La filosofia ellenistica - il cristianesimo - Plotino

Prof. Emanuele Polverelli
Quadro di riferimento
storico-teoretico
Dall’ellenismo alla filosofia cristiana
1.
Le filosofie ellenistiche
Dopo la conquista della Grecia da parte di Alessandro Magno, la struttura del vivere
sociale e politico perde i connotati propri del periodo precedente. Viene a meno la struttura
della Polis, prima fondamentale (si pensi alla morte di Socrate), per lasciare il posto ad un
impero di ampie proporzione, idealmente congiunto al mondo intero (cosmopolitismo). La
Polis in precedenza era il riferimento imprescindibile per qualsiasi aspetto dell’esistenza. Ora,
non esistendo più questo riferimento, la vita e la cultura subiscono una trasformazione
radicale.
La filosofia cerca di dare risposta a questa situazione. L'uomo in effetti necessita di
nuovi valori. La tematica morale diviene così il principale problema filosofico e sopravanza
decisamente quello specificamente teoretico. Ne consegue una minore attenzione ai problemi
nella loro struttura eminentemente teoretica e quindi una perdita della raffinatezza speculativa
raggiunta dal platonismo e dall’aristotelismo; per ritrovare un’analoga profondità occorrerà
attendere Plotino (pensatore del III secolo d. C.).
Le scuole che espressero questa problematica e che furono le più influenti in tale periodo
sono l'Epicureismo, lo Stoicismo e lo Scetticismo.
Caratteristiche comuni a queste scuole:
 una preoccupazione prevalente per il problema morale (tema della
felicità).
 un rifiuto deciso della seconda navigazione.
 un minore spessore speculativo.
 Il cosmopolitismo congiunto alla valorizzazione dell’individuo.
1.1.
EPICURO (341-270 a.C.)
La sua logica ( chiamata anche Canonica) è basata sui sensi (l'evidenza é evidenza
sensibile: solo la sensazione può darci la verità). Ad essi fa seguito la prolessi. La prolessi è
una specie di anticipazione delle sensazioni. Infatti noi, con la ripetizione di più sensazioni
simili, ci predisponiamo ad ulteriori sensazioni dello stesso tipo, per cui, anche non vedendo
una realtà (tramite sensazione), la possiamo conoscere grazie a questo potere di anticipazione
dell’esperienza. Dando un nome ad ogni prolessi si struttura il pensiero ed il linguaggio, fino a
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formare elaborazioni più complesse, chiamate opinioni. Tutta la dinamica conoscitiva poggia
in ogni caso sulla sensazione, vero criterio di verità.1
La fisica é ispirata a quella democritea. La sola differenza con Democrito é la dottrina
(peraltro aporetica) del “clinamen”, secondo la quale l'origine dello scontro-incontro tra gli
atomi, che genera poi tutti i corpi esistenti, é una casuale declinazione di traiettoria di alcuni
atomi dalla assoluta caduta verticale (e quindi parallela) in cui versavano originariamente2.
L'etica si incentra sul piacere3, inteso tuttavia come assenza di dolore e turbamento. E’
infatti rifiutato il piacere dinamico, che implica movimento, in quanto illusorio e foriero di più
gravi dolori e turbamenti. Viene invece esaltato il piacere statico, (chiamato “catastematico”),
il quale consiste in un’assoluta assenza di dolore (aponia) e di turbamento dell’anima
(atarassia). In questo sta l’ideale epicureo: nel poter godere della sola propria esistenza,
rinunciando a tutti i piaceri non necessari. Tutta la riflessione di Epicuro è preoccupata di
rimuovere gli eventuali elementi che rischiano di turbare l’atarassia. Celebri le sue tesi sulla
morte4, sul male5, sulla vita politica6, sinteticamente raccolti nel quadrifarmaco7. E’ dunque
una sorta di ascesi materialistica o laica, e come tale (santo laico) fu venerato Epicuro. Si è
parlato di ideale dell’amaca, oppure di filosofo del giardino (immagine che esprime il riparo
solitario e pacifico dai clamori del mondo che con le sue passioni distoglie l’uomo dalla
felicità).
Sulla base di ciò si spiega il quadrifarmaco: la paura degli dei é vana (essi, se esistono,
non si curano dell’uomo), la paura della morte é vana (la morte è disgregazione di atomi;
dunque se vi sono io non vi è la morte, se vi è la morte non vi sono io - essendo io solo un
aggregato di atomi), la felicità (il piacere) é accessibile a tutti, il male o é breve o é
sopportabile.
1.2.
STOICI (Zenone 333-262)
La loro logica segue da vicino quella epicurea, salvo il dar più valore alla attività del
soggetto, tramite la dottrina della rappresentazione catalettica (è quella rappresentazione che
infatti Epicuro sostiene che ogni opinione trovi verifica nel fatto di aver la possibilità di essere
accompagnata da una “sensazione probante”, ovvero da una sensazione corrispondente che la comprovi.
2
occorre chiarire che tale differenza non è inserita da Epicuro a caso. Infatti egli vuole costruire un’etica
capace di proporre la felicità dell’uomo. Il mondo di Democrito era un mondo con rigide leggi meccaniche
rispetto alle quali non vi era spazio per la libertà dell’uomo e quindi per la sua felicità. Quindi Epicuro tenta di
rompere la rigidità delle leggi del mondo democratico, inserendo questa dottrina che affida alla casualità (esatto
contrario della legge razionale) l’origine di tutto ciò che vediamo. In tal modo è più accettabile l’idea di una vita
dell’uomo caratterizzata dalla libertà.
3
ciò è consequenziale con la sua visione materialistica del cosmo e dell’uomo. Infatti se l’uomo è la sua
anima, allora la virtù consisterà nella conoscenza (Socrate, Platone, Aristotele); ma se l’uomo è un insieme di
atomi (è corpo), allora la virtù consisterà nella felicità del corpo, ovvero il piacere.
4
quando c’è la morte non ci sono io; quando ci sono io non c’è la morte; dunque perché temere ciò che
non incontrerò mai?
5
il male fisico o è acuto e quindi breve (perché porta alla morte), o è lieve (e quindi sopportabile). In
entrambi i casi non va temuto.
6
sconsigliata da Epicuro, poiché porta a gravi tensioni dell’animo. Si confronti con l’impegno politico e
con il valore attribuito alla stessa da Platone, ed anche da Aristotele.
7
vedi sotto, qui riportiamo in chiave schematica.
1
la paura degli dei è vana
2
la paura della morte è assurda
3
il piacere è accessibile a tutti
4
il male o è breve, o sopportabile
1
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obbliga il mio animo all’assenso)8. Come per gli epicurei l’anima è materia, e materiale è il
processo conoscitivo.
La fisica invece si discosta assai da quella epicurea; essa prevede ancora un totale
materialismo, (come in Epicuro), ma il mondo é inteso come un tutto vivo ed unitario
(monismo, ilozoismo) che é permeato dal logos razionale di cui l'uomo partecipa. Il mondo è
costituito da due principi intimamente uniti: la forma (il logos) e la materia. Tutto dunque è
pervaso dal logos, che è una sorta di soffio vitale, di pneuma infuocato che a tutto conferisce
vita. Conseguenza immediata è che qui si afferma che le cose accadono come devono
accadere, (secondo un destino necessario e predefinito), essendo tutto pervaso da questa
razionalità immanente che tutto determina. Tutto accade come è giusto che accada. La storia
del mondo poi procede secondo cicli, per cui esso giungerà verso una deflagrazione cosmica
(ékpyrosis), dalla quale nascerà poi un altro mondo (palingenesi), del tutto uguale a quello già
esistente. Quindi la storia procede per cicli. La concezione del tempo ciclica, che gli stoici
focalizzano così chiaramente, era comunque tipica della cultura greca. Una nozione di tempo
lineare, quale quella che noi oggi viviamo, comparirà e si affermerà solo più tardi grazie al
Cristianesimo che diffonderà la cultura biblica e quindi ebraica, (dove tale concezione del
tempo già era presente).
L'etica é fondata sul vivere secondo ragione e si ispira ad un profondo disprezzo per
tutte le passioni corporee. Il bene ed il male riguardano la ragione, tutto il resto é indifferente;
(infatti l’uomo è logos -razionalità- ed essendo il suo bene ciò che lo realizza, esso sarà
vivere secondo ragione). Tuttavia tra gli indifferenti talune cose sono preferibili. Risulta allora
un dovere seguirle (Kathekon). La morale vera e propria, però, esiste solo nell'ambito del
bene e del male, ed é a tale livello razionale che l'uomo mediante l'apatia (distacco da tutte le
passioni) deve elevarsi per essere libero. Gli stoici con orgoglio pensavano di poter insegnare
una virtù assoluta e sprezzante di qualsiasi condizionamento esterno. Il saggio, che vive della
sola sua razionalità, può essere felice in ogni situazione. Anche in mezzo alle fiamme, egli
potrà godere della felicità di appartenere al logos universale. Non per caso addirittura uno exschiavo sarà filosofo stoico di rilievo (Epitteto, I sec. d.C.).
1.3.
Lo SCETTICISMO
Questa corrente invece afferma una totale sfiducia nelle capacità dell'uomo di cogliere il
reale. Nulla é determinabile, tutto é vana apparenza. (gli stoici sostenevano che l’evidenza è data dalla
rappresentazione catalettica, ovvero quella rappresentazione che costringeva all’assenso; gli scettici, riprendendo
questa riflessione e condividendola, sostengono che nessuna rappresentazione sensibile è di tal tipo; dunque,
essendo la conoscenza solo sensibile in quanto esiste solo la dimensione materiale, tutto è privo di reale
certezza).
La felicità consiste nel rendersi conto di questa situazione (nulla è certo e nulla è
preferibile ad altro) e lasciarsi andare all’ afasia 9, all'atarassia , all'apatia (una sorta di
mistica comunione col tutto).
gli Stoici si rendono conto che la sensazione non sempre è in grado di obbligarci a considerarla come
vera (non sempre è evidente). Per questo cercarono di mettere in luce come, tra le sensazioni, ve ne siano solo
talune in grado di presentarsi come realmente evidenti: furono chiamate sensazioni catalettiche. Come vedremo
gli scettici sosterranno (non senza ragioni) che nessuna sensazione può dirsi catalettica, e quindi nessuna può
porsi come foriera di verità.
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afasia = assenza di parole. E’ evidente che se nulla è dotato di verità, tutto è indifferente e ciò che si
dice non ha alcun valore. Tanto vale tacere.
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Queste scuole smarriscono la scoperta platonica della trascendenza e ritornano, per certi
aspetti, al monismo dei presocratici. A livello teoretico non sono poche le aporie (vedi testo
Reale-Antiseri); tuttavia la preoccupazione di questi autori era effettivamente il problema
morale, più che quello teoretico e dunque si comprende una minore attenzione all’aspetto
prettamente speculativo del filosofare.
Il livello della riflessione, sia in campo logico che in campo metafisico, perde
decisamente spessore (su questo non tutti i critici sono d'accordo) ma occorre dire che la filosofia
aristocratica di Platone ed Aristotele non rispondeva più alla situazione socio-politica creatasi.
In questo sta il merito dei pensatori ellenisti: l'aver colto il nuovo bisogno di felicità
dell'uomo. In verità la risposta a tale bisogno non fu altrettanto convincente e solida come
mostra l'acuta critica degli scettici, critica che ci pare vincente. Va in ogni caso ricordato che
la filosofia stoica ebbe una diffusione ed una longevità notevole (cinque secoli circa), segno
della forza intrinseca della sua morale. Quando i cristiani, diffondendosi tra i ceti colti,
incontreranno la filosofia, incontreranno per primi proprio gli stoici e ammireranno la forza
della loro morale, (pur ovviamente distaccandosi da molti aspetti della stessa e dalla loro
visione del mondo).
2.
Il Cristianesimo
La diffusione del cristianesimo è un fatto che esula di per sé dalla nostra indagine sul
pensiero filosofico, abbracciando più da vicino invece la storia. Il cristianesimo, infatti, è
legato ad una esperienza personale conseguente ad un Avvenimento: la vita storica e concreta
di Gesù di Nazareth, un uomo (unico nel panorama della storia dell’umanità) che si è detto
Dio. Secondo la fede cristiana in un momento del tempo (finito), l’eterno (l’infinito) si è fatto
incontrabile, essendosi Dio stesso “incarnato”, ovvero reso coincidente con un punto del
tempo, con una realtà finita. Questa realtà finita, e dunque sperimentabile dall’uomo,
dapprima fu la persona fisica di Gesù di Nazareth e poi, fino ad oggi, la Chiesa10. Infatti per i
Cristiani l’unità dei credenti (Chiesa) è il “corpo mistico” di Cristo (dunque Dio).
Tuttavia, malgrado questa distinzione di fondo rispetto alla filosofia, è necessario parlare
qui del cristianesimo poiché interrogativi nuovi e stimolanti saranno posti alla ricerca
dell’uomo; inoltre, accadde che i teologi cristiani trovarono grande sintonia con la filosofia
(specie con quella stoica dapprima, e poi con quella platonica-plotiniana). I teologi così
utilizzarono le categorie filosofiche per comprendere più a fondo l’evento cristiano,
dimostrando peraltro da subito una fiducia estrema nella ragione umana, atteggiamento che
sarà costante, poi, in tutta la storia della Chiesa.11
va specificato che la dinamica esistenziale nel Cristianesimo è del tutto opposta a quella della ricerca
filosofica. In filosofia l’uomo tenta di elevarsi a Dio, con un titanico sforzo che compie la sua ragione. In
filosofia l’uomo tende a Dio (alla verità). Nel Cristianesimo, invece, abbiamo la constatazione (piena di stupore e
meraviglia) che Dio stesso è venuto incontro all’uomo. Per cui ora il problema è accogliere Dio, accettarLo, anzi
prima ancora incontrarLo. La filosofia implica sforzo, fatica intellettiva e capacità di non poco conto. Il
Cristianesimo invece implica consapevolezza, umiltà, disponibilità. Nel Cristianesimo il Principio di tutte le cose
(che la filosofia da sempre ricerca con affanno) si può cogliere nella semplicità di un incontro umano; basta
essere disponibili ad accogliere un Altro, una realtà che esula dalle proprie misure razionali ed umane (la qual
cosa implica una notevole umiltà, ovvero la disponibilità di non far prevalere i propri criteri su quanto invece
può sorprendere e scompaginare ciò che già è noto). Ovviamente le due prospettive non si contraddicono; anzi
senza l’attesa, la ricerca, la tensione di giungere a Dio, (propria della filosofia) non avrebbe senso la risposta di
Dio, il venire incontro di Dio all’uomo. (vedi il manuale Reale-Antiseri, in relazione al problema della fede
come superiore alla conoscenza).
11
è assai dibattuto nel corso della storia, ed anche oggi, il tema dei rapporti tra ragione e fede. Sono
opposte? Sono la medesima cosa? Sono conciliabili? La storia della Chiesa mostra come la risposta prevalente
dei filosofi e teologi cristiani, e della stessa gerarchia (vescovi e pontefici) sia stata in maniera inequivocabile
orientata ad affermare la conciliabilità tra ragione e fede, e propensa alla valorizzazione della ragione umana, e
10
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Analizziamo ora alcuni tra i principali problemi che il Cristianesimo pone al pensiero
filosofico classico.
La creatio ex nihilo. I Cristiani, seguendo la tradizione biblico-ebraica, affermano che il
mondo è stato creato da Dio. Ciò comporta due gravi problemi per i filosofi greci. Il primo era
comprendere come fosse possibile creare dal nulla. Ex nihilo nihil, recitava il principio
parmenideo e quello di non contraddizione. Pareva dunque un assurdo logico il pensare che le
cose fossero tratte dal nulla. Il problema in realtà era più ampio e si poteva risolvere pensando
alla realtà ontologica di Dio che, nella sua perfezione d’essere, poneva la condizione razionale
sufficiente per spiegare la presenza degli enti finiti, i quali erano tratti non dal nulla assoluto,
ma da Dio, che li poneva in essere mediante la sua infinita potenza (all’essere infinito, nulla è
impossibile). L’altro grave problema consisteva nella concezione di Dio. Dio, per Aristotele,
come ricorderete, non era interessato al mondo finito. Ora, per i cristiani, addirittura lo crea
(lo crea direttamente, volendolo; ogni cosa, difatti, nell’ottica creazionistica esiste perché
voluta da Dio; ognuno di noi è voluto espressamente dal principio dell’universo). Come è
possibile che Dio (l’infinita perfezione) desideri che esista il finito (imperfetto)? Questo
aspetto non era comprensibile in alcun modo per i greci ed implicava una rivoluzione
culturale (ovvero la concezione dell’amore donativo12), da una parte, e, dall’altra, una nuova
concezione filosofica di Dio, dell’essere e del mondo13.
L’incarnazione di Dio in Cristo. Questo aspetto era poi per i greci un vero assurdo
logico (realmente di difficile se non impossibile risoluzione) e, soprattutto, un vero e proprio
offensivo affronto nei confronti della grandezza ed assolutezza di Dio. Si deve infatti
ricordare che per il mondo greco (a causa dell’influenza orfica) il piano materiale della vita è
assolutamente negativo e inficiato dal male (Platone, Plotino). Pensare che Dio utilizzi il
corpo per salvare l’uomo, anzi pensare che Dio esista come corpo umano (Gesù di Nazareth),
equivale a dire, per i greci, che Dio e il male vengono a coincidere. Il cristianesimo obbliga la
cultura del tempo a riconsiderare la vita corporea rivalorizzandola e dando ad essa un nuovo
significato (tutto è creato da Dio, quindi tutto è voluto da Dio, quindi tutto è buono, anche il
corporeo). Si tenga presente che l’accusa della cultura pagana elevata ai primi cristiani (specie
occidentali) era quella di essere troppo materialisti e concreti, e poco spirituali. In particolare
destava scandalo la dottrina della resurrezione dei corpi, intimamente legata alla precedente.
Per i Cristiani tutto l’uomo è salvato, non solo la sua anima. Ciò era inconcepibile per i greci,
i quali avevano come principale problema quello di liberarsi dalla vita del corpo (questo era in
fondo il frutto dell’esercizio della filosofia: Platone - Plotino).14
Il tema della Trinità. Questo tema costringe i pensatori cristiani ad un grande sforzo di
riflessione intellettiva per poter mostrare non tanto la razionalità di questo assunto (che esula
il potere della ragione, rimanendo mistero), ma la non irrazionalità dello stesso. Ovvero si
tenterà di mostrare, con una notevole fiducia nella ragione umana, come si possa individuare
la ragionevolezza di questo mistero e come esso, sebbene comunque sia più alto alla ragione,
non venga a contraddirla in alcun modo. Si cimenteranno in questo grandi personaggi, tra cui
Clemente Alessandrino, Origene, Basilio il Grande, Gregorio il Nazianzeno, Massimo il
Confessore, e non da ultimo S. Agostino. Nascerà il genere letterario del De Trinitate. Al Dio
solitario e autocontemplantesi di Aristotele, si sostituirà il Dio carità e amore della Trinità, la
quale è il rapporto di amore continuo e perfetto tra le tre persone nell’unica natura divina.
ciò in particolare nella riflessione della scolastica medievale. Ma di ciò parleremo ampiamente più avanti.
12
vedi il manuale Reale-Antiseri. L’amore donativo é l’amore gratuito, una espansione dell’energia
dell’essere oltre a sé.
13
vedi il manuale Reale-Antiseri.
14
vedi il manuale Reale-Antiseri. Vedi anche Atti degli apostoli, 17, 16-34.
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Rispetto alla ascesa della visione della vita cristiana, la cultura pagana tentò, invano, di
difendersi. L’espressione più elevata della filosofia greca (Plotino) si inserisce in questo
contesto.
3.
Plotino (205-270 d.C.), quale sintesi della filosofia classica
E’ un pensatore dall'altissima levatura teoretica, tale da compiere la più elevata sintesi
filosofica di tutta l'epoca classica, con interessi prevalentemente religiosi ed ascetici (in
sintonia con il periodo storico in cui visse)
La sua profondità teorica e il valore del suo filosofare (come dicevamo assai raffinato) è
confermato dal fatto che fu l'autore più influente sui padri cristiani, su Agostino, sul
Medioevo e sull'Umanesimo, nonché sulla stessa epoca moderna.
Il principio di tutte le cose é l'Uno, inteso come assoluta semplicità. Infatti tutto ciò che
esiste, esiste perché è uno; ma ogni realtà pur dovendo possedere l’unità per poter esistere non
é l’unità stessa; difatti si corrompe e viene a meno il suo essere; dunque il principio della
realtà di ciò che esiste (l’unità) è altro dalle cose stesse che esistono; questo principio dunque
va identificato con l’Uno, ovvero con l’assoluta unità intesa come semplicità assoluta. Tale
principio trascende tutto l'essere (trascende la “forma” in cui si identificava l’essere), é un
meta-essere. Essendo superiore all’essere, è anche superiore alla conoscenza (è metaintelligibile). La sua assoluta trascendenza lo fa essere ineffabile per il pensiero umano. Egli é
infinita potenza autocreatrice.
Si deve notare come si sia fatto un passo ulteriore rispetto alla ricerca platonica ed
aristotelica. Infatti mentre per Platone ed Aristotele il principio è la forma, per Plotino è
qualcosa che trascende la forma, in quanto più semplice ed assoluto della stessa. E’ l’assoluta
semplicità, l’assoluta unità, la quale in quanto tale non può essere determinata da alcuna
forma. E’ dunque meta-formale. Esso è trascendente se stesso (è oltre ogni forma che
assume). Tanto più dunque è trascendente il pensiero (che “opera” sulle forme). Per questo
viene dichiarato ineffabile, ovvero incomprensibile al pensiero umano. Eppure è fonte della
comprensibilità di tutte le cose che vengono da lui. Infatti Egli è metacomprensibile e non
irrazionale.
Da esso derivano il Nous e l'Anima. Sono le altre due ipostasi (sostanze) oltre all'Uno.
Esse divengono ipostasi quando si rivolgono all’Uno contemplandolo. La contemplazione è
dunque principio di esistenza, in quanto riempie dell’Uno, la realtà che lo contempla.
La derivazione delle ipostasi dall’Uno è la risposta pagana al creazionismo cristiano.
Non potendo accettare la creazione (per i motivi già trattati) Plotino trova un’ardita e
insuperata (in ambito pagano) soluzione del problema della derivazione delle cose dall’Uno.
L’Uno è libertà assoluta e non dipende dalle cose del mondo (se così non fosse non sarebbe
trascendenza assoluta). D’altra parte l’Uno non crea liberamente il mondo (si cadrebbe nella
soluzione cristiana). Il mondo dunque proviene dall’Uno per necessità. Necessità che tuttavia
non deve implicare un legame necessario in direzione dell’Uno verso il mondo (pena la
negazione della trascendenza dell’Uno).
Questo lo schema utilizzato da Plotino.
L’Uno possiede un’attività propria (attività dell’uno) e un’attività conseguente (attività
dall’uno). La prima attività è assolutamente libera, in quanto l’Uno si autopone
continuativamente. La seconda deriva dalla prima necessariamente, ma essendo la prima
libera, essa è una necessità che consegue da una libertà. Così, postosi liberamente l’Uno,
deriva da esso necessariamente una seconda realtà.
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Come si vede la realtà che deriva è si necessariamente legata all’Uno, ma viceversa
l’Uno non è legato ad essa, in quanto lo stesso Uno si pone sempre con assoluta libertà,
trascendendo se stesso continuamente. Questa soluzione viene chiamata da Giovanni Reale
“processione” (delle cose dall’Uno), per distinguerla dalla creazione (che implica la libera
volontà di Dio di creare le cose) e dall’ “emanazione” (che legando con assoluta e diretta
necessità le cose a Dio toglie a Dio la sua assoluta trascendenza).
Plotino specifica che ciò che viene posto immediatamente dall’Uno è una “materia
intelligibile”, la quale sarà ipostasi (ovvero sussistenza, quindi realtà esistente a tutti gli
effetti) solo quando si rivolgerà all’Uno per contemplarlo, essendo come fecondata della
pienezza e perfezione dell’Uno. Ovvero l’esistenza dell’ipostasi è la presenza in essa
(mediante la contemplazione) della ricchezza ontologica dell’Uno.
Il Nous raccoglie in sé le ricchezze ontologiche del mondo aristotelico e del mondo
platonico. Infatti contemplando l’Uno si riempie di esse, si determina secondo la sua
perfezione e la sua unità per quanto possibile. La riproduzione dell’Uno nel Nous è però
meno alta e pura che non l’uno stesso. Essa avviene all’interno di una incombente molteplicità
(dispersione della semplicità dell’Uno); essa avviene nella forma delle idee platoniche (esse
sono realtà semplici ma sono molte). Il Nous poi si rivolge su di sé per contemplare l’Uno che
è presente in sé. E’ dunque pensiero di pensiero, riflette infinitamente se stesso (o meglio
l’Uno che è presente in sé). Intal senso, come pensiero di sé, esprime il principio aristotelico.
Dunque il Nous è la sintesi dei mondi intelleggibile di Platone e di Aristotele al contempo.
L’Anima, che si produce dal Nous (o meglio dall’Uno presente nel Nous) con la stessa
modalità con cui il Nous si era prodotto dall’Uno, presenta una ulteriore molteplicità. Essa
infatti è tripartita: l’Anima come ipostasi, l’Anima mundi, e l’anima come principio di ogni
singolo uomo (le anime singole).
Il cosmo sensibile non é invece un'ipostasi, mancando ad esso l'energia necessaria per
partecipare (mediante la contemplazione) alla forza creatrice dell'Uno. E’ l’Anima (terza
ipostasi) che mossa a pietà si rivolge alla materia sensibile, prestandole, per quanto è
possibile, quell’energia che è necessaria per poter esistere. Il cosmo quindi é determinato dalla
materia sensibile (non più intelligibile) che, incapace di rivolgersi a contemplare l’Uno, é
assenza del Bene (Uno); dunque é male, e, ripetiamo, é ai limiti dell'esistenza. Per Plotino il
male consiste dunque nell’assenza del bene, (ovvero non possiede un’esistenza in sé)15. Il
cosmo materiale è male, perché non possiede la presenza del bene, il quale è principio di
essere. Dunque il cosmo sensibile in realtà è privazione e mancanza di essere.
Da notare:
o il tentativo di dedurre la materia dal primo principio.
o la prospettiva acosmistica (l’essere del cosmo sembra negato).
o la soluzione al problema del male (il male è privazione, propriamente parlando
esso non “è”, ma è carenza di essere).
L’uomo è la realtà che nel cosmo ha il compito di tornare all’Uno. Infatti grazie alla sua
anima (che fa parte della terza ipostasi), l’uomo può giungere a riunirsi all’Uno, principio di
tutto. La strada passa attraverso le soluzioni platoniche (la bellezza, la virtù, la scienza), ma
Plotino vi aggiunge l’estasi, che consiste in una diretta contemplazione dell’Uno, che avviene
nell’uomo che si è spogliato della sua alterità e si è fatto unione totale e assoluta con l’Uno.
Superando la dimensione della divisione e della molteplicità, l’uomo che mira all’unità può,
già in questa vita, essere una sola cosa con il principio dell’universo. In punto di morte
Plotino esclamò “cercate di ricongiungere il divino che è in voi al divino che è
15
segue così la tradizione platonica che vede nel Bene, il principio a cui tutto ciò che esiste partecipa.
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nell’universo”, e nel motto “spogliati di tutto”, può consistere la proposta esistenziale del
nostro autore.
Lo schema della filosofia plotiniana può essere sintetizzato dunque nell’ exitus et
reditus, ovvero nell’uscita delle cose dall’unità assoluta e suprema, e nel ritorno delle stesse a
quella originaria unità, ritorno che avviene mediante e attraverso l’uomo, il quale con l’estasi
realizza l’unità profonda e reale con il primo principio.
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