* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 1
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Prima edizione: De re aedificatoria, Firenze, Niccolò di Lorenzo Alemanno, 1485
(Editio principes, Curata da Bernardo Alberti, cugino di Leon Battista. Porta una dedica
dedicata a Lorenzo il Magnifico ed è preceduta dalla lettera del Poliziano).
Libro primo - il disegno ....................................................................................................... 2
Libro II - i materiali ............................................................................................................. 7
Libro III - l’esecuzione dell’opera ..................................................................................... 11
Libro IV - opere di carattere universale ............................................................................. 14
Libro V - opere di carattere particolare ............................................................................. 18
Libro VI - Gli ornamenti .................................................................................................... 25
Libro VII - gli ornamenti degli edifici di culto .................................................................. 30
Libro VIII - gli ornamenti degli edifici pubblici profani ................................................... 37
Libro IX - GLI ornamenti degli edifici privati ................................................................... 40
Libro X - il restauro degli edifici ....................................................................................... 47
Prologo
p. 5
Sono svariate le “arti” “che contribuiscono a render felice la vita”. Alcune
“sono coltivate per la loro necessità; altre si raccomandano per i vantaggi che presentano; altre
si apprezzano soltanto perché riguardano argomenti piacevoli a conoscersi”. Ma “l’architettura”
concilia al tempo stesso “la convenienza pratica con il decoro”, perché “è quanto mai vantaggiosa alla comunità come al privato, particolarmente gradita all’uomo in genere e certamente
tra le prime per importanza”.
p. 5
“... il lavoro del carpentiere [...] non è che strumentale rispetto a quello
dell’architetto. Architetto chiamerò colui che con metodo sicuro e perfetto sappia progettare razionalmente e realizzare praticamente, attraverso lo spostamento dei pesi e mediante la riunione
e la congiunzione dei corpi, opere che nel modo migliore si adattino ai più importanti bisogni
dell’uomo. A tal fine è necessaria la padronanza delle più alte discipline. Tale dunque dovrà
essere l’architetto”.
p. 6
“... considerando quanto un tetto e delle pareti siano convenienti, anzi
indispensabili, ci convinceremo che queste ultime cause ebbero indubbiamente maggior
efficacia a riunire e mantenere insieme degli esseri umani”.
E’ qui invertito - fa notare Choay - l’ordine tradizionale, ripreso anche dopo Alberti da molti
autori, “per il quale lo stato di società è la condizione preliminare che consente all’architettura
di nascere e svilupparsi” (p. 95: Francçoise CHOAY, LA REGOLA E IL MODELLO - Sulla
teoria dell’architettura e dell’urbanistica, a cura di Ernesto d’Alfonso, Roma, Officina edizioni,
1986, pp. 388 - prima edizione Parigi, 1980).
p. 9
“Noi dunque, rendendoci conto di queste verità, abbiamo cominciato [...] a
indagare in modo approfondito su quest’arte e sul suo oggetto: da quali princìpi si tragga, in
quali parti consista e si delimiti”. L’architettura “è veramente la fonte di ogni comodità: [per] il
principe o i privati cittadini, la religione o la vita profana, il lavoro e il tempo libero, il singolo
o l’umanità nel suo complesso [...]. Tutti questi argomenti abbiamo deciso di raccogliere qui
[...] e trattarli dividendoli in dieci libri”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 2
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
p. 9-10
“Anzitutto [...] l’edificio è un corpo, e, come tutti gli altri corpi, consiste di
disegno e materia: il primo elemento è in questo caso opera dell’ingegno, l’altro è prodotto
dalla natura; l’uno necessita di una mente raziocinante, per l’altro si pone il problema del
reperimento e della scelta”. Ma per rispondere allo scopo occorre “l’intervento della mano
esperta dell’artefice che sia in grado di dar forma alla materia secondo il disegno”. “... essendo
svariate le finalità pratiche degli edifici [...] abbiamo diviso gli edifici in diversi generi. E
poiché in essi s’è constatato avere grande importanza la connessione delle linee nei loro
reciproci rapporti, che è il principale fattore della bellezza, ci siamo posti a ricercare in che
cosa la bellezza consista e come debba presentarsi in ciascuno di codesti generi. Poiché inoltre
in ognuno di essi si riscontrano talvolta degli errori, s’è indagato come questi si possano
correggere mediante il restauro”.
p. 10
“... come segue: Libro I: il disegno; II: i materiali; III: la costruzione; IV: opere
di carattere universale; V: opere di carattere particolare; VI: l’ornamento; VII: l’ornamento
degli edifici sacri; VIII: l’ornamento degli edifici pubblici profani; IX: l’ornamento degli edifici
privati; X: il restauro. Libri aggiunti: la nave; l’erario; aritmetica e geometria; che cosa giovi
all’architetto nel suo lavoro”.
Libro primo - il disegno
Capitolo I
p. 11-12
“L’architettura nel suo complesso si compone del disegno e della costruzione
[...]. La funzione del disegno è [...] di assegnare agli edifici e alle parti che li compongono una
posizione appropriata, un’esatta proporzione, una disposizione conveniente e un ordinamento
armonioso, di modo che tutta la forma della costruzione riposi interamente nel disegno stesso.
Ciò premesso, il disegno sarà un tracciato preciso e uniforme, concepito nella mente, eseguito
per mezzo di linee ed angoli, e condotto a compimento da persona dotata d’ingegno e di cultura”.
p. 12
“... volendo ricercare che cosa sia in sé l’edificio e il modo di costruire nel suo
complesso” Alberti compone un mito delle origini dell’edificare, scrive un racconto esemplare.
Capitolo II
“L’uomo, da principio, ricercò un luogo per riposarsi in qualche zona senza pericoli. Trovata
un’area [...]. Non volle però che tutte le faccende domestiche e individuali si sbrigassero nello
stesso ambiente, bensì che il luogo per dormire fosse diverso da quello per il focolare [...]. Si
cominciò allora a progettare la collocazione di un copertura ...”.
p. 13-14
“Da ciò risulta che l’oggetto dell’architettura si articola nel suo complesso in
sei parti, ossia: l’ambiente, l’area, la suddivisione, il muro, la copertura, l’apertura [...].
Chiameremo ambiente l’estensione e le caratteristiche complessive del terreno che circonda il
luogo di costruzione; parte di esso sarà l’area. Area si dirà una porzione di spazio esattamente
delimitata e circondata da muri per determinati scopi. [...]. Suddivisione è il criterio con cui si
ripartisce in aree minori l’area totale della costruzione: sicché l’intero corpo dell’edificio risulta
composto di edifici minori, quasi membra riunite a formare un unico complesso.
Si dice muro ogni struttura che si erge dal terreno verso l’alto a sostenere il peso della
copertura, o sorge all’interno dell’edificio a dividere i vani. Chiamiamo copertura non soltanto
quella parte dell’edificio posta più in alto di tutte ad arrestare la pioggia, ma in genere
qualunque parte si trovi estesa in larghezza e in lunghezza a sovrastare il capo di chi passa
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 3
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
sotto: come, ad esempio, soffitti in legno, crociere, volte, e simili. Si dirà apertura tutto ciò che
permetta di entrare o di uscire a uomini od oggetti in qualsiasi parte dell’edificio”.
p. 14
Alberti stabilisce tre princìpi validi per ciascuna parte che riecheggiano (dice la
nota del curatore) le categorie vitruviane: firmitas, utilitas, venustas. “Essi esigono che ognuna
di queste parti debba essere: bene adatta all’uso cui è destinata, e soprattutto perfettamente
sana; rispetto alla robustezza e alla durata, compatta e solida e indistruttibile; e quanto alla
leggiadria dell’aspetto, elegante, armoniosa, adorna in ogni sua parte”.
Capitolo III
p. 14
“Gli antichi facevano ogni sforzo per poter disporre di un ambiente che
presentasse, per quanto possibile, tutti i vantaggi e fosse scevro da ogni elemento nocivo. [...] se
la natura del terreno e delle acque presenta qualche svantaggio, si può modificarla con
opportuni accorgimenti; ma né l’ingegno né la potenza dell’uomo possono mutare il clima”.
Pertanto importanza dell’aria.
p. 16
“Si dovrà quindi scegliere tra tutti un ambiente che sia libero da formazioni di
nebbia o da qualsiasi addensamento di vapori”.
p. 17
“E’ quindi buona norma tener conto della quantità di sole che riceve
l’ambiente, e come e quando lo riceva, al fine di evitare un eccesso sia di luce che di ombra”.
Capitolo IV
p. 19
“Nella scelta dell’ambiente, converrà badare a che esso riesca ben accetto agli
abitanti sotto ogni profilo, sia per la conformazione naturale che per l’indole degli uomini con
cui devono entrare in rapporto”.
p. 20
“In ogni caso nessun edificio, qualunque esso sia, sarà peggio collocato, in
rapporto alla comodità e al decoro, di quando lo si celi nel fondo della valle”.
p. 21
“Pertanto la conformazione del luogo dovrà essere decorosa e ridente; mai
sprofondata in basso, ma anzi in posizione elevata sulla zona circostante, e tale da essere
continuamente allietata da buona aria. Vi sarà inoltre in abbondanza tutto quanto risponda a
esigenze pratiche e voluttuarie in qualsiasi momento: acqua, fuoco, cibo”.
p. 22
“... sarà bene condurre un’indagine accuratissima per accertare quali generi di
acque vi siano nell’ambiente che abbiamo scelto per vivere”.
“L’acqua avrà il miglior sapore quando non ne abbia affatto, e il colore più conveniente
quando ne sia del tutto priva”.
p. 23
Sui tarantolati...
Capitolo V
p. 24
“Nella scelta di un ambiente, non basta soltanto tener conto di quelle
caratteristiche che saltano subito all’occhio. Bisogna aver ben presenti tutti gli aspetti del
problema, notando anche i sintomi meno evidenti”.
Capitolo VI
p. 27
“Esaminati dunque i sintomi più riposti che la natura presenta, bisogna poi
tenere in considerazione tutto quanto possa tornar utile”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 4
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
p. 28
“Si dice altresì che è indizio di prudenza e di saggezza l’indagare sul destino
dell’ambiente mediante l’osservazione del cielo e del volo degli uccelli. Queste arti mi
sembrano tutt’altro che disprezzabili, purché vadano d’accordo con la religione. Nessuno infatti
potrà negare che negli eventi umani abbia una parte importante quell’entità - di qualunque
natura essa sia - che è chiamata ‘fortuna’“.
p. 28-29
“In conclusione si tenga per fermo che è proprio dell’uomo saggio non lasciar
nulla d’intentato affinché le fatiche e le spese del costruire non siano state inutili e perché
l’opera abbia a riuscire durevole e salubre [...]. E’ infatti impresa del più alto valore sia per noi
che per i nostri familiari, quella che giova alla salute, che serve a vivere in modo dignitoso e
piacevole, che tramanda la fama del nostro nome alla posterità”.
Capitolo VII
p. 29
“Nella scelta dell’area vale tutto ciò che abbiamo osservato a proposito
dell’ambiente. Giacché, come l’ambiente è una determinata parte, da noi scelta, di un territorio
più vasto, così l’area è una porzione esattamente definita dell’ambiente, che viene destinata
all’edificio da costruirsi”.
“Occorre cioè tener presente che genere di costruzione stiamo per intraprendere: se un’opera
pubblica o privata, sacra o profana, e così via; dei singoli generi tratteremo partitamente a suo
luogo. Ben diversa infatti è la qualità e la quantità dello spazio da adibirsi per un fòro, un
teatro, una palestra, o un tempio; quindi ciascuna di tali opere, in base alla propria natura e
funzione, esige una diversa forma e posizione per la sua area”.
p. 30
“Poiché infatti dobbiamo parlare del modo di delimitare l’area, è bene
descrivere gli strumenti con cui si esegue l’operazione”.
Seguono nozioni di geometria elementare.
Capitolo VIII
p. 31
“Le aree possono essere o poligonali o circolari”.
“In questo campo sono da notare quelle qualità la cui assenza sarebbe motivo di grave
biasimo e la cui presenza conferisce leggiadria e praticità all’edificio in ogni sua parte: mi
riferisco a quella certa varietà con cui devono disporsi gli angoli, le linee e le singole parti. Essa
non dev’essere usata troppo generalmente e nemmeno troppo di rado, bensì disposta in
funzione della utilità e della leggiadria in modo tale, che parti intere corrispondano a parti
intere, ed uguali ad uguali”.
p. 32
“Le linee costituenti i lati devono essere ciascuna uguale a quella
corrispondente situata dalla parte opposta: né si devono mai congiungere in un sol tratto,
nell’intera opera, linee lunghissime con linee cortissime; dev’esservi invece una giusta e
conveniente proporzione tra di esse, da stabilirsi di volta in volta”.
“L’area può essere situata in uno spiazzo pianeggiante, o sopra un pendio, o sulla cima di un
rilievo. Se la si pone in pianura, occorre rialzare il terreno in modo da costituire una specie di
zoccolo: il che, oltre a conferire decoro alla costruzione, eviterà gravi inconvenienti”.
Enumera tali inconvenienti che consistono principalmente nell’elevarsi del terreno per
l’accumulo nel tempo di detriti.
p. 33
“Ad ogni modo ogni area dev’essere perfettamente solida per sua natura o esser
resa tale artificialmente”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 5
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
“Se invece l’area sarà posta in cima a un’altura, essa andrà rialzata da qualche parte, ovvero
livellata spianando la sporgenza del cocuzzolo del monte. In questi casi bisogna far in modo
d’intraprendere un’opera tale che, senza trascurare il decoro, si possa realizzare evitando
eccessive spese e fatiche”.
p. 35
“Infine, tutte le aree provviste di copertura dovranno essere fatte perfettamente
orizzontali; quelle invece che rimangono scoperte, dovranno risultare inclinate dal piano quel
tanto che basti a far scorrere l’acqua piovana”.
Capitolo IX
p. 36
“Nella suddivisione si dimostra tutta l’acutezza d’ingegno e la preparazione
tecnica dell’architetto. La suddivisione infatti è rivolta a commisurare l’intero edificio nelle sue
parti, la configurazione completa delle sue parti in sé, e l’inserimento di tutte le linee e di tutti
gli angoli in un unico complesso, avendo di mira la funzionalità, il decoro e la leggiadria. E se è
vero il detto dei filosofi, che la città è come una grande casa, e la casa a sua volta una piccola
città, non si avrà torto sostenendo che le membra di una casa sono esse stesse piccole
abitazioni... “.
“A tal fine rispondono adeguatamente tutti gli insegnamenti esposti in precedenza circa
l’ambiente e l’area: e come nell’organismo animale ogni membro si raccorda con gli altri, così
nell’edificio ogni parte deve accordarsi con le altre. Da ciò il precetto: gli edifici più grandi
devono avere le membra più grandi [...]. Quindi ciascun membro deve avere il luogo e le
proporzioni più opportuni: non occuperà più spazio di quanto sia utile, né meno di quanto ne
esiga il decoro; né sarà collocato in un posizione impropria e disdicevole, bensì in quella che
precisamente gli appartiene, sì che non se ne possa trovare un’altra più conveniente. [...]
Bisogna poi tener conto delle stagioni, e conferire diverse caratteristiche agli ambienti estivi e a
quelli invernali”.
p. 37
“Occorre che ogni membro dell’edificio si armonizzi con gli altri per
contribuire alla buona riuscita dell’intera opera e alla sua leggiadria, di modo che non si
esaurisca in una sola parte tutto l’impulso alla bellezza, trascurando affatto le altre parti, bensì
tutte quante si accordino tra loro in modo da apparire un solo corpo, intero e bene articolato,
anziché frammenti estranei e disparati.
Inoltre, nel conformare le membra, la semplicità della natura è l’esempio da seguire. In
questo campo, come in tutti gli altri del resto, non meno di quanto è lodevole la sobrietà, è
riprovevole la smania smodata di costruite. La membratura sia dunque di proporzioni moderate,
e non esorbiti dalle precise funzioni che le sono assegnate. Giacché, a ben osservare, ogni
forma architettonica trovò origine dalla necessità, si sviluppò in funzione della praticità, fu
abbellita dall’uso; infine fu tenuto conto del piacere; ma il piacere medesimo sfugge sempre ad
ogni eccesso”.
“Non vorrei però che tutte le parti fossero disegnate con un’identica condotta e definizione
di linee, sì che in nulla si distinguessero tra loro”.
p. 38
“Invero la varietà dà un sapore gradevole a tutte le cose, se poggia sull’unità e
sulla corrispondenza reciproca tra elementi distanti tra loro; ma se tali elementi mancano affatto
di legami e non trovano un accordo conveniente, questo genere di varietà costituisce una grave
stonatura”. [Segue una similitudine con la musica].
Alberti raccomanda poi di seguire la tradizione, il che non vuol dire attenersi strettamente
agli schemi degli antichi, ma considerarli un insegnamento di partenza cui aggiungere soluzioni
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 6
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
nuove. Argomento che sarà trattato partitamente a proposito della città nel Libro IV: “Opere di
carattere universale”.
Capitolo X
“Tratteremo ora per sommi capi di come disegnare i muri”. Evitare, seguendo così gli
antichi, muri troppo lunghi mai interrotti da rientranze e sporgenze, che servono a rinforzarli.
p. 39
Ciò che ha importanza maggiore è la colonna. “... una fila di colonne non è altro
che un muro attraversato da aperture”. La colonna “... è una parte salda e stabile del muro
innalzata perpendicolarmente da terra fino alla sommità dell’edificio per sostenere la
copertura”.
“Credo che in origine la colonna sia stata inventata per sostenere la copertura. In seguito
vediamo farsi strada negli uomini il desiderio di raggiungere mete sempre più alte, e di creare,
essi mortali, opere che possano vincere la morte. A tal fine costruirono colonne, architravi,
perfino solai e tetti in marmo. Nel far ciò gli architetti imitarono la natura delle cose stesse, sì
da non aver l’apparenza di allontanarsi dai normali modi di costruire; inoltre fecero di tutto
perché l’opera loro riuscisse, oltre che conveniente e robusta, anche piacevolissima alla vista”.
p. 40
“Il muro deve essere costruito con le stesse proporzioni delle colonne”.
Capitolo XI
“L’utilità della copertura è maggiore di quella di tutte le altre parti. [...]. La copertura è
veramente un’arma con cui l’edificio si difende dall’assalto del tempo.
p. 41-42
Per conseguenza, bene a mio avviso anche in questo campo si regolarono i
nostri antenati, i quali vollero conferire alla copertura un posto tanto importante, da esaurire
quasi, nella sua ornamentazione, tutte le tecniche decorative”.
p. 42
“Le coperture sono di due tipi: a cielo aperto e no. Le prime di esse non
servono per camminarci sopra, ma solo per arrestare la pioggia. Le seconde sono ripiani
intermedi a palco o a volta, per modo di far risultare quasi due edifici sovrapposti”.
Seguono vari consigli e principi per le coperture, soprattutto a difesa dalla pioggia.
Capitolo XII
p. 43
“Possiamo ora parlare delle aperture. Sono di due tipi: le une servono per
illuminare e ventilare l’interno, le altre a fare entrare e uscire persone e cose. Alla prima
funzione sono adibite le finestre; all’altra le porte, le scale e gli intercolumni. Sono pure da
annoverare tra le aperture i condotti per il passaggio dell’acqua e del fumo: pozzi, fogne,
camini, le bocche delle fornaci e gli sfiatatoi”.
Seguono i consueti princìpi e consigli.
Capitolo XIII
p. 48
“La costruzione delle scale è lavoro difficile, da affrontare solo a ragion veduta,
dopo matura riflessione. Ciò perché esse comprendono tre diverse aperture: la prima è la porta
che offre accesso alle scale stesse, la seconda è la finestra che illumina la rampa e rende visibile
la profondità di ogni gradino, la terza è l’apertura nel soffitto che immette al piano superiore.
Ecco perché si dice che le scale rendono difficile il disegno degli edifici. Ma chi non vuole che
le scale diano intralcio eviti di dare intralcio alle scale”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 7
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Seguono i consueti princìpi e consigli.
Libro II - i materiali
Capitolo I
[Metodologico, come i due successivi, prima di trattare l’argomento vero e proprio dei
materiali].
p. 52
“Non mi stancherò mai pertanto di raccomandare ciò che solevano fare i
migliori architetti: meditare e rimeditare l’opera da intraprendere nel suo complesso e la misura
delle sue singole parti, servendoci non solo di disegni e schizzi, ma anche di modelli”.
p. 54
“Quando finalmente ogni aspetto del tuo progetto sia stato pienamente
approvato da te e dagli esperti, sicché non rimanga più il minimo motivo di incertezza o di
ripensamento, bada a non lasciarti soverchiare dalla smania di costruire ad ogni costo, e a non
iniziare l’opera tua demolendo antiche costruzioni o gettando smisurate fondamenta per l’opera
intera, come agiscono i folli e gli sventati. Ti consiglio invece di far trascorrere un po’ di
tempo... “.
Capitolo II
p. 54-55
“Nel riesame che farai del tuo modello, tra i vari elementi da meditare dovrai
tener presenti i seguenti. Ti chiederai in primo luogo se ciò che ti accingi a fare non superi le
forze umane; [...]. La natura infatti ha in sé tale forza che [...] riesce sempre ad aver ragione di
tutto ciò che le si oppone come ostacolo”.
p. 55
“Bisogna quindi fare attenzione a non intraprendere nulla che non si accordi
completamente con l’ordine naturale.
In secondo luogo si eviterà di impegnarsi in imprese che poi manchi la forza di portare a
termine”.
“Inoltre è importante considerare non solo cosa sia possibile, ma anche che cosa si
convenga”. Ad esempio Non un “sepolcro regale” per una meretrice anche quando se lo possa
economicamente permettere.
p. 56
“Se in genere per i monumenti privati si richiede modestia e per quelli pubblici
splendore, nondimeno talvolta anche questi ultimi sono lodati per essere tanto modesti quanto
quelli”.
p. 56-57
“Infine sarà bene evitare d’intraprendere una costruzione che, pur rispondendo
ai requisiti di utilità, decoro, possibilità di esecuzione, ed essendovene opportunità e mezzi in
quel momento, pur tuttavia sia di tale natura che in breve tempo, o per trascuratezza del
successore o perché non piace a chi vi abita, vada in rovina”.
Capitolo III
p. 57
“Dopo aver verificato questi punti, ti restano da vedere gli altri: se ognuno di
essi sia ben definito e abbia ricevuto la collocazione che gli spetta. [...] ... fare opera tale che
non se ne possa trovare un’altra più piacevole d’aspetto e più lodevole, a parità di spese e di
vantaggi. [...] ... badando che ogni particolare si accordi con tutti gli altri per il decoro e
l’armonia dell’insieme: al punto che qualsiasi cambiamento, aggiunta o detrazione vi si apporti,
dovrà apparire come un peggioramento”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 8
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Far sempre “ricorso al giudizio ponderato degli esperti”.
p. 58
“Sarà pure utile chiedere il parere di tutti: perché talvolta anche chi non
s’intende di questa materia fa delle osservazioni che appaiono agli stessi competenti tutt’altro
che trascurabili”.
Capitolo IV
p. 59
“I materiali da apprestarsi sono dunque i seguenti: calce, sabbia, pietra,
legname; inoltre ferro, rame, piombo, vetro e simili. E soprattutto a mio parere bisogna
scegliere operai esperti, seri, fidati, a cui affidare l’esecuzione accurata di lavori esattamente
definiti, raccomandando loro di essere onesti e solleciti nel condurli a termine”.
Alberti dichiara di voler seguire nella trattazione i migliori autori antichi.
p. 60
Iniziamo la trattazione con il “... materiale che per primo venne utilizzato dagli
uomini per costruire: cioè, se non erro, il legname ricavato dagli alberi cedui delle foreste”.
“... dicono che si devono tagliare gli alberi, e soprattutti l’abete, la picea e il pino, appena
cominciano a germogliare... “.
p. 61
“Dicono inoltre che è molto importante la fase lunare in corrispondenza della
quale si procede al taglio degli alberi”.
“... chi si taglia i capelli con la luna in fase calante in breve diventa calvo”.
“Ma tutti gli esperti sono d’accordo nel consigliar di tagliare il legname con la luna calante:
infatti dicono che in quel periodo è pressoché esaurita quella sorta di umore denso che tende ad
impregnare e far marcire ben presto il legno; e si è visto che il taglio con quella luna preserva
dai tarli”.
p. 62
“Columella pensa che il periodo migliore per tagliar legna sia tra il
quindicesimo e il ventesimo giorno del ciclo, in luna calante; Vegezio preferisce il periodo tra il
quindicesimo ed il ventiduesimo giorno dopo la luna nuova, da cui pensa sia sorto il costume
religioso di celebrare solo in questi giorni quei riti che si riferiscono all’eternità, appunto
perché ciò che si taglia in questi giorni dura per sempre”.
Capitolo V
p. 63
“Tagliata la legna, bisogna riporla in luogo riparato dall’azione violenta del
sole e dei venti”.
“Vari rimedi erano adottati contro l’invecchiamento del legno e le sue possibili malattie”.
“Ci sono poi vari sistemi per rassodare certi tipi di legname e per dar loro forza di resistere
alle intemperie”.
p. 64
“Ad ogni modo, sia che venga sepolto, sia che venga unto, o che lo si riponga al
sicuro in determinati luoghi, tutti gli esperti concordano nel dire che non va toccato prima di tre
mesi”.
Capitolo VI
p. 64-65
“Gli alberi il cui legno è reputato più adatto alle costruzioni sono questi: il
cerro, la quercia, la rovere, l’eschio, il pioppo, il tiglio, il salice, l’ontano, il frassino, il pino, il
cipresso, l’olivo selvatico, l’olivo domestico, il castagno, il larice, il bosso, il cedro; così pure
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 9
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
l’ebano e la vite. Ma le loro caratteristiche naturali sono molto varie, e adatte pertanto a vari
usi”.
Capitolo VII
p. 70
“Tiriamo le somme su quanto si è detto. Tutti gli autori testimoniano che gli
alberi infecondi sono più robusti di quelli ricchi di frutti; così pure, che quelli selvatici e non
curati dall’uomo sono più resistenti di quelli domestici”.
Capitolo VIII
p. 72
“Bisogna anche procurarsi il pietrame che serve per la muratura. Questo può
essere di due specie: l’una si usa per la preparazione delle malte, l’altra per costruire la struttura
dell’edificio. Cominceremo da quest’ultima”.
“Non mi soffermerò qui a discutere sulle teorie naturalistiche sull’origine delle rocce”.
p. 73
“Dice Catone: “estrarrai la pietra d’estate; la terrai sotto l’aperto cielo; non
l’adopererai prima di due anni”.”.
“Difatti è certo che all’interno di qualsiasi specie si trovano tra pietra e pietra notevoli
differenze: alcune si induriscono a contatto con l’aria, altre con la brina si arrugginiscono e si
frantumano, e così via”.
Capitolo IX
p. 75
“infatti non è fuori luogo avere un’idea di quanto varie e sorprendenti siano le
qualità delle pietre, in modo da potersene servire ai diversi fini che a ciascuna competono nella
maniera più appropriata”.
Capitolo X
p. 78
“E’ noto tuttavia che al posto della pietra gli antichi impiegavano spesso e
volentieri i mattoni. Credo che essi si inducessero la prima volta a costruire edifici in mattoni
per ragioni di necessità [...]; e quando conseguentemente si avvidero che quest’altro modo di
costruire era agevole ad attuarsi, di grande praticità, bellezza, durata, solidità, si diedero a
costruire in mattoni ogni genere di abitazioni, perfino le regge”.
p. 80
“... in molti monumenti dell’antichità, e specialmente in quelli della via Appia,
si trovano diversi tipi di mattoni, di dimensioni grandi e piccole, utilizzati in modi svariati: e
non credo che tali variazioni si debbano solo a convenienza pratica, bensì riflettono la
sollecitudine dell’architetto nel realizzare tutto ciò che si potesse concepire come esteticamente
gradevole e armonioso”.
p. 81
“Con ciò concludiamo la trattazione delle pietre; si parlerà ora della calcine”.
Capitolo XI
p. 81
“Catone il censore sconsiglia le calcine costituite da pietre differenti; esclude
poi che possa andar bene per alcun lavoro quella fatta di selce”.
p. 86
“Ora, poiché nel fare gli edifici non occorre solo la calce, ma anche la sabbia,
di quest’ultima dobbiamo trattare”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 10
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo XII
p. 86
“La sabbia può essere di tre tipi: di cava, di fiume, di mare. La migliore è quella
di cava, che a sua volta può essere di più specie: nera, bianca, rossa, carbonchiosa, ghiaiosa”.
“Quella meno buona è la bianca, ...”.
p. 88
“Ecco dunque come i vari popoli debbono adattarsi a costruire per sé diversi
alloggi a seconda delle necessità e delle circostanze”.
Capitolo XIII
p. 88
“Dopo la preparazione dei materiali suddetti, cioè legnami, pietra, calce sabbia,
resta ora da trattare il metodo e il procedimento da adottarsi per costruire l’edificio. Difatti, per
procurarsi ferro, rame, piombo, vetro e simili non bisogna fare altra fatica che il comperarli e
riunirli a portata di mano, in modo da non restarne senza nel corso dell’opera. Ad ogni modo
parleremo a suo tempo della loro scelta e distribuzione, ...”.
p. 89
“... Frontino, l’architetto, ammoniva di eseguire la costruzione nel periodo
dell’anno a ciò più propizio, che va dal primo aprile al primo novembre, con l’intervallo
dell’estate”.
“Alcuni però vogliono che la costruzione sia iniziata in modo propizio, essendo di grande
importanza sapere in quale momento ogni cosa sia entrata nel novero delle cose esistenti”.
p. 90
“In verità il tempo, a bene interpretarlo, ha un grande influsso su tutte le cose”.
“Da parte mia, pur non dando a chi professa la dottrina di osservare gli astri e le stagioni un
credito tale da pensare che con tali arti essi possano stabilire con certezza il destino di ogni
cosa, tuttavia non paiono da biasimare quando sostengono, in base agli indizi celesti, l’influsso
notevole che tali periodi fissati hanno, sia in bene che in male. Tutto sommato, comunque
stiano le cose, conviene obbedire ai loro consigli: se saranno veri, ci saranno di grande giovamento; se saranno falsi, non ci nuoceranno per nulla”.
“Veramente fanno ridere coloro che esigevano di iniziare con buoni auguri qualsiasi cosa,
anche il disegno dell’area di un edificio”.
“Ridicolo è pure il costume di pronunciare formule e preghiere propiziatorie”.
p. 91
“Io credo che la cosa migliore sia di lasciar perdere tutte le credenze
superstiziose e contraddittorie, e di iniziare il nostro lavoro con una disposizione d’animo pia e
religiosa: “Nel nome di Giove diamo inizio al canto; tutto è pieno di Giove” [Virgilio, Ecl., III,
60]. Con mente pura, dunque, adorando devotamente le offerte alla divinità, sarà bene dar
principio alla nostra impresa; e pregheremo soprattutto gli dei di darci il loro aiuto nel nostro
lavoro, favorendolo fin dal suo inizio, affinché sia poi condotto a compimento nel modo più
favorevole e soddisfacente, e che il costruttore, i suoi familiari e si suoi ospiti godano a lungo di
buona salute, di prosperità economica, di serenità d’animo, di fortuna crescente, di lavoro
fruttifero, e di gloria sempre maggiore; e che i suoi beni durino e si trasmettano ai discendenti.
Tanto può bastare”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 11
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Libro III - l’esecuzione dell’opera
Capitolo I
p. 92
“Il modo di eseguire una costruzione consiste tutto nel ricavare da diversi
materiali, disposti in un certo ordine e congiunti ad arte (pietre squadrate, malte, leganti, ecc.),
una struttura compatta e - nei limiti del possibile - integra e unitaria. Si dirà integro e unitario
quel complesso che non contenga parti scisse o separate dalle altre o fuori del loro posto, bensì
in tutta l’estensione delle sue linee dimostri coerenza e necessità.
Bisogna dunque ricercare, nella struttura, quali siano le parti fondamentali, quale il loro
ordinamento, quali le linee di cui si compongono”.
“Le fondamenta si fanno in un modo, i legamenti e le cornici in un altro, gli angoli e i
margini delle aperture in un altro, la superficie dei muri in un altro, e in un altro ancora il
riempimento del loro interno. Sarà nostro compito indicare che cosa sia proprio per ciascuna
parte.
Nel far ciò cominceremo dalle fondamenta”.
p. 92-93
“... il fondamento [...] non è una parte della costruzione [...]. Se infatti si trova
uno spiazzo assolutamente solido e incrollabile [...] non sarà necessario gettare alcun
fondamento”.
“Pertanto la ‘fondazione’, cioè l’andare in profondità, e l’opera di scavo, saranno necessarie
quando bisognerà ricercare un terreno saldo e stabile mediante l’apprestamento di una fossa; il
che succede quasi sempre e dappertutto”.
“Per tracciare gli angoli bisogna usare una squadra [...]. La squadra veniva fatta dagli antichi
con tre regoli - uniti a formare un triangolo -, l’uno lungo tre cubiti, il secondo quattro, il terzo
cinque [Era già’ conosciuto dagli egiziani ed è’ noto come triangolo sacro. Vitruvio (IX, prol.,
6)].
p. 93-94
Gli incompetenti non sono in grado di tracciare gli angoli se in precedenza non
siano rimossi tutti gli oggetti che ingombrano l’area della costruzione e il terreno non sia stato
liberato e del tutto spianato. Sicché si comportano peggio che se si trovassero nei campi del
nemico: dato di piglio ai martelli, inviano sul posto squadre di manovali guastatori a demolire e
fare sparire tutto quanto. E’ questo un errore da correggere. Difatti l’avversità della sorte e dei
tempi o la necessità di certe situazioni possono spesso indurci ad abbandonare l’impresa
iniziata; e non è bene al tempo stesso non avere il minimo riguardo verso l’opera degli antichi,
né si possono trascurare le comodità che i cittadini traggono dalle case tradizionali dei loro
antenati. A demolire, a spianare, a distruggere qualsiasi struttura in qualsiasi posto c’è sempre
tempo a disposizione. Quindi è preferibile lasciar intatte le antiche costruzioni fin tanto che le
nuove possano essere innalzate senza demolirle”.
Capitolo II
p. 94-95
Come si tracciano le fondamenta: la geometria, ascisse e ordinate.
Conformazione del sottosuolo, geologia.
p. 96
“... assai meno agevole è porre rimedio a fondamenta sbagliate, una colpa che
non ammette scuse”.
“Noi crediamo che in ogni caso occorra chieder consiglio a tutti gli abitanti del luogo
provvisti di cognizioni in materia e agli architetti delle vicinanze, i quali, fondandosi
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 12
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
sull’esempio degli antichi edifici e sulla quotidiana esperienza di costruirne dei nuovi, avranno
facilmente appreso le esatte qualità e le possibilità nella zona in cui vogliamo costruire”.
Capitolo III
p. 97
“Il metodo per scavare le fondamenta varierà dunque a seconda del variare del
luogo e delle sue caratteristiche”.
Capitolo IV
p. 99
“Resta da iniziare la costruzione. Ma poiché l’arte del costruttore e il metodo
dell’opera dipendono parte dalla qualità, conformazione e proprietà delle pietre, parte dalla capacità adesiva della calce e del materiale di riempimento, ne tratteremo molto brevemente per
quanto può servire agli scopi presenti”.
Capitolo V
p. 101
“Non trovo negli antichi alcuna indicazione circa il modo di costruire i muretti,
cioè il coronamento delle fondamenta a livello del terreno, tranne il consiglio di impiegare nelle
fondamenta quelle pietre che, dopo essere state tenute per due anni esposte all’aperto (come s’è
detto), abbiano rivelato dei difetti”.
p. 102
“Ma osservando altre grandi opere di espertissimi architetti antichi ho notato in
esse una grande varietà quanto al modo di gettare le fondamenta”.
Capitolo VI
p. 103
“Gettate le fondamenta, vengono i muri”.
p. 104
“Tra il muretto e il muro c’è una differenza, che l’uno, aiutato dai lati della
fossa, può consistere solo del materiale di riempimento, l’altro si compone di varie parti, come
ora spiegherò. Le parti principali del muro sono: la parte bassa, che sorge immediatamente
sopra il materiale che riempie le fondamenta, e che ci permetteremo di chiamare zoccolo o podio; la parte mediana, che circonda l’intera parete, ed è chiamata legamento; la parte alta, che
cinge la zona superiore del muro, ed è chiamata cornice”.
p. 105
“I tipi di muratura sono i seguenti: ordinario reticolato, incerto”.
Segue il loro uso.
Capitolo VII
p. 106
“E’ però molto importante sapere in quale connessione, in quale collegamento
le pietre si debbano disporre”.
p. 107
“Non bisogna dunque sistemare una venatura ritta nel fianco del muro, perché
le intemperie la scrosterebbero, bensì disposta orizzontalmente, sicché la pressione di tutto
quanto le sta sopra le impedisca di fendersi”.
p. 108
“In tutto l’edificio, inoltre, gli angoli, dovendo essere quanto più possibile
resistenti, andranno rafforzati con una struttura solidissima”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 13
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo VIII
p. 108
“Le parti del tamponamento sono quelle comuni [...] a tutta la parete: involucri
e riempitivi. Gli involucri si trovano situati all’esterno e all’interno. Sarà bene fabbricare
l’involucro esterno con pietra più dura, perché tutto l’edificio abbia lunga durata”.
Capitolo IX
p. 111
“Tra i leganti sono poi da annoverare certi ricorsi, fatti di pietre più grandi, che
tengono avvinti involucri esterni ad involucri interni, ed ossature ad ossature: com’è il caso dei
ricorsi da inserire, abbiamo detto, ogni cinque piedi d’altezza all’interno del muro”.
p. 112
“... quando un nuova pietra è posta sopra le precedenti, per farla meglio aderire
e combaciare con quelle già collocate la si pone a giacere con il suo punto di mezzo
corrispondente alla giuntura tra le due poste sotto, in modo che la sua estensione si distribuisca
con esattezza in egual misura da una parte e dall’altra”.
Capitolo X
p. 113
“Poiché in pratica al buon costruttore importa, più che scegliere i materiali più
adatti, giovarsi nel modo più opportuno e redditizio di quelli che sono a disposizione, in tal
senso continueremo il nostro discorso”.
p. 115
“I competenti dicono che non è conveniente innalzare ulteriormente la muratura
finché non sia completamente rappresa la parte finora costruita”.
“Si raccomanda altresì, durante la costruzione, di inserire nel corpo del muro un arco in ogni
punto dove possano essere utili o gradevoli per l’edificio nuove aperture, in modo da fornire
con l’arco alla parete, allorché in seguito verrà forata, una struttura di sostegno sicura e non
avventizia”.
Capitolo XI
p. 116
“Abbiamo parlato finora del corretto modo di costruire: con quali tipi di pietre
si eriga un muro e come lo si rafforzi con la calcina. Vi sono però altri modi di legare le pietre
da costruzione: talora, ad esempio, non si applica calcina, ma fango; talaltra le pietre si
accostano le une alle altre senza alcun impasto a sostenerle; per tralasciare altri metodi
costruttivi, come quello che consiste tutto nel solo riempimento, o quello che si limita agli
involucri”.
“Un muro costruito con mattoni crudi riesce giovevole alla salute degli abitanti dell’edificio,
resiste ottimamente agli incendi e non subisce soverchio danno dai terremoti; ma non regge
bene gl’impalcati, salvo che non abbia un adeguato spessore. Ecco perché Catone diceva di
innalzarvi pilastri in pietra, al fine di sorreggere le travature”.
Capitolo XII
p. 119
“Tra le coperture, dunque, alcune sono a cielo aperto, altre no; parimente
alcune sono costituite di linee rette, altre curve, altre ancora di queste e quelle insieme. Si aggiunga che la copertura si costruisce di legno o di pietra”.
Elementi comuni: “... è da pensare che in qualsiasi copertura vi siano, come nel muro,
ossature, nervi, riempimenti, involucri e croste”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 14
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo XIII
p. 123
“Passiamo alle coperture curvilinee. [...]. Una volta è costituita da archi; e che
l’arco non sia altro che una trave incurvata, abbiamo già dimostrato”.
Sugli archi.
Capitolo XIV
p. 127
“Vi sono diversi generi di volte, e bisognerà discorrere in che queste si
distinguano tra loro e di quali linee siano costituite”.
“I generi delle volte sono: a botte, a crociera, sferiche; e altre che sono costituite da una
parte di queste”.
Capitolo XV
p. 132
“Torniamo a parlare dell’involucro del tetto. in verità, se si esamina
attentamente la cosa, in tutto l’edificio non v’è parte più antica di quella che permette di
sfuggire ai calori solari e alle intemperie”.
p. 133
“Infine, provate le soluzioni possibili, l’ingegno e la solerzia umana nulla
ancora hanno trovato che sia più conveniente della tegola in terracotta”.
“Vi sono due tipi di tegole: uno piano, lungo un cubito e largo un piede, con margini rialzati
da una parte e dall’altra che misurano un nono della larghezza; l’altro ricurvo, somigliante agli
schinieri che proteggono le gambe. L’uno e l’altro hanno più larga la parte destinata ad
accogliere il flusso dell’acqua, più stretta quella che la deve scaricare”.
Capitolo XVI
p. 135
“Veniamo ora a trattare dei pavimenti, dal momento che partecipano delle
caratteristiche delle coperture. Possono essere a cielo aperto, a travature, non a travature”.
p. 139
“Terminata ora la trattazione delle caratteristiche generali comuni a tutta la
materia, passeremo a considerare quanto resta da trattare partitamente: in primo luogo i vari tipi
di edifici, e quanto a ciascuno di essi compete; poi i loro ornamenti; infine i metodi per porre
rimedio ai difetti dovuti ad errori del costruttore o ai danni del tempo”.
Libro IV - opere di carattere universale
Capitolo I
p. 140
“Che gli edifici siano sorti per rispondere ai bisogni degli uomini, è manifesto.
In origine, se vediamo giusto, essi cominciarono a costruire per apprestare a sé e alle proprie
cose una difesa contro le intemperie. In seguito, non soltanto curarono di attuare quanto era
necessario alla loro salute, ma non vollero trascurare nemmeno tutto ciò che potesse giovare a
conseguire agi e comodità. Più tardi, attratti e spronati dal presentarsi di nuove possibilità,
giunsero a concepire, e a procurarsi con l’andar del tempo, gli strumenti per soddisfare ai loro
piaceri. Cosicché, dicendo che l’edificio può essere costruito o per necessità vitali, o per
convenienza pratica, o per soddisfacimenti temporanei, probabilmente si coglierebbe nel segno.
Ma, osservando quanti e quanto diversi edifici si possano trovare, si intende facilmente che
la loro esecuzione non è tanto rivolta ai fini suddetti, né ad alcuni di essi piuttosto che ad altri;
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 15
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
la ragione fondamentale di questa infinita varietà sta bensì nelle differenziazioni presenti nella
natura umana”.
p. 142
“Volendo dividere in parti l’umanità, la prima cosa che risulta per sé manifesta
è questa: il modo di classificare non è lo stesso, quando tutti gli abitanti un luogo sono considerati un blocco, e quando li si distingue in gruppi diversi e separati. In secondo luogo, avendo
l’occhio alla loro natura stessa, risulterà ovvia l’opportunità di prender nota delle caratteristiche
fondamentali per le quali essi si differenziano tra loro, per poter in base ad esse formulare la
divisione”.
Gli uomini si distinguono dagli animali per “la ragione, e la conoscenza delle arti liberali; a
cui si può anche aggiungere la prosperità della sorte. Coloro che eccellono in tutte queste doti
contemporaneamente, sono ben pochi in tutta l’umanità. [...] si sceglieranno pochi individui
nella intera comunità, alcuni dei quali si distinguono per cultura, saggezza, ingegno, altri per
esperienza pratica delle cose, altri infine per ricchezza ed abbondanza nei beni di fortuna. A costoro indubbiamente sono da riservare le cariche più importanti nello stato” [...]
p. 143
[...] “Tutti gli altri cittadini dovranno collaborare con i precedenti e obbedir
loro secondo che l’opportunità richieda.
Se tutto ciò corrisponde a verità, risulta pure che altri sono i tipi di edifici da riservare
all’intera comunità, altri ai maggiorenti, altri al popolo; e tra quelli per i maggiorenti, ve ne
saranno alcuni riservati a coloro che sono preposti ai pubblici consigli, altri a chi cura
l’esecuzione delle decisioni, altri ancora a chi ha l’incarico di accumulare ricchezze.
E [...] sia lecito [...] attribuire un posto conveniente anche al diletto dell’animo. [...].
Parleremo dunque degli edifici destinati a tutti i cittadini, di quelli destinati ai cittadini
eminenti, e di quelli destinati ai ceti inferiori”.
Capitolo II
p. 144
“Tutti hanno bisogno della città e di tutti i servizi pubblici che ne fanno parte.
Se , in base al parere dei filosofi, decideremo che la ragione e lo scopo dell’esistenza della città
stanno in ciò, che i suoi abitanti possano vivere in tranquillità, nel modo più comodo possibile e
senza molestie, indubbiamente occorre meditare più e più volte in che luogo la si debba
costruire, in quale posizione, con quale perimetro”.
“Scrive Cesare che i Germani solevano considerare motivo di grande vanto l’essere
circondati da territori costituiti da deserti vastissimi; e ciò perché reputavano tale condizione
una mezzo importante per impedire eventuali invasioni di sorpresa effettuate dai nemici”.
p. 145
“Queste considerazioni indurrebbero a tenere in considerazione, per fondarvi
città, regioni del tipo suddetto, cioè selvagge e poco accoglienti. Ma c’è chi è di diverso parere,
preferendo profittare di tutti i vantaggi e i doni naturali, sì da non rinunciare ad alcuna
soddisfazione voluttuaria, così come si provvede alle necessità. Giacché - argomentano - un
giusto uso dello nostre risorse si può ottenere facendo rispettare le leggi e i costumi aviti; ma le
comodità della vita è certo più piacevole goderle a casa propria che essere costretti a ricercarle
altrove”.
p. 146
“Perciò i migliori autori dell’antichità che scrissero su questi argomenti [...]
stabilirono che una città dev’essere situata in modo da avere tutto quel che occorre nel proprio
territorio [...] senza bisogno di ricorrere altrove per alcunché; inoltre i suoi confini dovranno
avere una conformazione tale per cui il nemico trovi difficoltà a farvi irruzione e d’altra parte
sia possibile inviare eserciti nei paesi confinanti sia pure con l’opposizione del nemico”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 16
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
p. 147
Non diversamente da Platone “noi descriveremo, come modello esemplare, una
città siffatta da venir giudicata conveniente in ogni parte dagli uomini più dotti; in altro campo
ci adatteremo alle necessità della situazione concreta”.
“Stabiliremo dunque che una città dev’essere interamente priva di tutti gli svantaggi
esaminati nel primo libro; dev’essere inoltre provvista di tutti quei requisiti che esigono le
necessità prime della vita”.
“Conviene fondare la città nel centro del suo territorio, ...”.
“Ma la cosa più importante è decidere se sia meglio costruirla in pianura, in montagna o
sopra una spiaggia: giacché ciascuna di queste soluzioni ha lati positivi e negativi”.
p. 147-148 “... molti fondarono città sui monti perché, probabilmente, si rendevano conto
che tale posizione era più sicura. Essa tuttavia non fornisce acqua a sufficienza; mentre in pianura si trovano fiumi ed altri mezzi per procurarsi comodamente l’acqua. Quivi, d’altra parte, si
è oppressi dalla pesantezza dell’atmosfera: d’estate si brucia, d’inverno si gela oltre misura;
oltreché si rimane più esposti agli attacchi dall’esterno. Le spiagge a loro volta bene si prestano
a farvi affluire le merci; dicono però che ogni città marittima non è mai sicura, ma
continuamente attratta da prospettive di sovvertimento e sempre in balìa dello strapotere dei
mercanti, e inoltre è esposta a molti pericoli, soprattutto per le incursioni delle flotte straniere”.
“A mio parere la posizione migliore per fondare una città dovrebb’essere una zona
pianeggiante situata in montagna o un rialzo in pianura. E se questo desiderio, stanti le particolari caratteristiche dei luoghi, non può avverarsi, per far fronte alle nostre necessità, useremo
l’avvertenza, nel costruire in zona litoranea, che la città non risulti troppo vicino alla spiaggia,
se questa è pianeggiante, né troppo discosta se questa è montagnosa”; perché il litorale col
tempo muta aspetto.
p. 149
“Parimente la positura di una città sopra la cresta eminente di una altura (come
si usa dire) riesce di grande vantaggio al suo decoro, alla sua piacevolezza, e soprattutto alla sua
salubrità e sicurezza. Giacché là dove si levano monti in prossimità del mare, quest’ultimo non
può non essere profondo; inoltre l’elevazione impedisce ai vapori densi che salgono dal mare di
giungere fino alle case. Se poi qualche schiera nemica tentasse un improvviso colpo di mano, si
potrebbe porvi riparo per tempo e respingerla meglio”.
“Dovendo infine fondare una città in mezzo alle montagne, in primo luogo occorre fare
attenzione che non vi sia un inconveniente spesso presente in luoghi di tal genere, specie se
cinti d’intorno da altre cime più alte: il raccogliersi e permanere di una fitta coltre di nebbie,
che oscura la luce del giorno e rende il cielo sempre fosco e inclemente. E’ pure da accertare
che nel luogo non imperversino in modo eccessivo e molesto i venti, ...”.
p. 151
“Costruendo invece in pianura, nel caso normale che la città sia collocata in
riva a un corso d’acqua che ne attraversi le mura, occorre star bene attenti che questo non provenga da sud, né vi si diriga; poiché nel primo caso l’umidità nel secondo il freddo, accresciuti
dalle nebbie fluviali, giungeranno sul posto viepiù violenti e dannosi. Se poi il corso d’acqua
passa fuori della cerchia muraria, bisogna esaminare la zona circostante, ed elevare le mura in
quelle direzioni donde i venti hanno più facile accesso, mentre il fiume è da tenere alle spalle”
...
p. 152
città”.
“Terminiamo qui al trattazione dell’ambiente e della posizione ove fondare una
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 17
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo III
p. 152
“E’ facile comprendere che il perimetro di una città e la distribuzione delle sue
parti varierà in rapporto al variare dei luoghi: [...] se si costruisce sulle montagne non si avrà la
possibilità di dare al circuito delle mura forma di cerchio”.
“Non v’è dunque un unico metodo per cinger di mura le città in tutti i luoghi.
p. 152-153 Inoltre gli antichi affermavano che la città è come una nave, che deve avere tali
dimensioni da non ondeggiare, se vuota, né essere insufficiente, se piena. Altri ...”
p. 153
“Qui tuttavia mi atterrei all’antica massima: in ogni cosa si eviti l’eccesso; o se
mi toccasse scegliere tra i due opposti errori, preferirei seguire la via che mi desse eventualmente il mezzo per accogliere comodamente in città un maggior numero di abitanti,
piuttosto che quella che mi facesse dare un asilo non decoroso ai cittadini già presenti. Occorre
poi tener presente che una città non è destinata solo ad uso di abitazione; dev’essere bensì tale
che in essa siano riservati spazi piacevolissimi e ambienti sia per le funzioni civiche sia per le
ore di svago in piazza, in carrozza, nei giardini, a passeggio, in piscina, ecc.
Narrano Varrone, Plutarco e altri autori antichi che i maggiorenti delle città nel tracciare il
perimetro delle mura seguivano una cerimonia religiosa: [...]. Per tale motivo era stimato sacro
l’intero circuito delle mura e le mura stesse, ad eccezione delle porte che era lecito non
considerare tali”.
p. 154-155 Seguono varie citazioni di riti e presagi su fondazioni di città.
p. 155
“Ad ogni modo sono d’accordo con Platone: ogni città, per naturale ed
intrinseca inclinazione, in qualsiasi momento della sua storia è in pericolo di cadere in cattività,
poiché - sia derivato ciò da cause naturali o da consuetudini umane - nessuno è in grado di
porre un limite ragionevole ai propri possessi e alla proprie mire di potenza, in campo sia
pubblico che privato. Ed è questa l’origine fondamentale di tutte le aggressioni armate”.
“Abbiamo già chiarito in precedenza che sarà più capace di tutte quella città che avrà pianta
circolare; la meglio difesa quella le cui mura presentino contorni sinuosi, come fu per
Gerusalemme, [...] Tuttavia bisogna anche tener conto di quanto convenga fare in rapporto alla
particolare natura della città stessa”.
Capitolo IV
p. 157
Su come si costruiscono le mura.
Capitolo V
p. 159
“Il criterio da usarsi nel situare le porte deve tener conto del numero delle
strade militari”.
p. 161
“Tale dev’esser dunque una strada militare fuori di città: agevole, diritta, sicura
al massimo grado.
Quando si giunge in città, se questa è famosa e potente esigerà strade diritte e molto ampie,
confacenti al suo decoro e alla sua dignità. Se invece è una colonia o una semplice piazzaforte,
le vie di ingresso più sicure non sono quelle che conducono diritto alla porta, bensì quelle che
svoltano a destra o a sinistra lungo le mura [...] e all’interno della città non dovran passare in
linea retta, ma piegare con ampie curve [...]. Ciò perché, in primo luogo, apparendo più lunga la
strada, si avrà l’impressione che la città sua più grande: inoltre perché il fatto è di grande
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 18
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
giovamento sia alla bellezza, sia alla pratica convenienza, sia alle necessità di determinati
momenti. E’ infatti cosa di non poco conto che chi vi cammini venga scoprendo a mano a
mano, quasi ad ogni passo, nuove prospettive di edifici; che l’ingresso e la facciata di ogni
abitazione siano regolate in base all’ampiezza media della strada: qua l’eccessiva ampiezza
riesce sgradevole e persino malsana, là la stessa vastità può essere appropriata”.
Capitolo VI
p. 162
“Una parte importantissima della strada è il ponte”.
Capitolo VII
p. 170
“Le fogne vengono classificate nel novero dei lavori stradali, ...”.
“Siena, in Toscana, mancando di fognature, manca di pulizia; per cui avviene che per
l’intera durata della notte, ore in cui si possono vuotare dalle finestre i recipienti delle
immondizie, tutta la città è un solo fetore, e anche durante il giorno è molto sporca e appestata
nell’aria”.
Capitolo VIII
p. 171
“Se c’è una parte della città a cui si attaglia l’argomento della presente
trattazione, questa è indubbiamente il porto”.
p. 174
“Con ciò abbiamo condotto a compimento la trattazione delle opere pubbliche
di carattere universale. Aggiungiamo soltanto che nella città vanno distribuite grandi piazze: in
tempo di pace serviranno per i mercati o per gli esercizi fisici dei giovani; in tempo di guerra vi
si ammucchieranno le riserve di legna e di foraggio, e altri materiali utili a sostenere gli assedi.
Quanto ai templi, ai santuari, alle basiliche, ai luoghi per gli spettacoli, etc., poiché sono
bensì opere destinate a tutti, ma spettanti propriamente a cerchie ristrette, sacerdoti o magistrati,
se ne parlerà in separata sede”.
Libro V - opere di carattere particolare
Capitolo I
p. 175
“Abbiamo chiarito nel libro precedente come occorra adattare i vari tipi di
edifici alle diverse categorie dei cittadini e degli abitanti, sia in città che in campagna; abbiamo
anche detto che altri sono gli edifici destinati all’intera collettività, altri quelli riservati ai
maggiorenti, altri ancora alla plebe.
Ora dopo aver terminato la trattazione di quelli comuni a tutti, parleremo in questo quinto
libro di ciò che risponde alle necessità o alla convenienza di particolari gruppi”.
“Cominceremo dall’alto. La più alta autorità appartiene a coloro cui si affida il potere
politico: possono essere più persone, ovvero una sola. L’individuo fornito della massima
autorità sarà, naturalmente, colui che detiene da solo il potere. Occorre dunque considerare che
cosa si debba fare per costui. Anzitutto è importante stabilire che genere di uomo egli sia; se
cioè rassomiglia di più a colui che governa in modo giusto e santo, non conculcando la volontà
altrui, spinto dal desiderio di beneficare i cittadini non che dal proprio tornaconto personale,
ovvero a chi regola i rapporti coi propri sudditi in modo che questi gli debbano obbedire anche
contro voglia. A seconda che il potere sia in mano di un tiranno (come questi viene
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 19
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
denominato) o di chi lo acquisisce e lo conserva come una magistratura concessagli da altri,
variano quasi tutti gli edifici e le stesse città. Sarà propria di un re una fortificata soprattutto
dove serva respingere il nemico esterno; mentre un tiranno, essendo i concittadini suoi nemici
allo stesso modo degli stranieri, deve fortificare la sua città sia contro gli uni sia contro gli altri,
e in modo tale da potere perfino, all’occorrenza, servirsi degli stranieri come alleati contro i
suoi concittadini, e magari di una parte della cittadinanza contro l’altra”.
p. 176
“Come si debba fortificare una città contro il nemico esterno, s’è detto nel libro
precedente; resta da vedere cosa convenga apprestare contro gli abitanti stessi”.
p. 177
“In complesso una città di questo tipo dev’essere costruita in modo che chi ha il
potere abbia egli solo tutte le posizioni sopraelevate, e che i suoi fidi abbiano libero il passo a
girare in lungo e in largo per l’intera città senza che alcuno possa impedirlo. In questo senso,
dunque, al città del tiranno si differenzia da quella del re.
Forse c’è un’altra differenza: che per una popolazione libera è più conveniente la pianura,
mentre il tiranno gode di maggior sicurezza in montagna”.
p. 178
“... nelle case, così come nelle città, ci sono parti frequentate da tutti, altre
riservate a pochi, altre infine alle singole persone”.
Capitolo II
p. 178
cittadini”.
“Portico e vestibolo [...] non sono destinati soltanto alla servitù [...], ma a tutti i
“Il portico e il vestibolo devono trarre decoro dall’ingresso. Questo a sua volta trae decoro
sia dalla strada in cui si affaccia sia dall’importanza della sua costruzione. All’interno le stanze
da pranzo, i ripostigli e il resto verranno distribuiti nei punti che loro competono, di modo che
quanto vi è riposto possa conservavisi nel modo migliore: dovranno essere in buona posizione
riguardo all’atmosfera, al sole e ai venti, e sistemati in maniera da rispondere ai fini richiesti;
saranno inoltre tenuti separati, per evitare che la presenza continua di forestieri e di
frequentatori abituali tolga agli uni dignità, comodità e piacere, e dia agli altri insolenza.
p. 179
Nella casa l’atrio, la sala e gli ambienti consimili devono essere fatti allo stesso
modo che in una città il fòro e i grandi viali: non già, cioè, in posizione marginale, recondita e
angusta, ma in luogo ben visibile e tale da essere raggiunto nel modo più diretto dalle altre parti
dell’edificio. Ad esso devono dirigersi i vani delle scale e degli androni così come i forestieri a
render omaggio e a ringraziare.
La casa non deve avere più entrate, bensì una sola, attraverso cui nessuno possa entrare o
portar fuori qualcosa all’insaputa del portiere. Occorre evitare che porte e finestre siano
accessibili ai ladri, e anche allo sguardo dei vicini, che potrebbero infastidire osservando e
venendo a conoscenza di quanto si dice o si fa nell’interno”. Anche però uscite segrete
secondarie.
p. 179-180 “Gli elementi testé chiariti sono comuni alle abitazioni dei principi e dei privati
cittadini. La differenza fondamentale tra i due tipi di case consiste in ciò, che ognuno è
caratterizzato da una propria intrinseca natura: i palazzi principeschi, che devono servire a un
gran numero di persone, si distingueranno per il numero delle stanze e l’ampiezza degli
ambienti; mentre nelle case abitate da pochi individui o da singoli dovrà contare più la bontà
della fattura che la grandezza. Altra differenza: nelle abitazioni principesche, destinate a molta
gente, anche le parti riservate a singole persone devono spirare un’aria di regalità, poiché
sempre nelle case dei re vi è gran folla; nelle case private anche le parti frequentate da molti
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 20
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
sarà bene che si costruiscano in modo da mostrare che, con esse, il capofamiglia non ha fatto
altro che provvedere alle proprie necessità”. Nelle abitazioni regali appartamenti separati per la
moglie e per il marito.
“La sala di riunione dei principi e i triclini saranno situati in luogo privilegiato. Tale
preminenza sarà determinata dalla posizione elevata e tale da permettere la vista di un ampio
panorama all’intorno, sul mare o sulle colline”.
Capitolo III
p. 181
“A mio giudizio vi dev’essere un loggiato coperto non soltanto riservato alle
persone, sì anche come riparo per le bestie da soma, ...”.
Seguono ulteriori indicazioni sugli ambienti necessari alle case principesche, la loro
posizione in città, le differenze con quelle del tiranno, le reggie annesse alle rocche e la difesa
militare.
Capitolo IV
p. 183
Seguono indicazioni sulle rocche.
Capitolo V
p. 186
Ancora sulle rocche.
p. 187
“Con ciò abbiamo terminato la trattazione delle opere da eseguirsi per il capo
della comunità, sia questi re ovvero tiranno”.
Capitolo VI
p. 187-188 “Resta da parlare di quanto appartiene a coloro che detengono insieme, non
individualmente, il potere. Il governo o viene affidato a costoro tutti insieme, come unica
magistratura, o vien diviso in parti. La vita pubblica si compone di una parte sacra, onde si
onora la divinità, cui sovrintende il clero, e di una profana, rivolta la bene della società, cui
sono preposti in tempo di pace senatori e giudici, in guerra generali, ammiragli, etc. A tali
uomini si addicono due generi di domicilio: l’uno è attrezzato per la carica esercitata, l’altro è
fatto per abitarvi insieme con i familiari.
L’abitazione della famiglia dovrà essere confacente al tipo di vita che il padrone intende
condurre: da re, da tiranno, o da privato. Vi sono in particolare talune caratteristiche proprie
anzitutto di quest’ultima categoria. [...] le abitazioni dei maggiorenti per rispetto verso essi
medesimi e verso i loro familiari dovevano tenersi ben discoste dal popolino ignobile e dal
confuso brusio degli artigiani; ...”.
p. 189
“I luoghi nei quali i maggiorenti esercitano le funzioni loro spettanti, sono noti:
il senatore lavora nella curia, il giudice nella basilica o nella corte di giustizia, il capo militare
nell’accampamento o nella flotta, e così via. Quanto al religioso, appartengono a lui non
soltanto i templi, ma anche quei luoghi che sono per lui come accampamenti da guerra, poiché
sia il pontefice sia coloro che sotto di lui amministrano gli uffici religiosi svolgono essi pure un
duro e faticoso servizio militare, vale a dire - come abbiamo scritto nell’opera intitolata il
pontefice - la lotta della virtù contro il male”.
“I templi principali saranno probabilmente situati nella posizione più conveniente nel centro
della città; ma più nobile è una posizione al di fuori delle zone più affollate; più decorosa se è
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 21
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
sopra un’altura; più sicura dalle scosse telluriche se è in pianura. Insomma, conviene costruire
il tempio in luogo che possa conferirgli la massima venerabilità e maestà”.
p. 190
“in generale l’edificio dedicato al culto dovrà essere in ogni sua parte eseguito
in modo tale che chi non l’ha ancora visto sia attratto a visitarlo e i presenti siano piacevolmente presi e incantati dalla meraviglia per la rarità dell’opera”.
Capitolo VII
p. 190
“La roccaforte del religioso è il monastero. [...] In alcuni di tali monasteri
lavorano gli studiosi che si dedicano all’approfondimento delle dottrine umane e divine. [...]
compito del clero [è] guidare la comunità dei fedeli a condurre un’esistenza perfetta sotto ogni
riguardo [...] il mezzo migliore per raggiungere questa meta è la filosofia.
Due infatti sono i mezzi che permettono alla natura umana di seguire tale fine: la virtù e la
verità: l’una lenisce o fa sparire i turbamenti dell’animo, l’altra scopre e fa conoscere i
fenomeni e le leggi naturali; onde l’umano ingegno si libera dall’ignoranza, e l’anima
dall’impurità della materia. In tal modo per mezzo della filosofia conduciamo un’esistenza
pienamente felice, quasi agguagliandoci ai celesti.
p. 191
Inoltre è dovere degli uomini virtuosi, quali gli ecclesiastici [...] dar sollievo ed
aiuto ai malati, ai deboli, ai derelitti, prestando loro servizi, benefici, opere di misericordia”.
“Cominciamo dai monasteri. Vi sono monasteri di clausura, [...] si dividono inoltre in
monasteri maschili e femminili.
Come difendere la clausura del monastero, la castità delle vergini che vi sono rinchiuse, etc.
p. 192
“Quanto a quei monaci la cui missione religiosa si accompagna allo studio delle
discipline liberali, per permetter loro di occuparsi più agevolmente dei problemi umani, com’è
loro compito, le loro sedi non dovranno trovarsi in mezzo al rumore e alla confusione degli
artigiani, ma neppure essere interamente isolate dal consorzio dei cittadini. [...] Tali monasteri
avranno al sede adatta nei pressi di luoghi pubblici, come teatri, circhi, piazze, dove la gente si
reca spesso e volentieri a svagarsi: ...”
Capitolo VIII
p. 193
“Nell’antichità, e soprattutto in Grecia, si usava costruire nel centro della città
certi edifici, detti palestre, ove ci si intratteneva discutendo di filosofia. Erano provvisti di
ampie finestre che aprivano vedute all’intorno, di seggi disposti in file piacevoli decorose a
vedersi, di porticati che cingevano spazi verdeggianti e adorni di fiori. Tali ambienti assai bene
si attagliano a quel genere di religiosi cui or ora s’è fatto cenno”.
“Se poi si vogliono impiantare pubblici auditorii e scuole, ove sia possibile incontrarsi con
luminari e professori, occorre situarli in zone che non riescono importune per chi le frequenti:
dovranno essere lungi dal frastuono degli artigiani, da esalazioni e da fetori; non dovranno
essere turbati da gente sfaccendata; e respirino aria di solitudine, che è congeniale a chi è
occupato da gravi pensieri circa questioni importanti e difficili; abbiano infine un aspetto maestoso piuttosto che piacevole.
Per l’assistenza verso i miseri e i derelitti il clero deve disporre di edifici articolati in diverse
parti, da apprestare con la massima cura”. Luoghi differenti per trovatelli ed ammalati.
p. 194
“In Toscana, terra di antichissime tradizioni di pietà religiosa, si trovano
splendide case di cura, approntate con spese ingentissime, dove qualsiasi cittadino o straniero
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 22
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
trova qualunque cosa possa servire alla salute. Ma poiché vi sono malati inguaribili, come i
lebbrosi, gli appestati, etc., che possono infettare e contagiare le persone sane, e malati guaribili, è necessario che siano tenuti in reparti separati”.
captilo ix
p. 195
“Abbiamo detto che la vita dello stato si presenta sotto due aspetti, il sacro e il
profano. Del primo argomento abbiamo esaurito la trattazione, e toccato in qualche misura anche il secondo, precisamente allorché s’è parlato del senato e del luogo ove il principe
amministra la giustizia. Resta ora da fare qualche breve aggiunta, per passare poi agli accampamenti militari e alla flotta, e infine agli edifici privati.
Nell’antichità vigeva dapprima la consuetudine di riunire il senato in un tempio; in seguito
invalse l’uso di riunirlo fuori città; infine si preferì costruire edifici riservati appositamente a
questa funzione. [...] A tal fine la curia senatoria era situata nel centro della città, e nelle sue
adiacenze si pensò bene di collocare la curia giudiziaria e il tempio”.
p. 196
“In questi luoghi di pubbliche riunioni occorre approntare tutto quanto è
necessario affinché una folla di cittadini sia agevolmente introdotta, decorosamente sistemata, e
fatta uscire nel modo più adatto”.
“Credo valga la pena di rammentare che negli edifici riservati all’ascolto di recite, canti o
dispute le volte non sono convenienti, perché fanno rimbombare al voce; bene invece servono i
soffitti a travature, che le conferiscono sonorità”.
Capitolo X
p. 196
“Per ben disporre un accampamento è necessario richiamare e rimeditare
quanto s’è detto nei libri precedenti a proposito dei metodi da usarsi nel costruire le città.
Giacché un accampamento è come un embrione di città; e si può constatare che parecchie città
si sono sviluppate là dove esperti generali avevano posto il campo”.
Capitolo XI
Continua sugli accampamenti di terra.
Capitolo XII
p. 204
“Che la flotta sia reputata un accampamento marittimo, probabilmente non si
vorrà ammettere da taluni ...”.
“La funzione fondamentale della nave è il trasporto di uomini e materiali; viene poi subito
dopo quello di fornire aiuto in guerra senza pericolo”.
p. 205
“Per la fabbricazione delle navi gli architetti antichi si ispirarono nel disegno
alla forma dei pesci: il dorso di questi corrisponde alla chiglia, la testa alla prua, la coda al
timone, branchie e pinne ai remi”.
Capitolo XIII
p. 207
“A questo punto, poiché per mettere in atto tali e tanti progetti è necessario un
adeguato equipaggiamento, e il procurarselo costa, si parlerà dei magistrati il cui compito è appunto quello di provvedere a queste necessità”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 23
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
p. 208
“E’ sufficientemente noto che i granai, le casse pubbliche, gli arsenali, vanno
sistemati in mezzo alla città, nella zona più frequentata, perché siano più sicuri e a disposizione
di tutti; mentre i cantieri navali si debbono collocare fuori degli agglomerati urbani per il
pericolo rappresentato dagli incendi”.
p. 209
“A questo punto mi pare di aver trattato a sufficienza le opere d’interesse
pubblico. Aggiungerò soltanto che per i magistrati testé menzionati è importante disporre di
luoghi ove imprigionare quei cittadini che sono stati giudicati colpevoli di resistenza alla
pubblica autorità, frode, o disonestà”.
“Il carcere si configurerà come ora diremo. ...”.
Capitolo XIV
p. 210
“Passiamo ora agli edifici privati. Abbiamo già detto altrove che la casa è una
città in miniatura”.
p. 210-211 “E’ risaputo che la casa dev’esser costruita per la famiglia, affinché vi possa
risiede con tutte le comodità. [...] C’è un gran numero di persone e di oggetti appartenenti alla
famiglia, che non possono essere assegnati con pari libertà alla città e alla campagna. Nel
costruire una casa in città, infatti, un muro vicino, uno scarico d’acqua, un terreno pubblico,
una strada, e molte altre cose del genere, ostacolano l’attuazione completa del nostro progetto.
Ciò non succede invece in campagna. Qui tutti gli spazi sono liberi, là sono occupati. Ecco
dunque una delle ragioni valide a motivare la distinzione degli edifici privati in urbani e rustici;
inoltre in ambedue i generi vi sono due diversi tipi di edifici secondoché gli abitanti siano
poveri o ricchi”.
p. 211
“Le abitazioni di campagna sono quelle che hanno minori difficoltà; inoltre i
ricchi hanno maggiore tendenza ad investire denaro in edifici rustici”.
“La villa, a mio giudizio, dev’esser situata in quella parte della campagna, che meglio si
confaccia alla posizione dell’abitazione urbana dello stesso padrone”.
Capitolo XV
p. 212
“Diverse sono le case di campagna abitate dagli uomini liberi e quelle abitate
dai contadini. Queste vengono costruite essenzialmente per motivi d’interesse, quelle piuttosto
per semplice diletto. Tratteremo ora di quelle adibite al lavoro dei campi. Le case dei contadini
non devono trovarsi lontane dalla villa del padrone, sicché questi possa controllare a qualsiasi
ora ciò che quelli stanno facendo, e constatare quali lavori occorra eseguire. Funzione tipica di
questo genere di edifici è di contenere, disporre e conservare i prodotti raccolti nei campi”.
“Si appresterà quindi una cucina ampia, ben illuminata, al sicuro dagl’incendi, provvista di
forno, focolare, acqua, canali di scarico. A contatto con la cucina si colloca il locale dove
dormono i massari, e dove sono riposti la cesta del pane, la carne salata, il lardo, per uso
quotidiano. Tutti gli altri saranno distribuiti in maniera che abbiano a portata di mano ciò cui
sovrintendono: il fattore sarà presso la porta principale, affinché nessuno di notte si avvicini a
sua insaputa e sottragga qualcosa; i guardiani del bestiame staranno presso le stalle , per
intervenire con prontezza quando il caso lo richieda”.
Ricoveri per gli strumenti e per il bestiame da lavoro.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 24
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo XVI
Le stalle, altri ricoveri e vivai per gli animali da “consumo”, e i magazzini per i prodotti.
p. 218
“Qui terminiamo la trattazione delle case dei lavoratori rurali”.
Capitolo XVII
p. 218
“Riguardo alle ville signorili, alcuni istituiscono la distinzione tra ville estive ed
invernali [...]. Noi tuttavia siamo dell’avviso che le condizioni siano ben diverse da zona a
zona, e che occorra pertanto regolarsi di volta in volta in modo da equilibrare il freddo e il
caldo, l’umidità e la siccità.
Consiglierei di situare l’abitazione dei signori in un punto della campagna non
particolarmente fertile, ma notevole per altri rispetti:” ventilazione, esposizione al sole, panorama; comunicazioni agevoli, viale d’ingresso decoroso; “godrà della vista di una città, di forti,
del mare, o di una vasta pianura; o permetterà di volgere lo sguardo sulle note cime di colli e di
montagne, su splendidi giardini, su piacevoli scene di pesca e di caccia”.
Per le pertinenze di tutti “... si seguiranno i criteri che ispirano le abitazioni dei principi”.
p. 219
“La parte più importante dell’edificio è quella che, benché si possa pensare di
chiamarla cortile o atrio, noi chiameremo ‘cuore della casa’ [...]. Il suddetto ‘cuore della casa’
sarà dunque la parte fondamentale, intorno a cui graveranno tutte le parti minori, come verso
una pubblica piazza all’interno dell’edificio, e su cui si affacceranno, oltreché delle opportune
entrate, delle convenienti aperture per la luce”.
Continua con le indicazioni sugli altri locali.
Capitolo XVIII
p. 227
“L’abitazione di campagna e quella di città differiscono in ciò, che l’una
costituisce per costoro un luogo di soggiorno estivo, l’altra più vantaggiosamente è adibita per
le stagioni fredde. Ne consegue che nel primo caso si profitta di tutte le piacevolezze - luce,
aria, spazio, panorama - che la campagna offre. Per le abitazioni cittadine, pertanto, sarà
difficile di disporre di quanto è necessario alla vita civile, per vivere cioè in modo decoroso e
con buona salute; e, tuttavia, nei limiti concessi dalla scarsità di spazio e d’illuminazione, sarà
bene dotare le case di città di tutte le delizie delle ville di campagna.
Saranno dunque fornite di un ampio atrio, di porticato, di spazio per il passeggio e le
carrozze, di bei giardini, e così via. Se a tutto ciò mancasse lo spazio, costruendo più piani
sopra un terreno ben livellato si otterranno le superfici adatte alle diverse parti. Ove poi la
formazione del terreno lo consenta, si scaveranno cantine ...”.
p. 228
“Le abitazioni della gente meno agiata saranno ispirate, nei limiti della diversa
situazione economica, all’eleganza delle dimore delle classi abbienti; tale abitazione sarà peraltro temperata dall’avvertenza di non sacrificare l’utilità al diletto. Quindi nella costruzione
della casa di campagna di provvederà alle esigenze dei bovini e degli ovini non molto meno che
a quelle della propria moglie ...”.
Continua indicazioni sulla casa di città.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 25
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Libro VI - Gli ornamenti
Capitolo I
p. 231
“S’è parlato nei primi cinque libri del disegno dell’edificio, dei materiali da
costruzione, dell’impiego della manodopera, di tutto quanto ci è parso importante ai fini della
costruzione di opere pubbliche e private, sacre e profane, in modo da renderle resistenti alle
intemperie e adatte alle svariate funzioni che la diversità di luoghi, tempi, persone e cose
esige”.
Segue una riflessione sulle difficoltà incontrate nel condurre a termine l’opera. Vedi quanto
scrive Choay (p. 123-124).
p. 233
“Dei tre criteri fondamentali che informano la tecnica costruttiva in ogni campo
- che gli edifici risultino adeguati alle loro funzioni, abbiano la massima solidità e durata, e
siano eleganti e piacevoli nella forma - abbiamo terminato di trattare i primi due. Rimane
dunque il terzo, che è di tutti il più nobile, oltreché indispensabile”.
Capitolo II
p. 233
“E’ opinione diffusa che l’impressione di leggiadria e piacevolezza derivi
esclusivamente dalla bellezza e dall’ornamento”.
p. 233-234 “La bellezza è dunque un fattore della massima importanza e dev’essere ricercata
con grande impegno soprattutto da chi intende rendere piacevoli le cose proprie. Il posto preminente che ad essa attribuirono i nostri antenati, da uomini saggi quali erano, risulta tra l’altro
dalla incredibile cura che essi impiegarono per adornare riccamente le manifestazioni dei più
vari campi della vita pubblica: diritto, vita militare, religione, etc.; lasciando intendere,
probabilmente, che queste attività, senza le quali la società civile cessa sostanzialmente di
esistere, una volta private della magnificenza dell’ornamento si riducono ad operazioni vuote e
insulse. Guardando il cielo e le sue meraviglie noi restiamo incantati dinanzi all’opera degli dei
più per la bellezza che vi vediamo che per l’utilità che possiamo avvertirvi. del resto è inutile
dilungarsi su questo punto. In qualsiasi luogo è possibile constatare come giorno per giorno la
natura non cessi mai dallo sbizzarrirsi in una fantasmagoria di bellezze: tra i molti esempi basti
ricordare le tinte dei fiori.
p. 234
Se dunque v’è cosa alcuna che esige queste qualità, l’edificio è certo tale da
non poterne in alcun modo far senza, se non urtando al sensibilità degli esperti come dei
profani. [...] Quando un’opera pecca in eleganza, il fatto che risponda alla necessità è cosa di
scarsissimo peso, e che soddisfi alla comodità non appaga sufficientemente.
Inoltre la bellezza è qualità si fatta da contribuire in modo cospicuo alla comodità e perfino
alla durata dell’edificio. Giacché nessuno potrà negare di sentirsi più a suo agio abitando tra
pareti ornate che tra pareti spoglie; né l’arte umana può trovare mezzo più sicuro per proteggere
i suoi prodotti dalle offese dell’uomo stesso, anzi la bellezza fa sì che l’ira distruggitrice del
nemico si acquieti e l’opera d’arte venga rispettata. Oserei dire insomma che nessuna qualità,
meglio del decoro e della gradevolezza formale, è in grado di preservare illeso un edificio
dall’umano malvolere”.
p. 235
“In che consistano precisamente la bellezza e l’ornamento, e in che differiscano
tra loro, sarà probabilmente più agevole a comprendersi nell’animo che esprimersi con parole.
Ad ogni modo, senza stare a dilungarci, definiremo la bellezza come l’armonia tra tutte le
membra, nell’unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 26
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio. Risultato questo di grande valore e
quasi divino, per ottenere il quale è necessario impegnare tutto l’ingegno e tutta l’abilità tecnica
di cui si è provvisti; e non accade di frequente che alcuno - nemmeno la natura - riesca a creare
un’opera perfetta e impeccabile in ogni sua parte. [...] Ora, se non mi sbaglio, facendo uso di
ornamenti, cioè ricorrendo a tinture, nascondendo le parti che urtavan la vista, e lisciando e
ponendo in risalto le parti più belle, si sarebbe ottenuto l’effetto di rendere in coloro meno
fastidiose le une e più piacevoli le altre. Se ciò è vero, l’ornamento può definirsi come una sorta
di bellezza ausiliaria o di completamento. Da quanto precede mi pare risultare che, mentre la
bellezza vera e propria è una qualità intrinseca e quasi naturale che investe l’intera struttura
dell’organismo che diciamo ‘bello’, l’ornamento ha l’aspetto di un attributo accessorio,
aggiuntivo, piuttosto che naturale”.
p. 236
La bellezza, secondo Alberti, si fonda su un metodo esatto e costante,
contrariamente a quanto altri affermano.
“... le arti sarebbero nate dal caso e dall’osservazione, avrebbero avuta come alimento la
pratica e l’esperienza, e si sarebbero sviluppate mediante la conoscenza e il raziocinio”.
Capitolo III
Racconto d’origine sull’architettura e la sua bellezza, [“metamitico”, come lo
chiama Choay].
p. 237
L’architettura “ebbe la sua rigogliosa giovinezza in Asia; in seguito si affermò
in Grecia; da ultimo trovò in Italia la sua splendida maturità. [...] i re asiatici, ricchissimi
com’erano e con molto tempo a disposizione” si convinsero “dell’opportunità di avere
abitazioni più ampie e degne [...]. I risultati furono, oltre che imponenti gradevoli.
In seguito, pensando che oggetto delle lodi fosse la vastità degli edifici [...] presero gusto
alle costruzioni colossali, [...] giungendo fino all’idea pazzesca d’innalzare piramidi. E’ mia
opinione che la pratica stessa del costruire abbia fornito la chiave per scoprire quali differenze
ci fossero nell’eseguire un edificio con una certa proporzione, ordinamento, positura, foggia
esteriore, piuttosto che con altre; del pari avranno appreso ad apprezzare le opere più gradevoli
e a svalutare quelle prive di armonia”.
p. 238
“In tal modo i Greci decisero che in tali imprese fosse proprio compito il tentar
di superare quei popoli [asiatici, egizi, etc.], non già nei doni di fortuna, che non era possibile,
sì nella potenza dell’ingegno, per quanto stava in loro. Cominciarono dunque a desumere i
fondamenti dell’architettura, come di tutte le altre arti, dal seno stesso della natura, e ad
esaminare, meditare, soppesare ogni elemento con la massima diligenza e oculatezza”.
“Mescolando elementi di pari proporzioni, linee rette con linee curve, luci con ombre,
cercarono di ricavare, come da una congiunzione tra elementi maschili e femminili, qualcosa di
nuovo che rispondesse ai fini per i quali si erano mossi. [...]. Divenne così manifesto che diversi
dovevano essere i criteri da impiegarsi nelle costruzioni durevoli, destinate a resistere negli
anni, e in quelle realizzate soprattutto per amore della bellezza”.
p. 238-239 “In Italia, da principio, l’innato senso del risparmio suggerì agli abitanti di
strutturare l’edificio nello stesso modo che un organismo animale”.
p. 239
“... come ad esempio nel cavallo [...] la piacevolezza delle forme non va mai
disgiunta dalla pratica che l’uso richiede. Ma, conquistato l’impero mondiale, arsero quanto i
Greci dal desiderio di abbellire il paese e la sua capitale”.
“Tutto il paese pullulò d’ingegni innumerevoli che si dedicarono alla nostra disciplina”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 27
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
“A un dato momento si preferì conciliare la parsimonia tradizionale con la magnificenza dei
regni più potenti, facendo sì che la frugalità non sottraesse nulla alla pratica convenienza, né
questa avesse troppi riguardi alle ricchezze, ma aggiungendo altresì a queste due qualità tutto
ciò che si potesse trovare tale da conferire in qualche modo sontuosità e piacevolezza alle
opere”.
p. 239-240 “L’arte architettonica infatti aveva trovato in Italia ricetto fin dai tempi più
remoti, specialmente presso gli Etruschi, cui sono dovuti, oltre alle costruzioni meravigliose
che leggiamo attuate dai loro sovrani, come il labirinto, e i monumenti sepolcrali, quegli
antichissimi e insigni precetti, a noi tramandati per iscritto, circa il modo di costruire i templi
che si usava in Etruria”.
p. 240-241 “Ebbene, dall’esempio degli antichi, dai consigli degli esperti, e da una pratica
continua, s’è ricavata un’esatta conoscenza dei modi in cui quelle opere meravigliose venivano
condotte, e da questa conoscenza si sono dedotte delle regole importantissime. [...] Tali regole
si riferiscono in parte alla bellezza e alla decorazione di ogni edificio nel suo complesso, in
parte alle singole membrature di esso. Le une sono ricavate dalle dottrine filosofiche, e sono
rivolte a dare a quest’arte un indirizzo e dei limiti precisi; le altre derivano da quella
conoscenza di cui s’è detto or ora e, corrette a tenor di filosofia - diciamo così -, reggono le fila
dell’arte. Illustreremo dapprima quelle di natura più tecnica, riservando alla conclusione quelle
più generali”.
Capitolo IV
p. 241
“Le caratteristiche che si apprezzano negli oggetti più belli e meglio ornati, o
sono frutto di ritrovati e calcoli dell’ingegno oppure del lavoro dell’artefice, o sono state
conferite direttamente dalla natura a tali oggetti. All’ingegno spetterà la scelta, la distribuzione
delle parti, la disposizione e simili, col fine di dare decoro all’opera. Al lavoro dell’artefice
toccherà accumulare il materiale, attaccare, staccare, ritagliare, levigare e simili, perché l’opera
riesca gradevole. Le qualità desunte dalla natura saranno la pesantezza o la leggerezza, la
densità, la purezza, la lunga durata dei materiali, e simili, che rendono l’opera ammirevole.
Queste tre funzioni devono essere applicate alle varie parti dell’edificio, secondo l’uso e lo
scopo di ciascuna”.
Alberti ripete e segue nell’esposizione riguardante la bellezza la classificazione delle parti
dell’edificio già fatta nel primo Libro, cominciando quindi dall’ambiente (o “regione” come lo
traduce Choay).
p. 242
“Quale contributo possano fornire l’ingegno e il lavoro umano a conferire
piacevolezza e decoro all’ambiente, non si vede con certezza; salvoché possa riuscire utile
seguire l’esempio di coloro che (si narra) concepirono progetti di opere favolose, e che non
sono certo biasimati dalle persone di buon senso, se ciò che si accinsero a fare doveva avere
un’utilità, ma nemmeno ricevono lode se non era necessario. E bene a ragione. Nessuno infatti
avrebbe il coraggio di lodare colui [...] il quale dichiarò che dal monte Athos avrebbe ricavato
una statua di Alessandro, nella cui mano avrebbe collocato un’intera città della capienza di
diecimila abitanti. Non sarà invece da riprovare la regina Nicotri, la quale mediante scavi
grandiosi costrinse l’Eufrate a ripiegare per tre volte con amplissime anse in direzione del
medesimo villaggio assiro, rendendo così la zona al tempo stesso ottimamente difesa, data al
profondità del canale, e molto fertile per l’abbondante irrigazione. Ma imprese di questo genere
possono permettersele soltanto sovrani potentissimi; e potranno unificare mare con mare con
l’eliminazione del terremo frapposto, spianare montagne a livello delle vallate, originare nuove
isole e riattaccarle poi alla terraferma, in modo da non lasciar possibilità che altri li emulino, e
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 28
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
da tramandare così la propria fama ai posteri. In ogni caso, tanto più le loro opere saranno
degne di plauso, quanto più ad esse andrà congiunta la praticità.
p. 242-243 Gli antichi solevano onorare con il culto non solo i singoli luoghi, ad esempio dei
boschi, ma anche intere zone. Così sappiamo che la Sicilia era tutta consacrata a Cerere. Ma su
queste cose non importa soffermarsi. Importerà invece che l’ambiente abbia qualche proprietà
notevole e rara, sia fornito di virtù benefiche ed eccellenti nel loro genere, [...] o il produrre
cose uniche al mondo e molto ricercate per la loro utilità [...], o la presenza di qualche potenza
soprannaturale”.
p. 243
“L’area, essendo una parte determinata dell’ambiente, sarà abbellita da tutte le
qualità che adornano quest’ultimo; tuttavia l’area dispone per propria natura di comodità in
maggior numero [...]. Vi sono siti infatti che in vario modo si offrono all’ammirazione, come i
promontori, i picchi, i rialzi del terreno, gli sprofondamenti, gli antri, le fonti e così via: tutti
luoghi dove, meglio che altrove, si costruirà per suscitare meraviglia. Vi sono poi resti
dell’antichità, nei quali il ricordo del tempo che fu o di fatti e uomini memorabili riempie di
stupore l’animo di chi guarda. Non starò a rammentare luoghi famosi, come quello ove sorgeva
Troia, o i campi di battaglie sanguinosissime, come quelli di Leuttra, del Trasimeno, e infiniti
altri.
Non è facile illustrare adeguatamente quanto l’inventiva e l’opera dell’uomo possano
contribuire a raggiungere tale scopo. Non ci soffermeremo su quelli più ovvi, come il trasporto
per mare di platani fino all’isola di Diomede per adornarne il terreno, ...”.
p. 244
“Più che ogni altra cosa gioverà a nobilitare un sito qualche invenzione che
dimostri sagacia e buon gusto: come il fatto che gli antichi vietassero ai maschi per legge di
accedere al tempio di Bona Dea, ...”
p. 245
“Se dunque si dovesse decidere di seguire gli esempi suddetti, converrà
probabilmente bandire le donne dalle chiese dedicate ai martiri, e gli uomini da quelle dedicate
alle sante vergini. Elemento nobilitante al massimo grado sarà l’ottenere con ritrovati ingegnosi
risultati stupefacenti, tali che non vi si crederebbe a leggerli nel passato, se non se ne trovassero
anche oggi di simili in vari luoghi. ...”
“Molti altri esempi di questo genere si possono leggere, e sarebbe troppo lungo menzionarli
tutti. Inoltre non è facile dire se tali fenomeni avvengano per opera dell’uomo o naturalmente
...”
p. 246
“Circa altri mezzi per conferire in generale decoro all’area, quali sono la
delimitazione del perimetro, l’innalzamento del podio, [...] etc.; non ho altro da aggiungere a
quanto già detto nel primo e terzo libro di quest’opera ...”.
“... è bene tener presente quel che consigliava Platone: esser maggiore la fama e la dignità di
un luogo ove gli venga imposto un nome importante”.
Capitolo V
p. 147
“Riprenderemo qui molto brevemente a trattare della suddivisione, pur
avendolo già fatto per molta parte nel primo libro. In qualsiasi cosa l’ornamento fondamentale
sta nell’esser mondo da ogni bruttura. Sarà dunque elegante quella suddivisione che sia priva di
vuoti, non confusa o disordinata o disarticolata, né contesta di elementi che non si accordano
tra di loro; che consta di membra in numero non eccessivo, né troppo strette né troppo ampie,
né troppo disarmoniche o irregolari, né disperse in modo da parere estranee all’intero complesso. Tutto in essa dovrà essere disposto esattamente per ordine, numero, ampiezza,
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 29
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
disposizione, forma, avendo l’occhio alla natura, alla pratica convenienza, alle specifiche funzioni dell’edificio; di modo che ogni parte di questo risulti a noi indispensabile, pienamente
funzionale in bell’armonia con tutte le altre. Giacché, se la suddivisione risponderà esattamente
a tutti questi requisiti, nell’edificio la piacevolezza e l’eleganza dell’ornamentazione troveranno
il loro giusto posto e saranno situati nella luce migliore; se invece ciò non risultasse, la
costruzione perderebbe certo tutto il suo decoro. L’intero complesso delle membra dev’essere
dunque configurato e definito in modo da conciliare necessità e comodità, sì che non tanto si
approvino queste o quelle parti, ma piuttosto ogni parte sia distribuita nel modo migliore nel
punto esatto ove si trova e nell’ordine, luogo, collegamento, posizione, configurazione che le
competono”.
p. 248
“Gli elementi dell’ornamentazione devon essere tutti proporzionati in modo che
a parti uguali corrispondano parti uguali, a quelle di destra quelle di sinistra, a quelle in alto
quelle in basso; e bisogna badare che non s’introduca qualche elemento estraneo in contrasto
con la qualità del materiale o con la sua distribuzione. Tutto dev’essere definito con determinati
angoli e linee proporzionate”.
Tratta poi di come adornare i muri.
Capitolo VI
p. 249-253 Sul trasporto delle grandi pietre. Si diffonde in considerazioni sui “gravi” e le
loro proprietà fisiche in relazione alle tecniche di spostamento e messa in opera.
Capitolo VII
p. 253-258 Continua trattando delle ruote.
Capitolo VIII
p. 258-264 Seguono la carrucola e la leva e altri strumenti e macchine per sollevare e
trasportare i gravi.
captilo ix
p. 264
intonaco”.
“Per qualsiasi tipo di rivestimento occorre l’applicazione di tre strati di
Tecniche e materiali per gli intonaci, i rilievi e le pitture su di essi.
Capitolo X
p. 268
“Quanto ai rivestimenti a lastre, ...”.
p. 269
“I rivestimenti a tarsie e quelli a mosaico ...”
p. 270
“Di quanto s’è detto finora a proposito dei rivestimenti, tutto o quasi tutto si
può riferire altrettanto bene al lavoro di pavimentazione [...] solo che in quest’ultimo non si
applicano rivestimenti ornati di pitture e di rilievi”.
Capitolo XI
p. 271
“Anche l’esecuzione della copertura, sia nelle travature, sia nelle volte, sia nei
rivestimenti a cielo aperto, ha i suoi elementi decorativi e di abbellimento”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 30
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo XII
p. 272
“Gli ornamenti delle coperture hanno grande importanza per la vaghezza e il
decoro dell’intero edificio. Presentano tuttavia inconvenienti gravi e numerosi, cui il costruttore
può far fronte solo con grande impegno e con spese non indifferenti”.
p. 273
“L’apertura per definizione offre un passaggio attraverso il muro; ma talvolta si
addossa una parete a un’altra, come una pelliccia infilata sotto un vestito, e si foggia un tipo
particolare di apertura, che non ha funzione di passaggio, perché è sbarrata, dal frapporsi di una
parete, onde non impropriamente la si potrà chiamare finta apertura. Un ornamento di tal
genere, come pure la maggior parte degli altri, venne introdotto in origine dai carpentieri, al
fine di rinforzare le opere loro e risparmiare sulle spese; l’uso fu poi imitato dai tagliapietre,
che ne ricavarono risultati di grande eleganza”.
p. 276
“Fin qui si son trattati gli ornamenti che si applicano a parti comuni a ogni
genere di edifici; quegli elementi che comuni non sono costituiranno l’oggetto del libro
seguente, per che questo è già lungo a sufficienza”.
Capitolo XIII
p. 278
“In tutta l’architettura l’ornamento fondamentale è costituito senza dubbio dalle
colonne. Da un lato infatti esse adornano, riunite insieme in un certo numero, portici e muri e
ogni tipo di aperture; d’altra parte fanno un effetto piacevole anche isolate, decorando
crocicchi, teatri, piazze, sostenendo trofei e monumenti commemorativi. La colonna conferisce
vaghezza e decoro; e non è facile dare un’idea delle ricchezze che gli antichi profondevano in
essa per conferirle la massima eleganza”.
“Occorre che le colonne siano ben lisce e tornite”.
p. 279-281 Tutto sulla colonna.
Libro VII - gli ornamenti degli edifici di culto
Capitolo I
p. 282
“S’è detto che l’architettura si divide in più parti, delle quali alcune sono
comuni ad ogni e qualsivoglia tipo di edificio - com’è il caso dell’area, della copertura e simili , altre si differenziano da costruzione e costruzione. Finora s’è trattato del primo dei due gruppi
suddetti [...]; resta ora da parlare a quelli che si applicano a questo secondo gruppo”.
“A questo punto - col permesso del lettore - daremo inizio al nuovo argomento premettendo
una nuova introduzione. In essa si divideranno e descriveranno con la massima esattezza le
varie parti di cui si compone l’intera nostra materia [...]. Ora premettere alla trattazione attuale
una partizione atta a rispondere, assai più che alle esigenze di praticità e di solidità, a quelle di
eleganza e decoro negli edifici. E tuttavia le buone qualità si corrispondono sotto ogni rispetto;
sicché se una costruzione lascia a desiderare in un senso, risulterà insufficiente anche in ogni
altro.
p. 282-283 Gli edifici, dunque, possono essere pubblici o privati; a loro volta sia i pubblici
che i privati possono essere sacri o profani. Tratteremo prima di quelli pubblici.
p. 283
“Le mura delle città solevano, presso agli antichi, essere innalzate con religiosa
solennità, e dedicate ad una divinità tutelare. Essi ritenevano per certo che né la ragione umana
né gli sforzi di chicchessia potessero evitare su questa terra che tra gli uomini serpeggiassero
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 31
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
l’oltraggio e la perfidia; sicché, vuoi per l’incuria dei cittadini, vuoi per l’odio dei vicini, essi
reputavano le sorti della propria città legate all’imprevisto e sempre in preda a pericoli, come
una nave in balìa delle onde. Ecco perché - suppongo - favoleggiavano di Saturno, il quale un
tempo, per aiutare l’umanità, avrebbe posto a capo delle varie cittadinanze eroi e semidei che le
proteggessero con la loro saggezza; gli uomini infatti necessitano, per la propria difesa, non
soltanto delle mura, ma anche ed assai dell’aiuto divino [...]. Le mura venivano dunque
consacrate alla divinità”.
“Quando poi un esercito era sul punto d’impadronirsi di una città dopo un assedio, per non
sembrare di mancar di rispetto alla religione locale recitavano una particolare invocazione in
versi ai numi tutelari della città, perché accettassero di buon grado di trasmigrare.
p. 283-284 Che il tempio meriti venerazione, è ovvio; poiché, tra molte altre ragioni,
anzitutto in esso si rende quel pio tributo di riconoscenza e di adorazione agli dei benefattori
dell’umanità, che è il principale fondamento della giustizia. E che la giustizia medesima sia
nella sua essenza un dono divino, non si può porre in dubbio [...] il perseguire il fine di dare
pace e tranquillità agli uomini attribuendo a ciascuno ciò che si merita. Perciò alla basilica,
dove dev’essere amministrata la giustizia, si darà carattere di sacralità.
p. 284
Quanto ai monumenti commemorativi, aventi la funzione di tramandare ai
posteri fatti che si voglio rendere eterni, essi pure, se non erro, procedono dai princìpi della
giustizia e della religione. Parleremo dunque delle mura, dei templi, della basilica, dei
monumenti; prima però non possiamo esimerci dal toccare rapidissimamente alcuni punti che
riguardano le caratteristiche della città.
L’ambiente e l’area della città riceveranno grande decoro se molti edifici saranno situati e
distribuiti nelle posizioni più adatte. Secondo Platone, il contado e l’area urbana dovevano
esser divisi in dodici zone, tra le quali si sarebbero equamente ripartiti templi e cappelle. Da
parte nostra vi aggiungeremo agli altari i crocicchi, i seggi per giudici subalterni, le posizioni
difesa, le piste per le gare di corsa e le aree riservate alle attività ludiche, e infine ogni altra
opera avente funzioni di questo tipo, purché lo spazio circostante ospiti abitazioni in gran
numero.
Vi sono città grandi e città piccole, come fortilizi e cittadelle. Negli autori dell’antichità si
riscontra l’opinione secondo cui le città situate in pianura devono essere tenute in minor pregio,
perché sarebbero le meno antiche; secondo loro infatti, esse furono fondate molto tempo dopo il
diluvio. Ad ogni modo è chiaro che la posizione più attraente e gradevole è, per una città,
l’aperta pianura, e per una roccaforte, un luogo impervio e scosceso. Ciò posto, è consigliabile
tuttavia un incontro tra le opposte caratteristiche: vale a dire, che nella pianura si scelga una
zona leggermente rialzata, per ragioni di igiene, e nelle montagne uno spiazzo piano e livellato,
per facilitare la costruzione di strade ed edifici”.
p. 285
“Mi pare giusto ricordare qui che una qualità altamente positiva per una città è
l’avere un gran numero di abitanti”.
“Ma il principale ornamento di una città è costituito dalle strade, dal fòro, da ogni edificio e
dalla sua posizione, costruzione, forma, collocazione: tutti questi elementi dovranno esser
disposti e distribuiti in guisa da rispondere nel modo più adeguato alla funzione di
ciascun’opera e alle esigenze di praticità e di decoro. Giacché ove manchi l’ordine, anche la
comodità, la piacevolezza e la dignità scompaiono”.
p. 286
“In conclusione, tutti coloro che hanno esperienza sono d’accordo nel
raccomandare di far la massima attenzione a che al cittadinanza non si inquini con l’accesso di
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 32
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
elementi estranei. Né d’altra parte mi sembra assennato imitare chi intenda vietare ogni contatto
con qualsiasi genere di forestieri”.
“Pertanto divideremo l’area della città in modo che non soltanto i forestieri abbiano
abitazioni separate, fatte apposta per loro, e tali da non creare disturbo ai cittadini, ma anche
questi ultimi possano abitare nei propri quartieri con tutti gli agi che le funzioni e il ceto di
ciascuno esigono.
p. 286-287 “Riuscirà pure d’insigne ornamento per la città il distribuire le diverse botteghe
degli artigiani in diverse zone e quartieri appositi: in prossimità del fòro i banchieri, i
decoratori, gli orefici; più in là le spezierie, le sartorie e in genere gli esercizi reputati più
rispettabili; in zone periferiche si apparteranno infine quelli sporchi o puzzolenti, specialmente
le fetidissime concerie, da relegarsi in zona rivolta a nord, perché da quella parte il vento di
rado spira verso la città, e quando lo fa è così robusto da spazzar via i cattivi odori anziché
portarli dentro. Probabilmente taluno vorrebbe che i paraggi delle abitazioni dei maggiorenti
fossero del tutto scevri del contatto impuro della plebaglia. Altri preferirebbe che tutti i
quartieri cittadini fossero provvisti senza eccezioni di tutto quanto possa essere di utilità a
chicchessia; pertanto non sdegnerebbe che alle case degli ottimali si frammischiassero rivendite
e altrettali botteghe. Ma basti di ciò. Altri sono gli argomenti che si fondano sulla convenienza
pratica, altri quelli che concernono il decoro. Riprendiamo ora il nostro discorso”.
Capitolo II
p. 287
“Per la costruzione delle mura gli antichi - e più degli altri gli abitanti
dell’Etruria - predilessero un tipo di pietra squadrato e di grandi dimensioni [...] si trovano
altresì antiche fortezze costruite con pietre molto grandi, di forme irregolari, rustiche; è questo
un genere di muratura che mi sembra assai raccomandabile, perché offre allo sguardo un certo
sentore di arcaica e severa durezza che conferisce bellezza alla città”.
“Il muro acquisterà in maestà d’aspetto scavandoci tutt’intorno un fossato molto largo e
profondo, dalle sponde a picco [...]. Pure concorre alla maestosità l’altezza e lo spessore del
muro”.
p. 288
“Consiglierei inoltre di delimitare all’interno del pomerio e dinanzi alle mura, a
scopo di culto, una strada ampia, da consacrare alla libertà dello stato; in essa nessuno potrà
impunemente scavare fossati, né innalzare muri, né piantare recinti e neppure alberi.
Passiamo ora ai templi”.
p. 289
Il tempio sul Campidoglio a Roma “anche nel periodo di maggiore splendore
della città, ebbe sempre il tetto di paglia e canne, perché in questo modo i Romani intendevano
onorare l’antica frugalità che aveva reso celebri i loro antenati. Quando invece la ricchezza di
monarchi e cittadini li indusse ad adornare se stessi e la propria città con la costruzione di
grandi edifici, sembrò cosa vergognosa che le abitazioni degli dei potessero in qualsiasi modo
essere superate in bellezza da quelle degli uomini”.
Capitolo III
p. 290
“Non esiste opera architettonica che richieda maggior impegno, sollecitudine,
solerzia, accuratezza, di quanto ne occorra per costruire e adornare il tempio. Inutile
rammentare che un tempio ben curato e ornato rappresenta indubbiamente il vanto maggiore e
più nobile che possa avere una città. Giacché è ben certo che il tempio è l’abitazione degli dei;
e se ci preoccupiamo di rendere belle e accoglienti e sontuose le case destinate ai re e agli ospiti
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 33
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
illustri, che cosa non dovremmo fare per gli dei? per coloro la cui presenza invochiamo nei
sacrifici e che vogliamo porgano benignamente ascolto alle nostre preghiere? Essi, anche se
non daranno peso alcuno a questi beni passeggeri tanto stimati dall’uomo, nondimeno si lasceranno persuadere dalla purezza d’animo e dalla venerazione dei fedeli. Non c’è dubbio,
d’altra parte, che per il culto religioso è di grande importanza l’avere a disposizione templi
siffatti da intrattenere piacevolmente l’animo e riempirlo di gioiosa meraviglia. E dicevano gli
antichi: quando i templi degli dei si riempiono di folla, allora veramente si coltiva la pietà.
“Per queste ragioni raccomanderemo che il tempio sia di tanta bellezza, che nulla sia
possibile immaginare che abbia un aspetto più adorno; sia disposto in ogni particolare in modo
tale che i visitatori entrando vengano colpiti da stupore e da meraviglia alla vista di cose tanto
degne, e provino desiderio incontenibile di esclamare: ciò che vediamo è realmente un luogo
degno di Dio!”.
p. 291
“... ci pare giusto lodare quei templi che, compatibilmente con le proporzioni
della città in cui sorgono, non si potrebbero desiderare più grandi”.
“Ma una qualità sopra tutte, a mio parere, deve avere il tempio. Tutto quanto in esso è
visibile dovrà risultare tale da rendere difficile il giudizio se sia più da encomiare l’ingegno e
l’opera degli artefici o la sollecitudine dei cittadini nell’accogliere e nell’esporre ivi le più
preziose e mirabili rarità, e se le sue caratteristiche siano più atte a conferirgli leggiadria e
splendore o a farlo durare in eterno. Questa qualità, che è da perseguirsi in tutti gli edifici pubblici e privati, dev’essere coltivata in special modo nella costruzione dei templi, quanto più è
possibile. Opere che sono costate tante spese meritano di essere difese al massimo contro
eventuali catastrofi; giacché a nostro parere l’autorità che al tempio è data dall’antichità sua,
non è inferiore al decoro conferitogli dall’ornamento.
p. 291-292 Fondandosi sui dettami dell’Etrusca disciplina, gli antichi reputavano che non
tutti i luoghi fossero adatti ad innalzarvi templi a qualsiasi dio”.
L’etrusca disciplina “E’ l’aruspicina, arte di interpretare la volontà degli dei, introdotta a
Roma dagl’indovini etruschi” [nota 7].
p. 293
“Infine, il luogo nel quale si edifica il tempio dovrà essere frequentato, ben
noto, e - come si dice - prominente; inoltre sia in tutto scevro dai contatti coi profani. Perciò
dinanzi alla sua facciata vi sarà una piazza degna in ampiezza del tempio; all’intorno si avranno
spaziose vie lastricate o meglio ancora piazze maestose; per modo che la costruzione sia bene in
vista da ogni lato”.
Capitolo IV
p. 294
“Il tempio consta di due parti: il portico e, all’interno, la cella [...]. Che in
natura prevalga la forma circolare, è manifesto da tutto ciò che nell’universo dura, si genera e si
trasforma [...]. Ma vediamo del pari come essa si compiaccia di forme esagonali ...”.
“Tali piante [non rettangolari] devono tutte risultare inscrivibili entro cerchi. ...”.
p. 295
casi”.
“Ai templi si annettono delle absidi, in numero più o meno grande secondo i
p. 295-298 Continua con varie regole di geometria e proporzioni delle varie parti di un
tempio secondo la sua forma.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 34
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo V
p. 298
...”.
“Abbiamo così esaurito la trattazione degli spazi inerenti. Quanto al porticato
p. 299
“A -------- si saliva al tempio di ------ per una scala di cento gradini. Un’antica
legge degli Ebrei diceva: “Vi sia per voi una sola città principale e sacra, in luogo conveniente e
confortevole; costruirete in essa un unico tempio e un unico altare, per mezzo di pietre non già
lavorate a mano bensì nello stato in cui vengono raccolte, e saranno biancheggianti e
lucidissime; non si dovrà accedere al tempio per mezzo di gradinate; infatti un popolo tutto
unito e concorde nella sua religione, sarà protetto e salvato dall’unico Dio”. Da parte nostra,
disapproviamo e quelli e questi. Nel primo caso, infatti, si va contro la convenienza pratica e la
comodità, soprattutto per molti fedeli che frequentano il tempio, come le vecchie e gli invalidi.
Ma anche la seconda soluzione è da rigettare, come gravemente dannosa alla maestà del luogo
sacro”.
“A nostro giudizio lo spazio occupato dal porticato e da tutto il tempio dev’essere in
posizione rialzata, e prominente sul terreno del resto della città, il che conferisce all’edificio
grande importanza”.
p. 300
“Così apprendiamo che quasi tutti i migliori architetti dell’antichità stabilivano
l’altezza del podio su cui edificare il tempio in base alla larghezza che intendevano dare a
quest’ultimo”. Cioè la sesta parte della larghezza.
p. 300
Il loggiato.
Capitolo VI
p. 302-304 Colonne e capitelli.
Capitolo VII
p. 304
“A questo punto riprenderemo quanto già osservammo nel libro precedente
circa il disegno delle colonne, ma sotto un diverso punto di vista e con latro fine ...”.
Capitolo VIII
p. 309
“Torniamo ora a parlare del capitello ...”.
p. 316
“Qui termineremo la trattazione dei capitelli ...”
Capitolo IX
p. 316
“Una volta messi in opera i capitelli, vi si colloca sopra l’architrave, su
quest’ultimo, poi, si collocano le travi, le assi e gli altri materiali costituenti la copertura”.
Capitolo X
p. 328
“Alcuni raccomandano di fare il pavimento del tempio e gli ambienti interni in
una posizione elevata di qualche gradino, e soprattutto che il punto dove deve sorgere l’altare
per i sacrifici sia in luogo preminente”.
p. 329
“Erra chi crede che, per ottenere un effetto di solennità, i muri del tempio
debbano esser fatti molto spessi. Tutti infatti disapprovano un corpo dalle membra troppo
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 35
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
grosse. Inoltre quanto maggiore è lo spessore delle pareti d’ambito, tanto meno opportuna
riesce l’illuminazione”.
“Lo spessore del muro deve essere determinato con lo stesso criterio delle colonne”.
p. 330
diverse”.
“Circa il modo di ornare le pareti degli edifici di culto, le opinioni sono
p. 331
“Quanto a me, mi pare che i sommi dei gradiscono assai la purezza e la
semplicità del colore allo stesso modo che quella della vita. Né è conveniente che nei templi si
trovino oggetti atti a distrarre la mente dei fedeli dai pensieri religiosi con gli allettamenti e le
lusinghe dei sensi. Sono dell’avviso, d’altra parte, che, come negli edifici pubblici, del pari nei
luoghi sacri, a patto di non discostarsi mai dalla severità, ha ragione chi sostiene che il tetto, i
muri e il pavimento del tempio debbano essere artisticamente ed elegantemente eseguiti, e
soprattutto - per quanto ci sia possibile - riuscire durevoli”.
“Voglio inoltre raccomandare che, sia nelle pareti sia nel pavimento del tempio, tutto ispiri
filosofica saggezza”.
“... l’Alberti pensa soprattutto ad iscrizioni parietali o su pavimenti con sentenze
filosofiche” [nota 11].
Capitolo XI
p. 333
“Per raggiungere la maestà delle forme e la lunga durata, a mio parere la
copertura del tempio dev’essere a volta. Non so per quale decreto del destino, quasi non si può
trovare un solo tempio famoso che non abbia subito gravi incendi”.
Capitolo XII
p. 335
“Le finestre dei templi devono essere di dimensioni modeste e in posizione ben
elevata, sì che attraverso di esse non si possa scorgere altro che il cielo, né i celebranti e gli
oranti siano in alcun modo sviati dal pensiero della divinità. Il senso di timore suscitato
dall’oscurità contribuisce per propria natura a disporre la mente alla venerazione, a quel modo
stesso onde la maestà si congiunge in ampia misura la severità. Si tenga presente inoltre che le
fiamme accese nei templi - le quali rappresentano l’arredo di culto più divino che esista esposte a troppa luce impallidiscono”.
Le porte. Segue, come per le colonne e le loro varie parti gli ordini: dorico, corinzio, etc.
Capitolo XIII
p. 342
“A questo punto è tempo di considerare, nella costruzione del tempio, la
collocazione dell’altare per i sacrifici. Dovrà trovarsi in una posizione della massima dignità,
quindi ovviamente davanti alla abside”.
... “Vi era allora un solo altare intorno al quale i fedeli si radunavano, e celebravano un solo
sacrificio al giorno.
Seguirono i tempi nostri, che ogni persona seria dovrebbe biasimare. [...] hanno poi affollato
tutte le chiese di altari, al punto che talvolta... Ma è inutile andare avanti”.
p. 343-344 Gli arredi per arredare il tempio.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 36
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo XIV
p. 344
“Risulta che la basilica fosse, in origine, un luogo coperto dove i maggiorenti si
riunivano per esercitare il potere giudiziario [...]. La basilica dunque è composta della navata e
dei loggiati.
p. 346
Data la sua naturale analogia con il tempio, la basilica esige in ampia misura gli
ornamenti caratteristici di quello; li esige però in maniera tale da mostrare piuttosto di imitare il
tempio che non di eguagliarlo. Sarà dunque costruita sopra un podio, come il tempio; ma tale
podio sarà più basso di un ottavo [...]. Inoltre tra basilica e tempio c’è questa differenza: che
quella, a causa dell’affollarsi e dell’agitarsi delle parti in lite, e per la necessità di leggere e
sottoscrivere i documenti, deve avere passaggi estremamente agevoli e aperture molto
luminose; e sarà da lodare se la sua disposizione farà in modo che quanti vi entrano per cercare
i propri avvocati o i propri clienti vedano dove questi si trovano alla prima occhiata. Perciò si
richiedono colonne alquanto distanti tra loro; sono preferibili quelle coperte ad arco, pur non rigettandosi nemmeno quelle architravate”.
Capitolo XV
p. 351
“Per i colonnati ad arco si richiedono colonne a pianta quadrata”.
p. 352-354 Prosegue trattando le varie parti della basilica.
Capitolo XVI
p. 354
“Passiamo ora ai monumenti commemorativi. E qui per mio diletto voglio
soffermarmi sopra argomenti un po’ più piacevoli di quelli trattati in precedenza, allorquando
tutto il discorso riguardava numeri e misure”.
p. 354-355 “Al tempo in cui i nostri antichi si davano ad ampliare i confini del loro impero
con la forza delle armi, dopo aver sbaragliato i nemici, stabilivano dei segnali di confine, con la
funzione di indicare una tappa del cammino vittorioso e di distinguere da quelli limitrofi un
terreno conquistato in battaglia. Questa è l’origine di quelle mete, colonne e simili, il cui scopo
è di commemorare delle imprese. In seguito si cominciò a ringraziare gli dei donando loro una
parte del bottino per mezzo di sacrifici, e ad esprimete la gioia della vittoria per mezzo di
cerimonie. Donde sorsero altari, tempietti, etc., eretti appunto a questo fine. Si pensò pure a
tramandare ai posteri i nomi dei vincitori, le loro fattezze, la memoria del loro valore, presso
tutti gli uomini: così furono inventate spoglie nemiche, statue, iscrizioni commemorative, trofei,
a celebrazione della loro gloria. La stessa cosa fecero in seguito per sé non soltanto coloro che
per qualsivoglia impresa avevano ben meritato della patria, ma anche possessori di beni di
fortuna, per quanto fu loro lecito dimostrarlo con le sostanze di cui disponevano”.
p. 356
“Il desiderio di esaltare se stessi con opere di questo genere giunse a tal punto
che si fondarono, per tramandare alla posterità il proprio nome e quello dei propri accoliti, città
intere. Alessandro (ometterò molti altri casi) fece costruire non solo varie città col proprio
nome, ma anche una, Bucefala, in memoria del suo cavallo”.
Continua con vari esempi di vari tipi di monumenti commemorativi.
p. 359
Nel libro successivo tratterà dei monumenti dei privati.
Capitolo XVII
p. 359
“Secondo alcuni, nei templi non bisogna collocare statue”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 37
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
p. 360
“Altri la pensano diversamente”.
“Comunque sia, ciò che più importa qui è sapere - soprattutto per quanto concerne i templi che genere di statue vi si debbano collocare, in quali punti si distribuiscano di solito, e di che
materiale si facciano. Non credo , ad esempio, che si debbano foggiare alla maniera ridicola
degli spaventapasseri che si vedono negli orti, e nemmeno del tipo di quelle che si collocano
nei portici, e che rappresentano figure di guerrieri e simili; né si dovranno situare in luogo
angusto e meschino”.
p. 362 Sui materiali, per le statue degli dei, secondo Alberti: “Si darà quindi preferenza al
rame ; e a me piace molto anche il marmo purissimo e bianchissimo. Ma il rame ha qualità tali
da farlo preferire a tutti gli altri quanto alla durata”.
Libro VIII - gli ornamenti degli edifici pubblici profani
Capitolo I
p. 364
“S’è già detto altra volta quanta importanza abbiano per l’architettura gli
ornamenti che si applicano agli edifici; che poi ai diversi tipi di costruzione non siano dovuti i
medesimi ornamenti, è ben noto. Quanto agli edifici sacri, infatti, soprattutto in quelli pubblici
occorre impiegare abilità e sollecitudine per adornarli quanto più sia possibile: giacché essi
sono fatti per la divinità, mentre quelli profani sono destinati soltanto agli uomini. E’ giusto
quindi che i secondi, il cui rango è inferiore, siano meno curati dei primi, di rango superiore,
pur essendo essi pure provvisti delle proprie parti ornamentali”.
“La cosa che più di tutte giudico pubblica è la strada; giacché essa si presta all’uso sia dei
cittadini sia dei forestieri. Ma poiché i viaggi si fanno in due modi, per via terrestre o per via
d’acqua, bisognerà trattare e dell’una e dell’altra. Si rammenti a questo punto quanto s’è detto
altra volta: una strada può essere militare o non militare; altra distinzione è da istituirsi tra una
strada che attraversa una città e una che attraversa i campi.
Un strada militare campestre trova un importante ornamento nella campagna stessa nella
quale essa corre, se questa è ben tenuta e coltivata, con frequenti ville e locande, abbondante di
prodotti e di bellezze; e se compaiono ora il mare, ora le montagne, ora un lago, ora un fiume o
una sorgente, ora una rupe o un pianura senza una vegetazione, ora un bosco o una vallata. Sarà
pure di effetto ornamentale il non essere la strada in ripida discesa o salita, né sporca, bensì tale
da presentarsi (si consenta l’espressione) dilettevole, uniforme e ben ampia”.
p. 365
“Altro ornamento di notevole importanza si avrà se la strada offrirà ai
viaggiatori frequenti occasioni di discorrere di questo o quell’altro argomento, meglio se
elevato”. Alberti consiglia di seguire l’esempio degli antichi che costruivano mirabili sepolcri
in campagna, financo vietando le sepolture in città.
p. 366
“Ed ecco, tra tante reliquie di cose memorabili, presentarsi infinite occasioni
per richiamare alla mente le imprese di uomini eccezionali, alleviando così la fatica del viaggio
con la conversazione e onorando la grandezza della città”.
p. 367
“Ecco perché avevano ragione gli antichi. D’altra parte non mi paiono neppur
riprovevoli i moderni, i quali seppelliscono i morti nei luoghi più sacri della città; purché però
non li depongano all’interno del tempio ove convengono i maggiorenti e magistrati a pregare gli
dei dinanzi all’altare. Giacché in tal caso può avvenire che la purezza del sacrificio sia
contaminata dalle esalazioni pestilenziali della putrefazione. Molto più conveniente l’usanza di
cremare i cadaveri”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 38
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Memento sui cimiteri e le sepolture: vedi quanto dice Romano; ma anche Assunto, che cita
la Jacobs: “Ed in base a questa concezione quantitativa della morale possiamo renderci conto
della diffusione, sempre più rapida e sempre più perentoria, che nelle città moderne ha avuto
negli ultimi decenni un costume di cui la Jacobs credo sia stata la prima a occuparsi nel suo
studio urbanistico dedicato alle “Great American Cities”; il sociale e civico dovere di occultare
la morte, considerata qualcosa di indecente di cui non si deve parlare, come non se ne debbono
portare i segni; giacché ricordare la morte, e la condizione mortale di ognuno di noi, sarebbe
sconveniente mancanza di riguardo per gli altri, alla cui happiness è doveroso adoperarsi” (La
città di Anfione e la città di Prometeo, Milano, 1984; p. 204-205). (Jane Jacobs, Vita e morte
delle grandi città, Torino, 1969; p. 216.)
Capitolo II
p. 367
“Qui torna a proposito dire qualcosa che ci pare importante sui criteri
concernenti i sepolcri. Questi infatti non sono lungi dal doversi reputare opere pubbliche,
perché sono legati alla religione. Dice una legge: “dove si seppellisce il corpo di un uomo
morto il luogo sia sacro”. Del pari noi affermiamo che la regolamentazione dei sepolcri è cosa
che riguarda la religione. Poiché dunque al religione sta al di sopra di tutto, mi sembra
opportuno parlare dei sepolcri - pur concernendo essi il diritto dei singoli - prima di passare a
trattare degli edifici pubblici profani.
Quasi nessun popolo vi fu, per quanto selvaggio fosse, che non sentisse al necessità di far
uso dei sepolcri ...”.
p. 368
“Consacrarono i sepolcri al culto religioso avendo - se non erro - questo scopo:
che la memoria del defunto fosse non solo affidata alla saldezza della costruzione del terreno,
ma anche difesa dal timore degli dei e dalla religione, per modo che il sepolcro fosse altresì
intoccabile dalla mano dell’uomo”.
“Insomma, tutti i popoli civili ebbero rispetto per i sepolcri”.
p. 369
“Tutti, o quasi, coloro che si diedero a ben ordinare il proprio stato con giuste
leggi, si preoccuparono di evitare che funerali e sepolcri si facessero con eccessivo sfarzo”.
Una sorta di racconto storico sui sepolcri dalle loro origini.
Capitolo III
p. 372
“Ora, dal momento che si approvano i sepolcri dell’antichità, dirò che in alcuni
di essi si notano delle cappelle, in altri delle piramidi, in altri colonne, in altri ancora delle moli,
etc.; di queste parti dunque si parlerà ora ...”.
Capitolo IV
p. 380
“E passiamo alle iscrizioni, il cui impiego nell’antichità ebbe aspetti molteplici
e svariati. Giacché non ve n’erano soltanto nei sepolcri, sì anche negli edifici sacri e nelle
abitazioni private”.
p. 381
“Gli epitafi possono essere scritti - e in tal caso si dicono epigrafi - ovvero
rappresentati mediante rilievi o figure”.
p. 383
“Delle vie di terra abbiamo già detto. Le vie d’acqua avranno gli stessi
ornamenti di quelle di terra; e poiché sia le une che le altre debbono essere dotate di torri di
vedetta, di queste ora si tratterà”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 39
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Ha già detto delle vie di terra nel senso che si è dilungato sui sepolcri.
Capitolo V
p. 383
“Le torri di vedetta costituiscono un ornamento di primaria importanza ove
siano dislocate nei punti adatti e costruite nella forma opportuna. E se pure non saranno molto
isolate tra loro, offriranno certo da lontano uno spettacolo imponente. Non mi pare tuttavia da
ammirare la mania, invalsa circa duecento anni or sono, di costruire torri dappertutto anche nei
piccoli centri [...]. Taluni, a questo proposito, sono dell’opinione che i cervelli umani mutino
per influsso degli astri. Trecento o quattrocento anni fa, per esempio, vi fu un fervore religioso
che gli uomini pareva non avessero altro da fare che costruire edifici di culto [...]. E del resto,
non constatiamo forse che in tutta Italia ferve quasi una gara al rinnovamento? Grandi città, che
da fanciulli abbiamo conosciuto costruite completamente in legno, ora sono divenute di
marmo”.
Capitolo VI
p. 389
“Ci resta ora da entrare in città. Ma poiché certe strade sono assai più
importanti, sia dentro che fuori città, di quel che la loro natura comporti - com’è il caso di
quelle che conducono ai templi, alle basiliche, ai luoghi di spettacolo -, di esse parleremo
dunque sempre in primo luogo”.
p. 389-340 “Che le strade siano fuori città o che siano all’interno, l’estremità, direi anzi il
punto d’arrivo, è costituito per quelle di terra dalla porta e per quelle di mare dal porto, se non
andiamo errati”.
p. 340
“Le porte avranno gli stessi ornamenti degli archi trionfali ...”.
“Quanto alle strade di città, le adorneremo ottimamente, oltreché una buona pavimentazione
e una perfetta pulizia, due file di porticati di uguale disegno, e di case tutte di una stessa
altezza. Le parti della strada che in modo particolare richiedono ornamenti sono: il ponte, il
trivio, il fòro, il luogo per gli spettacoli”.
p. 395
“La posizione più opportuna per costruirvi un arco è il punto ove la via sbocca
in una piazza o in un fòro; soprattutto se è la via ‘regia’, come io chiamo la via più importante
tra quelle cittadine”.
Capitolo VII
p. 399
“E passiamo ai luoghi di spettacolo”.
p. 400-402 Si diffonde sull’origine e il significato degli spettacoli e sui vari generi.
p. 403-413 Come si fanno i teatri, secondo il consueto ordine delle sei parti costitutive
dell’edificio.
Capitolo VIII
p. 414
“Con ciò terminiamo la trattazione dei teatri; è giunto il momento di parlare del
circo e dell’anfiteatro”. Tutti derivati dal teatro.
p. 416
“Tra le opere pubbliche si annoverano anche luoghi di passeggio, dove i
giovani si esercitano ai lanci, al salto e all’uso delle armi, e gli anziani si rinvigoriscono passeggiando, o andando in carrozza se sono infermi”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 40
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
“... affinché potessero agevolmente esercitarsi anche al coperto, vi si aggiungevano dei
loggiati che racchiudevano l’area tutt’intorno”.
p. 418
“Gli edifici finora trattati sono quelli che mi sono parsi ‘pubblici’ a maggior
diritto, poiché in esso vi avevano libero accesso senza discriminazione sia i plebei che i patrizi.
Ma vi sono altresì talune opere pubbliche le quali sono aperte soltanto ai cittadini più
ragguardevoli e a coloro che hanno cariche pubbliche: com’è il caso della sede dei comizi e
della curia o sede del senato. Di tali edifici parleremo ora”.
Capitolo IX
p. 418-425 Tratta l’argomento introdotto alla fine del Capitolo precedente.
p. 425
“Mi sembra ormai di aver condotto a termine quasi tutto quanto si riferiva
all’ornamento delle opere pubbliche. Si sono trattate le opere sacre, le opere profane, i templi,
le basiliche, i monumenti, le strade, i porti, i trivi, i fòri, i ponti, gli archi, i teatri, le piste per le
corse, le curie, i locali di riunione, i luoghi per passeggio e altro ancora; sicché nient’altro ci
resta su cui soffermarci, ad eccezione delle terme”.
Capitolo X
p. 425
“Io non sono ancora del tutto certo se le terme siano piuttosto opera privata o
pubblica; e, certo, per quanto è dato constatare, si tratta di un genere misto sia dell’uno e
dell’altro. Giacché vi sono in esse molti elementi ricavati dagli edifici privati, e molti altri da
quelli pubblici”.
Libro IX - GLI ornamenti degli edifici privati
Capitolo I
p. 431
“Si rammenterà che gli edifici privati possono essere di città o di campagna, e
che, tra questi ultimi, sono diversi quelli di cui si servono i meno abbienti e quelli appartenenti
ai ricchi”.
“Apprendiamo che gli uomini più saggi e ponderati dell’antichità raccomandavano
vivamente, così come in genere nella vita pubblica e privata, anche nella prassi architettonica,
la moderazione e il risparmio; e pensavano che ogni forma si lusso dovesse essere eliminata o
tenuta a freno dai cittadini”.
p. 432
“A tale moderatezza quelle buone generazioni informarono la loro condotta, sia
pubblica che privata, fin tanto che ciò fu possibile per il permanere dei buoni costumi. In
seguito, ampliandosi l’impero ...”.
p. 432-433 “Ho fatto questi esempi allo scopo di chiarire, nei loro confronti, ciò che già in
precedenza s’è detto: è bene tutto ciò che è proporzionato alla propria importanza. Anzi se si
vuole accettare un consiglio, dirò che è preferibile per i ricchi che manchi qualche elemento
ornamentale nelle loro case private, piuttosto che esser tacciati in qualche modo di spreco dalle
persone più frugali e savie. D’altra parte, poiché siamo tutti d’accordo che sia bene tramandare
ai posteri una fama di saggezza e anche di potenza - e a tal fine, come diceva Tucidide,
facciamo costruzioni grandi per apparire noi stessi grandi ai posteri -; e poiché siamo soliti
adornare le nostre case, sia per onorare la patria e la famiglia, sia per amor di magnificenza -,
la cosa migliore sarà indubbiamente provvedere affinché riescano quanto più possibile decorose
quelle parti dell’edificio che più sono a contatto col pubblico o devono riuscire gradite agli
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 41
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
ospiti: come è il caso della facciata del vestibolo etc. Sicché come dichiaro biasimevoli coloro
che passano il segno, penso tuttavia che siano da riprovare più quelli che, profondendo molte
risorse, edificano in modo tale da non poter adornare le opere loro, che quelli che decidono di
spendere qualche cosa di più per gli ornamenti.
Sia ben chiaro questo, ad ogni modo: chi vuol sapere con esattezza in che cosa consista
realmente l’ornamento degli edifici, deve capire che esso si ricava e dipende non già dalle
grandi spese, ma soprattutto dalla forza dell’ingegno. Nessuno che sia saggio - credo - avrà
neppure il desiderio di discostarsi dall’uso generale nell’apprestare la propria casa privata; si
guarderà anzi dal suscitare invidia con l’ostentazione del lusso. Ma desidererà bensì, chi abbia
senno, non essere superato in nulla da chicchessia per quanto si attiene all’accuratezza della
costruzione, alla saggezza e alla perspicacia; fattori, questi, che mirabilmente illustrano la
suddivisione e l’armonia del disegno, ossia il genere più importante ed essenziale di
ornamento”.
La nota 15 dice: “La conventio lineamentorum è in sostanza la organicità e unicità del
disegno, la connessione necessaria delle linee e degli angoli che stabiliscono la struttura
formale
dell’opera”
Sull’argomento trattato in questo lungo periodo da Alberti, cioè l’estetica e la bellezza delle
case private come coscienza e morale comune dei cittadini e in relazione al rango di ciascuno,
vedi Romano.
p. 434
“La reggia, e la casa di chi in una città libera esercita carica senatoriale - sia
egli pretore o console -, deve essere la prima tra quelle a cui si voglia conferire il massimo decoro. S’è già chiarito come si debbano adornare quelle parti che in tali edifici sono aperte al
pubblico. Qui invece cominceremo a trattare gli ornamenti di quelle che si adibiscono solo ad
usi privati”.
“... s’è visto che, tra gli edifici pubblici, quelli profani devono essere inferiori nella giusta
misura a quelli sacri in fatto di decoro, parimente nel caso nostro le costruzioni private devono
adattarsi di buon grado a farsi superare dalle pubbliche in tutto ciò che riguarda l’eleganza e la
ricchezza degli ornamenti”.
p. 434-435 “Non è tuttavia da rifuggire in ogni modo qualsiasi ornamento insigne; occorrerà
bensì farvi posto con estrema parsimonia, nei luoghi più degni, come gemme di una corona”.
Riassumendo: “gli edifici sacri devono esser sistemati in modo tale che nulla manchi in essi di
quanto contribuisca alla maestà, all’ammirazione, alla bellezza; gli edifici privati invece devono
esser fatti in maniera che non vi si possa togliere nulla, perché tutto è legato al tutto con insigne
decoro. Per tutto il resto, come ad esempio nelle costruzioni pubbliche profane, penso che
occorra tenersi in una posizione intermedia tra le due suddette”.
Capitolo II
p. 436
“Ora, poiché le abitazioni private possono essere di città o non di città, si
esaminerà che genere di ornamenti si addica a ciascun tipo. Tra le abitazioni cittadine e la villa
c’è, oltre a quanto abbiamo posto in luce nei libri precedenti, questa differenza: negli ornamenti
delle case di città deve spirare un’aria di severità molto maggiore che nelle ville; mentre in
queste sono ammesse tutte le seduzioni della leggiadria e del diletto. Altra differenza: nella casa
di città occorre regolare molti particolari tenendo conto della conformazione degli edifici vicini,
mentre nella villa ci si comporta con maggiore libertà”.
p. 438
“V’è un genere di edificio privato che richiede al tempo stesso il decoro della
casa cittadina e la piacevolezza della villa. L’abbiamo tralasciato nella trattazione dei libri pre-
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 42
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
cedenti per riservarlo a questo punto. Si tratta dei giardini suburbani, che a mio parere non sono
per nulla da trascurarsi”.
“Dicono i medici che bisogna godere di un’aria quanto più possibile pura; e ciò - bisogna
riconoscerlo - può essere fornito da una villa situata in posizione elevata e isolata. D’altra parte
il disbrigo degli affari e i doveri civici impongono che il padre di famiglia sia presente nel fòro,
nella curia, nei templi. Per far fronte agevolmente a tali impegni occorre una casa in città;
senonché quella è inadatta alle occupazioni, questa alla salute [...]. Tenuto conto di tutto ciò,
diremo che tra tutte le costruzioni di pratica utilità la prima e più salutare è un giardino tale che
al tempo stesso non ostacoli le attività connesse con la città e sia immune dalle impurità
atmosferiche”.
p. 439
“E’ gradevole indubbiamente la vicinanza della città, e una posizione ritirata e
facilmente raggiungibile, dove si possa fare a piacer proprio tutto ciò che si vuole. Una città
vicina, una strada battuta e una plaga ridente sono fattori che contribuiscono a rendere un luogo
frequentato. Quivi la costruzione riuscirà piacevole se, al primo uscire dalla città, essa si offrirà
interamente allo sguardo nella sua bellezza, quasi ispirando in coloro che si dirigono alla sua
volta diletto e attrazione. Pertanto io consiglierei una posizione leggermente rialzata; inoltre la
strada che conduce sul posto dovrebbe elevarsi pian piano con una pendenza minima, sì che i
passanti non se ne avvedano, finché non si accorgano di aver fatto una salita dal solo fatto ci
trovarsi in luogo soprelevato che domina le campagne circostanti. Né potranno mancare
all’intorno, per motivi sia di diletto che di utilità, distese di prati fioriti, campagne ben
soleggiate, boschi ombrosi e freschi, sorgenti e ruscelli limpidissimi, specchi d’acqua dove
bagnarsi, e altre cose ancora, menzionate in precedenza a proposito delle ville”.
Capitolo III
p. 440
“Ora, poiché le parti degli edifici differiscono notevolmente tra loro sia per
natura che per aspetto, è giunto il momento di esaminare tutte queste differenze, la cui
descrizione altrove abbiamo tralasciato riservandola a questo punto”.
Capitolo IV
p. 445
“Inoltre non si possono tralasciare alcuni ornamenti che possono essere usati
nelle abitazioni private”.
p. 447
“Negli ambienti ove ci si unisce con la moglie raccomandano di dipingere
esclusivamente forme umane nobilissime e bellissime: ciò - dicono - ha grande importanza per
la bontà del concepimento e della bellezza della futura prole”.
Capitolo V
p. 449
“Possiamo ora trattare di ciò che avevamo promesso: gli elementi di cui
constano tutti i generi di bellezza e di ornamento, o, meglio ancora, gli elementi che
scaturiscono da ogni tipo di bellezza”.
p. 450
“I migliori autori dell’antichità c’insegnano, e noi lo abbiamo detto altrove, che
l’edificio è come un organismo animale, e che per delinearlo occorre imitare la natura”.
p. 451
“Ai giudizi in merito alla bellezza sovrintende non già l’opinione individuale,
bensì una facoltà conoscitiva innata della mente [...]. Nella configurazione e nell’aspetto degli
edifici si trova certamente un’eccellenza o perfezione di natura la quale stimola lo spirito ed è
subito avvertita. In ciò, a mio parere, consistono la forma, il decoro, la leggiadria etc.: togliendo
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 43
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
o diminuendo quelle, tosto peggiorano e scompaiono queste. Una volta convinti di questo, non
si dovranno spendere troppe parole per esaminare ciò che si può togliere, aggiungere, cambiare,
principalmente nelle forme e nelle figure”.
p. 452
“Da quanto sopra si può ricavare - senza soffermarsi a lungo su altre
considerazioni di questo genere - che tre sono le leggi fondamentali su cui si fonda per intero il
metodo che andiamo indagando: il numero [numerus: “nel senso di suddivisione e misura, e più
propriamente, come è chiarito in seguito, nel senso della scelta del numero adatto per le diverse
membrature” (nota 12)], ciò che noi chiameremo delimitazione [finitio: “l’Alberti traduce il
termine finitio, usato nella stesura latina del De Statua, con il ‘porre dei termini’ [...] Estese
all’architettura, queste categorie dovrebbero indicare le caratteristiche geometriche e quelle
ottiche dell’opera. L’Alberti considera la finitio sinonimo di ‘proporzione’, ma non come
rapporto di dimensioni astratte, di pure quantità, ma come rapporto di linee, di elementi
architettonici definiti” (nota 13)], e la collocazione [collocatio: “Cfr. la definizione “collocatio
ad situm et sedem partium pertinet” (IX, 7). L’Alberti considera la collocazione come una
categoria controllabile solo empiricamente, strettamente legata alla finitio e destinata a regolare
i rapporti di posizione degli elementi architettonici e il rapporto dell’edificio con l’ambiente”
(nota 14)]. Ma vi è inoltre una qualità risultante dalla connessione e dall’unione di tutti questi
elementi: in essa risplende mirabilmente tutta la forma della bellezza; e noi la chiameremo
concinnitas e diremo che essa è veramente nutrita da ogni grazia e splendore. E’ compito e
disposizione della concinnitas l’ordinare secondo leggi precise la parti che altrimenti per
propria natura sarebbero ben distinte tra loro, di modo che il loro aspetto presenti una reciproca
concordanza.
p. 452-453 Ecco perché, qualunque cosa noi percepiamo per via visiva o auditiva o di altro
genere, subito avvertiamo ciò che risponde alla concinnitas. Per istinto naturale, infatti, noi
aspiriamo al meglio, e al meglio ci accostiamo con piacere ...”. La concinnitas “... io la chiamo
compagna dell’animo e della ragione -; ha spazi vastissimi nei quali applicarsi ed affermarsi.
Abbraccia l’intera vita dell’uomo e le sue leggi; presiede alla natura tutta quanta [...]. Ma un
fine sì fatto non sarebbe mai raggiunto senza la simmetria, giacché in tal caso andrebbe perduto
quel superiore accordo tra le parti che è a ciò necessario [“L’Alberti sembra influenzato dal
concetto greco della [kalogathìa] e dà alla concinnitas il significato di armonia cosmica” (nota
16)] [...]. Una volta che queste nozioni siano sufficientemente acquisite, potremo stabilire
quanto segue. La bellezza è accordo e armonia delle parti in relazione a un tutto al quale esse
sono legate secondo un determinato numero, delimitazione, collocazione, così come esige la
concinnitas, cioè la legge fondamentale e più esatta della natura. La quale concinnitas è seguita
quanto più possibile dall’architettura; essa è il mezzo onde quest’ultima consegue onore,
pregio, autorità, valore.
Tutto quanto finora s’è detto, i nostri antenati l’avevano appreso dall’osservazione della
natura medesima [...]. Ed osservando ciò che avviene in natura circa la strutturazione
dell’organismo nel suo insieme e nelle sue singole parti, si avvidero che, fin dalle origini, le
proporzioni secondo cui erano costituiti i corpi non erano sempre uguali, ond’è che taluni
riescono sottili, altri più tozzi, altri medi; e notando che gli edifici riescono diversi tra loro per
fini e funzioni - come s’è detto nei libri precedenti -, compresero che bisognava costruire
mediante differenziazioni [“Poiché nella natura la bellezza è anche molteplicità, l’architettura,
che imita le strutture naturali cercando di coglierne e replicarne la concinnitas, si basa
anch’essa sulla molteplicità; ma tale molteplicità ammette un’indagine analitica ed è ordinabile
secondo classi omogenee” (nota 17)].
p. 453-454 Seguendo dunque la natura, scoprirono tre stili atti ad ornare la casa, e diedero
loro dei nomi [...]. Uno era più robusto, più adatto agli sforzi e più durevole; e fu chiamato
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 44
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
dorico. Un altro, sottile e quanto mai leggiadro; e fu detto corinzio. Quello intermedio poi, che
riuniva quasi i due suddetti, ebbe nome ionico”.
p. 454
I princìpi che regolano l’applicazione dei tre elementi fondamentali: “Circa il
numero, prima di tutto constatarono che vi sono numeri pari e numeri dispari. Si servirono degli
uni e degli altri, ma in occasioni diverse. Ad imitazione della natura , infatti, non fecero mai in
numero dispari le ossature dell’edificio, ossia colonne, angoli etc.; poiché non esiste animale
che si regga o si muova su un numero di piedi dispari ...”.
p. 454-456 Continua sul numerus, sempre citando gli antichi e le correlazioni tradizionali tra
numeri e natura dal mondo al cosmo.
p. 456
“Chiameremo delimitazione la reciproca corrispondenza tra le linee che
definiscono le dimensioni. Tali linee sono: la lunghezza, la larghezza, l’altezza. Le leggi della
delimitazione si ricavano nel modo più conveniente dall’osservazione di quegli oggetti nei quali
è manifestamente noto che la natura si mostra a noi degna di considerazione e di ammirazione
[...] è assolutamente certo che la natura non discorda mai da se stessa”.
Ora, quei numeri che hanno il potere di dare ai suoni la concinnitas, la quale riesce tanto
gradevole all’orecchio, sono gli stessi che possono riempire di gioia gli occhi e l’animo nostro”.
p. 457
architetti”.
“Di tutti questi numeri [quelli della musica] fanno uso appropriatamente gli
Capitolo VI
p. 458
“Di tutto ciò tratteremo ora. In primo luogo si tratterà della aree, le quali hanno
due dimensioni. Esse possono essere corte, lunghe, medie. La più corta di tutte è l’area
quadrata, i cui lati sono tutti eguali tra loro in lunghezza, e i cui angoli sono tutti egualmente
retti. A questa segue immediatamente l’area detta sesquialtera (‘una e mezza’); e dopo questa sempre tra le aree corte - si annovera quella sesquitertia (‘una e un terzo’). Questi tre tipi di
proporzione, che chiamiamo ‘semplici’, si applicano dunque alle aree corte. Pure tre si
attagliano alle aree medie. La migliore delle quali è quella doppia; ad essa fa seguito un’area
che si ottiene raddoppiando la sesquilatera, e si costruisce nel modo seguente ...”
p. 459
“Riassumendo, abbiamo parlato: delle aree corte, ove le misure sono uguali tra
loro, o stanno tra loro come due sta a tre, o come tre sta a quattro; delle aree medie, nelle quali
le proporzioni sono id uno a due, o di quattro a nove, o di nove a sedici; infine delle aree
lunghe, in cui sono di uno a tre, di uno a quattro, o di tre a otto.
Le dimensioni complete di un corpo - se posso dir così - si connettono a tre a tre in base a
determinati rapporti numerici, tali che siano naturalmente ‘armonici’ ovvero concepiti secondo
criteri esatti e precisi di diversa provenienza ...”.
p. 460
“Di questi numeri, su cui ci siamo soffermati, fanno uso gli architetti; non però
combinandoli alla rinfusa, sibbene in reciproche proporzioni armoniche. Così, chi voglia ad
esempio erigere dei muri in un’area la cui lunghezza è doppia della larghezza, in tal caso dovrà
far uso di proporzioni tali quali appunto compongono un’area di dimensioni l’una doppia
dell’altra, non già di proporzioni triple. Nello stesso modo ci si regolerà per un’area tripla ...”.
“Per la determinazione di tali dimensioni vi sono anche particolari proporzioni naturali, le
quali non si possono definire mediante numeri, sibbene vanno ricavate con radici e potenze ...”.
p. 460-463 Continua.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 45
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo VII
p. 463
“A questo punto sarà opportuno chiarire la forma e la misura adottate dagli
antichi nel costruire le colonne ...”.
p. 464
“Resta da trattare della collocazione. Essa concerne l’ambiente e la posizione
delle parti; ed è più facile avvertire quando è mal riuscita che chiarire quale sia il modo giusto
per ottenerla. Essa infatti dipende in gran parte da una facoltà di giudizio innata nell’animo
umano; e pure in gran parte si fonda sui princìpi della delimitazione ...”
p. 466
“Termineremo a questo punto il nostro discorso sulla natura della bellezza,
sulle parti di cui si compone, sulla delimitazione e sui rapporti numerici a cui i nostri antenati la
informarono”.
Capitolo VIII
p. 466
“Si raduneranno ora in breve alcune avvertenze fondamentali, a cui bisogna
attenersi come a leggi sia nell’adornare e nell’abbellire qualsiasi edificio, sia nell’intera prassi
architettonica [...]. Poiché anzitutto s’è detto che sono da evitare con ogni cura tutti i difetti
consistenti in deformità, a tal fine metteremo in luce i peggiori di essi. Alcuni difetti derivano
dall’intelletto e dal senno, come nell’atto del giudicare o dello scegliere; altri dalla mano, come
nei lavori materiali”.
“Sarà in primo luogo ascritto a colpa lo scegliere per la costruzione una zona malsana, non
tranquilla, sterile, infelice, spiacevole, funestata e tormentata da mali sia manifesti che nascosti
...”.
p. 467
“Del pari è sconsigliabile costruire in tal modo che, sebbene l’edificio non sia
mal condotto quanto alle fondamenta, tuttavia non solo si senta in esso la mancanza degli
ornamenti, ma neppure ci sia la minima possibilità di arricchirlo con tali ornamenti e renderlo
più elegante”.
p. 469
“Difetto invero grave è quello nel quale incorrono taluni incompetenti. Costoro,
ad opera appena iniziata, la ricoprono tutta di pitture e di rilievi esornativi; ne consegue che
questi elementi di breve durata vanno in rovina prima ancora che l’opera sia condotta a
compimento”.
p. 470
Ripete la raccomandazione di fare sempre modelli prima di intraprendere
l’opera di studiarli attentamente e di sottoporli all’esame degli esperti.
Capitolo IX
p. 470
“Così dunque si regola l’uomo assennato: intraprenderà il lavoro con
preparazione e diligenza; si informerà sulle caratteristiche e sulla saldezza del terreno nel quale
vuole costruire la casa; dedurrà sia dai vecchi edifici, sia dagli usi e costumi locali, quali
materiali - pietre, sabbia, calcine, legnami - reperibili in luogo o importati da altre zone, abbiano le proprietà necessarie a resistere alle intemperie caratteristiche del clima in cui si intende
costruire; stabilirà l’ampiezza, l’altezza e l’ordinamento iniziale delle fondamenta e del
basamento. ...”.
p. 471
“Tutti questi accorgimenti, sebbene il loro fine principale sia la solidità e la
praticità, tuttavia sono di tale importanza che, quando vengano trascurati, comportano di conseguenza gravi difetti di forma.
Quelli poi che concernono soprattutto l’eleganza dell’ornamento, sono i seguenti. ...”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 46
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
“L’ordinamento complessivo si disporrà in maniera tale che le singole parti non solo
contribuiscano a gara ad abbellire l’edificio intero, ma neppure possano stare ciascuna per
conto proprio staccata dalle altre, senza perdere perciò stesso il proprio valore [“La concinnitas
albertiana non è l’unione di parti autosufficienti ma la connessione necessaria di membra che
solo nella nuova unità acquistano pieno valore” (nota 3)]”.
p. 472
“Ogni ordine avrà assegnate le proprie parti, in modo che non risulti
sparpagliato in forma discontinua o confusa, ma sia disposto nei luoghi che gli sono propri e
congeniali [...]. Il loro aspetto dovrà riuscire tale che lo sguardo corra, come fluendo con libero
godimento, lungo cornici e rientranze, spaziando su tutto l’aspetto dell’opera, sia all’interno che
all’esterno, ad ogni impressione piacevole aggiungendosene altre di cose uguali o diverse; e lo
spettatore, pur dopo aver più e più volte riguardato il tutto con ammirazione, non si reputerà
ancora soddisfatto di quello che ha visto senza aver dato un’ultima occhiata nell’allontanarsi; e
per quanto ricerchi, nell’intera opera non troverà un solo particolare che non sia uguale o
corrispondente ad altri, e in tutte le sue proporzioni corrispondente alla leggiadria”.
Capitolo X
p. 473
“Tuttavia, perché l’architetto possa regolarsi in modo corretto e conveniente
nella preparazione, nell’apprestamento e nell’esecuzione dell’opera sua, non può trascurare i
seguenti punti. Deve esaminare la natura dell’incarico che si assume, quali obblighi prenda,
quale reputazione voglia avere, quale sia la mole del lavoro che lo attende, quanta gloria,
guadagno, riconoscenza, quanta fama nel futuro si acquisterà se eseguirà l’opera sua nel modo
dovuto; e, all’opposto, nel caso che vi si accinga in modo maldestro, imprudente o temerario, a
quante riprovazioni, a quanta avversione egli vada incontro, offrendo agli uomini tutti una
testimonianza quale più eloquente, ovvia, manifesta e duratura non potrebb’essere, della propria
stoltezza.
L’architettura è grande impresa, che non è da tutti poter affrontare, Occorre esser provvisti
di grande ingegno, di zelo perseverante, di eccellente cultura e di una lunga pratica, e
soprattutto di molta ponderatezza e acuto giudizio, per potersi cimentare nella professione di
architetto. Giacché in architettura la maggior gloria tra tutte sta nel valutare con retto giudizio
ciò che sia degno. Costruire, infatti, è una necessità; costruire convenientemente risponde sia
alla necessità che alla utilità; ma costruire in modo da ottenere l’approvazione degli uomini di
costumi splendidi, senza peraltro esser riprovati dagli uomini frugali, può solo provenire
dall’abilità di un artista dotto, saggio e giudizioso”.
p. 474
“Occorrerà pertanto che l’opera da cominciare sia concepita con l’ingegno,
esaminata con l’esperienza, sceverata col giudizio, ordinata con il senno, resa perfetta con
l’arte”.
“Inoltre è auspicabile che l’architetto si regoli allo stesso modo di chi si dà agli studi
letterari. Giacché nessuno, in questo campo, penserà di essersi adoperato a sufficienza finché
non avrà letto e approfondito gli autori [...]. Parimenti l’architetto, dovunque si trovino opere
universalmente stimate e ammirate, tutte le esaminerà con la massima cura, ne farà il disegno,
ne misurerà le proporzioni ...”.
p. 477
“Tra le discipline, quelle che sono utili all’architetto, anzi strettamente
necessarie, sono la pittura e la matematica; quanto alle altre non ha molta importanza se ne sia
dotto o no”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 47
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo XI
p. 478
“Non voglio trascurare qui un consiglio importante per un architetto: non devi
promettere di tua iniziativa l’opera tua a tutti coloro che vogliono costruire, come fanno a gara i
superficiali e coloro che soggiacciono ad uno smodato desiderio di gloria”.
p. 479
“E’ dunque condotta saggia il conservare la propria dignità; a chi ne fa richiesta
è sufficiente fornire consigli sinceri e buoni disegni”.
p. 480
“Le costruzioni dalle proporzioni più grandi, a causa della brevità della vita
umana e per la vastità stessa delle opere, quasi mai potranno essere portate a compimento da
chi le concepisce. Ma chi gli succede, a causa dell’ambizione, desidera assolutamente innovarle
in qualche parte, e farsene così un merito; onde avviene che vengano guastati e mandati in
rovina edifici che altri avevano iniziato bene. Io credo che occorra mantenersi fedeli alle
intenzioni degli autori, le quali sono state certo frutto di matura riflessione”.
Libro X - il restauro degli edifici
Capitolo I
p. 482
“Poiché nelle pagine seguenti si dirà come porre riparo ai difetti degli edifici,
occorre chiarire quali siano, e di che tipo, quei difetti che la mano dell’uomo può correggere”.
“I difetti degli edifici, siano essi pubblici o privati, possono essere quasi congeniti e
connaturati, e provengono dall’architetto, ovvero derivare da cause esterne. Taluni, inoltre, con
l’ingegno e il mestiere possono essere corretti; altri sono affatto irreparabili”.
p. 482-483 “I guasti di provenienza esterna si possono - a mio avviso - passare in rassegna
con difficoltà, tali sono il numero e la loro varietà [...] tutto è vinto dal tempo [...]. Ben si sente
quanto potere abbiano il cocente sole, l’ombra diaccia, le gelate, i venti. Sotto la loro azione noi
vediamo sfaldarsi e sbriciolarsi perfino le più dure selci [...]. Vi sono poi i danni provocati dagli
uomini... Perdio! avvolte non posso far a meno di ribellarmi a vedere come, a causa dell’incuria
- per non usare un apprezzamento più crudo: avrei potuto dire avarizia - di taluni, vadano in
rovina monumenti che per la loro eccellenza e lo splendore furono risparmiati perfino dal nemico barbaro e sfrenato; o tali che anche il tempo, tenace distruttore, li avrebbe agevolmente
lasciati durare in eterno. Si aggiungano le disgrazie improvvise: incendi, fulmini, terremoti,
violente inondazioni, e i numerosi accidenti straordinari, imprevedibili, impensabili, provocati
dalla forza prodigiosa della natura, e capaci di guastare e sconvolgere da un giorno all’altro
qualsiasi ben ordinata concezione architettonica”.
p. 484
“Passeremo invece a trattare di quegli edifici che si possono realmente
migliorare con restauri; e cominceremo da quelli pubblici. In questo campo il problema più
importante e più vasto è costituito dalla città, o meglio - se è giusta l’idea - dall’ambiente in cui
si inserisce la città. Se l’architetto ha fondato la città in una cera località senza la necessaria
accortezza, può darsi che questa presenti dei difetti da eliminare”. Difesa dal nemico, dal clima
sfavorevole , dalla scarsezza di generi di prima necessità.
Capitolo II
p. 488
“Occorre poi porre riparo alla mancanza eventuale di elementi di utilità
indispensabile ...”.
Soprattutto l’acqua.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 48
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo III
p. 492
“Riguardo all’acqua ...”.
p. 494
“Da tutto ciò s’inferisce che la conoscenza della natura è cosa davvero difficile
ed estremamente incerta”.
Capitolo IV
p. 494
“Torniamo al nostro argomento. Le acque nascoste si potranno individuare
mediante indizi. ...”
Capitolo V
p. 498
...”.
“Lo scavo può essere di due tipi: in profondità (pozzo) o per lungo (galleria).
Capitolo VI
p. 500
“L’acqua una volta scoperta, non è bene che sia lasciata indiscriminatamente al
consumo della gente; ...”.
Capitolo VII
p. 508
“Una volta dunque che si sia scoperta e trovata buona l’acqua ...”.
Capitolo VIII
p. 517
“E passiamo alle cisterne. ...”.
Capitolo IX
p. 520
“Passiamo ora ad altri argomenti. S’è detto che i contadini hanno bisogno di
cibo e di abiti, ...”.
“Di tali accorgimenti non tocca a me parlare in questa sede; tuttavia l’architettura può in
certi casi fornire un utile contributo al lavoro dell’agricoltore ...”.
p. 522
“S’è dunque parlato dei casi in cui le acque sono in eccesso, e anche, in parte,
dei casi in cui sono dannose con il loro movimento. Se qualcosa è stato tralasciato su questo argomento, ne parleremo tra breve, trattando del fiume e del mare”.
Capitolo X
p. 522
“Tocca ora parlare dei mezzi con cui, nel modo più conveniente possibile, ci si
procura da altre zone quei prodotti che un ambiente non può offrire da sé ai suoi uomini. A
questo fine rispondono le vie di comunicazione, come le strade, ...”. Di terra, di acqua.
Capitolo XI
p. 526
“Passiamo ai canali. ...”.
* * * Appunti di lettura * * *
Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 49
Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989
Capitolo XII
p. 529
“Anche la spiaggia del mare si può fortificare per mezzo di argini ...”. Il porto.
Capitolo XIII
p. 536
“Passiamo ora a trattare, con maggior concisione possibile, degli altri difetti di
minor entità che possono essere riparati. In taluni luoghi l’immissione dell’acqua ha reso la
zona più calda; ...”.
Capitolo XIV
p. 540
“Se poi si deve costruire in un luogo eccessivamente freddo, si ricorrerà al
fuoco”. Camini.
Capitolo XV
p. 541
“E poiché siamo entrati in questo argomento ...”. Varie, persino sulle cimici.
Capitolo XVI
p. Torniamo al nostro argomento. E’ sorprendente il fatto che, se si rivestono le pareti
dell’atrio di tessuti di lana, l’ambiente risulterà tiepido; se invece questi sono di lino, esso sarà
piuttosto fresco ...”. E via ..., altri inconvenienti, anche strutturali, e loro rimedi fino alla fine
del capitolo a p. 551 e così del volume.