Dio c’è e ne sono certo! Non posso esimermi dal rispondere ad una persona per bene, come è Maurizio Tencheni. In seguito alla lettura di un mio articolo riportato sul quotidiano Arena di Verona di domenica 9 novembre, nel quale mi mostravo critico sull’ateismo dogmatico dell’astrofisica di Trieste Margherita Hack, si è sentito incuriosito nel saperne un po’ di più. Per interposta persona mi chiede di esplicitare le ragioni della certezza che il suo vescovo nutre sul fatto che Dio c’è. In quell’articolo ho precisato che io ne sono certo, anche culturalmente, almeno per 15 argomentazioni. Tra di loro così concatenate da costituire in definitiva una unica argomentazione. E potrei snocciolarle tutte di seguito. Preciso subito il senso del termine argomentazione. Non equivale a prova matematica. È invece il corrispondente di una serie di ragioni che rendono più plausibile una affermazione rispetto al suo contrario. Ciò vale in ogni campo della conoscenza umana, anche in quella scientifica, laddove non esiste la certezza incontrovertibile della matematica. Big bang compreso: nessuno è in grado di farcene conoscere la realtà per evidenza e certezza matematica; ma le argomentazioni addotte sono più plausibili di quelle contrarie. In secondo luogo vorrei specificare il significato di “certezza culturale”. È la certezza che deriva dal principio della deduzione: poste alcune premesse certe, ne conseguono delle conclusioni fondate. Ciò vale persino nell’ambito dell’innamoramento: dal momento che sono certo di potermi fidare di una persona, da me conosciuta adeguatamente, ne consegue che posso affidarmi ad essa nell’impegno della coniugalità sponsale e mi sento culturalmente, cioè consequenzialmente, certo, della riuscita del nostro divenire coppia. Nonostante qualche possibile ombra. Se qualcuno avrà la pazienza di seguirmi su un tracciato da quindici tappe, almeno alla fine potrà controbattere con altrettante argomentazioni o dichiararsi convinto. Mi piacerebbe che giungessero nelle mani dell’astrofisica Margherita Hack, visto che è piuttosto riluttante ad un confronto pubblico. Purtroppo sono costretto solo ad impostare le argomentazioni più che ad esplicitarle, esemplificandole convenientemente. Ma data l’ampiezza argomentativa, chiedo di articolare il mio intervento in cinque puntate di ragionevole estensione. Chi ne ha il coraggio, mi segua. Spero non soffra di vertigini. Interessante è il punto di partenza. Incontestabile da chiunque. Eccolo. L’unica conoscenza che io ho per evidenza, cioè per immediatezza, è la percezione del mio essere io. Io e nessun altro. Tutte le altre conoscenze, quella scientifica compresa, è mediata. Ora, per percezione intendo la conoscenza immediata dell’intero mio essere, come in un’autoistantanea. Così certa quale non mi è possibile per nessun’altra conoscenza. Anche se non mi vedo se non nello specchio. Io mi percepisco come un io dotato di risorse di varia natura: fisiche, intellettuali, volitive, psichiche, emozionali, sensitive, relazionali… Tutte comunque fanno riferimento al mio essere un soggetto. Io sono il soggetto unico di tutte le operazioni, svariatissime, che provengono da ogni dimensione del mio essere, dal camminare al ricordare: sono io che cammino, attraverso i miei piedi; sono io che ricordo, attraverso la mia memoria... Insomma, io mi percepisco un essere complesso e unitario. Un solo io con tante dimensioni. Mi è lecito pormi qualche domanda, dal momento che ne sono capace e che urge in me: sono questo io da me stesso o qualcun altro, che mi precede e trascende, mi ha costituito così come sono? Penso immediatamente ai miei genitori, ai quali non posso che essere riconoscente. Ma da soli non giustificano la complessità del mio essere io. Non tutto il mio io è riassumibile in loro. Io sono altro da loro, ma non per effetto di una mia scelta o una potenza nascosta in me. Sento pertanto dentro di me come un istinto che sospinge lo sguardo della mia ragione più oltre. E si incrocia con un interrogativo, vero e per me insopprimibile, che enuncio così: “Chi sta in definitiva all’origine di me? Chi è l’Arché di me stesso (per usare un termine tecnico greco)? Del resto io mi percepisco come realtà non assoluta. Io non ho da me stesso l’origine permanente dell’intero mio essere. Non appena prendo i contatti con il mio io profondo, attraverso la coscienza, simultaneamente io mi percepisco come dipendente da una Realtà che ha tutte le caratteristiche per pormi in esistenza in modo così perfetto da fare del mio essere, complesso, un’opera d’arte. Non sono un prodotto del caos. Sono un cosmo, cioè ordine, armonia. Così mi riscontro: nel mio essere io, mi percepisco sostanzialmente coordinamento armonioso, anche se in tensione, tra fisicità, psiche, mente, volontà, relazione. Mi ritrovo ad essere così, ma non sono io all’origine dell’intera realtà del mio essere. Chi ne sta all’origine? Mi basta per ora aver posto l’interrogativo a me stesso. E poiché non intendo ingannare me, alla ricerca come sono della verità su me stesso, lascio a questo interrogativo il compito di suggermene la risposta. In definitiva: dal momento che esisto io, che non ci sia un Altro Io che mi sta alle spalle? Io mi percepisco così: non sospeso al vuoto, al nulla. Mi sento agganciato all’Assoluto! Forse qualche altro sta avendo la stessa percezione! + Giuseppe Zenti