CASO 13 - Prof. Fabrizio Volpe

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Repertorio n. …
Raccolta n. …
PATTO DI FAMIGLIA
PER TRASFERIMENTO DI AZIENDA E DI
PARTECIPAZIONI SOCIALI AI SENSI DEGLI ARTT. 768BIS SS. C.C.
REPUBBLICA ITALIANA
L’anno …, il giorno … del mese di … (tutto in lettere per disteso)
In … (indicazione del Comune in cui è ricevuto l’atto nel distretto di Roma),
presso la casa di abitazione dell’infracostituito signor Tizio, alla via … n. …,
ove richiesto, ai sensi dell’art. 26 l. not., innanzi a me dott. Romolo Romani,
notaio residente in Roma, iscritto al ruolo presso il Collegio Notarile dei
Distretti riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia, con l’assistenza dei signori:
— … (nome, cognome, luogo e data di nascita, domicilio o residenza del
primo testimone)
— … (nome, cognome, luogo e data di nascita, domicilio o residenza del
secondo testimone)
intervenuti quali testimoni, dotati di tutti i requisiti di legge, come mi
confermano
SONO PRESENTI
— Tizio … (nome e cognome), nato a … il … e residente (o domiciliato) in
… alla via … n. …, codice fiscale …,
che nel prosieguo del presente atto verrà pure indicato come PARTE
CEDENTE;
— Tizietto … (nome e cognome), nato a … il … e residente (o domiciliato)
in … alla via … n. …, codice fiscale …,
che nel prosieguo del presente atto verrà/verranno pure indicati come
PARTE BENEFICIARIA;
— Tizia … (nome e cognome), nata a … il … e residente (o domiciliata) in
… alla via … n. …, codice fiscale …;
— … (nome e cognome), nato a … il … e residente (o domiciliata) in …
alla via … n. …, il quale interviene al presente atto non in proprio ma
per conto e in legale rappresentanza del minore Caietto … (nome e
cognome), nato a … il … e domiciliato in … alla via … n. … (luogo di
residenza familiare ai sensi dell’art. 45, secondo comma, c.c.), codice
fiscale …, in qualità di curatore speciale, nominato con decreto del
giudice tutelare presso il Tribunale di … (domicilio di Caietto) ai sensi e
per gli effetti dell’art. 320, ultimo comma, c.c. che, in copia autentica si
allega al presente atto sotto la lettera “A” e autorizzato al presente atto,
ai sensi dell’art. 375 c.c. con decreto del medesimo Tribunale di …, su
parere del giudice tutelare che, in copia autentica si allega al presente
atto sotto la lettera “B”;
— Mevietto … (nome e cognome), nato a … il … e residente (o domiciliato)
in … alla via … n. …, codice fiscale … che nel prosieguo del presente atto
verranno pure indicati come i FAMILIARI;
Sono altresì presenti i signori:
— Caio … (nome e cognome), nato a … il … e residente (o domiciliato) in
… alla via … n. …, codice fiscale …;
— Sempronio … (nome e cognome), nato a … il … e residente (o
domiciliato) in … alla via … n. …, codice fiscale …;
— Filano … (nome e cognome), nato a … il … e residente (o domiciliato)
in … alla via … n. …, codice fiscale … al fine di rendere il consenso di
cui all’art. 2322 c.c. al trasferimento di partecipazione di cui al presente
atto;
— Quintiliano … (nome e cognome), nato a … il … domiciliato per la carica
presso la sede sociale di cui in seguito, il quale interviene al presente
atto in proprio, in qualità di amministratore unico della società “Beta
s.p.a”, consede in ... alla via ..., n. ..., iscritta nel registro imprese di ...
con numero di iscrizione .... e codice fiscale ..., R.E.A. n. ..., al sol fine di
rendere il gradimento di cui infra alla cessione di azioni di cui al
presente atto.
I costituiti, delle cui identità personali io notaio sono certo, mi richiedono di
ricevere il presente atto pubblico, al quale concordemente
PREMETTONO
quanto segue:
1) il signor Tizio è titolare:
— dell’impresa individuale avente ad oggetto l’attività di … (nel settore
tessile), iscritta al Registro delle Imprese di …, nella sezione ordinaria
con numero di iscrizione e codice fiscale ..., R.E.A. n. ..., esercitata per
mezzo dell’azienda ubicata in …, sotto la ditta …, in forza delle
seguenti autorizzazioni amministrative: … (precisazioni), e a lui
pervenuta per successione al padre … (generalità), nato a … il … e
deceduto in … in data … stanti Dichiarazione di successione
presentata all’Agenzia delle Entrate – Ufficio di … in data ..., e
registrata al numero … e volume …, … (estremi del testamento ove
presente e della relativa registrazione, apertura o pubblicazione),
accettazione di eredità in data … per notaio … repertorio n. … registrata
presso l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di … in data … al n. …, …
(eventuali estremi di trascrizione), e atto di divisione ereditaria per notaio
… in data … repertorio n. … registrato presso l’Agenzia delle Entrate Ufficio di … in data … al n. …, … (eventuali estremi di trascrizione);
— di una partecipazione, a titolo di accomandatario, pari al 25%
(venticinque per cento) del capitale sociale di euro … della società
“Alfa s.a.s. di Tizio”, con sede in … alla via … n. …, avente ad
oggetto l’attività di produzione di pezzi di ricambio auto, costituita
con atto in data … per notaio … repertorio n. …, registrato presso
l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di … in data … al n. …, ed iscritta
presso il registro imprese di … in data … con numero iscrizione e
codice fiscale …, R.E.A. n. …;
— di numero … azioni ordinarie, da nominali euro … (…) cadauna,
pari a una partecipazione complessiva del … % (precisazioni) al
capitale sociale della società “Beta s.p.a.” con sede in … alla via …
n. …, sopra generalizzata e avente ad oggetto la medesima attività
… (nel settore tessile);
2) all’impresa individuale del signor … non collabora alcun suo familiare,
cui possa eventualmente spettare, nel caso di cessione dell’azienda di
cui sopra, il diritto di prelazione previsto dall’art. 230bis c.c.;
3) al fine di determinare il valore dell’azienda del signor …., e delle
partecipazioni alle società “Alfa s.a.s. di Tizio” e “Beta s.p.a.” di cui al
precedente punto 1) (uno) è stata redatta dal dott. … iscritto all’Albo dei
… della provincia di …, all’uopo incaricato, apposita perizia di stima,
riferita alla data di aggiornamento delle situazioni patrimoniali ad essa
annesse, e precisamente … (precisazioni delle date di aggiornamento),
che si allega al presente atto sotto la lettera “C”, perizia dalla quale detti
beni risultano avere rispettivamente:
— l’azienda, comprensiva anche dell’avviamento, valore di complessivi
euro 130.000 (centotrentamila);
— la partecipazione nella “Alfa s.a.s. di Tizio” un valore di complessivi
euro 60.000 (sessantamila);
— il pacchetto azionario nella “Beta s.p.a.” un valore di complessivi
euro 170.000 (centosettantamila);
4) il signor Tizio intende trasferire al proprio figlio Tizietto l’azienda e le
partecipazioni sopra descritte, mediante la stipula di un patto di famiglia
ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 768bis ss. c.c., con l’intervento di
tutti i soggetti di cui all’art. 768quater, primo comma, c.c., precisandosi
al riguardo che, come risulta dal certificato di stato famiglia originario
rilasciato dal Comune di … in data … che in originale si allega al
presente atto sotto la lettera “D” del signor Tizio:
— coniuge è la signora Tizia;
— i loro figli legittimi sono i signori Tizietto e Caietto; mentre figlio
naturale del solo Tizio, come risulta da certificato di nascita rilasciato
dal Comune di … in data …, che in originale si allega sotto la lettera
“E”, è il signor Mevietto;
5) i patti sociali della società “Alfa s.a.s. di Tizio” non prevedono deroghe
alla disciplina di legge per il trasferimento delle partecipazioni dei soci
accomandatari, per le quali è pertanto richiesta l’unanimità dei consensi;
6) lo statuto sociale della società “Beta s.p.a.” prevede all’art. … una
clausola di mero gradimento per il trasferimento della proprietà delle
azioni, sottoponendo il medesimo alla condizione del gradimento
dell’organo amministrativo, ad oggi rappresentato dall’amministratore
unico signor Quintiliano;
7) Tizio ha costituito sul suo pacchetto azionario nella “Beta s.p.a.”, con
atto in data … (precisazioni) il diritto di usufrutto decennale a favore del
signor Mevio ... (generalità).
TUTTO CIÒ PREMESSO
e da considerarsi parte integrante e sostanziale del presente atto, i
comparenti, alla presenza dei testimoni, convengono e stipulano quanto
segue:
ART. 1 - CONSENSO E OGGETTO - Il signor Tizio dichiara di trasferire,
come col presente atto trasferisce, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt.
768bis ss. c.c., al proprio figlio Tizietto, che accetta ed acquista, salvi la
condizione risolutiva di cui infra all’ART. 9 (nove) e l’onere di cui infra
all’ART. 10 (dieci):
1) la piena ed esclusiva proprietà dell’azienda per l’attività di … (nel settore
tessile) corrente in …. e quale descritta in premessa, al punto 1 (uno)
cui si rinvia, azienda costituita da tutti i cespiti, beni, compresi gli
immobili appresso descritti, diritti, rapporti attivi e passivi di specifica
relativa pertinenza (e quali in appresso meglio descritti) e cioè da quel
complesso di beni e di rapporti che nella loro consistenza e nel loro
funzionamento sono di fatto direttamente connessi e coordinati
all’esercizio dell’azienda trasferita, il tutto costituente un complesso
tecnico ed economico organizzato e funzionante e quale risulta, con
indicazione analitica dei valori, dalla perizia di stima che trovasi allegata
al presente atto sotto la lettera “C”.
In particolare sono ricompresi nel complesso aziendale oggetto del
presente trasferimento:
— i beni, le attrezzature, gli arredi, i macchinari e gli impianti esistenti
ed utilizzati per l’esercizio dell’azienda trasferita, nel loro attuale
stato di fatto e consistenza che la parte beneficiaria dichiara di
conoscere ed accettare avendone già preventivamente preso
visione, omessa ogni eccezione e riserva, e quali risultano
dall’elenco descrittivo che si allega al presente atto per formarne
parte integrante e sostanziale (ALLEGATO “F”);
— le merci ed i prodotti costituenti il “magazzino” nel loro attuale stato
di fatto e consistenza e quali risultano dall’inventario redatto tra le
parti che si allega al presente atto per formarne parte integrante e
sostanziale (ALLEGATO “G”);
— i seguenti veicoli ed automezzi: … (precisazioni);
— i marchi e brevetti che risultano descritti nell’elenco che si allega al
presente
atto
per
formarne
parte
integrante
e
sostanziale
(ALLEGATO “H”);
Sono pure ricompresi nel trasferimento:
— l’avviamento, valutato nella situazione patrimoniale che trovasi
annessa alla perizia di stima allegata sotto la lettera “C”, in
complessivi euro …;
— la ditta costituita dalla sigla …;
— l’insegna aziendale costituita dalla denominazione ….
CREDITI – DEBITI - CONTRATTI
Sono ricompresi nel complesso aziendale trasferito:
— i crediti che risultano descritti nella perizia di stima che trovasi
allegata al presente atto (sotto la lettera “C”) nonché nell’elenco che
si allega al presente atto per formarne parte integrante e sostanziale
(ALLEGATO “I”) e comunque tutti i crediti riferiti all’azienda quivi
trasferita; la parte cedente pertanto trasferisce espressamente alla
parte beneficiaria i crediti suddetti. La parte beneficiaria prende atto
che a sensi dell’art. 2559 c.c. il trasferimento di detti crediti avrà
effetto nei confronti dei terzi dalla data di iscrizione del presente atto
presso il Registro delle Imprese di ... e che comunque il debitore
ceduto è liberato se paga in buona fede alla parte cedente;
— i debiti che risultano descritti nella perizia di stima che trovasi
allegata al presente atto nonché nell’elenco allegato al presente atto
(ALLEGATO “L”) nonché tutti gli altri debiti comunque riferiti al
complesso aziendale quivi trasferito; la parte beneficiaria pertanto
dichiara di accollarsi come si accolla, il pagamento di tutti i debiti
relativi al complesso aziendale in oggetto. In particolare la parte
beneficiaria si accolla i seguenti debiti, assumendo a proprio carico
tutti gli obblighi, oneri e vincoli connessi e relativi: … (precisazioni).
La parte beneficiaria subentrerà, a sensi e per gli effetti di cui all’art.
2558 c.c. e con decorrenza dalla data in cui avrà effetto il presente atto,
nei contratti a carattere non personale stipulati nel e per l’esercizio del
complesso aziendale trasferito con persone ed enti sia privati che
pubblici.
In particolare la parte beneficiaria subentrerà nei seguenti contratti ….
(precisazioni).
La parte beneficiaria subentrerà, a sensi e per gli effetti di cui all’art.
2112 c.c., nei rapporti in essere con il personale dipendente, personale
al quale verrà integralmente mantenuto il trattamento sia economico che
di quiescenza sinora praticato e maturato. A tal riguardo la parte
cedente garantisce che i prestatori di lavoro subordinato addetti al
complesso aziendale quivi trasferito sono solo quelli indicati nell’elenco
che si allega al presente atto (ALLEGATO “M”).
La parte cedente si obbliga a compiere senza ritardo tutte le pratiche e
gli atti eventualmente necessari per il subentro della parte beneficiaria
nei contratti di lavoro di cui sopra.
2) La piena proprietà della partecipazione pari al 25% (venticinque per
cento) del capitale sociale della società “Alfa s.a.s. di Tizio”, di nominali
euro … (…).
I costituiti signori Caio, Sempronio e Filano, prestano il loro consenso, ai
sensi dell’art 2252 c.c. al trasferimento della partecipazione del signor
Tizio, e all’acquisizione da parte del signor Tizietto, che accetta, della
qualità di accomandatario.
3) La nuda proprietà delle numero … azioni ordinarie da nominali euro …
(…) ciascuna per una complessiva partecipazione del … al capitale
sociale della “Beta s.p.a.” con sede in … attualmente gravate dal diritto
di usufrutto a favore del signor Mevio fino al ….
Il signor Quintiliano, nella qualità di amministratore unico della detta
società “Beta s.p.a.” presta il proprio consenso e pieno gradimento al
subentro di Tizietto nella titolarità delle azioni, ai sensi e per gli effetti
dell’art. … dello statuto sociale e dell’art. 2355bis c.c.
ART. 2 – PRECISAZIONI E GARANZIE RELATIVE AL TRASFERIMENTO
D’AZIENDA – Il trasferimento d’azienda è effettuato ai seguenti patti e
condizioni.
Il trasferimento ha effetto a partire dalla data odierna.
La parte cedente garantisce la piena proprietà, libertà e disponibilità degli
enti dedotti in contratto e la libertà degli stessi da pesi, sequestri,
pignoramenti, privilegi, anche di carattere fiscale.
La parte cedente garantisce:
— che non ci sono a carico dell’azienda trasferita debiti per tributi, tasse,
imposte dirette e indirette (salvo quelli sopra indicati ed oggetto di
trasferimento) né risultano irrogate sanzioni di qualsiasi genere, né vi
sono contestazioni in corso da parte dell’Amministrazione finanziaria;
— che i dipendenti suddetti sono stati regolarmente retribuiti per tutte le
prestazioni eseguite nel corso del rispettivo rapporto di lavoro in
conformità alle applicabili disposizioni di legge e di contratto;
— che rispetto alle retribuzioni corrisposte ai lavoratori subordinati sono
stati regolarmente effettuati tutti i versamenti dovuti in relazione alle
assicurazioni sociali obbligatorie, ai contributi e alle ritenute di legge.
Gli effetti economici del qui perfezionato trasferimento, per quanto riguarda
il godimento dell’azienda trasferita, nonché il possesso dei beni aziendali
hanno inizio dalla data odierna, e da oggi in avanti saranno a favore della
parte beneficiaria i redditi ed a suo carico le spese, gli oneri relativi, ed in
particolare i tributi di qualsiasi specie afferenti all’esercizio dell’azienda ed
agli immobili aziendali.
Le parti convengono che la parte cedente non sia vincolata al divieto di
concorrenza di cui all’art. 2557 c.c.
La parte cedente garantisce che con riguardo ai beni ed altri elementi
costituenti il complesso aziendale quivi trasferita, non vi sono in corso
contenziosi
giudiziari
e/o
extragiudiziari
di
natura
civile,
penale,
amministrativa, urbanistica, tributaria, previdenziale e che l’attività svolta
nell’esercizio dell’azienda quivi trasferito è stata e viene esercitata in
conformità alle vigenti normative, senza dare luogo a infrazioni o violazioni
di legge o di regolamenti applicabili alla stessa attività; in particolare
garantisce la parte cedente che non sono state commesse violazioni di
norme in materia di tutela dell’ambiente, di sicurezza del lavoro, di
prevenzione degli infortuni.
La parte cedente presta fin d’ora ogni più ampio ed opportuno assenso alla
voltura delle licenze e/o autorizzazioni amministrative di qualsiasi specie,
richieste dalle vigenti leggi, per l’esercizio dell’azienda trasferita, ed in
particolare delle licenze e/o autorizzazioni citate in premessa, venendo la
parte beneficiaria medesima autorizzata ad esperire le pratiche tutte che si
rendessero necessarie per operarne la voltura al proprio nome; il presente
trasferimento è subordinato al rilascio, in capo alla parte beneficiaria, delle
suddette licenze e/o autorizzazioni amministrative e si intenderà pertanto
come non avvenuto nel caso in cui, per cause indipendenti dalla volontà
delle parti, non venissero rilasciate le necessarie autorizzazioni.
ART.
3
–
PRECISAZIONI
RELATIVE
AI
TRASFERIMENTI
DI
PARTECIPAZIONI SOCIALI – Con riferimento alle partecipazioni sociali la
parte cedente garantisce che esse spettano ad essa in piena proprietà,
libere da pesi, sequestri, pignoramenti, privilegi anche fiscali, diversi dal
diritto d’usufrutto in favore del signor Mevio fino al … sulle azioni di
partecipazione alla società “Beta s.p.a.” in forza del titolo di cui in premessa
al punto 7 (sette), e che esse sono integralmente liberate e pertanto nessun
ulteriore esborso di capitale potrà essere richiesto alla parte beneficiaria.
Precisa poi, con particolare riferimento alle azioni della “Beta s.p.a.”, che
l’esercizio dei diritti sociali ad esse relativo è così regolato nell’atto
costitutivo dell’usufrutto a favore di Mevio … (eventuali precisazioni ai sensi
dell’art. 2352 c.c.).
ART. 4 – QUOTE DI DIRITTO DEI FAMILIARI – I familiari, qui costituiti
signori Tizia, Tizietto e Mevietto, e il signor … nella detta qualità in legale
rappresentanza del signor Caietto, dichiarano di prestare il proprio
consenso, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 768quater c.c., al presente
PATTO DI FAMIGLIA con diritto, pertanto, alla liquidazione dei propri diritti
per un valore corrispondente a quello delle quote di cui agli artt. 536 ss.
c.c., rispetto alle quali dichiarano quanto segue:
— la signora Tizia ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 768quater c.c.
dichiara di rinunciare, come rinuncia alla liquidazione dei propri diritti per
l’intero valore corrispondente a quello della quota di sua spettanza ai
sensi degli artt. 536 ss. c.c.
— i signori Tizietto, Mevietto e Caietto, quest’ultimo come rappresentato, ai
fini della liquidazione dei diritti loro spettanti, fanno constare quanto
segue:
— valore dell’azienda trasferita euro 130.000 (centotrentamila);
— valore della piena proprietà della partecipazione nella società “Alfa
s.a.s. di Tizio” euro 60.000 (sessantamila);
— valore della nuda proprietà, gravata da usufrutto decennale a favore
di Mevio, sulle numero … azioni ordinarie da nominali euro … (…)
ciascuna della società “Beta s.p.a.” euro 170.000 (centosettantamila)
il tutto come risulta dalla perizia di stima alla data … allegata al presente
atto sotto la lettera “C”;
Pertanto le quote spettanti ai familiari sono così determinate:
— quota spettante alla signora Tizia pari valore di euro 90.000
(novantamila);
— quota spettante al signor Caietto euro 60.000 (sessantamila);
— quota spettante al signor Mevietto euro 60.000 (sessantamila).
Le parti convengono che la quota di spettanza del signor Mevietto sarà
liquidata in natura con beni di valore corrispondente.
ART. 6 –LIQUIDAZIONE DEI DIRITTI SPETTANTI AI FAMILIARI - A titolo
di liquidazione dei diritti spettanti ai familiari, così come sopra quantificati, e
preso atto della rinunzia della signora Tizia, il beneficiario Tizietto versa:
a) al signor … che per conto e in legale rappresentanza di Caietto, nella
detta qualità accetta, rilasciandone con la firma del presente atto, ampia
quietanza liberatoria, la somma in denaro di euro 30.000 (trentamila)
rappresentata da … (mezzi di pagamento conformi all’art. 49 d.lgs. 21
novembre 2007, n. 231, ulteriori modifiche e integrazioni), impegnandosi
altresì, al medesimo titolo di liquidazione, a versare al signor Caietto la
ulteriore differenza di euro 30.000 (trentamila), senza interessi, entro il
termine del ….
Il pagamento della somma dilazionata è garantito dalla parte
beneficiaria mediante … (precisazioni);
b) al signor Mevietto, che accetta, rilasciandone con la firma del presente
atto, ampia quietanza liberatoria, a titolo di liquidazione dei diritti
spettanti ai “familiari”, così come sopra quantificati, il disponente signor
Tizio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1180 c.c., volendo estinguere con
effetto immediato l’obbligo di liquidazione maturato in capo al figlio
Tizietto, per spirito di liberalità, trasferisce la piena ed esclusiva
proprietà del seguente bene immobile:
— appartamento per civile abitazione in Comune di Napoli, al piano … interno
… del fabbricato in via … n. …, così composto … (descrizione), confinante
con … (indicazione di almeno tre confini) e riportato nel Catasto Fabbricati del
Comune di Napoli al foglio …, particella …, subalterno …, categoria …,
classe …, vani …, rendita catastale euro ….
VALORE – Il disponente, il beneficiario e i familiari riconoscono al
trasferimento valore di euro 60.000 (sessantamila) pari alla quota di
liquidazione spettante al signor Mevietto nei confronti dell’assegnatario
Caietto. Mevietto pertanto si dichiara soddisfatto, prendendo atto degli
effetti di cui al successivo ART. 7 (sette) e precisando di non aver altro a
pretendere per la causale in oggetto.
TRASFERIMENTO IN LUOGO DI ADEMPIMENTO - Il signor Mevietto
dichiara di accettare il trasferimento immobiliare in oggetto quale
prestazione diversa dall’adempimento dell’obbligo di liquidazione gravante
a carico del signor Tizietto per euro … (…) ai sensi e per gli effetti dell’art.
1197 c.c.
Pertanto, fermo restando che a carico dell’adempiente gravano come di
seguito specificato le garanzie della vendita, in caso di inadempimento il
signor Mevietto avrà la facoltà di chiedere la prestazione originaria al signor
Tizietto e il risarcimento del danno.
PROVENIENZA – Il bene ceduto è pervenuto al signor Tizio in forza del
seguente titolo di provenienza: atto in data … (negli anni ‘80, prima del
matrimonio con Tizia) per notaio … repertorio n. …, registrato presso
l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di … in data … (1980), al n. … e trascritto
nei registri immobiliari di Napoli in data … (1980), ai nn. … RG e … RP.
REGOLARITÀ CATASTALE - Ai sensi dell’art. 29, comma primo bis, l. 27
febbraio 1985, n. 52, come introdotto dall’art. 19, comma quattordicesimo,
d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122, il signor
Tizio
DICHIARA
1) che i dati di identificazione dell’appartamento contenuti nel presente
ART. 6 (sei) sono quelli in catasto riferiti alla planimetria a firma del
geom. … iscritto all’Albo dei Geometri della Provincia di … allegata alla
Dichiarazione prot. n. …, raffigurante l’immobile in oggetto;
2) che vi è piena conformità della planimetria e dei dati catastali allo stato
di fatto dell’immobile in oggetto.
Io notaio, avendo effettuato completa visura ipotecaria e catastale relativa a
tutte le unità urbane di cui al presente atto, sempre ai sensi dell’art. 29,
comma primo bis, l. 27 febbraio 1985, n. 52, come introdotto dall’art. 19,
comma quattordicesimo, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio
2010, n. 122
ATTESTO
— che sussiste piena conformità tra l’intestazione catastale e le risultanze
dei registri immobiliari, risultando prima del presente entrambe in capo a
Tizio.
REGOLARITÀ URBANISTICA – Ai sensi della l. 28 febbraio 1985, n. 47,
dell’art. 46 del Testo Unico Edilizio - d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380,
successive modifiche ed integrazioni, la parte trasferente dichiara:
— che l’edificio in cui è sito l’appartamento è stato edificato in virtù di …
(licenza, concessione, permesso di costruire a seconda della vetustà)
rilasciato dal Comune di Napoli in data …, prot. n. …;
— che successivamente all’edificazione non sono intervenute modifiche
soggette a titoli abilitativi od oggetto di provvedimenti sanzionatori.
PRECISAZIONI, POSSESSO E GARANZIE DI LEGGE - L’immobile si
intende ceduto a corpo e non a misura, nello stato di fatto e di diritto in cui
attualmente si trova, ben noto al signor Mevietto, con ogni accessorio,
pertinenza, onere e diritto inerente, servitù attiva e passiva.
La parte alienante garantisce la piena proprietà e disponibilità di quanto
trasferito, nonché la libertà da pesi, vincoli, privilegi anche di natura fiscale,
diritti di terzi in genere, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli.
Precisa altresì che quanto attribuito a Tizietto è bene personale, in
particolare ai sensi dell’art. 178 c.c. per la partecipazione nella società “Alfa
s.a.s. di Tizio”, ai sensi dell’art. 179, primo comma, lett. b), c.c. per
l’azienda, e ai sensi dell’art. 179, primo comma, lett. a), c.c. per le azioni
della società “Beta s.p.a.”.
CONFORMITÀ DEGLI IMPIANTI ALLE NORME DI SICUREZZA – Nel
rispetto della normativa in tema di conformità degli impianti all’interno
degli edifici, ai sensi e per gli effetti del Decreto del Ministero dello
Sviluppo Economico 22 gennaio 2008, n. 37, la parte venditrice dichiara
che tutti gli impianti di dotazione degli immobili oggetto del presente atto
sono conformi all’attuale normativa vigente e, pertanto, garantisce
espressamente la parte acquirente circa la conformità degli impianti alle
vigenti norme di sicurezza, e che all’uopo è stata rilasciata …
(dichiarazione di rispondenza o di conformità ai sensi e per gli effetti
dell’art. 7 d.m. n. 37/08 citato). All’uopo, nel rispetto di quanto disposto
dall’art. 1477, ultimo comma, c.c., la parte venditrice dichiara di
consegnare,
come
consegna,
alla
parte
acquirente,
che
riceve
dichiarando di averla visionata e di conoscerne pienamente il contenuto,
tutta la documentazione tecnica ed amministrativa in suo possesso
inerente agli impianti.
IPOTECA LEGALE – La parte alienante rinunzia a qualsiasi diritto di
ipoteca legale ad ella eventualmente spettante esonerando il signor
Direttore dell’Agenzia del Territorio - Conservatore dei Registri Immobiliari
di Napoli da ogni responsabilità al riguardo.
ART. 7 – EFFETTI DEL PATTO DI FAMIGLIA – Parte beneficiaria e
familiari danno atto che quanto dagli stessi ricevuto per effetto del presente
PATTO di FAMIGLIA non è soggetto né a collazione né a riduzione, ai
sensi dell’art. 768quater, ultimo comma, c.c. rispetto al patrimonio del
disponente,
ad
eccezione
dell’appartamento
in
Napoli
liquidato,
direttamente da Tizio, a favore del figlio Mevietto.
Relativamente ad esso le parti prendono atto che il trasferimento
provenendo non dal beneficiario Tizietto ma da Tizio, costituisce
adempimento del terzo ai sensi dell’art. 1180 c.c. mediante trasferimento di
diritto reale in luogo di adempimento ai sensi dell’art. 1197 c.c. e che
pertanto esso, effettuato dichiaratamente per spirito di liberalità, costituisce
ulteriore donazione indiretta a favore di Tizietto, che è estranea agli effetti
appena descritti del patto di famiglia.
Si prende atto altresì che la rinunzia della signora Tizia al conseguimento
della liquidazione da parte di Tizietto non incide sulla quota di legittima a lei
spettante al momento dell’apertura della successione di Tizio, né
costituisce rinunzia alcuna nemmeno parziale all’azione di riduzione. La
signora Tizia mantiene pertanto intatta la quota di legittima in valore
quantitativo, fermo restando l’effetto di cui all’art. 768quater, ultimo comma,
c.c.
Il signor Tizio dichiara di dispensare il figlio Caietto dall’imputazione di
quanto ricevuto per effetto del presente contratto, nei limiti della disponibile,
ai sensi dell’art. 564, secondo comma, c.c.
Il signor … in legale rappresentanza di Caietto, e i signori Tizietto, Mevietto
e Tizia prendono atto della dispensa.
ART. 8 – SCIOGLIMENTO E MODIFICHE DEL PATTO DI FAMIGLIA - Il
presente contratto può essere sciolto o può essere modificato mediante
nuovo contratto, da redigersi nella forma di atto pubblico, e da approvarsi
da tutte le persone che hanno concluso il presente PATTO di FAMIGLIA.
ART. 9 – CONDIZIONE RISOLUTIVA – Le presenti convenzioni sono da
intendere sottoposte alla condizione risolutiva che Tizietto non mantenga,
per i beni produttivi a lui assegnati, i seguenti livelli di produttività: …
(precisazioni) nei prossimo anni e precisamente … (precisazione del
termine).
In tal caso le convenzioni si intenderanno risolte fin dalla data odierna, ai
sensi e per gli effetti degli artt. 1353 ss. c.c.
ART. 10 – ONERE A CARICO DEL BENEFICIARIO – Il signor Tizio pone a
carico di Tizietto l’onere di prestare assistenza morale e materiale alla
nonna Tiziona … (generalità) per tutta la vita di lei ai seguenti patti e
condizioni … (precisazioni).
L’inadempimento dell’onere potrà costituire causa di risoluzione delle
presenti attribuzioni ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 793 c.c.
ART. 11 – RECESSO - Al signor Tizio è riconosciuto il diritto di recesso ai
sensi dell’art. 768septies c.c.; la volontà di esercitare il diritto di recesso
dovrà risultare da dichiarazione redatta nella forma di atto pubblico da
notificare a tutte le persone che hanno concluso il presente PATTO DI
FAMIGLIA, mediante … (precisazioni). Il recesso avrà effetto dal momento
in cui tutte le persone destinatarie della dichiarazione di recesso ne siano
venute a conoscenza. Dal momento in cui il recesso avrà effetto si dovrà
procedere alla restituzione dei beni e diritti trasferiti col presente atto e ciò
con le seguenti modalità ed entro i seguenti termini: … (precisazioni).
Il diritto di recesso potrà essere esercitato fino a … (precisazioni).
ART. 12 - REGIME PATRIMONIALE - Le parti, a sensi della l. 19 maggio
1975, n. 151 e, per le finalitài di cui all’art. 2659 c.c. dichiarano:
— il signor Tizio di essere coniugato in regime di comunione legale dei
beni ma l’immobile trasferito al figlio Mevietto è bene personale ai sensi
dell’art. 179, primo comma, lett. a), c.c.
— Mevietto di essere di stato libero.
ART. 13 - SPESE E IMPOSTE - Spese e imposte del presente atto,
accessorie e dipendenti, cedono come per legge.
Richiesto, io notaio ho ricevuto il presente atto, scritto da me interamente a
mano su fogli sette per pagine ventiquattro intere e la venticinquesima fin
qui. Di esso, unitamente a quanto allegato, alla presenza di testimoni, ho
dato lettura ai comparenti, che a mia domanda, dichiarano di approvarlo
riconoscendolo conforme all’espressami loro volontà e pertanto lo
sottoscrivono in fine e margine come per legge con i testimoni e me notaio
alle ore … e minuti …
… (sottoscrizione con nome e cognome di Tizio)
… (sottoscrizione con nome e cognome di Tizietto)
… (sottoscrizione con nome e cognome di Tizia)
… (sottoscrizione con nome e cognome del curatore speciale di Caietto)
… (sottoscrizione con nome e cognome di Mevietto)
… (sottoscrizione con nome e cognome di Caio)
… (sottoscrizione con nome e cognome di Sempronio)
… (sottoscrizione con nome e cognome di Filano)
… (sottoscrizione con nome e cognome di Quintiliano)
… (sottoscrizione con nome e cognome del primo testimone)
… (sottoscrizione con nome e cognome del secondo testimone)
Romolo Romani, notaio (Impronta del sigillo ex art. 52 l. not.)
Seguono allegati debitamente sottoscritti
Motivazione
Il caso in oggetto non presenta particolari problemi formali. Possiamo limitarci a precisare che è
opportuno ricevere il patto di famiglia alla presenza di due testimoni: ciò non è previsto dalla legge, ma
esiste una parte della dottrina che assimila l’istituto alla donazione, per la quale tale presenza è obbligatoria
(art. 48 l. not.); inoltre, come vedremo vi è un ulteriore atto di liberalità indiretta dal disponente al
beneficiario assegnatario che rende fortemente opportuna la loro presenza.
Le volontà espresse dalle parti nel merito conducono alla formulazione di un patto di famiglia: Tizio,
infatti, titolare di diversi beni “produttivi”, anche se non tutti, come vedremo, rientranti nell’ambito
applicativo di tale istituto, vuole attribuirli al solo figlio Tizietto, purché sia possibile sottrarli a successive
contestazioni all’apertura della successione per eventuali lesioni di legittima.
È questo il tipico risultato del patto di famiglia. Occorre però verificare quali, tra le entità produttive in
titolarità di Tizio, sono suscettibili di rientrarvi.
Sicuramente può rientrarvi l’azienda tessile, pervenuta a Tizio per successione ereditaria, e quindi in sua
titolarità esclusiva. La traccia non fornisce precisazioni, per cui si può presupporre che l’azienda sia
funzionante e quindi trasferibile come “complesso” e non come sommatoria di beni ormai disgregati
per la perdita dell’elemento funzionale dell’esercizio. In aderenza alla dottrina dominante si può quindi
ritenere che il trasferimento sia “coperto” dal patto di famiglia consentendo l’avvicendamento nella gestione
attiva dell’azienda.
Anche la partecipazione paritaria con Caio, Sempronio e Filano, nella società “Alfa s.a.s. di
Tizio” può essere oggetto del patto: Tizio è infatti socio accomandatario e amministratore. Secondo le
indicazioni della dottrina, purché si consenta al beneficiario di subentrare in una partecipazione con
potenzialità gestorie (quindi, nelle società di persone, sicuramente con responsabilità illimitata), il patto può
operare. Nel caso di specie, occorrono la presenza e il consenso degli altri soci (art. 2252 c.c.) i
quali contestualmente possono accettare Tizietto come nuovo accomandatario così assicurandogli la
posizione gestoria.
La partecipazione nella “Beta s.p.a.” può farsi rientrare: nonostante le perplessità di parte della dottrina,
anche le azioni possono costituire oggetto di patto di famiglia, almeno quando la partecipazione
possa assicurare un controllo sulla società. Tizio è titolare del pacchetto di maggioranza delle azioni, per cui
ha il pieno dominio della società stessa. Va però considerato che egli ha attribuito a Mevio l’usufrutto per
dieci anni su tali azioni, e quindi, deve presumersi, il relativo diritto di voto (art. 2352 c.c.). Secondo la
dottrina però anche la nuda proprietà di beni produttivi può essere oggetto di patto di famiglia, in
quanto, considerandosi la potenzialità riespansiva della proprietà, con la cessazione dell’usufrutto, si
assicura comunque il subentro del beneficiario nella titolarità del bene, e in questo caso della partecipazione
dominante. Naturalmente Tizietto subentrerà nei diritti e obblighi di Tizio convenuti nell’atto costitutivo
dell’usufrutto. In assenza di precisazioni sulla natura della società (quotata, chiusa o con
azioni diffuse ma non quotate) si può lasciare aperta la clausola relativa alle modalità di
esecuzione del trasferimento. Dovendosi rispettare le norme previste per il trasferimento delle
partecipazioni, si deve considerare l’esistenza di una clausola di gradimento ai sensi dell’art. 2355bis c.c.:
Quintiliano, amministratore unico, può allora intervenire per prestare il suo consenso, rilasciando così il
gradimento e rendendo pienamente efficace e opponibile alla società il trasferimento.
Non possono, invece, ricomprendersi nel patto la partecipazione alla “Sirio s.a.p.a. di Luigi” e
il diritto di affittuario sull’altra azienda di ristorazione: la prima è a titolo di accomandante, e per
una sola azione, per cui non è in grado di assicurare il controllo sull’azienda esercitata dalla società né alcun
potere gestorio; il secondo è un diritto personale di godimento che non determina alcun subentro “reale” e
definitivo nella titolarità dell’impresa. Se è vero che l’affittuario diventa egli stesso imprenditore e titolare
dell’azienda (ricordiamo che il concetto di titolarità è ben distinto da quello di proprietà), ciò non avviene
per un “acquisto” dal disponente dante causa a titolo definitivo, ma per via di una “concessione” in
godimento personale; i diritti di godimento personale non sono acquisti definitivi al patrimonio del
beneficiario, essendo continuamente soggetti al presupposto che il concedente rispetti il suo obbligo di “far
godere”, mancando in definitiva del requisito della “assolutezza”.
Beneficiario del patto è Tizietto. Altri potenziali legittimari al momento della stipula sono Tizia,
moglie di Tizio, e i figli Caietto, ancora minore, e Mevietto figlio naturale, si presuppone
riconosciuto, di Tizio. Tutti questi soggetti devono partecipare al patto, secondo molta dottrina a
pena di nullità (art. 768quater, primo comma, c.c.).
Non occorre la partecipazione Tiziona, madre di Tizio. Se è vero che gli ascendenti sono legittimari,
ella non avrebbe alcun diritto di legittima ove al momento del patto si aprisse la successione, operando in
materia il principio secondo cui la linea discendente esclude quella ascendente (art. 544 c.c.): la madre è
allora legittimaria di secondo grado e non è chiamata a partecipare, perché se si aprisse la successione
legittimari sarebbero soltanto Tizia e i figli di Tizio.
Caietto, essendo minore, non può intervenire in prima persona: neppure ci pare possa essere
rappresentato dalla madre, in quanto ella stessa è partecipe del patto e quindi in potenziale conflitto di
interessi1. Evidentemente, non può rappresentarlo neppure Tizio che è disponente e parte del contratto in
posizione “opposta” a quella dell’assegnatario e dei “familiari” liquidati. Occorre pertanto l’intervento di un
curatore speciale, nominato ai sensi dell’art. 320, ultimo comma, c.c. dal giudice tutelare, che sarà quello
operante presso il Tribunale del domicilio di Tizietto, secondo il criterio generale della volontaria giurisdizione.
In tal caso, ai sensi dell’art. 45 c.c. il domicilio coincide con la residenza familiare. Il ricorso non potrebbe
essere presentato dal notaio stesso, dotato dello ius postulandi in materia di volontaria giurisdizione
solo per i provvedimenti strettamente connessi all’incarico della stipula (art. 1, l. not.): il provvedimento di
nomina del curatore speciale non è infatti sufficiente a legittimare quest’ultimo alla stipula (a differenza di
quanto accade nel caso di cui all’art. 321 c.c.), occorrendo un’ulteriore autorizzazione a intervenire al patto.
Secondo la dottrina tale autorizzazione è soggetta alle norme previste per il tutore, essendo il curatore
estraneo al minore sotto il profilo del vincolo parentale: si applicano quindi le norme degli artt. 374 ss.
c.c. In particolare, nel patto di famiglia per i familiari non assegnatari dei beni produttivi vi è un atto
“dispositivo”: la rinuncia alla tutela – anche “reale” – della legittima, e alla collazione, in cambio della
liquidazione ai valori attuali. L’autorizzazione deve dunque essere richiesta al Tribunale ai sensi dell’art. 375
c.c. e sarà resa su parere del giudice tutelare: questa potrà essere anche chiesta dal notaio, in quanto
strettamente correlata alla stipula.
Quanto a Mevietto, occorre solo ribadire che in assenza di indicazioni contrarie nella traccia si può
presupporre che egli sia riconosciuto, non potendosi altrimenti considerare come potenziale legittimario.
Non è possibile invece coinvolgere il figlio nascituro di Tizio e Tizia. La partecipazione di nascituri è
infatti fenomeno eccezionale di tutela anticipata, secondo alcuni riconoscimento prenatale di capacità
giuridica (art. 1 c.c.), e in assenza di previsioni di legge, nonostante la vicinanza del patto di famiglia con la
donazione per la quale è previsto che il donatario possa essere nascituro (art. 784 c.c.), pare più prudente
evitare l’intervento di essi, mediante rappresentante.
Il notaio, per rispettare il disposto dell’art. 768quater, primo comma, c.c. può far produrre a Tizio il
certificato di stato di famiglia, dal quale risultano il coniuge e i figli legittimi, e un certificato di nascita di
Mevietto.
Le quote, ai sensi degli artt. 536 ss. sono così determinate: Tizia ha una quota di legittima pari a 3/12 e
i tre figli Tizietto, Caietto e Mevietto ciascuno una quota pari a 2/12. Tali quote devono essere
applicate al valore dei beni che Tizio intende donare a Tizietto (il totale ammonta a euro 360.000). Quanto
all’azienda in particolare, la traccia indica un valore di euro 130.000, tenuto conto di tutti i rapporti inerenti,
e pertanto con aggiunta dei crediti e dedotti i debiti accollati a Tizietto.
Tizio è così tenuto a liquidare:
Sul conflitto d’interessi dei genitori nelle liberalità, cfr. Il conflitto d’interesse nella donazione, in questo VOL., CASO 2 INTER
VIVOS, Parte Teorica.
1
— a Tizia euro 90.000;
— a Caietto e Mevietto euro 60.000 ciascuno.
La dilazione di pagamento a Caietto non comporta particolari problemi: come si dirà in parte teorica, la
dilazione è sicuramente legittima, salvo verificare se in presenza di essa l’effetto di “consolidamento” del
patto può considerarsi attuale o vada rinviato all’adempimento. La previsione di una autonoma
impugnazione per il caso di inadempimento degli obblighi di liquidazione sembra legittimare la prima
interpretazione: Caietto comunque perde la possibilità di agire in riduzione o collazione sui beni assegnati a
Tizietto immediatamente anche se non c’è stato l’integrale adempimento.
Più problematica è la posizione di Mevietto: Tizio vuole trasferirgli in prima persona l’appartamento in
Napoli. In dottrina si è ipotizzato che questa fattispecie (l’adempimento da parte del disponente) possa
rientrare nel congegno causale del patto di famiglia, e che quindi il trasferimento sia assorbito nel patto e
chiuda definitivamente la vicenda. Esso costituirebbe una ulteriore liberalità del disponente a favore dei
beneficiari non assegnatari. Questa opinione, che coglie la ratio dell’istituto e tiene conto delle sue
potenzialità pratiche, non pare condivisibile: in assenza di una specifica previsione, l’adempimento da parte
del disponente va considerato come vicenda dispositiva autonoma e ulteriore. In sostanza Tizio estingue
l’obbligazione che dovrebbe gravare sul figlio Tizietto, assumendone il peso economico. Si tratta di un
adempimento del terzo (1180 c.c.). Esiste sì una liberalità ulteriore, ma non è a favore dei beneficiari non
assegnatari, i quali non ricevono altro che quel che a loro spetta, ma a favore di Tizietto che viene sollevato
da un peso economico. Peraltro non per forza ciò deve avvenire per intento liberale del disponente a favore
del beneficiario. Ove così sia, come nel caso di specie, il disponente realizza una donazione indiretta, che
sarà riducibile, imputabile e soggetta alla collazione in quanto del tutto estranea al patto di famiglia.
La liquidazione in natura deve essere specificamente convenuta: nel dibattito dottrinario, pare
preferibile la dottrina secondo cui essa costituisce una datio in solutum, in luogo cioè dell’adempimento
dell’obbligazione che sorge automaticamente ed ex lege in denaro. Si potrebbe obiettare che, una volta
convenuta la liquidazione in natura, l’obbligazione sorge già con tale oggetto, per cui il trasferimento
costituisce ordinario adempimento e non “diversa prestazione”. La dottrina però fa osservare che è la legge
stessa (art. 768quater, ultimo comma, c.c.) a prevedere una specifica pattuizione: se fosse sempre e
comunque possibile liquidare in natura ricorrendo alla datio in solutum, questa posizione non avrebbe
senso.
Tutte le attribuzioni del patto sono imputabili alle quote di riserva: ciò significa che ciascun
legittimario dovrà imputare quanto ricevuto dal beneficiario Tizietto (o in adempimento del di
lui obbligo, da Tizio), alla legittima che gli spetta sulla successione di Tizio. Solo il “residuo”
potrà farsi valere all’apertura della successione.
Al riguardo, occorre fare alcune precisazioni per Caietto e Tizia.
Caietto è dispensato dall’imputazione: ciò è ritenuto pacificamente legittimo in dottrina, per cui egli,
fermo restando il vincolo del patto, e quindi l’impossibilità di pretendere la riduzione in natura o la
collazione dei beni non dovrà imputare quanto ricevuto alla quota di legittima che gli spetterà alla morte di
Tizio. Potrà dunque pretendere la legittima per intero, purchè la dispensa non superi, all’apertura della
successione, il limite della disponibile.
Tizia poi, rinunziando interamente alla liquidazione, con ciò non rinuncia alla quota di legittima,
neppure in parte. Sarà vincolata al contenuto del patto e quindi non potrà pretendere la riduzione in
natura delle assegnazioni o la collazione delle medesime, ma resta integro il diritto alla legittima in valore.
Un effetto ulteriore della rinuncia sarebbe esorbitante rispetto al disposto normativo, che ha consentito solo
negli stretti limiti previsti di derogare al divieto dei patti successori rinunziativi. Tizia avrà quindi diritto
all’intera quota senza limiti: per dismetterla dovrà, a morte di Tizio (art. 557 c.c.) rinunziare all’azione di
riduzione o, se istituita erede, all’eredità.
Non è possibile inserire nel patto la riserva di disporre a favore del disponente Tizio (art. 790
c.c.): la dottrina osserva che il patto ha una natura comunque autonoma rispetto alla donazione, e che
quindi tale clausola, che costituisce una condizione risolutiva meramente potestativa eccezionalmente
valida, non possa essere utilizzata per altri casi.
È, invece, possibile prevedere un onere a carico di Tizietto: tutti gli atti a titolo gratuito sono passibili di
oneri. Apparendo dalla traccia che l’assistenza da prestare a Tizia è ritenuta da Tizio determinante, è
opportuno inserire la previsione della risolubilità dell’attribuzione per il caso di inadempimento
dell’onere.
Quanto al recesso, la legge stessa lo contempla quale ipotesi di scioglimento del patto. Non è però effetto
del recesso, in quanto risoluzione su base volontaria, il superamento dei diritti acquisiti dai terzi (es. un terzo
avente causa, salvi i limiti di opponibilità a seconda della natura dei beni coinvolti). Anche aderendo alla tesi
permissiva secondo cui l’ultimo comma dell’art. 1373 c.c. consenta di inserire una previsione di retroattività
anche dopo l’inizio dell’esecuzione (che nei contratti ad effetti reali è automatico per effetto del consenso),
non si ottiene l’effetto di retroattività reale, che può derivare soltanto dalla legge. Se così è, il mancato
mantenimento degli standard produttivi può essere solo dedotto quale evento di condizione risolutiva: in tal
modo, ove esso si verifichi, l’intero patto deve intendersi retroattivamente caducato anche nei confronti dei
terzi. È questa la differenza tra il recesso (rectius revoca, in questo caso) e la condizione risolutiva o il patto
di riscatto, dotati per espressa previsione normativa di retroattività reale ed opponibilità ai terzi.
Tenendo conto dell’opinione della dottrina secondo cui il recesso convenzionale posteriore all’inizio
dell’esecuzione del contratto non può essere esercitato in perpetuo, venendo altrimenti meno il carattere di
vincolatività del contratto, appare prudente indicare un termine per l’esercizio di esso.
Parte Teorica
1. Il patto di famiglia. Natura giuridica e conseguenze operative
La l. 14 febbraio 2006, n. 55 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico, nell’ambito di un più ampio
progetto di riforma della successione necessaria, la figura dei “patti di famiglia”.
La disciplina dei patti di famiglia attiene al profilo cruciale del passaggio generazionale dell’impresa, e si
cura del rapporto tra le obiettive istanze di continuità ed efficienza nella gestione del bene produttivo,
da un lato, e le esigenze di tutela delle ragioni dei legittimarî, coinvolte nella vicenda traslativa
dell’azienda familiare, per altro verso.
L’art. 768bis c.c. definisce il patto di famiglia come un contratto.
Da un lato vi è il trasferimento del complesso aziendale (o di partecipazioni sociali); dall’altro
la tacitazione delle ragioni dei legittimarî non assegnatari (i quali, peraltro, possono rinunziarvi,
in tutto, o, in parte), in relazione all’attribuzione in questione, da parte dei discendenti beneficiari del
trasferimento, mediante pagamento di una somma corrispondente al valore della loro rispettiva quota
di legittima, determinata ai sensi degli artt. 536 ss., oppure, in natura. Tutte le attribuzioni patrimoniali
di cui sopra sono esenti da collazione e dall’eventuale esperimento dell’azione di riduzione, quale
effetto legale del contratto (art. 768quater, ultimo comma, c.c.).
La funzione stessa dell’istituto presuppone che l’assegnazione al discendente del complesso aziendale o
delle partecipazioni sociali sia gratuita: ciò in coerenza con il meccanismo di liquidazione previsto per i
partecipanti non assegnatari, e con la dispensa espressa dalla collazione e dalla eventuale riduzione.
Una cessione verso corrispettivo, ci si porrebbe al di fuori dello schema contrattuale in esame:
l’esistenza stessa del corrispettivo renderebbe il trasferimento completamente estraneo al profilo
liberale e successorio della vicenda patrimoniale del disponente.
Partendo dalla gratuità dell’attribuzione molti autori hanno tentato di ricondurre il patto di famiglia
entro i confini dei tipi contrattuali noti: una prima opinione lo qualifica, in particolare, come donazione
modale, in considerazione dell’obbligo imposto all’assegnatario di liquidare gli altri partecipanti al
patto.
È fuori di dubbio che il negozio in esame sia fonte di una (o più) attribuzioni a carattere liberale:
l’esenzione da riduzione e collazione, contenuta nel comma quarto dell’art. 768quater c.c. presuppone
che le prestazioni ricevute dai contraenti (assegnatario e altri legittimari) siano qualificabili come
liberalità (dirette o indirette), che come tali sarebbero astrattamente soggette a riduzione o collazione
in mancanza di una norma di esenzione. Un trasferimento a titolo oneroso non andrebbe incontro a
pericoli di instabilità o aleatorietà, e quindi non necessiterebbe di alcuna partecipazione al contratto del
coniuge e dei legittimari e non necessiterebbe di una disciplina speciale al fine di assicurare il passaggio
generazionale che si vuole agevolare. Per lo stesso motivo l’attribuzione patrimoniale effettuata,
con il patto di famiglia, dall’imprenditore ai discendenti non può essere qualificata come atto
gratuito non liberale: anche in questo caso, infatti, non nascerebbe dall’attribuzione gratuita alcuna
azione di riduzione, né alcun obbligo di collazione.
Alla ricostruzione in termini di donazione modale si obietta che il carattere necessario dell’attribuzione
patrimoniale prevista a favore dei contraenti non assegnatari (salvo il caso di rinunzia), sarebbe in
contrasto con il carattere tipicamente accessorio del modus donativo. Peraltro, la richiesta della forma
dell’atto pubblico dimostrerebbe che non si tratta di donazione, altrimenti non sarebbe stata necessaria
tale prescrizione.
Si propone allora una qualificazione in termini di atto con funzione divisoria. Ciò consente di unificare,
all’interno di una unica causa complessa, tanto il profilo strettamente traslativo (relativo al
trasferimento del complesso produttivo), quanto l’effetto legale della liquidazione in denaro (o, in
natura) della quota di pertinenza dei legittimarî non assegnatari, che postula la compresenza di
ulteriori attribuzioni patrimoniali a favore dei legittimari. Queste ultime attribuzioni patrimoniali
non sono definibili quale “effetto giuridico” del contratto, ma contribuiscono a definirne la “fattispecie”,
e quindi a qualificarla.
A favore di tale tesi milita, in primo luogo, un dato sistematico: la disciplina dell’istituto si colloca nel
nuovo Capo V bis, che, idealmente, chiude la disciplina dedicata alla divisione ereditaria.
Viene, poi, in rilievo, la stretta correlazione tra il profilo menzionato della assegnazione del bene
produttivo al discendente (o, ai discendenti), designati dal dante causa a continuare nella gestione
dell’impresa a dimensione familiare, e la conseguente liquidazione della quota ideale spettante ai non
assegnatari. Nel quale è dato a vedere l’attuazione del meccanismo di conversione della quota ideale
spettante a ciascuno dei condividenti, attraverso l’attribuzione di beni, o, diritti, il cui valore è
corrispondente al valore della quota, che è tipico delle vicende divisorie. Ulteriore conferma
deriverebbe dalla previsione della (necessaria) partecipazione di tutti i legittimarî (cfr. art. 735, primo
comma).
Peculiarità del patto di famiglia sarebbe il carattere anticipato della divisione in relazione ad una
successione non ancora aperta, e, quindi, ad una comunione ereditaria futura (ed eventuale). Tale
dottrina è allora costretta a ipotizzare a una finzione giuridica, che cristallizza la situazione relativa al
bene produttivo da trasferire, al momento della stipulazione del patto, anticipando, limitatamente al
complesso aziendale, gli effetti che si produrrebbero in caso di apertura della successione.
Contro tale ricostruzione si osserva che il patto di famiglia – nonostante la sua collocazione
“topografica” nel codice civile – non ha natura divisionale in senso tecnico, e non può neanche essere
configurato come “atto equiparato alla divisione”: la comunione ereditaria, infatti, sorgerà solo a seguito
dell’apertura della successione, e prima di allora non ricorre alcuna delle ragioni che, nel caso di
divisione, dà luogo a nullità della stessa in caso di mancata partecipazione all’atto di uno dei comunisti.
Né può ritenersi che il legislatore abbia considerato il patto di famiglia come una “anticipata divisione”,
agli effetti di cui trattasi, se non in senso assolutamente atecnico e privo quindi di rilevanza sotto tale
profilo. È vero che, nel caso del c.d. assegno divisionale “qualificato” (art. 734 c.c.) la divisione
testamentaria non presuppone un precedente stato di comunione, ma si tratta di fattispecie differenti:
la divisione testamentaria, essendo contenuta in un atto di ultima volontà, acquista giuridica rilevanza e
produce i propri effetti al momento della morte, e quindi per necessità di cose deve ammettersi un
istante “ideale” in cui la comunione nasce, e contestualmente si estingue convertendosi in
apporzionamento.
Infine, non sembra si possa ricostruire un istituto in base a un aspetto divisorio solo eventuale: si pensi
al caso di rinuncia alla liquidazione - omissio adquirendi - da parte del legittimario, nel quale non vi è
alcun apporzionamento a suo favore.
Le peculiarità del patto di famiglia pertanto inducono ad escludere una piena assimilazione tra esso e la
divisione ereditaria (contrattuale), soprattutto in relazione al profilo dirimente, della mancanza di una
situazione effettiva di comunione ereditaria in senso tecnico, al momento del patto.
Si conclude allora che i patti di famiglia rappresentano un nuovo tipo contrattuale (nominato) con
funzione divisoria, riconducibile all’area indistinta degli atti equiparati alla divisione, ai sensi dell’art.
764 contro il quale deve ritenersi ammessa l’azione di rescissione per lesione (art. 764, primo comma,
c.c.).
Per effetto del patto di famiglia, è precluso ai legittimari diversi dall’assegnatario dell’azienda o delle
partecipazioni l’esercizio dei rimedi della riduzione e della collazione. Questo effetto è normalmente
precluso dall’esistenza del divieto dei patti successori, che impedisce, durante la vita del de cuius di
limitare in qualsiasi modo le pretese successorie e i rimedi di legge.
Il patto di famiglia si configura allora come patto successorio eccezionalmente valido. Il patto
successorio non riguarda il disponente, che si limita a trasferire a titolo gratuito un bene “in anticipata
successione”, né più né meno di come fa in una normale donazione, né l’assegnatario del bene
produttivo, che compie un’attribuzione patrimoniale nei confronti degli altri potenziali legittimari, ma
questi ultimi, che per effetto del contratto perdono la possibilità di agire in riduzione e chiedere la
collazione. Il patto di famiglia si atteggia come patto successorio dispositivo, eccezionalmente
valido, con il quale i legittimari dispongono dei loro diritti sulla successione del disponente, non ancora
aperta.
Nel caso, invece, in cui il legittimario rinunzi in tutto o in parte alla liquidazione dei propri diritti (come
ammesso dall’art. 768quater, secondo comma, c.c.), si è in presenza di un vero e proprio patto
successorio rinunciativo, in deroga all’art. 458 c.c.
Non ricorre invece, come detto, la figura del patto successorio istitutivo tra il disponente e gli altri
soggetti coinvolti, difettando della natura di atto mortis causa: il patto di famiglia produce effetti
traslativi immediati e definitivi, non collegati cioè all’apertura della successione; in secondo luogo, e
conseguentemente, l’oggetto del contratto è determinato con riferimento al momento della
relativa stipula, essendo irrilevanti successive modifiche nella consistenza o nel valore dei beni
attribuiti fino al momento dell’apertura della successione, mentre il patto successorio istitutivo ha per
oggetto proprio l’id quod superest al momento dell’apertura della successione.
Le attribuzioni patrimoniali del patto di famiglia sono sostanzialmente insensibili ai profili soggettivi
della successione: in particolare esse prescindono dalla qualità di erede del beneficiario. Il patto
di famiglia è quindi atto inter vivos, e non atto di ultima volontà.
2. Soggetti partecipanti al contratto
Ai sensi dell’art. 768quater, primo comma, c.c., al contratto “devono” partecipare anche il coniuge
e “tutti” coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel
patrimonio dell’imprenditore. La norma sembrerebbe postulare la necessità di partecipazione di
“tutti” i legittimari (di primo grado) al patto di famiglia, e quindi l’irricevibilità, da parte del notaio,
dell’atto al quale taluno dei legittimari non intervenga, con correlativa nullità del patto per
violazione di norma imperativa.
Il patto di famiglia si pone, quindi, quale negozio plurilaterale, per la necessaria partecipazione,
all’atto, di una parti, rappresentanti distinti centri d’interessi: come si è visto, alla stipulazione, devono
prendere parte l’imprenditore disponente, il soggetto, o, i soggetti, che egli intende gratificare, con
l’attribuzione del bene produttivo, nonché gli eredi legittimarî del primo (secondo l’accezione sopra
considerata). Costituirebbe eccezione allo schema sopra considerato, il caso nel quale, al momento della
stipulazione, non sussistano altri legittimari, sicché alla pattuizione prendono parte soltanto l’alienante
ed il discendente assegnatario.
Tale ricostruzione è coerentemente accolta dai sostenitori della natura divisoria del patto di famiglia: la
universalità soggettiva (cfr. art. 764 c.p.c.) è tratto caratterizzante del contratto di divisione.
Secondo altra tesi, la mancata partecipazione di legittimari non comporterebbe l’invalidità del patto,
configurandosi il negozio in questione come atto a struttura bilaterale (disponente - discendente
prescelto), rispetto al quale verrebbe in rilievo un mero onere di “convocazione” dei legittimarî, in
analogia con quanto previsto dall’art. 1113 c.c. Il patto si risolverebbe nel trasferimento della titolarità
del bene produttivo, rivestendo i legittimarî dell’alienante (pur chiamati a partecipare al patto, ai sensi
dell’art. 768quater c.c.) una posizione meramente esterna rispetto alla pattuizione principale. Essi si
porrebbero come “terzi”, rispetto al patto. La pattuizione tra il disponente e l’assegnatario, in questa
prospettiva, assumerebbe, nei loro confronti, la fisionomia di un contratto a favore di terzi.
La ricostruzione come stipulazione a favore di terzi richiederebbe però un importante correttivo: i terzi
non ricevono in questo caso solo un beneficio, ma anche conseguenze negative (la minorazione delle
tutele dei diritti inerenti alla legittima). Proprio per questo, a ben vedere, quella dei legittimari non è
una mera “adesione” tipica delle pattuizioni da cui derivino solo effetti vantaggiosi (cfr. art. 1411) ma
un vero e proprio consenso, con il quale si accetti anche l’effetto giuridicamente passivo della perdita
dei diritti di collazione e riduzione. I legittimarî diversi dal beneficiario cioè con il loro consenso sono
chiamati a rendere definitivamente stabile la pattuizione in loro favore.
Altri osservano che i non partecipanti al contratto potrebbero essere, ad esempio, i legittimari ignoti
al momento della conclusione del patto successorio; o ancora che potrebbe darsi il caso in cui
uno dei legittimari rifiuti di intervenire al contratto. In entrambe queste fattispecie, il mancato
intervento in atto del legittimario, non imputabile all’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni
sociali, precluderebbe la stipulazione del patto di famiglia. La ratio della disciplina dovrebbe condurre a
consentire la stipula con l’intervento di alcuni legittimari, attribuendo così stabilità alle assegnazioni, ai
sensi dell’art. 768sexies c.c., almeno tra i partecipanti. Si dovrebbe quindi escludere la nullità, e la
irricevibilità, del patto di famiglia, per effetto della mancata partecipazione di un legittimario. Egli
potrebbe ben intervenire in un momento successivo, senza pregiudicare alcuno degli interessi che la
norma vuole tutelare. Se l’obiettivo del legislatore è quello di precludere l’azione di riduzione e la
collazione ai legittimari diversi dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni, tale obiettivo può
essere raggiunto anche progressivamente, completandosi in un momento successivo alla stipula del
contratto e addirittura dopo l’apertura della successione, come dimostra l’art. 768sexies c.c.
L’art. 768quater, primo comma, c.c., andrebbe allora interpretato nel senso di vincolare al contenuto del
patto (e quindi di precludere collazione e riduzione) solo i legittimari che vi hanno partecipato, e i
legittimari “sopravvenuti”, o di secondo grado, che non vi hanno partecipato, nei limiti dell’art.
768sexies c.c.: in caso di rifiuto o indisponibilità di un legittimario sarà comunque possibile
stipulare il patto di famiglia, senza che possa ipotizzarsi né la nullità del contratto, né una
responsabilità disciplinare del notaio per violazione dell’art. 28 l. not., ma quel legittimario non sarà
vincolato dal patto e – a meno di sua adesione con contratto successivo – potrà avvalersi
della riduzione e della collazione anche riguardo ai beni aziendali.
Si ammette la rappresentanza, sia legale che volontaria, in conformità alla disciplina propria
degli atti tra vivi; con la precisazione, peraltro, che sembrano ricorrere, con riferimento
all’imprenditore disponente, le medesime esigenze di tutela e protezione del donante, che stanno alla
base sia del divieto di donare a mezzo di rappresentante legale (artt. 774 ss. c.c.), sia della particolare
disciplina del mandato a donare (art. 778 c.c.), applicabili anche alla fattispecie in esame.
3. Oggetto del trasferimento
La disciplina dei patti di famiglia si applica soltanto al trasferimento dei così detti beni produttivi: potrà
trattarsi del trasferimento dell’azienda (con i requisiti di cui all’art. 2555 c.c.), anche solo “parziale”, o di
partecipazioni sociali. L’art. 768bis c.c. infatti individua due possibili qualifiche soggettive in capo al
disponente: quella di “imprenditore”, nel caso di cessione di azienda; e quella di “titolare di
partecipazioni societarie” (fattispecie nella quale titolare dell’impresa è la società, e non il cedente).
Il trasferimento presuppone, nel caso di azienda, l’idoneità del complesso produttivo a costituire
un’azienda a se stante, come tale organizzata e suscettibile di consentire la continuazione dell’attività
d’impresa del disponente. Esso può essere liberamente pattuito, relativamente a crediti e debiti
aziendali preesistenti, ai contratti aziendali, a ditta, insegna, marchi, brevetti, singoli beni mobili ed
immobili facenti parte del complesso, purché in ogni caso permanga l’idoneità produttiva ed
organizzativa del complesso dei beni costituenti l’azienda ai fini della continuazione dell’attività
d’impresa.
Presupposto di validità del patto di famiglia è la qualifica attuale di imprenditore del cedente:
non rientra, quindi, nella disciplina in esame la cessione di azienda in fase organizzativa, né la cessione
di azienda da parte di soggetto che non esercita attività d’impresa (es. l’erede dell’imprenditore
defunto). La dottrina estende però la ratio dell’istituto, eccezionalmente, anche ad alcuni casi in cui
manca una qualifica imprenditoriale attuale del cedente: si pensi all’ipotesi del proprietario dell’azienda
concessa in affitto o in comodato) al medesimo discendente destinatario del trasferimento, o alla
disposizione della nuda proprietà, con riserva dell’usufrutto, anche vitalizio, in capo al disponente. In
questi casi la normativa potrebbe essere applicata in quanto l’effetto della pattuizione è sempre quello
di assicurare la continuità nella titolarità dell’azienda: i beneficiari sono messi in condizione di
acquisire la piena proprietà, e di continuare in proprio la gestione, che è proprio l’effetto considerato
dalla disciplina del patto di famiglia. Il solo contratto di affitto di azienda non risulterebbe idoneo allo
scopo, perché non realizza alcun “trasferimento”, e poi per la natura temporanea del diritto di
godimento che attribuisce all’affittuario, certo non compatibile con l’obiettivo di assicurare stabilità e
durata all’attività d’impresa2.
Il diritto più idoneo a favorire la continuità nell’impresa è il diritto di proprietà, che mette il
beneficiario discendente nella piena disponibilità dei beni produttivi consentendogli di proseguire nella
gestione e divenire egli stesso imprenditore. La dottrina ritiene però idoneo anche il diritto di
usufrutto, almeno quando si attribuiscano l’usufrutto, e quindi la gestione dell’impresa, ad uno dei figli,
e la nuda proprietà ad altro discendente, così assicurando comunque la continuità dell’impresa. Gli altri
diritti reali di godimento su cosa altrui sono, di per sé, inidonei allo scopo, o perché postulano la natura
immobiliare del bene che ne forma oggetto (superficie, enfiteusi, servitù, abitazione), o perché, come il
diritto d’uso, hanno connotazioni ben difficilmente compatibili con la natura produttiva del bene.
Quanto alle partecipazioni sociali, si tende a ritenere che la disciplina del patto si applichi soltanto
alle partecipazioni (relative a società di capitali, o, società di persone) che importino, in capo al titolare,
un potere di gestione dell’azienda. È comunque presupposto indefettibile per l’applicazione del
nuovo istituto l’esercizio di una vera e propria attività d’impresa, da parte della società in questione:
non potrebbe applicarsi, quindi, la nuova figura, nel caso delle così dette società di mero godimento. Si
tende comunque a ritenere che il patto possa trovare applicazione soltanto nel caso di trasferimento di
pacchetti partecipativi aventi il carattere di “significatività”, sotto il profilo del “comando”, con
esclusione, quindi, della cessione di titoli che abbiano costituito oggetto di mere operazioni
d’investimento finanziario. La disciplina del patto di famiglia non sarebbe compatibile con
qualsiasi assetto societario e con qualsiasi partecipazione sociale, ma finalizzata a garantire la
continuità nella “gestione” delle imprese a base familiare. Nelle varie tipologie societarie le
partecipazioni assumono rilievo differente e talvolta indipendente dall’entità quantitativa. Quanto alle
società di persone, la disciplina si applica al trasferimento delle partecipazioni in società semplici
ed in società in nome collettivo, che attribuiscono al loro titolare il potere di amministrazione; ove
la partecipazione sociale tale potere non attribuisca (es. socio non amministratore di s.n.c.,
accomandante di s.a.s.), si può osservare che il trasferimento della partecipazione ha luogo – salvo
contraria previsione – mediante contratto modificativo al quale devono partecipare anche tutti gli altri
soci, ed in tale occasione può essere modificato il contratto sociale nella parte in cui disciplina i poteri di
amministrazione.
Quanto alle società di capitali, nella società a responsabilità limitata, la partecipazione sociale può
ritenersi oggetto idoneo di un patto di famiglia nel caso in cui si tratti di partecipazione maggioritaria,
idonea a garantire al socio un potere di indirizzo sulla gestione sociale, o di partecipazione minoritaria,
quando sia attribuito al socio, ai sensi dell’art. 2468 c.c., un diritto particolare di amministrazione che
venga assicurato anche al discendente acquirente della partecipazione per effetto del trasferimento.
Quanto alle società per azioni, il dato letterale dell’art. 768bis c.c., che prende in considerazione
unicamente le “quote” e non le azioni secondo alcuni dimostra la volontà del legislatore di escludere
dalla nuova disciplina le partecipazioni che rappresentano unicamente una forma di “risparmio”, ma
non sono beni produttivi nel senso suesposto. La maggioranza degli interpreti ritiene però che ciò non
possa comportare l’assoluta esclusione delle partecipazioni azionarie dalla nuova disciplina,
quantomeno per le partecipazioni di controllo (o di riferimento) che attribuiscono il potere di influire
sulla gestione della società. Per le società in accomandita per azioni, le quali si caratterizzano nella
prassi proprio come “società familiari”, e nelle quali l’accomandatario è titolare di indubbi poteri
gestionali (art. 2455 c.c.), la partecipazione a titolo di accomandatario, che assicura la gestione ed il
Per ulteriori approfondimenti, cfr. La successione nell’impresa da parte degli eredi dell’imprenditore, in VOL. V, CASO 3
INTER VIVOS, Parte Teorica.
2
controllo dell’impresa, può costituire oggetto di un patto di famiglia, anche se non maggioritaria.
La cessione delle partecipazioni sociali deve avvenire nel rispetto delle differenti tipologie societarie,
e quindi della disciplina legale e statutaria. Ciò vale, in particolare, in relazione agli eventuali limiti
alla trasferibilità delle partecipazioni, per atto tra vivi, previsti dalla legge, o, dallo statuto sociale: ad
esempio, per le società di persone, salvo che sia diversamente convenuto, è necessario il consenso
unanime alla cessione, da parte di tutti i soci, integrando tale atto una modifica dei patti sociali (art.
2252 c.c.).
Dal lato del disponente, esistono partecipazioni sociali che costituiscono oggetto di comunione de
residuo (partecipazioni in società in nome collettivo, partecipazione dell’accomandatario di s.a.s., ecc.),
nel qual caso il socio può liberamente disporne senza il consenso del coniuge; ed esistono
partecipazioni sociali che entrano in comunione immediata (secondo l’opinione prevalente, le
partecipazioni in società di capitali).
4. Beneficiari del patto di famiglia e altri partecipanti
L’art. 768bis c.c. individua, quali possibili beneficiari del trasferimento di azienda o di partecipazioni
sociali, i discendenti del disponente.
Può essere assegnatario sia il discendente legittimo che il discendente naturale riconosciuto. Al patto di
famiglia devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel
momento di aprisse la successione dell’imprenditore.
Vengono in considerazione, oltre al coniuge, in primo luogo gli altri discendenti del disponente (artt.
536 ss. c.c.). Si devono applicare i principi della successione necessaria: ai fini della legittima, in
mancanza di altri discendenti oltre all’assegnatario, subentrano gli ascendenti (artt. 536, 538 c.c.), i
quali sono legittimari di “secondo grado”, posto che l’essenza del patto di famiglia richiede l’esistenza di
almeno un discendente (l’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni). Lo stesso dicasi per i
discendenti ulteriori (i figli dell’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni), che sarebbero
legittimari solo in caso di decesso dell’assegnatario. In presenza di altri discendenti, tali soggetti non
sono legittimati a intervenire in quanto, ove s’aprisse la successione alla data del patto, essi non
concorrerebbero come legittimari.
Ove non esista nessun legittimario diverso dall’assegnatario, non è applicabile l’istituto del patto di
famiglia, si può stipulare una normale donazione. Ove poi sopravvenga un legittimario (ad esempio,
nascita di un nuovo figlio, o di nuovo matrimonio), la dottrina ipotizza un “contratto successivo”, nel
quale, con l’intervento del legittimario, sia possibile recepire, anzi “novare” la donazione di
azienda o di partecipazione sociale quale attribuzione propria del patto di famiglia,
valorizzandola a tale momento ed effettuando l’opportuna liquidazione a favore del legittimario.
5. Clausole e pattuizioni accessorie
Quanto al contenuto del patto, devono ritenersi ammissibili per il patto di famiglia clausole e
condizioni analoghe a quelle previste per la donazione, purché nel caso concreto esse non
precludano il subentro del discendente nella disponibilità dell’azienda o della partecipazione: divieto di
alienazione (art. 1379 c.c.), clausola di riversibilità (art. 791 c.c.), riserva di disporre (art. 790 c.c.), oneri
accessori (anche con previsione di risolubilità ex art. 793 c.c.) ulteriori rispetto a quello di cui all’art.
768quater c.c.
Tali clausole sono ammissibili fin quando non si pongano in contrasto con la naturale stabilità del patto:
del resto lo stesso art. 768septies c.c. consente di stabilire la possibilità di recesso di alcuna delle parti.
Ad esempio, la riserva di disporre (art. 790 c.c.) è ammissibile purché non riguardi una parte così ampia
dei beni aziendali trasmessi da porre in discussione la definitività dell’acquisto dell’assegnatario.
Anche se il patto di famiglia non è espressamente qualificato come donazione, si possono ritenere
applicabili al medesimo, quantomeno in via diretta, le disposizioni codicistiche che, tra l’altro, vietano la
donazione di beni futuri (art. 771 c.c.).
Invero, prima ancora che per l’applicabilità di tale divieto – che deve ritenersi contata, in quanto la
natura donativa del trasferimento realizzato con patto di famiglia non è esclusa per il solo fatto
dell’assenza di qualificazione formale in tal senso – tali ipotesi vanno escluse considerando lo stesso
fondamento del patto di famiglia, individuato nell’esigenza di assicurare la continuazione di imprese in
essere, verrebbe a mancare nell’eventualità in cui il trasferimento riguardasse aziende o partecipazioni
sociali che, nel momento della stipula del contratto, non sono utilizzate dal disponente per l’esercizio di
impresa.
6. Liquidazione dei legittimari non assegnatari
Elemento centrale del contenuto del patto di famiglia sono le liquidazioni.
Ai sensi dell’art. 768quater, secondo comma, c.c., l’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni
societarie deve liquidare i legittimari – ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte – con il pagamento
di una somma di denaro corrispondente al valore delle quote di legittima. In alternativa, i contraenti
possono pattuire che la liquidazione avvenga, in tutto o in parte, in natura. Si procede in anticipo alla
tacitazione dei legittimari, mediante attribuzione agli stessi di valori patrimoniali corrispondenti alle
rispettive quote di legittima. È necessario effettuare una valutazione finalizzata alla determinazione del
valore delle quote previste dagli artt. 536 ss.
Il valore dovrà essere determinato al momento della stipula del patto. È rimesso (art. 768quater, terzo
comma, c.c., “valore attribuito in contratto”) all’autonomia privata individuare i criteri di valutazione, e
ogni altro profilo, ivi compreso il momento temporale a cui riferire la valutazione stessa.
La valutazione deve investire l’azienda o le partecipazioni assegnate. Apparentemente, il
richiamo ad “una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 ss.”, dovrebbe
rendere operative anche le norme in tema di riunione fittizia, e le altre rilevanti ai fini del calcolo delle
quote di legittima. Le quote sarebbero quelle complessive spettanti ai legittimari, da individuarsi
tenendo conto dell’intero asse ereditario, maggiorato delle eventuali liberalità intervenute.
Questa soluzione costringerebbe a valutare l’intero patrimonio del disponente (comprendendo anche il
valore dei beni oggetto di precedenti liberalità), calcolando quindi su di esso le quote complessive da
liquidarsi, darebbe luogo ad un risultato gravemente iniquo.
L’assegnatario sarebbe gravato di un esborso sproporzionato rispetto al valore ricevuto, dovendo
liquidare gli altri legittimari sull’intero, dopo aver ricevuto i beni produttivi che costituiscono solo una
parte del “patrimonio riunito”.
La valutazione è rimessa all’autonomia privata, che potrà avvalersi di arbitratori, periti contrattuali o
di soluzioni alternative. Una volta calcolato il quale sarà poi agevole determinare le quote di legittima
spettanti a ciascuno dei legittimari. Una volta compiuta la valutazione sono irrilevanti i successivi
mutamenti del valore e della consistenza dei cespiti aziendali, dell’avviamento ed in genere
degli altri beni oggetto del contratto.
Il soggetto passivo dell’obbligo di liquidazione viene individuato nel beneficiario dell’azienda o delle
partecipazioni. Si tratta di una obbligazione soggetta alle regole generali: nel caso di pluralità di
assegnatari, opera il regime generale della solidarietà passiva (art. 1294), mentre, trattandosi di debiti
propri degli assegnatari, e non di debiti ereditari, non viene invece in rilievo la disciplina di cui all’art.
752.
La tacitazione delle ragioni dei legittimari, per espressa previsione del legislatore, potrà farsi in denaro,
mediante corresponsione di una somma equivalente al valore della quota di legittima, oppure, su
specifico accordo, in natura.
La dottrina ammette la possibilità di un pagamento dilazionato nel tempo se i legittimari possono
addirittura rinunciare, totalmente o parzialmente, alla liquidazione: e chi può rinunziare in toto alla
liquidazione può anche, evidentemente, rinunziare alla “tutela reale” rappresentata dal pagamento
immediato, accontentandosi di una “tutela meramente obbligatoria”.
La legge non impone la contestualità dell’adempimento, e del resto anche se esso è dilazionato, il
risultato delle liquidazioni proporzionali alle quote sarà comunque ottenuto, applicandosi all’obbligo
quantificato i principi comuni a tutte le obbligazioni di valuta. Rimane, quindi, inapplicabile al caso in
esame – oltre ai normali rimedi per l’inadempimento – la tutela prevista dall’art. 768sexies, secondo
comma, c.c.
La questione, allora, si sposta sugli effetti della liquidazione. Se la fattispecie “normale” è
rappresentata dal pagamento contestuale alla stipula del patto, si dovrebbe coerentemente ritenere che
fino alla data di esecuzione delle liquidazioni, non operi la precusione della riduzione e della collazione.
In dottrina però si è osservato che non c’è una disposizione di legge che ancori il suddetto effetto
preclusivo all’adempimento dell’obbligazione. Le parti possono legittimamente programmare
l’esecuzione del pagamento entro una determinata data, eventualmente anche successiva all’apertura
della successione, operando peraltro immediatamente l’effetto preclusivo ex art. 768quater, quarto
comma, c.c.
Concedendo la dilazione il legittimario rinunzia solo alla “tutela reale”, con ciò assoggettandosi al
relativo rischio, senza che ciò pregiudichi in alcun modo l’effetto preclusivo della riduzione o della
collazione.
Sulla base di una specifica pattuizione può ricorrersi alle liquidazioni in natura. Si discute, in dottrina, se
la fattispecie della tacitazione in natura vada inquadrata nell’ambito dell’istituto della prestazione in
luogo dell’adempimento, di cui all’art. 1197, oppure, integri la figura della novazione oggettiva. Si tratta
di un atto traslativo gratuito con causa solutoria, da compiersi in qualsiasi momento successivo
alla conclusione del patto di famiglia. L’assegnatario con esso si libera dall’obbligo di liquidazione, senza
alcun intento di gratificare gli altri legittimari, ma solo di compensarli per l’assegnazione da lui ricevuta,
e il tutto ovviamente inciderà solo sulla successione del disponente. L’acquisto non rientra tra le
donazioni ed altre liberalità, menzionate dall’art. 179, lett. b), c.c. In dottrina è sorto quindi il dubbio
della inclusione nella comunione legale dei beni del legittimario medesimo: la tesi negativa è stata
sostenuta osservandosi che la “causa successoria” del trasferimento legittima l’estensione analogica del
disposto dell’art. 179, lett. b), c.c., trattandosi comunque di beni che, pur non pervenuti a titolo
liberale, rappresentano sempre una “attribuzione” a titolo di (anticipata) successione.
La liquidazione della quota può avvenire anche con un successivo contratto separato, al quale dovranno
prendere parte tutti i soggetti che abbiano partecipato alla conclusione del primo contratto. La
disposizione individua espressamente una forma di collegamento negoziale, tra i due accordi,
richiedendo che il profilo del “collegamento”, quale nesso teleologico e funzionale tra i due accordi
successivi, venga espressamente indicato nel secondo atto, destinato alla liquidazione (art. 768quater,
terzo comma, c.c.).
7. Effetti della liquidazione
Le attribuzioni effettuate a favore dei partecipanti non assegnatari, ai sensi della disposizione in
commento, devono imputarsi, in base al valore attribuito nel contratto, alla quota di legittima loro
riservata (art. 768quater, terzo comma, c.c). Si tratta di una estensione, al caso in esame, del principio
della imputazione ex se di cui all’art. 564, comma secondo, c.c. I beni assegnati con lo stesso contratto
agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono
imputati alle quote di legittima loro spettanti.
La disposizione eccezionalmente consente di imputare alla quota di legittima – riferita alla successione
dell’imprenditore o titolare di partecipazioni – un’attribuzione patrimoniale che non proviene dal di lui
patrimonio, bensì dal patrimonio dell’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni.
L’imputazione alle quote di legittima ha luogo “secondo il valore attribuito in contratto”, che deve
essere indicato. Si ritiene che i beneficiari possano essere validamente dispensati dall’imputazione ex
se, in analogia con quanto previsto dall’art. 564, cpv., c.c. La dispensa da imputazione è ammessa,
relativamente alle attribuzioni contenute nel patto di famiglia, negli stessi limiti nei quali la medesima
dispensa è ammessa per le normali liberalità, effettuate al legittimario dal de cuius.
In ogni caso però la dispensa da imputazione non incide sull’importo da liquidare a favore del
legittimario nel patto di famiglia, ma incide soltanto sull’azione di riduzione che – dopo l’apertura della
successione – ciascuno dei due assegnatari potrà esperire sugli altri beni non ricompresi nel patto di
famiglia.
Ai sensi dell’art. 768quater, comma quarto, c.c., quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a
collazione o a riduzione. Si tratta, come già evidenziato, di un effetto legale del patto di famiglia,
conseguente all’intervento in atto dei legittimari ed alla liquidazione dei relativi diritti (o, in alternativa,
alla rinuncia a tale liquidazione).
All’apertura della successione i legittimari, diversi dall’assegnatario, non potranno esperire
l’azione di riduzione per lesione di legittima rispetto al trasferimento dell’azienda o delle
partecipazioni; correlativamente, l’assegnatario di queste ultime non potrà esperire l’azione di
riduzione relativamente alle attribuzioni patrimoniali ricevute dagli altri legittimari. Parimenti,
in sede di divisione ereditaria, che abbia evidentemente ad oggetto altri beni della successione, non
potrà essere richiesta la collazione di quanto ricevuto con il patto di famiglia da ciascuno dei suddetti
contraenti.
L’azione di riduzione e la collazione non sono quindi interamente precluse: esse, semplicemente, non
operano relativamente ai beni formanti oggetto del patto di famiglia, e riguardo alle persone che vi sono
intervenute.
Il legittimario non intervenuto al patto di famiglia o ad eventuale “contratto successivo” (ove si
ammetta ciò alla stregua delle norme di legge), lo stesso potrà esperire i rimedi della riduzione e della
collazione. Il legittimario sopravvenuto invece è vincolato dal patto, e può unicamente esperire le azioni
ex art. 768sexies c.c. (pretesa creditoria, ed in caso di inadempimento impugnazione del patto di
famiglia); si tratta evidentemente di disposizione eccezionale, che deroga al principio res inter alios
acta tertio neque nocet neque prodest: in assenza dell’art. 768bis, infatti, semplicemente non si
sarebbe verificato – nei confronti del legittimario non partecipante – l’effetto preclusivo dell’azione di
riduzione e della collazione.
La finalità della norma in oggetto è quella di garantire il massimo grado possibile di stabilità
all’attribuzione patrimoniale relativa all’azienda ed alle partecipazioni; ma anche, di riflesso. quella di
assegnare identica stabilità alle attribuzioni effettuate agli altri legittimari, in modo da incentivarne la
partecipazione al patto di famiglia; in tale ottica, ed alla luce di tale ratio, deve essere interpretato
l’ultimo comma dell’art. 768quater c.c.
8. La liquidazione ad opera del disponente o di un terzo
Ipotesi applicativa discussa è quella della “liquidazione” dei legittimari ad opera dello stesso
disponente. Il tenore letterale della disposizione non la contempla, ma molta dottrina lo ritiene
ammissibile. Invero non v’è dubbio che il disponente o altro soggetto possano procedere a versare la
liquidazione agli altri legittimari non assegnatari dei beni produttivi. Il problema è piuttosto di
qualificazione degli effetti.
Le liquidazioni si potrebbero considerare come liberalità ulteriori, rispetto a quella principale, a favore
dei legittimari non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni, che devono comunque – in base ai
principi generali – imputarsi alle quote di legittima sul patrimonio del disponente. Questa
interpretazione spiegherebbe perché l’ipotesi delle liquidazioni del disponente non è stata disciplinata:
non era necessario prevedere la possibilità per il disponente di beneficiare anche gli altri legittimari,
discendendo tale possibilità dai principi generali. Necessaria era invece la disposizione che consentisse
di imputare alle quote di legittima del disponente attribuzioni liquidative ricevute non dal disponente,
bensì dagli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni. Il secondo comma dell’art. 768quater ha
risolto questo problema, e deve quindi essere letto in connessione con il successivo terzo comma, che
prevede l’imputazione alle quote di legittima degli altri partecipanti dei beni dagli stessi ricevuti con il
patto di famiglia.
Ciò detto, secondo alcuna dottrina va ricompreso, nell’esonero da riduzione e collazione, anche quanto
espressamente attribuito dal disponente ai legittimari con il patto di famiglia. Tale interpretazione
estende di fatto la deroga all’azione di riduzione ed alla collazione anche a beni del disponente diversi
da quelli produttivi. Questo effetto è però espressamente previsto ex lege nel caso di beni provenienti
dal patrimonio degli assegnatari per la liquidazione, e non vi sarebbero sufficienti ragioni per
precluderlo allorché i medesimi beni provengano dal patrimonio del disponente. Dovrebbe allora
concludersi che non solo il disponente può legittimamente attribuire denaro o beni in natura ai
legittimari, e che tale attribuzione, certamente imputabile alla quota di legittima del beneficiario,
preclude l’esercizio dell’azione di riduzione e la collazione a carico dei suddetti beni, come avviene per
quelli trasferiti dagli altri legittimari.
L’obbligazione di liquidazione dunque, non nasce in capo all’assegnatario, ma direttamente e con la
medesima funzione in capo al disponente, in base a un’espressa previsione, senza quindi necessità di
ipotizzare un “adempimento del terzo”, che darebbe luogo ad ulteriori problemi, primo fra i quali quello
della configurabilità di un’ulteriore liberalità – a mezzo di esso – dal disponente all’assegnatario
dell’azienda.
In alternativa, si potrebbero considerare come liberalità ulteriori estranee al patto di famiglia e a favore
dell’assegnatario dei beni produttivi. Il disponente, procedendo direttamente alle liquidazione,
adempirebbe un’obbligazione che la legge ha posto a carico dell’assegnatario, esattamente come fa il
genitore che proceda al pagamento dell’immobile che viene acquistato dal figlio (c.d. intestazione dei
beni in nome altrui). Si tratterebbe sì di un atto di liberalità, ma non nei confronti dei legittimari non
assegnatari, che ricevono semplicemente il soddisfacimento di un credito sorto ex lege a loro favore,
ma nei confronti dell’assegnatario che viene “liberato” da un debito, secondo il congegno
dell’adempimento del terzo di cui all’art. 1180 c.c.
Se la liquidazione è causalmente indipendente dal patto di famiglia, si dovrà secondo la regola generale
imputare alla quota di legittima, ma non a quella dei beneficiari ma dell’assegnatario come qualsiasi
altra attribuzione liberale del disponente. Il disponente, cioè, adempiendo l’obbligo dell’assegnatario lo
libera dal medesimo: se ciò accade per spirito di liberalità (ipotesi possibile e probabile ma non unica),
tale liberalità va considerata separatamente e quindi non è “coperta” dal patto di famiglia ma sarà
imputabile all’apertura della successione.
Se si trattasse di liberalità ulteriore del disponente a favore dei legittimari non assegnatari, non si
capirebbe l’esenzione dalla riduzione e dalla collazione analoga a quella prevista per i beni produttivi:
essa esiste per l’assegnatario ma esclusivamente in virtù di una previsione di legge che mira ad
assicurare l’integrità e la conservazione, nel passaggio successorio, di beni produttivi, rispetto ai quali
uno stato di con titolarità ereditaria, e l’operazione divisoria conseguente, potrebbero essere fatali. In
assenza di tale previsione, non dovrebbe operare neppure l’eccezione al divieto dei patti successori
dispositivi o rinunziativi: non potrebbero i legittimari, ricevendo una liquidazione dal disponente,
rinunziare alla riduzione o alla collazione perché tale attribuzione non fa parte del patto di famiglia ma
è una disposizione ulteriore che beneficia l’assegnatario.
Pare allora più plausibile questa seconda ricostruzione, secondo cui configurando in sostanza
l’adempimento di un obbligo altrui, la liquidazione ad opera del disponente come tale andrà
considerata nei rapporti familiari. Piuttosto potrebbe considerarsi come liberalità indiretta a favore
dell’assegnatario: il disponente interviene ad adempiere in suo luogo agli obblighi di liquidazione (art.
1180 c.c.) rinunziando alla pretesa di regresso. Con ciò gli altri legittimari saranno soddisfatti per il
valore della loro quota rispetto ai beni produttivi; ma si ha una nuova e ulteriore liberalità da parte del
disponente che in futuro rientrerà nel patrimonio riunito.
Dubbi sostanzialmente analoghi si son posti in dottrina circa la possibilità che la liquidazione
provenga dal patrimonio di un terzo, come nel caso frequente nella prassi in cui il coniuge del
disponente attribuisca un determinato bene, o una somma di denaro, ai figli che non hanno ricevuto
l’azienda.
In questo caso i problemi relativi all’imputazione e alle vicende successorie sono ancora più complessi
perché la ulteriore attribuzione (qualificabile come liberalità) proveniente da un patrimonio ancora
diverso da quello del disponente, fonte quindi di una autonoma successione.
Anche qui si prospettano due soluzioni: considerare la liquidazione come rientrante nel congegno
causale del patto di famiglia, e quindi qualificare l’esborso del coniuge come sostitutivo e fungibile con
quello dell’assegnatario. L’attribuzione sarebbe effettuata per conto dell’imprenditore o titolare di
partecipazioni sociali, in modo tale da rappresentare una liberalità indiretta da parte di quest’ultimo; ad
essa seguirebbe la rinuncia da parte dei legittimari, ai sensi del comma secondo dell’art. 768quater, alla
liquidazione nei confronti dell’assegnatario.
In tali condizioni, dovrebbe senz’altro operare la previsione dell’art. 768quater, comma quarto, c.c., e
quindi l’esonero da riduzione e collazione sia dei beni così ricevuti, sia dell’assegnazione dell’azienda o
delle partecipazioni sociali, per le stesse ragioni esposte a proposito del caso di attribuzione
patrimoniale effettuata dal disponente.
In alternativa, si potrebbe considerare l’attribuzione come autonoma e indipendente dal congegno
causale del patto di famiglia, e quindi come mero adempimento del terzo (art. 1180 c.c.) rispetto
all’obbligazione sorta ex lege a carico dell’assegnatario, con le conseguenze in termini di imputazione
delle liberalità che abbiamo visto. Si configurerebbe così una liberalità ulteriore da parte del
coniuge a favore dell’assegnatario, che riguarderà in questo caso una diversa successione, e resterà
riducibile e soggetta a collazione.
In assenza di indicazioni normative, questa soluzione si lascerebbe preferire, nonostante, si prenda atto,
che con ciò si svilisce per buona parte la fattibilità pratica del patto di famiglia. Se così è, allora
l’attribuzione fatta dal coniuge, realizzerà l’effetto di “completare” il patto di famiglia, estinguendo
l’obbligazione a carico dell’assegnatario, e così esonerando così i beni produttivi assegnati da riduzione e
collazione. Nel contempo però, se effettuata a scopo di liberalità (ipotesi probabile e possibile ma non
unica), essa potrà e dovrà essere, salva diversa pattuizione, imputata alla legittima dell’assegnatario sulla
successione del genitore, come accade in qualsiasi altra liberalità indiretta.
9. Rinuncia alla liquidazione
È ammessa la rinunzia totale o parziale alla liquidazione. Si tratta di un particolare patto
successorio rinunziativo, eccezionalmente legittimato dall’art. 768quater, comma secondo, c.c., in
deroga al divieto previsto dall’art. 458 c.c.
La rinunzia può essere contenuta nel patto di famiglia, o in atto separato, anche successivo al
patto di famiglia (cfr. art. 768quater, terzo comma, c.c.). Nel caso di rinunzia con atto separato, la
stessa deve essere formalizzata per atto pubblico, per simmetria con la previsione dell’art. 768ter c.c.
Non è, invece, ammessa una rinuncia con atto anteriore all’attribuzione dell’azienda o delle
partecipazioni sociali. La rinunzia può essere pura e semplice o verso corrispettivo.
La rinunzia alla liquidazione è equiparata alla liquidazione ai fini della “stabilizzazione” del
trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni, mediante esclusione della riduzione e della collazione
nei limiti del proporzionale valore dei beni aziendali.
La rinunzia alla liquidazione non ha a che vedere con la rinunzia all’eredità, che fa subentrare
per rappresentazione il discendente del rinunziante (artt. 522 e 467 c.c.). Neppure essa integra,
neanche parzialmente, rinunzia all’azione di riduzione.
Anzi la dottrina ha puntualizzato che le disposizioni dettate in tema di patto di famiglia non legittimano
in alcun modo nel medesimo patto, una rinunzia all’azione di riduzione, relativa alla successione del
disponente.
La rinunzia e l’effetto preclusivo previsti dall’art. 768quater c.c. operano esclusivamente nei limiti del
valore dell’azienda o delle partecipazioni assegnate, in proporzione alle quote di legittima.
Ciascun legittimario conserva la possibilità di esperire l’azione di riduzione sul restante
patrimonio del de cuius. La rinuncia alla liquidazione è fattispecie diversa dalla rinuncia
all’azione di riduzione: con la prima i legittimari rinunziano alla liquidazione ad opera
dell’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni, mentre la seconda riguarda un’azione diversa,
relativa ad un diverso oggetto. I legittimari che rinunciano alla liquidazione potranno poi esperire
l’azione di riduzione sul restante patrimonio del de cuius non solo per la differenza, ma per l’intero
ammontare. Ciò perché il “sacrificio” delle ragioni del legittimario è circoscritto, nel disegno del
legislatore, al minimo indispensabile ad assicurare la stabilità del trasferimento aziendale, ma al di fuori
di tale ambito il diritto del legittimario si riespande fino ai suoi naturali confini.
Non sembra ostare, a tale risultato, la disciplina dell’art. 768quater, terzo comma, c.c. (i beni assegnati
con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore
attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti), né quella del successivo
quarto comma (quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione). Nel caso di
rinuncia alla liquidazione, infatti, con il patto viene assegnata solo l’azienda, e solo quest’ultima è
esclusa da riduzione e collazione: il legittimario rinunciante, invece, non ha ricevuto nulla, e non deve
effettuare alcuna imputazione proprio perché nulla ha ricevuto. Per tale motivo, quindi, egli potrà
successivamente esperire l’azione di riduzione per l’intero. D’altronde, il legittimario potrebbe avere
più di una ragione per rinunciare alla liquidazione, conservando nel contempo l’azione di riduzione: si
pensi al caso in cui il disponente ha promesso di effettuare una liberalità a favore del suddetto
legittimario, il quale quindi faccia affidamento su tale promessa e rinunci conseguentemente, nel patto
di famiglia, alla liquidazione nei confronti dell’assegnatario dell’azienda.
10. I legittimari non partecipanti al contratto
A norma dell’art. 768sexies, primo comma, c.c., all’apertura della successione dell’imprenditore, il
coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari
del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768quater,
aumentata degli interessi legali. La norma tende a far salva la stabilità del patto di famiglia anche
rispetto ai legittimari che non abbiano partecipato al patto: in assenza di tale disposizione, infatti, non
avrebbe potuto operare l’effetto preclusivo della riduzione e della collazione riguardo ai suddetti
familiari non partecipanti. Essa attribuisce un diritto di credito dei legittimari non partecipanti al patto,
nei confronti dei “beneficiari del contratto”, ossia l’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni, e i
legittimari liquidati. Tutti questi soggetti, beneficiari del contratto, sono condebitori solidali, ex art.
1294 c.c. Soggetti attivi sono, invece, i c.d. legittimari di secondo grado, ed i legittimari sopravvenuti:
figli nati successivamente alla stipula del patto, o successivamente riconosciuti o giudizialmente
dichiarati; coniuge che abbia contratto matrimonio successivamente: ai sensi dell’art. 768quater, primo
comma, c.c., “devono” partecipare al patto solo coloro che sarebbero legittimari in quel momento,
quindi a contrario i legittimari di secondo grado, pur esistenti a quel momento, possono non
partecipare e nel contempo essere vincolati dal patto (ma in tal caso devono essere tutelati a norma
dell’art. 768sexies c.c.).
Ove al contrario un legittimario che abbia partecipato al patto, ed in tale qualità sia stato liquidato,
perda successivamente tale qualifica (es. coniuge divorziato; al discendente premorto; al legittimario
che rinunzi all’eredità), egli risulterà aver percepito somme o beni ai quali risulta, ex post, non avere
diritto, mentre i legittimari subentrati in sua vece o quelli sopravvenuti hanno diritto ad ottenere la
relativa liquidazione. L’art. 768sexies c.c. attribuisce espressamente tale diritto nei confronti dei
beneficiari del contratto, ma trattandosi, evidentemente, di obbligazione trasmissibile, il credito potrà
essere fatto valere anche nei confronti degli eredi del beneficiario defunto. La disposizione non prevede
espressamente alcun termine per il pagamento; vigono quindi i principi generali, per cui
l’obbligazione deve ritenersi immediatamente esigibile per effetto dell’apertura della
successione (art. 1183, primo comma, c.c.).
In caso di inadempimento dell’obbligazione di pagamento, è prevista in maniera un po’ anomala la
possibilità del legittimario non partecipante al patto di impugnarlo ai sensi dell’art. 768quinquies c.c. Risulta,
peraltro, singolare, l’attribuzione di un’impugnativa (azione di annullamento) a fronte dell’inadempimento
di un’obbligazione, come pure la previsione di un brevissimo termine (un anno) entro il quale reagire a tale
inadempimento.
La disposizione dell’art. 768sexies c.c. deve essere, comunque, coordinata con le disposizioni generali in
tema di successione necessaria, che – per quanto concerne i beni diversi da quelli produttivi in oggetto
– attribuiscono al legittimario l’azione di riduzione delle liberalità e delle disposizioni testamentarie
effettuate dal de cuius. In altri termini, nella misura in cui, oltre che con il patto di famiglia, il de cuius
abbia effettuato altre liberalità, queste ultime saranno soggette a riduzione secondo le regole
generali. La legge non prevede una “gerarchia” tra i due strumenti di tutela: con la
conseguenza che il legittimario potrà, a sua scelta, o esperire l’azione di riduzione
relativamente alle altre liberalità, o esercitare l’azione ex art. 768sexies c.c., e se del caso cumulare i
due rimedi. Ove poi esistano, nell’asse ereditario, beni sufficienti a soddisfare la quota spettante al
legittimario che non abbia partecipato al patto di famiglia, deve probabilmente ritenersi che ciò
precluda, oltre all’azione di riduzione, anche il rimedio di cui all’art. 768 sexies c.c.
11. Regime pubblicitario
Nel caso di trasferimento d’azienda viene in rilievo la disciplina di cui all’art. 2556, ultimo comma, c.c.
come modificato dall’art. 6, l. 12 agosto 1993, n. 310 (c.d. legge Mancino): l’atto traslativo (nella specie,
il patto di famiglia) dovrà venire depositato entro trenta giorni per l’iscrizione nel registro delle
imprese. Ove tra i beni facenti parte del complesso aziendale trasferito figurino beni immobili, o,
diritti reali immobiliari, viene in rilievo la disciplina relativa alla trascrizione nel registro
immobiliare (artt. 2556, primo comma e 2643 c.c.).
Ne deriva, in tali casi, la necessità della trascrizione, ai fini della opponibilità della cessione ai terzi, ai
sensi degli artt. 2643 e 2644. Per la cessione di partecipazioni sociali, si applica la disciplina prevista
per il tipo sociale che viene in rilievo (art. 768bis).
In relazione alle diverse tipologie societarie, troveranno, pertanto, applicazione le seguenti disposizioni:
artt. 2300, 2355, 2421, n. 1 e 2470 c.c.
12. Cause di annullabilità del patto
Il patto di famiglia è annullabile in base alle norme generali che regolano l’invalidità dei negozi
giuridici. In particolare, la disposizione in commento richiama la disciplina generale in tema di vizi del
consenso (art. 1427 ss. c.c.).
A differenza di quanto accade per il contratto di divisione, impugnabile soltanto per violenza, o, dolo
(art. 761 c.c.), in questo caso è ammesso anche l’annullamento per errore.
L’errore nella stima dei beni, che può farsi valere mediante l’esperimento dell’azione di rescissione per
lesione.
In considerazione delle esigenze di certezza e di stabilità delle attribuzioni in oggetto, il legislatore ha
previsto un termine di prescrizione particolarmente breve: un anno, in luogo dell’ordinario termine
quinquennale. Non è determinato il dies a quo: si ritiene che il termine decorra, rispettivamente, da
quando è cessata la violenza, ovvero, da quando è stato scoperto il dolo o l’errore, in base ai principî
generali (art. 1442, secondo comma, c.c.).
Del pari, vengono in rilievo le regole generali per quanto riguarda il contratto stipulato dall’incapace
(art. 1425), oppure, da soggetto che si trovi in situazione di incapacità naturale (art. 428).
Per quanto riguarda il contratto stipulato dal rappresentante legale dell’incapace, si è già avuto modo di
rilevare che la stipulazione del patto di famiglia costituisce atto di straordinaria
amministrazione: è annullabile l’atto concluso dai genitori esercenti la potestà sul minore senza la
necessaria autorizzazione del giudice tutelare (artt. 320-322 c.c.), o dal tutore in mancanza della
prescritta autorizzazione del tribunale (artt. 375-377 c.c.).
Si discute, infine, in merito all’applicabilità, al caso in esame, dell’art. 2941, n. 1, c.c. che – come è noto –
prevede la sospensione della prescrizione nei rapporti tra i coniugi. Tra i primi commentatori, prevale la
tesi negativa, nel senso che tale peculiare causa di sospensione, fondata sul rapporto di coniugio tra le
parti, non dovrebbe trovare applicazione, nel caso in questione, atteso il carattere necessario (e non
occasionale) della partecipazione del coniuge che ha interesse all’annullamento del patto, alla
stipulazione.
13. Scioglimento e modifica del patto di famiglia.
Ai sensi dell’art. 768septies c.c., il patto di famiglia può essere sciolto o modificato dalle medesime
persone che lo hanno concluso.
Si può intervenire sul patto per lo scioglimento o per la modifica, mediante diverso contratto, con le
“medesime caratteristiche” ed i “medesimi presupposti” di cui al Capo Vbis del codice civile. Il primo
caso è una fattispecie di mutuo dissenso tipicamente disciplinata. Anzi la nuova norma sembra dare
un nuovo appiglio testuale alla dottrina favorevole allo “scioglimento” risolutivo di acquisti di diritti
reali.
In entrambi i casi, il nuovo contratto deve avere le “medesime caratteristiche” ed i “medesimi
presupposti” del patto di famiglia. I “presupposti” sono in particolare quelli delineati dall’art. 768bis,
anche se sul punto occorre riflettere, poiché quest’ultima disposizione presuppone la qualifica di
imprenditore del cedente dell’azienda, che potrebbe essere venuta meno nel momento in cui si procede
allo scioglimento del contratto o alla sua modifica (ma ciò non sembra influire sull’inquadramento della
fattispecie e sulla sua ammissibilità).
Sia nel caso di modifica che in quello di scioglimento, è poi necessario che al contratto partecipino le
“medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia”, intendendosi con esso la complessiva
pattuizione anche quando sia stata frazionata in più contratti (cfr. art. 768quater, comma terzo, c.c.).
14. Il recesso
L’art. 768septies, n. 2, c.c., prevede la facoltà del recesso di uno dei contraenti. Essa non compete ex
lege, ma deve essere espressamente prevista nel patto di famiglia (recesso convenzionale); va
esercitata mediante dichiarazione diretta “agli altri contraenti” (atto recettizio). Ciò significa che detta
dichiarazione deve essere indirizzata a tutti i contraenti del patto, considerando anche
coloro che sono parti del “contratto successivo” di cui all’art. 768quater, terzo comma, c.c.
Quanto agli effetti del recesso occorre distinguere.
Nell’ipotesi di recesso del disponente viene evidentemente meno l’effetto traslativo dell’azienda o delle
partecipazioni, che rientrano quindi nel patrimonio del recedente. La disposizione in commento dovrebbe,
viceversa, avere proprio l’effetto di consentire l’esercizio del recesso convenzionale anche dopo che si
siano esauriti gli effetti del negozio da risolvere (e, quindi, a fortiori, quand’anche vi sia stato un principio
di esecuzione).
Il recesso del disponente determina necessariamente lo scioglimento del contratto: la
prestazione del disponente è, infatti, quella fondamentale del patto di famiglia, in quanto la liquidazione
dei legittimari, o la loro rinunzia a tale liquidazione, si giustificano esclusivamente sulla base della
concomitante o precedente attribuzione patrimoniale relativa all’azienda o alle partecipazioni.
Nel caso di specie, la retroattività ben si attaglia agli effetti voluti con il recesso: il recesso
dell’alienante integra a ben vedere una revoca dell’attribuzione patrimoniale. Figura, quella della
revoca, alla quale la dottrina prevalente assegna sicura efficacia retroattiva.
Le parti possono comunque determinare liberamente, nel contratto, il profilo della decorrenza degli
effetti del recesso, senza incontrare limiti, nella loro scelta, se non il principio generale della
impossibilità di attribuire al patto di recesso efficacia reale: sicché restano, in ogni caso, salvi i diritti
acquistati da terzi, sui beni oggetto del patto, prima del recesso.
La facoltà di recesso può essere attribuita contrattualmente all’assegnatario dell’azienda o delle
partecipazioni: anche in questa ipotesi l’esercizio del recesso comporterebbe lo scioglimento del
contratto, per le stesse ragioni sopra specificate, e quindi anche il venir meno di ogni preclusione alla
riduzione ed alla collazione. In questo, come nel precedente caso, sorge l’obbligo di restituzione
dell’azienda o delle partecipazioni al disponente, con le problematiche connesse alla valutazione del
patrimonio aziendale rispetto al momento in cui il trasferimento è avvenuto, e dei connessi incrementi
o decrementi dell’avviamento commerciale: questioni che è assolutamente opportuno affrontare e
risolvere con apposite clausole in sede di redazione del contratto che prevede la clausola di recesso.
Infine, il contratto può pattuire la facoltà di recesso di uno o più degli altri partecipanti al patto
(legittimari diversi dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni). In questo caso, il recesso del
legittimario non comporterà lo scioglimento del contratto, ma semplicemente l’obbligo di restituzione
della somma ricevuta a titolo di liquidazione della quota di legittima, con i relativi interessi; nel caso di
liquidazione con beni in natura, si avrà la retrocessione dei beni medesimi. Viene meno, per effetto del
recesso, l’effetto preclusivo della riduzione e della collazione nei confronti del legittimario recedente, il
quale potrà quindi liberamente esercitare le relative azioni e pretese. Il recesso del legittimario non
produce alcun ulteriore effetto di “concentrazione” o “accrescimento”.
Ove la facoltà di recesso sia convenzionalmente attribuita a tutti i legittimari partecipanti al
patto, diversi dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni, lo scioglimento del contratto
non è effetto necessario del recesso:, ai legittimari una volta receduti, potrà applicarsi il disposto
dell’art. 768sexies c.c., fermo l’effetto preclusivo della riduzione e della collazione disposto dall’art.
768quater, quarto comma, c.c.
La dichiarazione di recesso deve essere “certificata da un notaio” (art. 768septies, n. 2, c.c.).
Interpretazione plausibile di questa norma, che non ha un referente tecnico specifico in diritto italiano,
è quella di richiedere quantomeno l’autentica notarile. La dottrina però, ritiene si possa trascurare il
tenore letterale della norma, e che si debba valorizzare la natura degli effetti del recesso: quest’ultimo,
analogamente al mutuo dissenso, comporta lo scioglimento totale o parziale del vincolo contrattuale, e
ciò, per ragioni di simmetria, sembra necessitare la forma dell’atto pubblico, necessaria come si è visto
per il contratto di scioglimento ai sensi dell’art. 768septies, n. 1, c.c.3
Bibliografia essenziale
PATTO DI FAMIGLIA
L. Carota, L’interpretazione della disciplina del patto di famiglia alla luce del criterio di ragionevolezza, in Contr.
Impr., 2009, fasc. 1, pp. 213 ss.
F. Gerbo, Il patto di famiglia: problemi dogmatici. Loro riflessi redazionali, in Riv. Not., 2007, fasc. 6, pp. 1269 ss.
G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. Not., 2006, fasc. 2, pp. 401 ss.
C. Caccavale, Appunti per uno studio sul patto di famiglia:profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato,
2006, fasc. 3, pp. 289 ss.
RECESSO CONVENZIONALE DOPO INIZIO DI ESECUZIONE IN CONTRATTO AD EFFETTI REALI
C. Tomasetti, I negozi risolutori di secondo grado e i contratti ad effetti reali, in Obbl. contr., 2009, fasc. 2, pp. 152
ss.
M. C. Diener, Il contratto in generale, Manuale ed applicazioni pratiche dalle lezioni di G. Capozzi-Milano, 2002, pp.
514 ss.
C. M. Bianca, Diritto civile. III. Il contratto, Milano, 2001, p. 739.
G. Gabrielli-F. Padovini, voce Recesso (dir. Priv.) in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXIV, Milano, 1988, pp. 27 ss.
3
Cfr. anche Il recesso. In particolare, il recesso del patto di famiglia, in VOL. V, CASO 3 INTER VIVOS, Parte Teorica.
Massime per la soluzione del caso
RECESSO IN GENERE
L’esercizio di un clausola che riconosca ad un contraente di recedere ad nutum dal contratto deve avvenire nel
rispetto dei principi di buona fede e correttezza, anche al fine di riconoscere l’eventuale diritto al risarcimento del
danno per l’esercizio di tale facoltà in modo non conforme a tali principi. Spetta al giudice valutare che l’esercizio del
recesso non integri l’ipotesi di abuso di diritto; la valutazione deve essere più ampia e rigorosa laddove vi sia una
provata disparità di forze fra i contraenti (Cass. 18-9-09, n. 20106, in Diritto & Giustizia, 2009).
RECESSO DOPO INIZIO DI ESECUZIONE IN CONTRATTO AD EFFETTI REALI
Con riguardo a compravendita, la clausola che accordi ad entrambi i contraenti il potere di far venir meno gli effetti
del contratto non può essere ricondotta nell’ambito del patto di riscatto, contemplato dall’art. 1500 c.c. con
riferimento soltanto al venditore, ma può integrare, sulla base dell’individuazione dell’effettiva volontà degli stipulanti,
una condizione risolutiva potestativa (non rientrante nella previsione di nullità di cui all’art. 1355 c.c., inerente alla
condizione meramente potestativa di tipo sospensivo), ovvero un patto di recesso ex art. 1373 c.c., considerando
che il comma 1 di tale ultima norma, ove esclude il recesso dopo l’esecuzione del contratto, è suscettibile di deroga
convenzionale (Cass. 25-1-92, n. 812, in Giust. civ., Mass., 1992, 1).
La disposizione dell’art. 1373, primo comma, c.c., per la quale la facoltà di recedere dal contratto, attribuita ad una
delle parti, può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione, non opera
relativamente ai contratti ad esecuzione continuata, per i quali il secondo comma della medesima norma
espressamente prevede che detta facoltà può essere esercitata anche successivamente, ed è, comunque,
suscettibile di deroga per contraria pattuizione, da riconoscersi sussistente allorché la facoltà di recesso sia attribuita
in correlazione ed in funzione di un patto di prova, che necessariamente presuppone l’esecuzione delle prestazioni
dedotte in contratto (Cass. 27-2-90, n. 1513, in Giust. civ. Mass., 1990, 2).
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