Donne - Intellettuali sopra le righe
Aspasia, la colta cortigiana
Maltrattata dalle fonti, la celebre etera amata da Pericle e clamorosamente processata ad Atene, fu sicuramente
disinibita ma anche dotata di un’intelligenza e una cultura fuori dalla norma. Al punto di scandalizzare gli ateniesi,
affascinare il loro capo (che per lei lasciò la moglie) e ispirare molte donne che videro in lei una possibilità di
emancipazione per loro impossibile
di Michele Cento
Le donne non devono far parlare di sé. Questa era la norma etica generale a cui le donne dell’antichità classica
dovevano conformarsi. È singolare allora notare con quanta frequenza il nome di Aspasia di Mileto faccia capolino tra
le fonti relative alla storia ateniese. Sorge quindi una domanda stuzzicante: perché la sua figura spiccava in mezzo
all’anonimato che caratterizzava l’universo femminile dell’antichità? Aspasia nacque a Mileto, in Asia Minore (odierna
Turchia), intorno alla prima metà del V secolo a. C. Da qui si trasferì ad Atene, dove sarebbe diventata l’amante di
Pericle, leader incontrastato della politica ateniese. Memori della prodigiosa ascesa politica di certe nostre politiche in
erba, si potrebbe essere istintivamente portati a concludere che Aspasia sia diventata famosa grazie alle sue liaisons
dangereuses con il potere. Dello stesso avviso erano i poeti comici dell’epoca, quotidianamente impegnati a bacchettare
la moralità allegra di Aspasia, che veniva apostrofata con carinerie quali «avida prostituta» o «concubina faccia di
cagna». Insomma, la Guzzanti al confronto è una scolaretta pudica.
Sebbene i poeti comici non brillassero per l’arte del «politically correct», bisogna ammettere che altre fonti concordano
sul mestiere poco nobile (ma di antica tradizione) di Aspasia. Con un pizzico di raffinatezza in più ma con un tocco di
velata malizia, Plutarco sosteneva che «faceva un lavoro né rispettabile né onesto: preparava giovani cortigiane».
Aspasia non sarebbe stata quindi solo una prostituta, ma addirittura una tenutaria di una casa di appuntamenti! Ma
Plutarco scriveva a distanza di secoli e come fonti utilizzava proprio quegli autori comici, la cui disaffezione verso
Aspasia abbiamo appena illustrato. D’altra parte, ad Atene era diffusa la consuetudine di attaccare il proprio avversario
politico denunciandone gli insani costumi sessuali, sicchè i poeti comici, tradizionalmente schierati con il partito
aristocratico, avevano gioco facile a puntare il dito contro il democratico Pericle, dipingendolo come un burattino nelle
mani di Aspasia. Tuttavia, occorre chiarire un equivoco in cui noi moderni potremmo facilmente cadere. Ad Atene il
concubinato era una pratica non solo accettata ma anche incoraggiata dalla società fortemente maschilista dell’epoca.
Per quanto possa sembrare paradossale, nessuno criticava Pericle perché aveva una relazione extra-coniugale, ma
piuttosto perché provava autentico amore per una straniera che per lavoro vendeva il suo corpo. Antistene, allievo di
Socrate, riporta che l’olimpico e imperturbabile Pericle avesse pianto come un ragazzino innamorato durante il processo
contro Aspasia, celebratosi intorno al 430, poco prima dello scoppio della guerra del Peloponneso. La donna era stata
accusata di empietà e prossenetismo (in pratica: sfruttamento della prostituzione) anche se è più di un sospetto che gli
attacchi alla donna miravano a colpire il suo amante. Un atteggiamento scandaloso, che metteva in discussione la virilità
(andreia) dell’uomo che da 30 anni guidava la democrazia ateniese. Perché, in fin dei conti, agli occhi degli ateniesi il
vero «effeminato» era colui che amava le donne. E di fronte a questa «accusa», Pericle non poteva certo dichiararsi
innocente.
Resta da capire come un uomo del prestigio e della cultura di Pericle avesse potuto innamorarsi di una «donnaccia» che
offriva sesso in cambio di denaro. Al punto di esporsi pubblicamente per salvarla dalle accuse. Forse perché Aspasia
non era affatto una donnaccia? C’è infatti un altro equivoco di fondo da chiarire. Nell’Atene classica si distingueva tra
«porne», ovvero prostituta nel senso comune del termine, e «hetàira», cioè l’etera, la donna di alto livello, colta,
raffinata, che con spirito ed eleganza intratteneva gli uomini nella sua casa. Vale a dire le qualità che le mogli legittime
non avevano o, per meglio dire, avrebbero dovuto abilmente dissimulare, pena la squalifica morale da parte della
società. Non v’è dubbio che Aspasia facesse parte della categoria dell’hetàira. E la differenza non è da poco: per dirla
con De Andrè, Aspasia era una «cortigiana che non si dà a tutti». Il perché è presto spiegato. Aspasia era un’intellettuale
che frequentava i circoli della sofistica, laddove si era formato quello spirito critico e corrosivo che la civiltà greca
avrebbe trasmesso alla modernità occidentale. Lo stesso Plutarco, che non può essere tacciato di eccessiva benevolenza
nei suoi confronti, ce la presenta come «sophè kai politikè», ovvero «sapiente e versata nella politica».
Circa le sue abilità politiche, Plutarco ci informa che Pericle ascoltava spesso i consigli di Aspasia. In maniera
surrettizia, l’autore de «Le vite parallele» si spinge fino a suggerire al lettore che sia stata la stessa Aspasia a dettare al
suo amante il celebre epitaffio sulla democrazia ateniese, che Tucidide ci ha tramandato nella prosa inimitabile del
Libro XXXVI de «La Guerra del Peloponneso». Per quanto concerne la sapienza, senza nascondere una venatura
sarcastica, nel «Menesseno» Platone raffigurò Aspasia come maestra di Socrate, al quale avrebbe insegnato la retorica e
l’arte dell’amore. L’idea che una donna avesse istruito il più saggio degli ateniesi rappresentava un’eresia per la cultura
ateniese, ma, al di là dell’intento parodico di Platone, altre fonti confermano la eccezionale dimestichezza di Aspasia
con la filosofia. E non a caso Socrate sosteneva l’idea altrettanto eretica che le donne fossero dotate di virtù al pari degli
uomini.
Certo, il fatto che Aspasia fosse «maestra» nell’arte dell’amore ci fa pensare che, oltre allo spirito e all’eleganza, usasse
anche altre doti per intrattenere i suoi ospiti, che tuttavia provenivano dal milieu culturale in cui si erano formati filosofi
del calibro di Anassagora e Protagora. Insomma, diciamolo pure: Aspasia era un po’ intellettuale e un po’ cortigiana.
Recitando entrambi i ruoli, Aspasia sovvertiva le norme tradizionali che imponevano alla donna un’esistenza grigia, tra
le mura domestiche e al di fuori dello spazio pubblico. Nei panni dell’intellettuale, faceva parlare di sé grazie alla sua
arte retorica e alle sue conoscenze filosofiche, suscitando lo sdegno dei parrucconi ateniesi, così premurosi nel custodire
un’ortodossa distinzione tra i sessi; d’altro canto, nei panni (forse più succinti!) della cortigiana, poteva vantarsi di aver
spezzato il cuore dell’imperturbabile Pericle e di aver sedotto le menti più brillanti dell’epoca. Del resto, un comico
ateniese retoricamente chiedeva: «Credi che esista una differenza tra un intellettuale e una cortigiana (hetàira)?». Una
domanda sempre attuale, dal momento che viviamo in un mondo in cui gli intellettuali non hanno molte remore a
prostituirsi al potere, di qualunque colore politico esso sia. L’intellettuale Aspasia allora ci insegna che è possibile
«prostituirsi con filosofia», ovvero frequentare il potere senza divenirne succubi, mantenendo l’autonomia necessaria
per contestarlo quando occorre. Un compito che gli intellettuali spesso dimenticano.
Michele Cento