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CONVEGNO
«L'etica tra natura e storicità» - Macerata, 28-29 ottobre 2009
D. VERDUCCI, Discussant
di M. SIGNORE, Umano e post-umano nell'etica
Aula Magna di Villa Cola, 29 ottobre, h. 10,45-11,00
Genealogia fenomenologica.
Una scala d'essere per il post-umano
Anziché attardarmi sul livello etico della riflessione e contribuire alla reiterazione, che
rischia ormai di divenire compulsiva, della «petizione moralistica», i come Mario Signore chiama le
moltiplicantesi dichiarazioni di principio, con le quali si pretenderebbe di affrontare efficacemente
la condizione post-moderna nella cui liquidità stiamo «inarrestabilmente» sprofondando, ii vorrei
allacciarmi ad una vena sotterranea che mi è sembrato di intercettare nelle riflessioni di questo
Convegno e addentrarmi nel sottosuolo ontologico in cui affondano le radici che nutrono l'umano
anche nella sua transizione “postista”, per usare un neologismo habermasiano, pregnante dal
punto di vista dell'essere.iii Infatti, la riflessione sul post-umano, come già quella sulla persona,
centrata
sul solo focus etico, sembra mancare l'approdo su un terreno solido e persona e post-
umano restano colti, quasi sfruttando la corrente calda dello spirito dell’utopia di blochiana
memoria, in un enigmatico mantenersi aperti e sospesi sull’essere, in un estenuante protendersi
verso un altrove sempre desiderativamente re-anticipato e dunque dai contorni perennemente
sfumati. Per questo, mi sono avventurata a rintracciare fenomenologicamente le linee di una
genealogia ontologica del post-umano, di una scala d'essere che raggiungendolo, possa
contenerne la tracotanza dall'interno e intrinsecamente, concorrendo al presidio esterno prestato
dall'eidetica umana dell'intrascendibile, di cui ha parlato ieri Totaro.
Ormai, non occorre più una genealogia come opera di smascheramento, al pari di quella
intrapresa da F. Nietzsche, sospettoso nei confronti della morale,iv perchè, nell'ambito del
paradigma giudeo-platonico-cristiano, essa avrebbe promosso «un'interpretazione del valore
accordato all'esistenza»v che anziché avvalorarla, la svalutava; neppure si tratta – e in ciò dissento
da Mario Signore - di sollecitare anamnesi in vista della formulazione di diagnosi e della
prescrizione di terapievi per patologie dell'umano, che, se ci riferiamo al post-umano, sono
attualmente ancora solamente presunte; piuttosto, sembra essere arrivato il momento teoretico di
interrogarsi sui semi d'essere dai quali, pur nell' aridità culturale del tempo presente, è potuta
scaturire la nuova germinazione dell'umano nel post-umano, che sta sotto i nostri occhi e ci desta
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sconcerto.
Tutto sembrava congiurare a
negare la possibilità stessa di qualunque efflorescenza
antropologica: la crisi della moderna razionalità padroneggiatrice e la sempre più inestricabile
complessità del mondo, che ne derivava, erano anzi andati rendendo definitivamente vulnerabile e
persino a rischio di estinzione la soggettività,vii documentando che «il più inquietante tra tutti gli
ospiti»,viii il nichilismo stava ormai varcando la soglia a spazzare via non solo ogni residuo senso
della vita dell'uomo europeo del XX e XXI secolo,ix ma anche - ciò che appare più tragico - la
radice motivazionale stessa della sua competenza specie-specifica di «elargitore di senso»
(Sinngeber).x
Eppure un nuovo getto si è prodotto dal tronco umano, per ibridazione di organico e
inorganico e trasgressivamente rispetto a binarismi razionalistici, quale quello che oppone natura e
cultura.
Di fronte a ciò, «lo sguardo [stesso] della responsabilità»,xi evocato nel bel volume del 2006
di Mario Signore per far fronte ad «un pensiero assolutamente deresponsabilizzato», xii perchè
autoreferenziale, potrebbe inclinarci facilmente a andare in soccorso di «quel “bisogno etico”, che si
registra, anche empiricamente, pur nello scenario dell'indeterminatezza ontologica del nostro
secolo»:xiii sarebbe però un errore cedere a tale precipitosità compassionevole, perchè solo
epochizzando quella prima occhiata che resta irriflessa e opaca, anche se etica, potremo guadagnare
il vero oggetto della nostra meraviglia, l'unico a partire dal quale sarà possibile impostare la
domanda sul senso dell' inaudito post-umano, che sta accadendo.
La continua effusione produttivo-creativa di cui si sostanzia il progresso tecnologico, fino
alla realizzazione dell'uomo e della natura bionici, infatti, ci è divenuta una tale ovvietà invadente e
pervasiva della vita quotidiana, che, come Nietzsche aveva profetizzato, non ci stupisce più né ci
induce a besinnen, a riflettere.xiv
Occorre invece praticare l'umiltà e resistere sia alla pulsione etica, che conducendoci ad
intervenire sulla problematicità che di volta in volta si apre, la modifica, irregimentandola e
ostacolando la teoresi, sia alla pulsione speculativa, che riportando il nuovo alle sole
incontrovertibilità già assodate, lo esautora; solo così il post-umano, che fa seguito all'umano,
avendo percorso «ponti ibridativi» con la realtà extraumana e l'artefatto e assunto «logiche
coniugative e pluralistiche»,xv ci desterà meraviglia perchè dove ci saremmo aspettati che non ci
fosse umanità vivente, c'è invece umanità bio-tecnologica!
Al pensiero post-moderno si ripropone, dunque, la domanda metafisica nella forma moderna
leibniziana - perchè c'è qualcosa, invece che niente? - , sebbene la ragione scientifico-tecnologica
abbia preteso di sapersi impossessare dell'intero essere proprio non attardandosi in tali questioni
oziose.
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Ed è qui che il pensiero non autoreferenziale ma
responsabile trova quel terreno
fondamentale, su cui può appoggiare anche la sua prima compassionevole inclinazione a soddisfare
la richiesta etica: una volta che lo stato di stupor filosofico ha messo fuori circuito ogni smania
acquisitiva, speculativa e pratica, davanti al suo sguardo attento e concentrato emerge un Faktum
che non è appena la kantiana doverosità morale che induce al rispetto, ma, nel corretto significato
etimologico, è l'effetto di un facere, di una competenza operativa, che appartiene alla vitalità
ontologica dell' essere umano e che è stata in grado di far-essere il post-umano: perchè il postumano c'è ed è vivo. Proprio su tale nuovo livello evolutivo, infatti, noi ci troviamo ora a porre,
con lo Scheler di Conoscenza e lavoro, l'interrogativo teoretico radicale:
«Come debbono essere costituiti il fondamento e la causa prima della totalità del mondo
perchè una tale cosa, una tale struttura essenziale, sia possibile?».xvi
Dal post-umano, che si è parato davanti ai nostri occhi teoretici, siamo così risospinti sulla
via dell'essere, il cui logos ha mostrato di attraversare l'inorganico, l'organico e l'artificiale: l'uomo
lo conosce, lo sa dire, lo sa far-essere, e poichè nell'essere egli è generato e vive, anche le opere e i
prodotti della sua creatività stanno nell'essere e rispetto all'arricchimento/depauperamento
ontologico che comportano vanno valutati, a presidio stesso antropologico, come ha ieri sottolineato
Franco Totaro. Certo, l'essere che è qui giunto a manifestazione non è la monolitica presenza che
Derrida e Althusser si sono dedicati a decostruire. L'essere che appare a sostanziare il postumano è
al contrario un essere vivo, multiforme e metamorfico, quale gli studi di antropologia e psicologia
dello sviluppo, di M. Tomasello p. es., richiedono a base della filogenesi e dell'ontogenesi umane,
dove i prodigiosi passaggi di forme di vita che si documentano, dal primate all'homo, dall'individuo
sottocorticale al soggetto culturale, resterebbero volatili senza un'adeguata scala d'essere a
sostenerli.
Paradossalmente, dunque, proprio nell'avvento del post-umano, l'uomo si manifesta come
quell'interfaccia ontologica fondamentale, per il cui tramite il cosmo intero prende coscienza e
parola e per la cui azione creativa e lavorativa l'essere stesso si incrementa. Per dirla ancora con
Max Scheler:
«nell'uomo quel logos “secondo” il quale è formato il mondo diviene atto che è possibile
con-compiere (mit-Vollzielbarer Akt)».xvii
Inadeguata risulta perciò l'antropologia della manchevolezza di cui
A. Gehlen, senza
cimentarsi con la questione ontologica, si fa portatore, sulla scia di A. Schopenhauer, Th. Lessing,
L. Bolk, P. Alsberg, rappresentando l'uomo come «il vicolo cieco della vita». xviii Al contrario, può
essere feconda la prospettiva di antropocentrismo relazionale, proposta da Mario Signore, che non
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si priva dei guadagni della tradizione umanistica e sembra anzi disporsi ad emendarne le carenze
attingendo «ad approcci meno tradizionali, ma capaci di far risorgere l'alba della coscienza non più
dal rarefatto orizzonte della metafisica, bensì dalle questioni del bios, dell'intera estensione del
vivente, pensato nell'unità della vita, dove ogni vita è forma di vita».xix
Rispetto all'antropocentrismo ontologico tradizionale, «stretto tra i due modelli oppositivi»,
dell'antropomorfismo, «che porta a dare una connotazione antropocentrata a tutto ciò che non è
umano» e dell' «antropocentrismo separativo che utilizza tutto ciò che è umano per evidenziare la
discontinuità» con il mondo,xx l'antropocentrismo relazionale, in sintonia la «prospettiva
coniugativa»xxi del post-umanesimo, può mettere a frutto la vitalità metamorfica dell'essere che ha
condotto al post-umano, passando per il costruttivismo deterministico e giungendo a fioritura nella
libera creatività dell'essere umano, che è ontopoietica, cioè produttiva di essere sul piano ideale,
culturale, morale ed anche effettivo con il lavoro. Riprende vigore così quella linea filosofica
Schelling-Nietzsche-Scheler, fino a Virgilio Melchiorre, che si è applicata a contestualizzare
ontologicamente la stessa dimensione creativa e d'atto della persona umana, fornendole una scala
d'essere e insieme rendendola non più vicolo cieco della vita, ma via-d'uscita della vita tutta.
i
M. Signore, Lo sguardo della responsabilità. Politica, economia e tecnica per un antropocentrismo relazionale,
Studium, Roma 2006, p. 43.
ii
Cfr.: M. Signore, Destini personali e colonizzazione delle coscienze: umano e post-umano nella riflessione filosofica,
in: I. Sanna (a cura di), La sfida del post-umano. Verso nuovi modelli di esistenza?, Studium, Roma 2006, p. 48.
iii
Cfr.: J. Habermas, Il pensiero post-metafisico, tr. it. di M. Calloni, Laterza, Bari-Roma, p.
iv
Fu F. Nietzsche, mosso dalla «volontà di verità» e di smascheramento della menzogna, di cui sospettava che la morale
fosse portatrice, a ricercare la Genealogia della morale con il risultato nichilistico di scoprire che «la volontà per
uomo e terra mancava; dietro ogni grande destino umano risuonava come un refrain, un ancora più grande
“invano!”» (F. Nietzsche, «Che significato hanno gli ideali ascetici», in Genealogia della morale, § 28, tr. it. di V.
Perretta, Newton Compton, Roma 1992, p. 168).
v
Cosi in: F. Nietzsche, Volontà di potenza, tr. it. a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Bompiani, Milano 2000, p. 9.
vi
Signore, Lo sguardo della responsabilità, cit., p. 12.
vii
Signore, Lo sguardo della responsabilità, cit., p. 12.
viii
Nietzsche, Volontà di potenza, cit., p. 7.
ix
Nietzsche, Volontà di potenza, cit., p. 3.
x
Così M. Weber, Die «Obiektivität» sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, in Gesammelte Aufsätze
zur Wissenschaftslehre, Mohr, Tübingen 1973; tr. it. , Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1958,
p. 156.
xi
Signore, Lo sguardo della responsabilità, cit., p. 9.
xii
Signore, Lo sguardo della responsabilità, cit., p. 10.
xiii
xiv
Nietzsche, Volontà di potenza, cit., p. 3.
Signore, Lo sguardo della responsabilità, cit., p. 200.
xvi
M. Scheler, Conoscenza e lavoro, p. 112.
xvii
M. Scheler, La posizione dell'uomo nel cosmo, p. 190.
xviii
M. Scheler, Uomo e storia, p. 277 di Lo spirito del capitalismo, a cura di R. Racinaro.
xix
Signore, Destini personali, cit., p. 46.
xx
Signore, Destini personali, cit., p. 44.
xxi
R. Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli d'esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 15. Cit. in: Signore,
Destini personali, cit., p. 42.
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