Diocesi Piacenza-Bobbio Pellegrinaggio diocesano in Grecia Sala delle colonne palazzo vescovile Incontro con i Pellegrini prima del viaggio per la Grecia 5 giugno 2002 Monari Mons. Luciano, Vescovo 1. Il significato del Pellegrinaggio in Grecia Dico alcune cose sul significato del Pellegrinaggio in Grecia, il rapporto tra il cammino che tenteremo di fare e quanto il Nuovo Testamento ci dice dei viaggi di Paolo e soprattutto del secondo famoso viaggio di Paolo di evangelizzazione della Grecia. 1.1. La Bibbia e la Grecia In realtà la Bibbia non ne parla tantissimo della Grecia, tolto il Nuovo Testamento. I primi riferimenti della Bibbia a questa terra sono, dal punto di vista letterario, piuttosto oscuri. Sembra che il quarto figlio di Iafet [quando viene fatta la tavola dei popoli, nel cap. 10 del Libro della Genesi, si dice che “i figli di Noè, sono Sem, Cam e Iafet” (Gen 10,1)], si chiama Iavan (Gen 10,2), e generalmente gli interpreti dicono che questo Iavan sarebbe la Grecia, la Ionia; quindi la parte della Grecia che è sulla costa occidentale dell’Asia Minore, ma che fa parte della cultura greca, quindi l’identificazione sarebbe questa. Ma proprio il fatto che questi riferimenti sono oscuri sottolinea un elemento significativo da tenere presente. La distanza grande, che di per sé separa la cultura greca da quella semitica (da quella ebraica e semitica in genere), e che si riconosce praticamente in tutti gli ambiti della cultura: nella storia del pensiero (la filosofia greca da una parte, e invece la riflessione ebraica che è di tutt’altro genere). nella espressione artistica; nel campo religioso. Da questo punto di vista, tra la mitologia greca e la riflessione ebraica, c’è un abisso, tanto che Tertulliano, in un testo che poi è diventato famoso, pone quella domanda: “Che ha a che fare Gerusalemme con Atene?”. Gerusalemme e Atene diventano in qualche modo due simboli di culture diverse. Secondo Tertulliano, Gerusalemme non ha niente a che fare con Atene; quindi con la storia del pensiero, della filosofia e della riflessione, che ha invece la sua sede ad Atene. 1.2. Con l’Impero Bizantino, il cristianesimo ha assunto la tradizione greca In realtà per noi le cose sono andate in un modo un po’ diverse, perché in fondo la civiltà cristiana, che si è espressa in Occidente, è nello stesso tempo figlia del pensiero ebraico e anche del pensiero greco; cioè non c’è dubbio che il cristianesimo ha assimilato tutta una tradizione e un’eredità che vengono dal mondo greco-latino, quindi dal mondo greco. E quell’Impero Bizantino, di cui l’anno scorso nel Pellegrinaggio in Turchia abbiamo visto almeno qualche testimonianza, ne è il segno più caratteristico. L’Impero Bizantino è in realtà Impero Romano. Quando andavo a scuola, questo non si capiva tanto: ero convinto che l’Impero Romano fosse caduto nel 476 d.C. con Romolo Augusto; in realtà non è vero, è caduto solo l’Impero Romano di Occidente. Ma l’Impero Romano è continuato per un altro migliaio di anni, fino al 1453 d.C., ed era veramente Impero Romano, con assunzione di una 1 ricchezza di tradizione cristiana che si è formata. Impero Romano, tanto che l’Impero Bizantino è sempre stato chiamato dagli arabi Rum, e Rum è Roma. I Bizantini si sono sempre considerati tali, eredi di Roma, tanto da rifiutare la nascita di un Impero Romano di Occidente con Carlo Magno e tutto quello che è venuto dopo; ma questi sono discorsi che ci interessano meno. Però ci interessa il fatto che il cristianesimo ha assunto anche la tradizione greca dentro alla sua esperienza, al suo modo di manifestarsi. 1.3. L’itinerario del Pellegrinaggio Ora, il cammino che noi faremo partirà da Atene, poi faremo Corinto, quindi scenderemo verso il Peloponneso. Guarderemo un po’ il Peloponneso, anche fino ad Olimpia per andare a commemorare le Olimpiadi. Poi saliremo verso il nord, dove troveremo le città di Tessalonica e di Filippi. Il che vuole dire in concreto che noi facciamo il viaggio di san Paolo a rovescio; il motivo è solo pratico. Avevamo chiesto di farlo come l’ha fatto san Paolo, quindi di partire dall’alto e poi scendere, ma questo dal punto di vista turistico pratico (di alberghi e simili) non è possibile; e allora facciamo il percorso all’inverso. 1.4. I viaggi di Paolo nel Nuovo Testamento Però m’interessa che voi abbiate invece un’idea della successione storica dei viaggi di Paolo. Il primo è un viaggio che Paolo ha fatto all’interno della Turchia (diremmo noi oggi) centrale, centro-meridionale, intorno alla città famosa di Konya (Iconio), e altre città situate più o meno nella zona centro-meridionale della Turchia. Tutti i viaggi di Paolo partirebbero da Antiochia sull’Oronte, quindi dalla Antiochia che noi non abbiamo visto, perché innanzitutto era lontana e poi di resti che ci interessano c’è rimasto poco e niente, ma che dal punto di vista storico ha avuto una importanza enorme. Perché Antiochia era la terza città dell’Impero ed è diventata per il cristianesimo uno dei centri fondamentali di diffusione della fede, tanto che se ricordate gli Atti degli Apostoli dicono che i cristiani sono stati chiamati “Cristiani” per la prima volta ad Antiochia (cfr. At 11,26). Usare un nome come questo, “Cristiani”, vuole dire: incominciare a distinguere dagli Ebrei, perché evidentemente di origine sono Ebrei, hanno uno sfondo culturale religioso ebraico; quindi la distinzione si è operata pian piano, e per la prima volta ad Antiochia. 2. Il secondo viaggio di Paolo descritto negli Atti degli Apostoli Siamo nel secondo viaggio di Paolo. Paolo parte da Antiochia e visita le comunità che aveva fondato nel primo viaggio, e arriva verso il centro della Turchia (tanto per intenderci). Vi leggo il testo degli Atti degli Apostoli che ci fa in qualche modo da guida in questo itinerario (cfr. At 16,6ss). 2.1. Inizio della predicazione di Paolo in Europa «[6]Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia». La Galazia è il centro della Turchia, probabilmente la regione intorno ad Ankara, quella che ora è la capitale. «avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia». La provincia di Asia si trova sulla costa occidentale, praticamente Efeso; la capitale della provincia di Asia era Efeso. Il che vuole dire che siamo al centro della Turchia. Paolo avrebbe pensato di andare ad ovest, ma lo Spirito Santo glielo ha impedito; come glielo abbia impedito non lo sappiamo: se sia stata una illuminazione o semplicemente un impedimento esterno che Paolo ha interpretato come un invito dello Spirito Santo. Ad ogni modo Paolo ha rinunciato ad andare ad Efeso. «[7]Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia». La Bitinia è a nord sul Mar Nero. Quindi non va ad ovest, ma sta venendo da sud-est, e non va neanche a nord. Perché «lo Spirito di Gesù non lo permise loro; [8]così, attraversata la Misia, discesero a Troade». Vuole dire: hanno preso la via di nord-ovest, andando verso i Dardanelli (diremmo noi). 2 Troade, è dove c’era una volta la città di Troia. E sono arrivati nella regione che è praticamente la punta nord occidentale della Turchia Asiatica. «[9]Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: Passa in Macedonia e aiutaci! [10]Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore». Questo fatto è importante, dal punto di vista degli Atti degli Apostoli, perché contiene il passaggio del Vangelo dall’Asia in Europa. Questo “Macedone” che appare a Paolo e gli chiede un aiuto, s’intende l’aiuto del Vangelo, è evidentemente un europeo. La Macedonia è il nord della Grecia, e Paolo accogliendo questa visione entra in Europa. Può anche darsi che ci fosse entrato qualcun altro prima di Paolo, non sappiamo tutto quello che è avvenuto in quella evangelizzazione spicciola che accadeva semplicemente per gli spostamenti dei cristiani per motivi di commercio, di lavoro, di turismo… Però nell’ottica degli Atti degli Apostoli non c’è dubbio, questo è il dilatarsi del campo di annuncio del Vangelo: il Vangelo, la Parola di Dio, portata da Paolo arriva in Europa. E dove? Dice: «[11]Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia». Samotracia è un’isola che sta vicino la punta nord occidentale della Turchia. «e il giorno dopo verso Neapoli». “Neapoli” vuole dire: nuova città; è la parte del porto, una città sulla costa, che fa da porto praticamente alla città che sta un po’ più all’interno che è Filippi. «e [12]di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia». La Macedonia raccoglie tutta la parte settentrionale della Grecia; i Romani l’avevano divisa in quattro distretti, e quello di Filippi è il primo di questi quattro distretti. «Restammo in questa città alcuni giorni;». E qui incomincia, dicevo, l’evangelizzazione dell’Europa, e per quello che ci interessa della Grecia. Incomincia come? Generalmente quando Paolo annuncia il Vangelo incomincia dalla sinagoga. È un Ebreo, quello che Paolo annuncia è semplicemente il compimento di tutte le attese messianiche d’Israele. Paolo le annuncia realizzate in Gesù, Gesù è il Messia atteso, quindi il contesto sinagogale è più propizio per annunciare il Vangelo. Perché è come andare a dire: quello che voi avete aspettato, e i profeti vi hanno promesso, io ve lo annuncio perché lo riconosco in Gesù di Nazaret. 2.2. La prima conversione compiuta in Europa Ebbene, Paolo cerca anche qui la sinagoga, ma non c’è né una vera e propria, c’è però un luogo, un edificio, dove gli Ebrei s’incontrano per pregare; la sinagoga è anche a volte un edificio. La sinagoga è un’assemblea di ebrei dove ci siano almeno dieci uomini; e se ci sono dieci uomini si può fare la preghiera ufficiale ebraica del sabato. Paolo va lungo il fiume, dove si ritrovavano questi ebrei, e lì incontra alcune persone, in particolare alcune donne (cfr. At 16,13-14), tra cui «Lidia» che era «una commerciante di porpora, della città di Tiàtira (una città della Turchia). Questa è la prima conversione compiuta in Europa. Parla con lei: «una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. [15]Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa. E ci costrinse ad accettare». Quindi, la prima conversione in Europa è di una donna commerciante di nome Lidia, a Filippi. Poi il discorso a Filippi si allarga, perché Paolo guarisce una schiava, che era posseduta da uno spirito che la rendeva indovina (cfr. At 16,16-17). Solo che guarire questa schiava ha evidentemente un vantaggio per lei, dal punto di vista personale, ma ha uno svantaggio per i padroni perché ci rimettono i guadagni che avevano da questa indovina, da una veggente, per influsso dello spirito. Questo fatto conduce ad un’accusa rivolta a Paolo con queste parole: «Questi uomini (sono i padroni della schiava guarita da Paolo che lo accusano) gettano il disordine nella nostra città; sono Giudei [21]e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere né praticare. Quindi l’accusa è fondamentalmente di predicare una “religio illicita”. All’interno dell’Impero Romano c’è una tolleranza notevole nei confronti dei culti religiosi, e in particolare da quelli che vengono dall’Oriente. Però in qualche modo bisogna che siano riconosciuti 3 come tali e quindi che entrino nella logica dell’Impero. Evidentemente la religione deve servire per il consolidamento della comunità civile, perché la religione ha una funzione civile. Ebbene, Paolo viene accusato di predicare una “religio illicita”. Vuole dire che il cristianesimo viene distinto dall’ebraismo, che invece era “licita”, perché all’interno dell’Impero Romano era riconosciuta come una delle religioni accolte. E lì c’è un episodio abbastanza simpatico (che poi leggeremo quando saremo a Filippi): di Paolo che viene messo in galera. Lì converte il custode, perché è avvenuto un terremoto, e il custode è impaurito perché teme che i prigionieri siano scappati. Paolo invece si è fermato lì e insieme con Sila hanno cantato e pregato il Signore, ecc; e questo custode della prigione si converte. Poi al mattino Paolo viene liberato anche se fa pesare il fatto di essere stato messo in prigione e di essere stato bastonato nonostante che lui sia un cittadino romano (cfr. At 16,22-24). Evidentemente trattare un cittadino romano così era piuttosto grave, dal punto di vista giuridico, tanto che i magistrati vanno da Paolo e da Sila e si scusano con loro: «[39]vennero e si scusarono con loro; poi li fecero uscire e li pregarono di partire dalla città» (At 16,39). E così finisce la permanenza di Paolo a Filippi, prima «città del primo distretto della Macedonia» (At 16,12), e inizio della predicazione di Paolo in Europa. 2.3. La Via Egnazia strada di evangelizzazione di Paolo Andiamo verso ovest e lungo la strada che veniva chiamata la Via Egnazia. La Via Egnazia era in pratica la continuazione della Via Appia oltre il Mar Ionio. Allora, da Roma si va fino a Brindisi per la Via Appia, e si attraversa e si continua con la Via Ignazia che percorre tutta la parte settentrionale della Grecia fino ai Dardanelli, quindi in pratica fino alla fine dell’Europa. Ebbene, questa Via Egnazia diventa la strada di evangelizzazione di Paolo. Qualcuno pensa che l’idea di Paolo fosse di percorrere la Via Egnazia per arrivare fino a Roma. Che Paolo volesse andare fino a Roma, su questo non ci sono dei dubbi; che ci avesse già pensato in questo secondo viaggio missionario, questo è più problematico. Però è vero che il viaggio in Europa si muove anzitutto seguendo questa via fino a Tessalonica e poi fino a Berea. “Fino a Tessalonica”. Tessalonica è oggi la città di Salonicco, quindi è importante nella Grecia, anche dal punto di vista storico. Tessalonica, o Salonicco, è stata nella storia attraverso i secoli sempre una città importante. Nell’Impero Ottomano penso sia stata la seconda o la terza città dell’Impero dopo Istanbul; ma ora questo ci interessa meno. In ogni modo arriva a Tessalonica e qui si ripete lo stesso schema (cfr. At 17,1-8): Paolo predica nella sinagoga, ottiene la conversione di alcuni, ma poi c’è una reazione da parte di qualcun altro, e generalmente sono dei Giudei, che mettono in difficoltà Paolo e lo costringono ad abbandonare il campo di predicazione. A Tessalonica le cose vanno esattamente così: annunzio nella sinagoga, conversione di alcuni, vorrebbero accusare Paolo ma non lo trovano e accusano la persona presso cui Paolo abita, un certo Giasone, il quale riesce a ottenere di essere liberato; però Paolo viene fatto partire perché ormai la situazione non è così gradevole per lui. Quindi lascia Tessalonica. Sempre seguendo questa Via Egnazia arriva a Berea. Idem nella successione (cfr. At 17,10-15): predicazione nella sinagoga, conversione di alcuni. Qui non c’è la reazione degli abitanti di Berea e nemmeno dei Giudei di Berea; ma qui vengono i Giudei di Tessalonica, arrivano a Berea per insistere sul fatto che Paolo è un creatore di disordini. Per cui Paolo viene fatto partire ancora, e questa volta si muove verso Atene per mare; quindi da Berea ad Atene. Quindi, abbiamo detto: la parte settentrionale, praticamente la Macedonia; per prima Filippi, poi Tessalonica e poi Berea. 2.4. Inizio del confronto tra il cristianesimo e la cultura greca Dicevo, “ci spostiamo per mare ad Atene”, dove avviene uno degli episodi più significativi (forse) della predicazione di Paolo (cfr. At 17,16-34). Perché, è vero che Atene al tempo di Paolo non è più l’Atene del V e IV secolo a.C., quella era davvero la capitale culturale del mondo intero, però la tradizione rimane, la storia rimane, la sofisticatezza intellettuale degli Ateniesi rimane. Proprio per 4 questo la permanenza di Paolo ad Atene e la predicazione che vi compie hanno un significato particolare. Perché è l’inizio del confronto tra il cristianesimo e la cultura greca che, dicevamo, per sua natura è lontana dalla cultura ebraico e semitica, ma diventerà uno dei campi fondamentali di azione della predicazione del Vangelo. Vi leggo alcuni versetti interessanti del racconto di San Luca: «16]Mentre Paolo li attendeva ad Atene (cioè i suoi collaboratori, Sila e Timoteo), fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli. [17]Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei e i pagani credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava. [18]Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano? E altri: Sembra essere un annunziatore di divinità straniere; poiché annunziava Gesù e la risurrezione. [19] Presolo con sé, lo condussero sull’Areopago e dissero: Possiamo dunque sapere qual è questa nuova dottrina predicata da te? [20]Cose strane per vero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque conoscere di che cosa si tratta. [21]Tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare» (At 17,16-21). Questa è una descrizione significativa, e in fondo corrisponde non solo all’Atene del tempo di Paolo, ma anche ad una tradizione molto più antica. Il “discutere” è sempre stato uno degli sport preferiti in questa città. Però è significativo per i seguenti motivi. 1. Il confronto di Paolo con la idolatria o con il politeismo degli ateniesi, che, come bravo ebreo, lo fa fremere nel cuore. 2. L’annuncio che Paolo compie: Gesù e la resurrezione. S’intende, probabilmente gli ascoltatori hanno inteso la risurrezione come una divinità. Anastasis è una divinità femminile che accompagna, come frequentemente accade, quell’altra “divinità che è Gesù”; è così che hanno interpretato la prospettiva. 3. Poi quel discorso che viene messo in bocca a Paolo davanti all’areopago, che tradizionalmente è il grande tribunale dell’antichità di Atene, ma era diventato un luogo di incontro, di confronto e di discussione (non so se avesse il significato del posto dove ci si confronta su tutte le opinioni). 4. Segue un discorso prezioso di Paolo di evangelizzazione (cfr. Lc 17,22ss), ma stranamente è interpretato dagli esegeti in due modi molto diversi. 4.1. C’è qualcuno che interpreta il discorso di Paolo come se avesse tentato di fare un annuncio del Vangelo adattato agli orecchi degli ascoltatori, perché di fatto Paolo, cosa che normalmente non fa, cita in questo discorso dei poeti pagani: «[24]Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene…» (At 17,24); quindi sono espressioni che si trovano anche in scritti di poeti pagani. Dicono allora che Paolo ha tentato di fare questo adattamento alle attese degli ascoltatori, ma in realtà ha dovuto registrare un fallimento. Perché quando, nel corso della sua esposizione, Paolo arriva a parlare di Gesù Cristo e in particolare della risurrezione dai morti: «Dio ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti. [32]Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: Ti sentiremo su questo un’altra volta» (At 17,31-32). Il risultato non è lusinghiero, per cui alcuni commentatori dicono: Paolo ha tentato di adattarsi alla cultura greca e ha dovuto riconoscere il fallimento. 4.2. Qualcun altro invece, e credo più correttamente, legge il discorso non come un adattamento alla cultura greca – certamente con un’attenzione alla situazione degli ascoltatori, ma come un giudizio in fondo durissimo nei confronti del paganesimo e del politeismo, considerato, dal punto di vista di Paolo, una deformazione e una degradazione dell’animo religioso. Quindi non si sarebbe affatto adattato, ma avrebbe detto cose palesi come stanno, quindi avrebbe messo gli ascoltatori di fronte ad un giudizio che era essenzialmente di condanna. 5 In ogni modo il risultato è, come dicevo, che Paolo non ottiene grandi conversioni, però qualcuna sì. Abbiamo già detto la reazione negativa di buona parte degli ascoltatori, però san Luca aggiunge: «[34]Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell’Areopago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro» (At 17,34). Questo Dionigi diventerà famoso ma non per merito suo; perché c’è un autore, probabilmente del VI secolo che va sotto il nome di Dionigi l’Areopagita, al quale sono attribuiti alcuni scritti teologici e mistici che hanno avuto nella storia della mistica cristiana un’importanza enorme. Ma in realtà non è il Dionigi convertito da Paolo, anche se così era pensato e interpretato da molti lettori e interpreti nel Medio Evo. Il discorso però sarebbe di tipo diverso, ma ci porterebbe lontano. In ogni modo Paolo qualche conversione l’ha avuta anche ad Atene, ma poca cosa (diremmo noi). 2.5. L’ultima tappa nella città di Corinto Allora, Paolo lascia Atene e va, per quanto ci riguarda, nell’ultima tappa, e cioè Corinto. Corinto è sull’istmo, che unisce l’Attica con il Peloponneso; è una città sulla quale converge il commercio che attraversa l’istmo e passa attraverso due porti, uno sull’Egeo e l’altro sullo Ionio, quindi da una parte e dall’altra dell’istmo. Entrambi questi due porti gravitano sulla città di Corinto, che proprio per questo è una città ricca e caotica, come, da questo punto di vista, sono caotiche le città di porto e di commercio. Tenete presente che Corinto è una città che era stata distrutta prima dai Romani e poi era stata ricostruita circa settant’anni prima che Paolo ci andasse, cioè era rinata nel 44 a.C. A Corinto Paolo fa lo stesso itinerario che abbiamo visto nelle altre città precedenti, ma qui si ferma molto, un anno e mezzo. Significa che Corinto diventa una delle basi fondamentali della strategia di annuncio del Vangelo di Paolo. Le città dove Paolo si è fermato per molto tempo, e quindi sono diventate delle basi, per lui sono due: una è Corinto e l’altra è Efeso. A Corinto e a Efeso Paolo ha speso degli anni. Nelle altre città invece è passato annunciando il Vangelo e poi è andato oltre. Notate anche (come ricorderemo quando ci saremo) che Corinto è una città difficile dal punto di vista culturale e soprattutto morale. “Morale” vuole dire: proprio come “città di porto”, è una città dove da una parte l’attaccamento al denaro e dall’altra il disordine sessuale sono notevolmente diffusi. Dell’antica Corinto si diceva che fosse in qualche modo il simbolo della degradazione dal punto di vista sessuale, tanto che in greco corinziattestai, corinteggiare, significa: andare con una prostituta. Quindi dietro c’è un sottofondo culturale che valeva per l’antica Corinto, ma, secondo le testimonianze, vale anche per la Corinto di Paolo, e di fatto su questo ci torneremo subito dopo. Vi leggo alcuni versetti del racconto di Luca, al cap. 18 degli Atti degli Apostoli. «[5]Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai Giudei che Gesù era il Cristo. [6]Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, scuotendosi le vesti, disse: Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani. [7]E andatosene di là, entrò nella casa di un tale chiamato Tizio Giusto, che onorava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga. [8]Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare. 9]E una notte in visione il Signore disse a Paolo: Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, [10]perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città. [11]Così Paolo si fermò un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio» (At 18,5-10). Il fatto che Paolo abbia avuto questa visione, e questa sia stata a convincerlo a rimanere a Corinto per così lungo tempo, fa in qualche modo pensare a titubanze o incertezze di Paolo. Gli ostacoli che Paolo ha incontrato in questa città devono all’inizio avergli creato delle difficoltà grandi. Di fatto, nella prima lettera ai Corinzi, quando Paolo ricorda la sua andata in quella città, dice: «[3] Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione» (1Cor 2,3). Dove, se voi mettete insieme questa espressione della prima Lettera ai Corinzi con la “visione” del cap. 18 degli Atti degli Apostoli, avete probabilmente un’immagine di quanto problematica deve essere stata per lui, dal punto di vista psicologico, la predicazione a Corinto. Forse si portava dietro il peso dello scacco di Atene. “Scacco di Atene” voleva dire: non solo, non essere riuscito ad ottenere una conversione, 6 ma significava che quel primo confronto tra la cultura filosofica greca e il Vangelo era andato male. In realtà la cultura greca aveva opposto un muro difficilmente penetrabile, almeno all’inizio dal punto di vista del Vangelo; forse per questo l’annuncio del Vangelo a Corinto ha avuto bisogno di essere sostenuto dalla parola e dalla consolazione stessa del Signore. Questi sono i brani degli Atti degli Apostoli che riguardano il nostro Pellegrinaggio. Facciamo ancora l’elenco delle città: Filippi, Tessalonica, Berea, Atene e Corinto. Dicevo, noi lo faremo in qualche modo a rovescio: prima Atene, poi Corinto, poi saliremo verso Tessalonica e da qui andremo fino a Filippi in escursione. 3. Il secondo viaggio di Paolo descritto dalle sue quattro Lettere Chiaramente, oltre a quello che io ho detto ci sono, importantissime per noi, quattro Lettere che sono successive rispetto agli avvenimenti che noi abbiamo ricordato; tutte tolto una. Le quattro Lettere sono: la prima Lettera ai Tessalonicesi, la Lettera ai Filippesi, e le due Lettere ai Corinzi. 3.1. La prima Lettera ai Tessalonicesi La prima Lettera ai Tessalonicesi, è la prima di tutte le Lettere di san Paolo, ed è probabilmente anche la prima di tutti gli scritti del Nuovo Testamento. Almeno la stragrande maggioranza degli autori ritiene che i Vangeli siano stati scritti dopo, e che il primo a scrivere nel Nuovo Testamento sia stato Paolo con questa Lettera. La prima Lettera ai Tessalonicesi la dovete collocare scritta a Corinto. Allora, avendo fatto tutto il viaggio, è sceso fino a Corinto, e da qui Paolo riscrive a Tessalonica. “Riscrive a Tessalonica” perché qui aveva predicato il Vangelo, ma era dovuto “fuggire”; in ogni modo era dovuto partire in fretta, e così facendo non aveva potuto completare la preparazione catechistica della comunità di Tessalonica, tanto che Paolo aveva dei timori grandi su questa comunità, aveva paura che non fossero sufficientemente robusti per resistere alle tentazioni o alle persecuzioni che l’ambiente intorno stava procurando. In realtà, quando a Paolo arriva Timoteo portando le notizie sulla comunità di Tessalonica, Paolo rivive, perché le notizie che gli vengono riportate sono buone: i Tessalonicesi sono rimasti fedeli al Vangelo, ma non solo, sono rimasti attaccatissimi a Paolo, e questo per Paolo è un motivo di consolazione grossa. Quindi scrive la prima Lettera ai Tessalonicesi innanzitutto per manifestare tutto il suo affetto per questa comunità. Ci sono alcuni versetti di Paolo che sono davvero belli dal punto di vista affettuoso; quando Paolo dice che “si è comportato come un papà e una mamma nei confronti dei Tessalonicesi”, che “ce l’ha messa tutta e non ha avuto attaccamenti a denaro o niente di questo genere”: «5 Non abbiamo pronunciato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: (…) potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. 7 Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. 8 Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari» (1Tes 2,5.6-8). Insomma, esprime tutto il suo affetto e la sua riconoscenza per questa comunità. Poi dà evidentemente le istruzioni, o quegli insegnamenti sulla fede – e in particolare sulla risurrezione, sulla speranza oltre la morte (1Ts 5,8ss) –, che erano rimasti in sospeso e i cristiani di Tessalonica non avevano ancora bene assimilato. Quindi, una Lettera per completare l’istruzione religiosa che Paolo aveva già compiuto. Ho detto sola la prima Lettera ai Tessalonicesi, perché la seconda potrebbe anche non essere di san Paolo; almeno la maggior parte degli autori preferisce pensare che sia una Lettera successiva, legata in qualche modo a san Paolo, ma non proveniente direttamente da lui. Ma ci interessa meno, è meno significativa; la prima invece lo è e molto. 3.2. La Lettera ai Filippesi L’altra Lettera che ci interessa è quella ai Filippesi, e su questo ci torneremo. Anche questa è una Lettera ricca dal punto di vista dell’affetto di Paolo nei confronti di questa comunità, in cui la esorta 7 a non lasciarsi turbare da predicatori che sono andati in qualche modo a creare malanimo nei confronti di Paolo e della sua predicazione. 3.3. La prima Lettera ai Corinzi Ma evidentemente quello che ci interessa in modo ancora più forte sono le due Lettere ai Corinzi, che Paolo scrive fondamentalmente per due motivi diversi. La prima Lettera, per risolvere alcuni problemi di fede e di comportamento morale che si sono manifestati in questa comunità e che gli sono state riportati. Da Corinto alcuni sono andati da Paolo e gli hanno raccontato le difficoltà che ci sono nella comunità. Paolo scrive questa prima Lettera rispondendo a tutti i problemi (noi diremmo pastorali) che riguardano la comunità di Corinto. Ora la cosa interessante è questa: nel rispondere ai problemi pastorali, in realtà Paolo mette in gioco tutta la concezione cristiana della vita: del rapporto con Dio, del rapporto con Gesù Cristo… Per cui quei problemi, che di per sé sarebbero parziali, che riguardano alcuni aspetti della vita, gli danno l’occasione invece per una esposizione ampia. Se uno legge la prima Lettera ai Corinzi effettivamente può avere un’idea ricca di che cosa sia la Chiesa e di quale sia il comportamento cristiano che nasce dalla fede in Gesù Cristo. Vi faccio l’elenco dei temi fondamentali. I primi quattro capitoli riguardano il problema dei partiti nella Chiesa di Corinto. Si sono formati dei gruppetti all’interno della comunità che fanno riferimento ciascuno a un personaggio di spicco. Qualcuno fa riferimento a Paolo, evidentemente perché era il fondatore della comunità. Qualcuno fa riferimento a Pietro, ancora è evidente perché era il primo degli Apostoli. Qualcuno fa riferimento ad Apollo, che era un predicatore cristiano che veniva da Alessandria d’Egitto e aveva una cultura retorica molto ricca e sviluppata, tanto che qualcuno attribuisce ad Apollo la Lettera agli Ebrei (ma non è sicuro per niente). Però dietro ci sta la percezione della ricchezza di retorica di questo personaggio. Qualcun altro dice di riferirsi a Cristo, ma non sappiamo né capiamo in che modo. Insomma, ci sono delle divisioni, e Paolo risponde alla comunità di Corinto tentando di fare capire che queste divisioni nella comunità cristiana non hanno possibilità di esistere. Siccome il Cristo è uno solo, il riferimento a Cristo deve prevalere su tutti gli altri riferimenti, deve quindi fare sentire la unità prima di qualunque legame concreto con un predicatore o con l’altro. Poi al cap. 5, secondo problema. C’è un caso di incesto nella comunità. Paolo affronta questo scandalo dal punto di vista del comportamento, tentando di ricondurre la comunità alla correttezza della vita. Il terzo problema, al cap. 6,1-11, è quello dei cristiani che, avendo dei problemi di controversia, sono andati davanti al tribunale pagano. E questo Paolo non lo sopporta, dovevano trovare un modo di accordo tra di loro o perlomeno trovare un paciere o un giudice all’interno della comunità, che li mettesse d’accordo, che decidesse lui sui diritti degli uni e degli altri. Il quarto problema, al cap. 6,12-20, lo ricordavo prima, la fornicazione: l’andare con le prostitute; che alcuni cristiani di Corinto non vedono come un comportamento particolarmente riprovevole. Nel contesto culturale non era considerato particolarmente male, e alcuni cristiani di Corinto ragionano in quella prospettiva, con ragionamenti che sono anche attuali. «13 I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!» (1Cor 6,13), vuole dire: alla fine la fornicazione è un fatto naturale come il mangiare e il bere, quindi non c’è niente di male nel mangiare e nel bere; uno può sempre esagerare, ma è nella esagerazione che ci può essere l’abuso. Quindi, secondo costoro, il fatto vuole considerato con molto libertà. Invece, Paolo risponde con dei ragionamenti notevolmente profondi, perché vogliono andare a legare l’impegno, nella gestione della corporeità, con il rapporto personale con Gesù Cristo. Le affermazioni di Paolo sono significative quando arriva a dire che: «Il corpo (…) è per il Signore e il Signore è per il corpo» (1Cor 6,13). Non so se un qualche predicatore cristiano abbia mai detto che «il Signore è per il corpo», per lo meno non è molto frequente; cioè, l’idea che Gesù Cristo nella 8 sua vita e nella sua morte abbia operato a favore del corpo; a favore della salvezza dell’anima sì, ma il corpo lo facciamo entrare meno. Invece nella prospettiva di Paolo questo discorso è importante, tanto che finisce con le altre parole: «Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1Cor 6,20). “Corpo” come luogo dove Dio può e deve essere glorificato. Il problema del matrimonio nella verginità, al cap. 7. Un problema, che per noi è superato, ma è quello degli idolotiti (al cap. 8): se è possibile o no ai cristiani mangiare le carni che vengono dai sacrifici pagani e che poi vengono venduti al mercato; e che erano praticamente le uniche carni che la gente normale mangiava, perché non ne avevano una grande abbondanza di carne. Ma dai sacrifici le carni venivano vendute, e quindi dopo venivano mangiate normalmente. A Paolo viene posto il problema: se questo a un cristiano sia lecito o no. Poi c’è il problema dell’ordine nelle assemblee (cfr. cap. 14,26-40). E in particolare di quali siano i doni dello Spirito più importanti: se sia la profezia o il parlare in lingue (cfr. cap.13; 14,125). E Paolo fa un discorso notevolmente lungo, dentro al quale inserisce l’“Inno alla carità”: «[1]Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna…» (1Cor 13,1ss). Ultimo problema è la risurrezione dei morti (al cap. 15). Per la mentalità greca il problema della risurrezione è grave, perché il corpo non è così nobile da potere pensare ad una resurrezione del corpo. Platone, tra le tante cose, fa anche quel gioco di parole famoso: “tra somo e sema”; quindi “tra il corpo e la tomba”. È quindi in fondo una visione non negativa del corpo; i greci hanno il senso della bellezza del corpo, ma non di una dignità particolare legata a questo. Il vero uomo è evidentemente l’anima, è quello che sta dentro. Ricordate, che quando Socrate sta per morire chiede a un suo discepolo di pagare come riconoscenza “un gallo a Esculapio”, cioè al Dio della guarigione. Vuole dire: per lui, il morire è una guarigione, morendo viene guarito, e allora deve pagare al Dio che lo guarisce un sacrificio di un gallo. Il morire è una guarigione, perché è un essere liberato dal corpo, che in fondo in un modo o nell’altro è un appesantimento dell’anima, non permette all’anima di essere pienamente libera. Allora, posto questo si capisce com’è fatta la prima Lettera ai Corinzi: una serie, in batteria, di problemi pastorali, che sono stati posti a Paolo, e ai quali Paolo risponde cercando di andare alle radici delle motivazioni. 3.4. La seconda Lettera ai Corinzi La seconda Lettera ai Corinzi, invece è tutt’altra cosa, perché nasce da un problema più personale: dal fatto che tra i cristiani di Corinto e Paolo si è sviluppato della tensione. Paolo ha fatto una visita a Corinto, e gli hanno risposto male, ed è dovuto venire via esacerbato e con sofferenza. Allora scrive questa Lettera per manifestare la sua posizione e chiedere ai cristiani di Corinto di cambiare atteggiamento. Dietro a questo stanno alcuni predicatori che in fondo sono andati a Corinto a parlare male di Paolo, a dire che Paolo non può pretendere di essere molto perché non appartiene agli Apostoli della prima ora, ma sono degli altri. Il tipo di Vangelo che Paolo predica è cristiano ma non così pulito, puro e integro come quello della tradizione ebraica degli altri Apostoli. Tutto questo diventa un pasticcio grosso per Paolo: sia dal punto di vista personale, perché si sente in qualche modo rifiutato da una comunità che lui ha fondato e per la quale ha speso molto; ma anche dal punto di vista dottrinale, perché il suo Vangelo di annuncio ai pagani viene in qualche modo messo in discussione. Allora, la Lettera è molto più personale, molto bella, in cui Paolo dice tutta la su amarezza, poi tutta la sua speranza; ci stanno dentro tantissimi sentimenti anche contrastanti; fa l’elogio del Vangelo che lui predica. Arriva a fare anche l’autoelogio: “se quelli credono di essere ebrei, «io lo sono più 9 di loro» (2Cor 11,23). E fa l’elenco delle sofferenze che lui ha subito per il Vangelo come il segno della sua autenticità, perché ha pagato un prezzo alto. Insomma, diventa una confessione personale. Allora anche questa Lettera sarà da mettere dentro al nostro patrimonio. Dunque, quattro Lettere: la prima ai Tessalonicesi, quella ai Filippesi e le due Lettere ai Corinzi. Questi entrano nel Pellegrinaggio che noi tenteremo, a Dio piacendo, di fare. 4. La cultura classica greca Chiaramente andare in Grecia significa anche in qualche modo entrare a contatto con tutta la cultura classica greca. Lì spero che le guide ci aiuteranno a entrarci dentro perché c’è una ricchezza grande. Ma questo non fa parte del pellegrinaggio, ma sta dentro al nostro viaggio che ha anche evidentemente un aspetto turistico e questo ci farà anche bene. Perché da un punto di vista ci farà vedere la differenza profonda tra la concezione ebraica dell’uomo e la concezione greca; in alcuni aspetti si possono richiamare, ma in altre ci sono delle differenze profonde. Poi forse ci ricorderemo anche tutto quello che dai greci noi abbiamo ricevuto. Di solito si dice che la democrazia l’hanno inventata i greci. È vero che è una democrazia un po’ diversa da quella nostra contemporanea, però è vero che un contributo enorme, dal punto di vista del pensiero, i greci lo hanno dato. Credo che la filosofia greca fondamentalmente ha esaminato tutti gli atteggiamenti dell’uomo di fronte alla vita. Dopo la filosofia greca vengono tantissimi altri modi o atteggiamenti, ma sono variazioni sul tema; tra stoicismo e epicureismo, platonismo, aristotelismo o cose del genere, gli atteggiamenti di fondo sono in qualche modo stati esplorati; poi saranno evidentemente da approfondire e da arricchire; ma la filosofia greca, da quel punto di vista, ha offerto una scuola del modo di pensare. Evidentemente questo non significa che dopo non ci sia stato niente di nuovo. Però la possibilità di atteggiamenti diversi nei confronti della vita li hanno effettivamente esplorati. Così come s’intende tutta la letteratura greca ha un’importanza enorme in tutta la formazione della cultura occidentale, quindi troveremo anche quello. 4.1. La storia successiva alla Grecia Sarebbe interessante riuscire a vedere qualche cosa anche della storia successiva della Grecia, che invece è un po’ oscura. La Grecia non ha più avuto una grande importanza nel complesso della cultura del nostro mondo. Però la presenza della Chiesa ortodossa ha avuto un’importanza grande; e qualche testimonianza di questo genere la incontreremo; se non altro alle Meteore e poi al Monte Athos, dove però non possiamo andare, quindi lo vedremo in qualche modo da lontano. Ma al Monte Athos non si può andare, se non con permessi specialissimi più che rari. Quindi di questo vedremo un po’ meno di tutto quello che è stato il cammino successivo. Anche perché forse, qualcuno dice, che i veri eredi degli antichi greci non sono i greci di oggi. Quando nell’Ottocento gli Europei, inglesi e italiani, si sono impegnati per la guerra di liberazione dei greci – ricordate Santorre Annibale de' Rossi, e con lui ci sono andati molti altri europei – che speravano nella democrazia, nella libertà, nel superamento della tirannide; e sono andati in Grecia aiutandola effettivamente in qualche modo a liberarsi; ma sono in realtà rimasti delusi, perché hanno trovato in Grecia una cultura che non aveva niente a che fare con la cultura greca classica, con l’altezza di Aristotele o di Platone. Era una povera cultura agricola con tutte le meschinità, con tutte le piccolezze, che normalmente entrano nell’esistenza degli uomini. E c’è qualcuno che dice che i veri eredi della cultura greca non sono i greci ma i siciliani, per il senso della vita e nello stesso tempo del tragico, del senso della tragedia della vita e nello stesso tempo all’attaccamento. Questi due elementi, che fanno parte della cultura del greco classico, sono in qualche modo trapiantati in Sicilia. Ed è vero che la Grecia non è mai stata solo la Grecia; ma la Grecia è stata certamente la Ionia, quindi tutta la parte occidentale della Turchia; ed è stata tutta la Magna Grecia, quindi la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Puglia… Cioè tutte queste regioni hanno una radice greca robusta. Dopo poi, se sia vero o no, questo lo lascio decidere a voi. 10 5. Il prossimo Pellegrinaggio per vedere le testimonianze del cristianesimo antico a Roma Poi, fatto questo, se il Signore vorrà, torniamo a casa e vediamo i prossimi pellegrinaggi. Perché nel cammino che noi abbiamo fatto, l’ultimo pellegrinaggio da fare sarebbe Roma. Terra Santa, Asia Minore, Grecia, e dopo la Parola di Dio è arrivata a Roma. Quindi si potrebbe pensare un pellegrinaggio a Roma cercando di vedere le testimonianze del cristianesimo antico, che generalmente non si vanno a cercare; è difficile che uno vada a Roma per vedere quello. La Roma che si vede è o la Roma classica o la Roma barocca. La Roma dei primi secoli cristiani non si vede tantissimo, e invece qualche cosa è rimasto e sarebbe forse da recuperare, oltre alle catacombe, un San Clemente o simili. * Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore. 11