Conferenza Episcopale Italiana Conferenza Episcopale del Congo Incontro dei missionari italiani Kinshasa, 15-18 novembre 2004 Messaggio Finale Sorpresa, gioia, entusiasmo, profonda gratitudine: sono i sentimenti che ci hanno fatto sperimentare “Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Sal 132,1). Al Centro pastorale “Nganda” di Kinshasa, convocati dalla Conferenza Episcopale Italiana e dai vescovi della Chiesa congolese, abbiamo vissuto tre giorni di spiritualità e fraternità che hanno rinvigorito la gioia del servizio missionario affidatoci. La vastità del Paese, e le difficoltà di spostamento che ancora esistono, hanno suggerito che a questo incontro fossero invitati soprattutto i missionari dell’area geografica che fa capo a Kinshasa e Lubumbashi, in attesa che altri incontri si possano svolgere nella zona di Kisangani e di Bukavu. A questa prima condivisione delle ansie e delle attese di gran parte del popolo congolese ci siamo ritrovati in 102 tra religiosi/religiose e laici italiani, provenienti da trenta differenti Istituti, Associazioni e Movimenti missionari. L’ascolto della Chiesa che ci ha accolto ha fatto emergere come essa abbia sempre accompagnato i grandi avvenimenti della storia di questo Paese. Soprattutto dopo la proclamazione dell’indipendenza (1960), ispirata dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II ed animata dall’intrepido cardinale Joseph-Albert Malula, arcivescovo di Kinshasa dal 1964 al 1989, la Chiesa del Congo ha aiutato il suo popolo nella ricerca della propria identità nazionale, culturale e spirituale. Scelte decisive sono state e rimangono: il cammino di evangelizzazione più comunitario ed incarnato, la nascita e crescita del clero locale, la valorizzazione del ruolo del laicato, la promozione di una liturgia più inculturata. Quelli trascorsi sono stati però anni non facili, segnati da tante sofferenze. Il martirio di non pochi operatori pastorali, fra cui numerosi missionari, ha drammaticamente accompagnato l’inizio del periodo post-coloniale, i lunghi anni della dittatura, il travaglio della sua caduta e l’avvio della fase di transizione verso la pacificazione nazionale tutt’ora in atto. La condizione socio-politica ed economica in cui versa il Paese è all’origine di tanti mali materiali e spirituali: dalla generalizzata mancanza di lavoro alle retribuzioni inadeguate e incerte, dal fenomeno dei ragazzi di strada al ricorso alle alienanti forme religiose delle sette. Se è vero che il Congo è oggi uno dei Paesi più impoveriti nonostante le ricchezze di cui è favorito, la Chiesa si sente impegnata a dare visibilità all’amore di Dio che salva. Ne fanno fede la presenza attiva su ogni fronte della povertà e l’incessante richiamo ai governanti perché abbiano a cuore gli interessi vitali della gente, evitando di fare della cosa pubblica un tornaconto personale o di lobby. Inoltre, in attesa delle elezioni politiche generali promesse per il 2005 e nel clima di dialogo per la riconciliazione nazionale, è forte l’esigenza formativa per una coscienza critica che favorisca in tutti l’assunzione di un nuovo stile di responsabilità. E così che il Congo potrà contribuire non solo alla pacificazione e al progresso propri, ma dell’intera Africa e del mondo. L’ascolto della Chiesa italiana ci ha aggiornato sulla situazione religiosa e culturale che impegna le comunità che ci hanno inviato a trovare forme sempre nuove di comunicazione del Vangelo. In questo contesto consideriamo decisivo lo sforzo di assumere una impronta fortemente missionaria, 1 espressa non tanto da ulteriori attività quanto piuttosto dalla ricerca di un nuovo stile di essere e fare Chiesa in Italia. Chiamata a mantenere viva la ricca tradizione di invio missionario, la nostra Italia vede crescere al proprio interno nuovi areopaghi di evangelizzazione, che non sono estranei neppure a noi: la presenza di “genti nuove”, il confronto con altre professioni religiose, la formazione all’impegno politico, la sfida delle comunicazioni … sono l’altra faccia dell’ad gentes e rendono molteplici e preziosi i doni che possono essere condivisi tra le nostre Chiese. Oltre alla testimonianza dei propri santi e dei propri martiri, sono “doni” della Chiesa congolese a quella italiana: la centralità dell’amore e della riconciliazione di Gesù Cristo nell’opera di evangelizzazione; l’esperienza della comunione propria della Chiesa famiglia, sorgente di identità e servizi personali; il ruolo attivo dei laici nella vita di comunità; le liturgie festose; la vitalità delle comunità di base; l’atteggiamento di fiducia nelle difficoltà; l’annuncio e la celebrazione dei sacramenti vissuti con la gente. Nel servizio alla Chiesa congolese la Chiesa italiana può portare a sua volta più di un apprezzato aiuto: sensibilizzare sulla situazione in atto nel Paese, approfondendone le cause; favorire maggiore informazione corretta sull’Africa, mettendone in evidenza anche gli aspetti positivi; sostenere la formazione permanente dei preti e altri agenti pastorali locali; restare vicina alla Chiesa locale e ai missionari nei momenti di maggiore difficoltà; continuare a inviare missionari; premere sul governo italiano e le istituzioni internazionali per la soluzione dei problemi del Congo; coinvolgere i soggetti locali nella realizzazione di progetti, offrendo disponibilità di persone e risorse alle loro esigenze di formazione tecnica e umana. Iniziative che tanto più risulteranno utili quanto maggiormente troveranno ispirazione e alimento in una profonda comunione spirituale tra le due comunità. Come missionari infatti possiamo testimoniare che la missione è stata per noi soprattutto un’esperienza di conversione e inizio sempre nuovo di vita con Dio. La situazione di guerra e violenza che in tanti anni abbiamo condiviso con la gente di questo Paese ci ha fatto vivere nella Chiesa e tra la gente del Congo un’avventura unica di fede. Abbiamo visto e sperimentato la presenza della tenerezza del Padre, al quale ci siamo abbandonati in tanti momenti; abbiamo sperimentato che è solo il Signore che interviene e salva; è Lui che si prende cura di quanti sono abbandonati da tutti. Dalla gente più in difficoltà abbiamo imparato la voglia di vivere nonostante tutto; nei momenti più forti di pericolo ci hanno difeso fedeli semplici e poveri; sono loro che hanno mantenuto viva la Chiesa anche di fronte alla persecuzione e alle tante distruzioni. Al di là dei tanti mali che l’affliggono, il ricco cammino di fede della nostra esperienza missionaria in Congo dimostra come non sia affatto questo il momento di abbandonare l’Africa. Occorre però che impariamo a realizzare una presenza evangelizzatrice più incarnata, più umile e più costruita “insieme” alla Chiesa che ci ha accolti. La nostra icona non può essere che quella suggerita dal Battista: “Che lui cresca”. Un “Lui” che abbraccia insieme il Signore della storia ed il nostro popolo impegnato nella costruzione del suo nuovo futuro. Su questa strada comune, la Chiesa italiana e la Chiesa del Congo sono chiamate ancora ad arricchire vicendevolmente la propria vita, riconoscendosi parte di quell’unico popolo di Dio che ovunque vive, annuncia e testimonia le grandi opere del Signore. 2