato lo Spirito e ci viene donato il modello più essenziale della preghiera che è il Figlio; il Figlio è
l'orante per eccellenza e noi da lui impariamo a pregare.
Ricapitolando, da un lato c'è una circolarità nell'unità dell'atteggiamento di chi sostiene, dall'altra,
queste stesse mani che sembrano invitate a sostenere sono al contempo invitate ad accogliere. Il fatto
che da ogni lato le mani siano in questo atteggiamento dice che qualunque elemento della vita di
Gesù va raccolto a piene mani, non bisogna lasciarne cadere neanche un frammento, da nessun lato
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della sua passione noi dobbiamo disperdere nulla. È un po' come nella moltiplicazione dei pani e dei
pesci, quando Gesù dice di raccogliere tutti i pezzi avanzati, non bisogna perdere niente dell'amore
del crocifisso non bisogna perdere niente.
Ci sono dei punti dorati, come a dire che il crocifisso emana sangue, ma quel sangue è oro per la
nostra vita, è la preziosità della nostra vita, siamo stati comprati a caro prezzo, siamo stati redenti al
prezzo del suo sangue e noi di quelle gocce di sangue le dobbiamo raccogliere tutte, così come nella
messa non lasciamo cadere per terra neanche un frammento. L'offerta piena, il frutto maturo della
vita, non bisogna perdere neanche un milligrammo della buccia di quel frutto, tutto va raccolto, perché
tutto è vita ed è pienezza di vita.
In questa doppia visione c'è un altro elemento che è l'aspetto paradossale. La croce è il paradosso dei
paradossi. Di fronte al crocifisso stanno insieme l'atteggiamento dell'uomo che è chiamato a portare il
peso del crocifisso e l'uomo che è invitato a cogliere e raccogliere tutto il dono d'amore di Gesù sulla
croce. Stanno insieme queste dimensioni nella nostra vita; noi non siamo soltanto offerta e noi non
siamo soltanto recezione, siamo l'uno e l'altro. La maturità della vita cristiana, la mentalità di una
mamma non è che si spende all'esasperazione, perché se non si rigenera nel rapporto con suo
marito, nel rapporto con Dio, nel rapporto con i figli, nel rapporto con la comunità, se non accoglie a
piene mani questo, anche il suo spendersi trova un limite. La mamma perché è l'emblema della
donazione, ma un po' tutte le nostre vocazioni: noi viviamo di queste due dimensioni, totalmente
dipendiamo da ciò che riceviamo e totalmente viviamo di ciò che doniamo. Ciò che ci appartiene è
soltanto ciò che doniamo, quindi lo stare davanti al crocifisso ci mette davanti a questo paradosso
della vita e di fronte alla paradossalità della vita cristiana, che tiene insieme sempre aspetti che
possono sembrare contraddittori.
Questo è uno, l'atteggiamento dell'uomo. Poi ce ne sono altri; per esempio, qui sopra ci va per i
romani un ribelle, la croce mostra il ribelle, ma per noi è l'obbediente fino alla morte, colui che è morto
per obbedienza, che ha amato al punto da obbedire anche fino alla morte. Quindi il ribelle e
l'obbediente: chi vede, vede un ribelle, ma chi si sente amato vede uno che è obbediente fino alla
morte. Chi va lì sopra, se non erano i ribelli erano gli schiavi, che non avevano diritto a una morte... se
commettevano qualcosa: crocifissione.
Vediamo il servo, ma sappiamo da Giovanni che Gesù sulla croce regna, il servo che regna, il ribelle
obbediente: Prendete un'altra immagine di Paolo, lo stolto sapiente, la stoltezza della croce che è la
vera sapienza della vita dell'uomo, allora la croce anche nella sua disposizione di intreccio, ci richiama
anche visivamente a questo tenere insieme delle cose che vanno in direzione opposta. Questa è
proprio la liberante paradossalità della dimensione della vita del cristiano. Il cristiano che va solo in
una direzione prende dei pali; se il cristiano non ha un'altra coordinata nella sua vita, non riesce ad
andare diritto, paradossalmente. Ne ho una sola vado dritto... no, soltanto se hai una coordinata, la
libertà e la grazia.
Ci sono tante realtà della vita dell'uomo che si esprimono in questo tenere insieme cose diverse e la
salvezza e la sapienza non è risolvere a favore dell'uno o dell'altro, ma tenere insieme l'uno e l'altro.
È più importante pregare personalmente o pregare in parrocchia. Domanda stupidissima... perché è
chiaro, l'uno e l'altro. Il problema nasce anche quando due si sposano, le coordinate diventano tre:
preghiera personale, preghiera di coppia e preghiera comunitaria. Ma la sapienza è proprio lì, tenere
insieme, non fare un compromesso, ma saper armonizzare queste realtà diverse.
Ho guardato quali sono i verbi che nei sinottici ci sono in rapporto alla croce:
portare la croce,
scendere dalla croce,
porre l'iscrizione sopra la croce e
stare ai piedi della croce.
Portare la croce: chi è che porta la croce? La porta Gesù, la porta il Cireneo, e poi nell'insegnamento
di Gesù: Chi non porta la sua croce... Il discepolo. La croce è l'a priori del discepolo. Non esiste il
discepolo chiamato a portare la croce, ma è chi porta la croce che diventa discepolo. Io posso dirvi
tante cose, che sono discepolo di qui... di là... ma se non passo di lì, non sono discepolo. Quindi la
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croce e il crocifisso sono l'a priori del discepolato, non sono qualcosa che lungo la via incontro, la
croce è lì che genera me, perché è proprio il punto con il quale io mi devo misurare, l'amore del
crocifisso. Perché il discepolo o è messo in moto dall'amore del crocifisso, se no dipende dalle
stagioni...
In questa immagine, riletta in questa luce, credo che ci vengano dati questi elementi della
paradossalità. La paradossalità ci fa paura, in realtà, come avviene con la croce e con il crocifisso, noi
abbiamo paura di questa realtà salvifica.
In questo senso Gesù si espone, anzi Dio si espone, Dio mostra veramente chi è qui. Dio dice
veramente le parole della verità qui sopra, in questa situazione, si espone mostrandosi Dio e dice che
lui è Dio perché per lui la potenza non è un potere, ma Dio ci sta dicendo in Gesù che l'unica potenza
è l'amore. Quindi anche questo è un linguaggio scomodo, deludente, stolto, ma è il linguaggio di Dio.
Da un Dio "superman" ci sentiamo molto più rassicurati, un Dio che fa quella fine lì... Gesù sulla croce
è la fine delle false immagini di Dio. Chi credeva in un Dio onnipotente – come lo vogliamo noi, come
lo concepiamo noi, come lo desideriamo noi, come hanno voglia i nostri bisogni – sulla croce rimane
sconfitto. La croce e il crocifisso è la fine delle false immagini di Dio. Qui abbiamo Dio al naturale, il
crocifisso è l'ostentazione – ma non nel senso farisaico – il mostrare veramente chi è Dio. Qui, in
questa situazione. Sulla croce Gesù deve difendersi dall'uomo, perché se questa è la vera identità che
lui deve mostrare, Gesù deve difendersi dagli uomini, ma non dagli uomini che lo sforacchiano, si
deve difendere dagli uomini che vogliono un altro tipo di Dio. Abbiamo Giuda, ma con Giuda gli
andiamo a coda tutti quanti o in tanti...
Gesù, stando sulla croce, si deve difendere dalle proiezioni dei bisogni dell'uomo su Dio, si deve
difendere da quelle immagini che noi ci siamo costruiti per secoli e che ci stiamo continuando a
costruire. Quindi Dio in Gesù si deve difendere dall'uomo, ma in questo senso qua. Non gli fanno
paura le lance, non gli fanno paura le scudisciate... sono altre le cose che gli fanno paura; è l'essere
equivocato come un Dio del potere, come un Dio che usa la propria potenza per sé. Questo è il
grande equivoco, questo è il grande inganno che ancora sulla croce si può consumare. Pensate alla
drammaticità di quella domdanda: Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce. Lì è veramente il grande
attacco e a quella voce fanno eco tante nostre aspettative. Dio si deve difendere da questo. Questo è
il pericolo mortale per Gesù, non è la nostra cattiveria, non sono i nostri peccati, non è la storia che va
a rotoli. La storia va a rotoli perché noi ci siamo creati false immagini di Dio. Gesù sulla croce spazza
via, smina tutte queste cose qua. Poi noi andiamo a prendere tutti i pezzi nei campi e li ricostruiamo,
però lì ha fatto piazza pulita.
Potrebbe essere utile che proviamo a "metterci" anche noi in quelle mattonelle, adesso. Potremmo
fare in due modi: o facendo diventare questo momento di ascolto un momento di preghiera e allora
rivedendo le tre posizioni, magari ciascuno prega secondo quello che quell'immagine... oppure
potremmo fare una rilettura più legata alla vita della comunità: che cosa offre e che cosa chiede
ciuascuna delle tre posizioni delle mani alla comunità? Perché se è la comunità che oggi a S. Croce, a
S. Paolo deve sostenere Gesù crocifisso, dall'alto, laterale e in basso, ci sta dicendo qualcosa, ci sta
offrendo qualcosa, ci sta chiedendo qualcosa.
Interventi di riflessione e preghiera
– Mi viene in mente il Vangelo di domenica scorsa: «Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce
e mi segua». Il Signore ha accettato la sua croce. Ognuno di noi, se vuole seguire il Signore, haanche
lui la sua croce da accettare, la volontà di Dio su ognuno di noi. Però è un Signore (...), quindi le mani
in alto mi hanno fatto venire in mente questo, che anche ognuno di noi ha qualcosa, una croce da
prendere, da accettare. Le mani in basso, quello che noi possiamo fare per sostenere i tanti crocifissi
che ci sono tra noi.
Vorrei pregare perché questa (...) della santa croce possa essere per la nostra comunità un cammino
di accettazione della volontà di Dio nella nostra vita, al tempo stesso però forza nuova per poter
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aiutare, alleviare le croci dei fratelli che ci stanno attorno e che soffrono.
Per questo preghiamo.
– Quello che hai detto nell'ultima parte della tua riflessione può essere riportato a quello che
leggeremo domenica prossima nel Vangelo. Il Signore deve difendersi da S. Pietro, dopo che S.
Pietro ha riconosciuto in lui il Cristo, il Signore dice: «Mettiti dietro di me, tu sei come Satana, tu pensi
secondo gli uomini, non secondo Dio«. Il Signore si deve difendere da un'immagine sbagliata che
aveva Pietro e che anche noi possiamo avere. Un Dio diverso da quello che noi pensiamo.
Allora pensavo proprio alle nostre comunità, alla nostra pastorale, che tipo di immagine noi diamo, che
tipo di immagine vogliamo dare e qual è la natura vera del nostro essere comunità cristiana.
Noi cerchiamo di apparire diversi da quelli che dobbiamo essere: piccoli, diversi dal consenso. Il
Signore ci chiede di non conformarci alla mentalità di questo mondo, quindi nessuna ricerca di
onnipotenza, di apparire.
Chiedo veramente che la nostra comunità, la nostra pastorale sia orientata a questa trasparenza, ad
essere sempre più come il Signore ci ha mostrato, povero e servo, quel Cristo sostenuto, la necessità
che le nostre comunità siano il sostegno dei crocifissi che camminano con noi, gli smarriti di cuore.
Per questo preghiamo.
– Vorrei pregare per questo, non sono mai stata una "fan" della croce, la sofferenza a me fa paura, di
tutti i tipi, e penso che sia molto umano e anche molto da peccatori, mi ritengo tale. Però io non credo
che Dio... è il peccato dell'uomo che ha messo in croce Gesù, lui per amore nostro ci è passato in
mezzo. A me viene in mente che Gesù tante volte ha subito la minaccia della sua vita, tante volte
hanno tentato di buttarlo giù da un burrone, hanno attentato tante volte alla sua vita e tante volte è
scappato, si è salvato. Quella volta no, ha accettato la croce.
Vorrei pregare con una preghiera che porto a casa da un viaggio che feci in Brasile, in un lebbrosario,
e dice così:
"Signore, insegnami ad accettare le cose che non posso cambiare, la forza per cambiare quelle che
posso e domani la saggezza per riconoscere la differenza". Secondo me tante volte noi ci
intrappoliamo nelle croci che non sono le croci che vuole il Signore e non ci lasciamo liberare
interiormente il cuore.
Per questo preghiamo.
– In quelle mani vedo il vero impegno che dovremmo avere nel far conoscere il vero volto di Dio,
perché nella mia vita Dio me l'ha presentata in tanti modi. Non è un Dio che ti comanda, che vuole
questo, che vuole quello... mentre Dio è amore, è Dio che si dona, si lascia mettere in croce per
amore, per obbedienza. Molti uomini rifiutano Dio perché lo vedono giudice. Forse dovremmo fare
molto di più perché lo conoscano così come è, Dio amore. Quelle mani che pregano per me sono le
mani di tutti gli uomini che pregano per gli altri, per i nostri fratelli, per quelli che sono nel dolore, in
quel dolore che Dio non può evitare, come non ha potuto evitare quello del (...), come non ha potuto
evitare il suo, perché non ha usato la sua potenza per sè. Accettare che anche nel mondo ci siano
delle cose che noi vorremmo che lui cambiasse, ma non può cambiare.
Per questo preghiamo.
– Vedo in alto il dono, nelle due mani a fianco di Cristo l'offerta e vedo in fondo la preghiera. (...)
Vorrei pregare perché le croci nostre, quelle che non si vedono, a volte leggere, a volte pesanti,
possono diventare un modo per arrivare davvero a Cristo.
Per questo preghiamo.
– A me colpiva la differenza di colore del Cristo e delle mani e mi creava un senso di malessere, non
capivo perché; poi ho capito, è che quelle mani mi sembrano delle ombre, mentre invece l'uomo, la
carne, (,,,) la vita, (...) la sofferenza del Cristo. In quelle mani scure che mi sembrano ombre mi
sembrava di vedere una cosa anche mia, che tante volte mi sembra di vedere che la mia fede sia
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un'ombra, non sia qualcosa di vero o di vissuto, di reale, come la figura del Cristo.
Per cui io pregherei per questo, perché la fede nostra, mia, non sia prevalentemente un'ombra ma sia
proprio come quella figura che (...) nella sofferenza, che è morta ma che vive.
Per questo preghiamo.
– Io vorrei capire quel grido di Gesù: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Don Matteo
Un preghiera nella quale, usando le parole del salmo, ripercorre l'itinerario di quest'uomo che è partito
da un'esperienza di prova, di difficoltà e nella prova ha scoperto che Dio non era altrove, che lui non lo
stava riconoscendo presente, ma che poi lo ha riconosciuto vivente nella sua vita. Quindi è un salmo
di fiducia, è un salmo di ringraziamento, anche se inizia così, partendo proprio dalla condizione
dell'uomo, e quindi Gesù in quel momento conferma, drammaticamente perché nel vangelo di Marco
si dice che Gesù grida, quindi non sta facendo finta, Gesù grida la sua umanità, grida questa voglia
del Padre che non si vede, ma che lui riconosce essere presente, perché poi nel testo c'è il buio e il
buio richiama quella realtà dell'antico testamento che indicava la presenza di Dio. L'oscurità era luce,
la nube che accompagnava nell'Esodo, i vari passaggi in cui l'oscurità diventa qualcosa che protegge.
Allora attraverso questa simbologia, Marco sta dicendo che Gesù percepisce, ma non percepisce la
modalità della presenza del Padre, ma sa che il Padre c'è e quindi a quel Padre che non riconosce
immediatamente presente grida la sua volontà di rinnovare la sua offerta d'amore. Quello che Luca
dice in un modo molto più glorioso e anche più come lo aspetterremmo, Gesù domina la condizione
della passione e allora: "Padre, dice ad alta voce", dice il testo greco, "dice ad alta voce", quindi una
dichiarazione solenne, ma di chi dice ascoltate bene quello che vi devo dire: Sono due esperienze
diverse di un'unica esperienza della passione. Gesù non sta denunciando suo Padre perché lo ha
abbandonato, ma sta confermando il suo abbandono nel Padre, proprio attraverso questo segno del
salmo di fiducia e segno cosmico che sono sempre nella Scrittura i due elementi che convergono.
Quello che dice la Scrittura è adempimento e quello che anche nel creato, nella natura, il vangelo di
Marco è pieno di questi accoppiamenti, un segno cosmico con la parola del Padre.
Queste parole fanno diventare preghiera anche quello che un uomo che non crede grida a Dio non
con la scelta di fede di Gesù. Gesù dà voce, fa diventare preghiera anche quello che tanta gente urla,
proprio come percezione dell'abbandono di Dio, non della sua voglia di abbandonarsi in Dio nel
momento della prova.
– Vorrei aggiungere una preghiera questa sera in particolare – mi è stata suggerita dalla lettura che è
stata fatta all'inizio – perché ho pensato che il Signore affida a Maria, che è anche la chiesa, Giovanni,
che era un giovane, 18 anni mi pare... Vorrei pregare per i giovani, per tutti i giovani, in particolare per
i giovani della nostra unità pastorale perché sappiano accogliere questo affidamento che il Signore fa
di ognuno di loro alla chiesa, che è madre, che è anche peccatrice, però che è madre. Preghiamo
perchè aumenti questo senso di appartenenza alla chiesa nei giovani che a volte sembrano piuttosto
distratti e lontani.
Preghiamo.
– Ho visto il crocifisso come se fosse una fotografia della nostra comunità parrocchiale e ho pensato
che il dono che Gesù fa alle nostre comunità è il dono che viene a riempire quelle mani che (...) sono
vuote (...) Quello che ci dovrebbe arricchire è la potenza di Gesù Eucaristia. Un invito molto forte a
curare la partecipazione comunitaria alla messa e trarre da questa partecipazione all'eucaristia la
forza per rispondere all'invocazione di quelle mani che possono essere – dato che il nostro quartiere è
così pieno di realtà diverse – (...) sottolineano le povertà che ci sono, che magari noi non vediamo
neanche, noi non conosciamo. La risposta che la nostra comunità può dare a questa invocazione di
aiuto la troviamo in Gesù eucaristia, nell'amore di Gesù che è la nostra ricchezza, non ci sono altre
cose che noi possiamo donare, quella è la cosa importante.
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