* * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 1 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Prima edizione: De re aedificatoria, Firenze, Niccolò di Lorenzo Alemanno, 1485 (Editio principes, Curata da Bernardo Alberti, cugino di Leon Battista. Porta una dedica dedicata a Lorenzo il Magnifico ed è preceduta dalla lettera del Poliziano). Libro primo - il disegno ....................................................................................................... 2 Libro II - i materiali ............................................................................................................. 7 Libro III - l’esecuzione dell’opera ..................................................................................... 11 Libro IV - opere di carattere universale ............................................................................. 14 Libro V - opere di carattere particolare ............................................................................. 18 Libro VI - Gli ornamenti .................................................................................................... 25 Libro VII - gli ornamenti degli edifici di culto .................................................................. 30 Libro VIII - gli ornamenti degli edifici pubblici profani ................................................... 37 Libro IX - GLI ornamenti degli edifici privati ................................................................... 40 Libro X - il restauro degli edifici ....................................................................................... 47 Prologo p. 5 Sono svariate le “arti” “che contribuiscono a render felice la vita”. Alcune “sono coltivate per la loro necessità; altre si raccomandano per i vantaggi che presentano; altre si apprezzano soltanto perché riguardano argomenti piacevoli a conoscersi”. Ma “l’architettura” concilia al tempo stesso “la convenienza pratica con il decoro”, perché “è quanto mai vantaggiosa alla comunità come al privato, particolarmente gradita all’uomo in genere e certamente tra le prime per importanza”. p. 5 “... il lavoro del carpentiere [...] non è che strumentale rispetto a quello dell’architetto. Architetto chiamerò colui che con metodo sicuro e perfetto sappia progettare razionalmente e realizzare praticamente, attraverso lo spostamento dei pesi e mediante la riunione e la congiunzione dei corpi, opere che nel modo migliore si adattino ai più importanti bisogni dell’uomo. A tal fine è necessaria la padronanza delle più alte discipline. Tale dunque dovrà essere l’architetto”. p. 6 “... considerando quanto un tetto e delle pareti siano convenienti, anzi indispensabili, ci convinceremo che queste ultime cause ebbero indubbiamente maggior efficacia a riunire e mantenere insieme degli esseri umani”. E’ qui invertito - fa notare Choay - l’ordine tradizionale, ripreso anche dopo Alberti da molti autori, “per il quale lo stato di società è la condizione preliminare che consente all’architettura di nascere e svilupparsi” (p. 95: Francçoise CHOAY, LA REGOLA E IL MODELLO - Sulla teoria dell’architettura e dell’urbanistica, a cura di Ernesto d’Alfonso, Roma, Officina edizioni, 1986, pp. 388 - prima edizione Parigi, 1980). p. 9 “Noi dunque, rendendoci conto di queste verità, abbiamo cominciato [...] a indagare in modo approfondito su quest’arte e sul suo oggetto: da quali princìpi si tragga, in quali parti consista e si delimiti”. L’architettura “è veramente la fonte di ogni comodità: [per] il principe o i privati cittadini, la religione o la vita profana, il lavoro e il tempo libero, il singolo o l’umanità nel suo complesso [...]. Tutti questi argomenti abbiamo deciso di raccogliere qui [...] e trattarli dividendoli in dieci libri”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 2 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 p. 9-10 “Anzitutto [...] l’edificio è un corpo, e, come tutti gli altri corpi, consiste di disegno e materia: il primo elemento è in questo caso opera dell’ingegno, l’altro è prodotto dalla natura; l’uno necessita di una mente raziocinante, per l’altro si pone il problema del reperimento e della scelta”. Ma per rispondere allo scopo occorre “l’intervento della mano esperta dell’artefice che sia in grado di dar forma alla materia secondo il disegno”. “... essendo svariate le finalità pratiche degli edifici [...] abbiamo diviso gli edifici in diversi generi. E poiché in essi s’è constatato avere grande importanza la connessione delle linee nei loro reciproci rapporti, che è il principale fattore della bellezza, ci siamo posti a ricercare in che cosa la bellezza consista e come debba presentarsi in ciascuno di codesti generi. Poiché inoltre in ognuno di essi si riscontrano talvolta degli errori, s’è indagato come questi si possano correggere mediante il restauro”. p. 10 “... come segue: Libro I: il disegno; II: i materiali; III: la costruzione; IV: opere di carattere universale; V: opere di carattere particolare; VI: l’ornamento; VII: l’ornamento degli edifici sacri; VIII: l’ornamento degli edifici pubblici profani; IX: l’ornamento degli edifici privati; X: il restauro. Libri aggiunti: la nave; l’erario; aritmetica e geometria; che cosa giovi all’architetto nel suo lavoro”. Libro primo - il disegno Capitolo I p. 11-12 “L’architettura nel suo complesso si compone del disegno e della costruzione [...]. La funzione del disegno è [...] di assegnare agli edifici e alle parti che li compongono una posizione appropriata, un’esatta proporzione, una disposizione conveniente e un ordinamento armonioso, di modo che tutta la forma della costruzione riposi interamente nel disegno stesso. Ciò premesso, il disegno sarà un tracciato preciso e uniforme, concepito nella mente, eseguito per mezzo di linee ed angoli, e condotto a compimento da persona dotata d’ingegno e di cultura”. p. 12 “... volendo ricercare che cosa sia in sé l’edificio e il modo di costruire nel suo complesso” Alberti compone un mito delle origini dell’edificare, scrive un racconto esemplare. Capitolo II “L’uomo, da principio, ricercò un luogo per riposarsi in qualche zona senza pericoli. Trovata un’area [...]. Non volle però che tutte le faccende domestiche e individuali si sbrigassero nello stesso ambiente, bensì che il luogo per dormire fosse diverso da quello per il focolare [...]. Si cominciò allora a progettare la collocazione di un copertura ...”. p. 13-14 “Da ciò risulta che l’oggetto dell’architettura si articola nel suo complesso in sei parti, ossia: l’ambiente, l’area, la suddivisione, il muro, la copertura, l’apertura [...]. Chiameremo ambiente l’estensione e le caratteristiche complessive del terreno che circonda il luogo di costruzione; parte di esso sarà l’area. Area si dirà una porzione di spazio esattamente delimitata e circondata da muri per determinati scopi. [...]. Suddivisione è il criterio con cui si ripartisce in aree minori l’area totale della costruzione: sicché l’intero corpo dell’edificio risulta composto di edifici minori, quasi membra riunite a formare un unico complesso. Si dice muro ogni struttura che si erge dal terreno verso l’alto a sostenere il peso della copertura, o sorge all’interno dell’edificio a dividere i vani. Chiamiamo copertura non soltanto quella parte dell’edificio posta più in alto di tutte ad arrestare la pioggia, ma in genere qualunque parte si trovi estesa in larghezza e in lunghezza a sovrastare il capo di chi passa * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 3 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 sotto: come, ad esempio, soffitti in legno, crociere, volte, e simili. Si dirà apertura tutto ciò che permetta di entrare o di uscire a uomini od oggetti in qualsiasi parte dell’edificio”. p. 14 Alberti stabilisce tre princìpi validi per ciascuna parte che riecheggiano (dice la nota del curatore) le categorie vitruviane: firmitas, utilitas, venustas. “Essi esigono che ognuna di queste parti debba essere: bene adatta all’uso cui è destinata, e soprattutto perfettamente sana; rispetto alla robustezza e alla durata, compatta e solida e indistruttibile; e quanto alla leggiadria dell’aspetto, elegante, armoniosa, adorna in ogni sua parte”. Capitolo III p. 14 “Gli antichi facevano ogni sforzo per poter disporre di un ambiente che presentasse, per quanto possibile, tutti i vantaggi e fosse scevro da ogni elemento nocivo. [...] se la natura del terreno e delle acque presenta qualche svantaggio, si può modificarla con opportuni accorgimenti; ma né l’ingegno né la potenza dell’uomo possono mutare il clima”. Pertanto importanza dell’aria. p. 16 “Si dovrà quindi scegliere tra tutti un ambiente che sia libero da formazioni di nebbia o da qualsiasi addensamento di vapori”. p. 17 “E’ quindi buona norma tener conto della quantità di sole che riceve l’ambiente, e come e quando lo riceva, al fine di evitare un eccesso sia di luce che di ombra”. Capitolo IV p. 19 “Nella scelta dell’ambiente, converrà badare a che esso riesca ben accetto agli abitanti sotto ogni profilo, sia per la conformazione naturale che per l’indole degli uomini con cui devono entrare in rapporto”. p. 20 “In ogni caso nessun edificio, qualunque esso sia, sarà peggio collocato, in rapporto alla comodità e al decoro, di quando lo si celi nel fondo della valle”. p. 21 “Pertanto la conformazione del luogo dovrà essere decorosa e ridente; mai sprofondata in basso, ma anzi in posizione elevata sulla zona circostante, e tale da essere continuamente allietata da buona aria. Vi sarà inoltre in abbondanza tutto quanto risponda a esigenze pratiche e voluttuarie in qualsiasi momento: acqua, fuoco, cibo”. p. 22 “... sarà bene condurre un’indagine accuratissima per accertare quali generi di acque vi siano nell’ambiente che abbiamo scelto per vivere”. “L’acqua avrà il miglior sapore quando non ne abbia affatto, e il colore più conveniente quando ne sia del tutto priva”. p. 23 Sui tarantolati... Capitolo V p. 24 “Nella scelta di un ambiente, non basta soltanto tener conto di quelle caratteristiche che saltano subito all’occhio. Bisogna aver ben presenti tutti gli aspetti del problema, notando anche i sintomi meno evidenti”. Capitolo VI p. 27 “Esaminati dunque i sintomi più riposti che la natura presenta, bisogna poi tenere in considerazione tutto quanto possa tornar utile”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 4 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 p. 28 “Si dice altresì che è indizio di prudenza e di saggezza l’indagare sul destino dell’ambiente mediante l’osservazione del cielo e del volo degli uccelli. Queste arti mi sembrano tutt’altro che disprezzabili, purché vadano d’accordo con la religione. Nessuno infatti potrà negare che negli eventi umani abbia una parte importante quell’entità - di qualunque natura essa sia - che è chiamata ‘fortuna’“. p. 28-29 “In conclusione si tenga per fermo che è proprio dell’uomo saggio non lasciar nulla d’intentato affinché le fatiche e le spese del costruire non siano state inutili e perché l’opera abbia a riuscire durevole e salubre [...]. E’ infatti impresa del più alto valore sia per noi che per i nostri familiari, quella che giova alla salute, che serve a vivere in modo dignitoso e piacevole, che tramanda la fama del nostro nome alla posterità”. Capitolo VII p. 29 “Nella scelta dell’area vale tutto ciò che abbiamo osservato a proposito dell’ambiente. Giacché, come l’ambiente è una determinata parte, da noi scelta, di un territorio più vasto, così l’area è una porzione esattamente definita dell’ambiente, che viene destinata all’edificio da costruirsi”. “Occorre cioè tener presente che genere di costruzione stiamo per intraprendere: se un’opera pubblica o privata, sacra o profana, e così via; dei singoli generi tratteremo partitamente a suo luogo. Ben diversa infatti è la qualità e la quantità dello spazio da adibirsi per un fòro, un teatro, una palestra, o un tempio; quindi ciascuna di tali opere, in base alla propria natura e funzione, esige una diversa forma e posizione per la sua area”. p. 30 “Poiché infatti dobbiamo parlare del modo di delimitare l’area, è bene descrivere gli strumenti con cui si esegue l’operazione”. Seguono nozioni di geometria elementare. Capitolo VIII p. 31 “Le aree possono essere o poligonali o circolari”. “In questo campo sono da notare quelle qualità la cui assenza sarebbe motivo di grave biasimo e la cui presenza conferisce leggiadria e praticità all’edificio in ogni sua parte: mi riferisco a quella certa varietà con cui devono disporsi gli angoli, le linee e le singole parti. Essa non dev’essere usata troppo generalmente e nemmeno troppo di rado, bensì disposta in funzione della utilità e della leggiadria in modo tale, che parti intere corrispondano a parti intere, ed uguali ad uguali”. p. 32 “Le linee costituenti i lati devono essere ciascuna uguale a quella corrispondente situata dalla parte opposta: né si devono mai congiungere in un sol tratto, nell’intera opera, linee lunghissime con linee cortissime; dev’esservi invece una giusta e conveniente proporzione tra di esse, da stabilirsi di volta in volta”. “L’area può essere situata in uno spiazzo pianeggiante, o sopra un pendio, o sulla cima di un rilievo. Se la si pone in pianura, occorre rialzare il terreno in modo da costituire una specie di zoccolo: il che, oltre a conferire decoro alla costruzione, eviterà gravi inconvenienti”. Enumera tali inconvenienti che consistono principalmente nell’elevarsi del terreno per l’accumulo nel tempo di detriti. p. 33 “Ad ogni modo ogni area dev’essere perfettamente solida per sua natura o esser resa tale artificialmente”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 5 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 “Se invece l’area sarà posta in cima a un’altura, essa andrà rialzata da qualche parte, ovvero livellata spianando la sporgenza del cocuzzolo del monte. In questi casi bisogna far in modo d’intraprendere un’opera tale che, senza trascurare il decoro, si possa realizzare evitando eccessive spese e fatiche”. p. 35 “Infine, tutte le aree provviste di copertura dovranno essere fatte perfettamente orizzontali; quelle invece che rimangono scoperte, dovranno risultare inclinate dal piano quel tanto che basti a far scorrere l’acqua piovana”. Capitolo IX p. 36 “Nella suddivisione si dimostra tutta l’acutezza d’ingegno e la preparazione tecnica dell’architetto. La suddivisione infatti è rivolta a commisurare l’intero edificio nelle sue parti, la configurazione completa delle sue parti in sé, e l’inserimento di tutte le linee e di tutti gli angoli in un unico complesso, avendo di mira la funzionalità, il decoro e la leggiadria. E se è vero il detto dei filosofi, che la città è come una grande casa, e la casa a sua volta una piccola città, non si avrà torto sostenendo che le membra di una casa sono esse stesse piccole abitazioni... “. “A tal fine rispondono adeguatamente tutti gli insegnamenti esposti in precedenza circa l’ambiente e l’area: e come nell’organismo animale ogni membro si raccorda con gli altri, così nell’edificio ogni parte deve accordarsi con le altre. Da ciò il precetto: gli edifici più grandi devono avere le membra più grandi [...]. Quindi ciascun membro deve avere il luogo e le proporzioni più opportuni: non occuperà più spazio di quanto sia utile, né meno di quanto ne esiga il decoro; né sarà collocato in un posizione impropria e disdicevole, bensì in quella che precisamente gli appartiene, sì che non se ne possa trovare un’altra più conveniente. [...] Bisogna poi tener conto delle stagioni, e conferire diverse caratteristiche agli ambienti estivi e a quelli invernali”. p. 37 “Occorre che ogni membro dell’edificio si armonizzi con gli altri per contribuire alla buona riuscita dell’intera opera e alla sua leggiadria, di modo che non si esaurisca in una sola parte tutto l’impulso alla bellezza, trascurando affatto le altre parti, bensì tutte quante si accordino tra loro in modo da apparire un solo corpo, intero e bene articolato, anziché frammenti estranei e disparati. Inoltre, nel conformare le membra, la semplicità della natura è l’esempio da seguire. In questo campo, come in tutti gli altri del resto, non meno di quanto è lodevole la sobrietà, è riprovevole la smania smodata di costruite. La membratura sia dunque di proporzioni moderate, e non esorbiti dalle precise funzioni che le sono assegnate. Giacché, a ben osservare, ogni forma architettonica trovò origine dalla necessità, si sviluppò in funzione della praticità, fu abbellita dall’uso; infine fu tenuto conto del piacere; ma il piacere medesimo sfugge sempre ad ogni eccesso”. “Non vorrei però che tutte le parti fossero disegnate con un’identica condotta e definizione di linee, sì che in nulla si distinguessero tra loro”. p. 38 “Invero la varietà dà un sapore gradevole a tutte le cose, se poggia sull’unità e sulla corrispondenza reciproca tra elementi distanti tra loro; ma se tali elementi mancano affatto di legami e non trovano un accordo conveniente, questo genere di varietà costituisce una grave stonatura”. [Segue una similitudine con la musica]. Alberti raccomanda poi di seguire la tradizione, il che non vuol dire attenersi strettamente agli schemi degli antichi, ma considerarli un insegnamento di partenza cui aggiungere soluzioni * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 6 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 nuove. Argomento che sarà trattato partitamente a proposito della città nel Libro IV: “Opere di carattere universale”. Capitolo X “Tratteremo ora per sommi capi di come disegnare i muri”. Evitare, seguendo così gli antichi, muri troppo lunghi mai interrotti da rientranze e sporgenze, che servono a rinforzarli. p. 39 Ciò che ha importanza maggiore è la colonna. “... una fila di colonne non è altro che un muro attraversato da aperture”. La colonna “... è una parte salda e stabile del muro innalzata perpendicolarmente da terra fino alla sommità dell’edificio per sostenere la copertura”. “Credo che in origine la colonna sia stata inventata per sostenere la copertura. In seguito vediamo farsi strada negli uomini il desiderio di raggiungere mete sempre più alte, e di creare, essi mortali, opere che possano vincere la morte. A tal fine costruirono colonne, architravi, perfino solai e tetti in marmo. Nel far ciò gli architetti imitarono la natura delle cose stesse, sì da non aver l’apparenza di allontanarsi dai normali modi di costruire; inoltre fecero di tutto perché l’opera loro riuscisse, oltre che conveniente e robusta, anche piacevolissima alla vista”. p. 40 “Il muro deve essere costruito con le stesse proporzioni delle colonne”. Capitolo XI “L’utilità della copertura è maggiore di quella di tutte le altre parti. [...]. La copertura è veramente un’arma con cui l’edificio si difende dall’assalto del tempo. p. 41-42 Per conseguenza, bene a mio avviso anche in questo campo si regolarono i nostri antenati, i quali vollero conferire alla copertura un posto tanto importante, da esaurire quasi, nella sua ornamentazione, tutte le tecniche decorative”. p. 42 “Le coperture sono di due tipi: a cielo aperto e no. Le prime di esse non servono per camminarci sopra, ma solo per arrestare la pioggia. Le seconde sono ripiani intermedi a palco o a volta, per modo di far risultare quasi due edifici sovrapposti”. Seguono vari consigli e principi per le coperture, soprattutto a difesa dalla pioggia. Capitolo XII p. 43 “Possiamo ora parlare delle aperture. Sono di due tipi: le une servono per illuminare e ventilare l’interno, le altre a fare entrare e uscire persone e cose. Alla prima funzione sono adibite le finestre; all’altra le porte, le scale e gli intercolumni. Sono pure da annoverare tra le aperture i condotti per il passaggio dell’acqua e del fumo: pozzi, fogne, camini, le bocche delle fornaci e gli sfiatatoi”. Seguono i consueti princìpi e consigli. Capitolo XIII p. 48 “La costruzione delle scale è lavoro difficile, da affrontare solo a ragion veduta, dopo matura riflessione. Ciò perché esse comprendono tre diverse aperture: la prima è la porta che offre accesso alle scale stesse, la seconda è la finestra che illumina la rampa e rende visibile la profondità di ogni gradino, la terza è l’apertura nel soffitto che immette al piano superiore. Ecco perché si dice che le scale rendono difficile il disegno degli edifici. Ma chi non vuole che le scale diano intralcio eviti di dare intralcio alle scale”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 7 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Seguono i consueti princìpi e consigli. Libro II - i materiali Capitolo I [Metodologico, come i due successivi, prima di trattare l’argomento vero e proprio dei materiali]. p. 52 “Non mi stancherò mai pertanto di raccomandare ciò che solevano fare i migliori architetti: meditare e rimeditare l’opera da intraprendere nel suo complesso e la misura delle sue singole parti, servendoci non solo di disegni e schizzi, ma anche di modelli”. p. 54 “Quando finalmente ogni aspetto del tuo progetto sia stato pienamente approvato da te e dagli esperti, sicché non rimanga più il minimo motivo di incertezza o di ripensamento, bada a non lasciarti soverchiare dalla smania di costruire ad ogni costo, e a non iniziare l’opera tua demolendo antiche costruzioni o gettando smisurate fondamenta per l’opera intera, come agiscono i folli e gli sventati. Ti consiglio invece di far trascorrere un po’ di tempo... “. Capitolo II p. 54-55 “Nel riesame che farai del tuo modello, tra i vari elementi da meditare dovrai tener presenti i seguenti. Ti chiederai in primo luogo se ciò che ti accingi a fare non superi le forze umane; [...]. La natura infatti ha in sé tale forza che [...] riesce sempre ad aver ragione di tutto ciò che le si oppone come ostacolo”. p. 55 “Bisogna quindi fare attenzione a non intraprendere nulla che non si accordi completamente con l’ordine naturale. In secondo luogo si eviterà di impegnarsi in imprese che poi manchi la forza di portare a termine”. “Inoltre è importante considerare non solo cosa sia possibile, ma anche che cosa si convenga”. Ad esempio Non un “sepolcro regale” per una meretrice anche quando se lo possa economicamente permettere. p. 56 “Se in genere per i monumenti privati si richiede modestia e per quelli pubblici splendore, nondimeno talvolta anche questi ultimi sono lodati per essere tanto modesti quanto quelli”. p. 56-57 “Infine sarà bene evitare d’intraprendere una costruzione che, pur rispondendo ai requisiti di utilità, decoro, possibilità di esecuzione, ed essendovene opportunità e mezzi in quel momento, pur tuttavia sia di tale natura che in breve tempo, o per trascuratezza del successore o perché non piace a chi vi abita, vada in rovina”. Capitolo III p. 57 “Dopo aver verificato questi punti, ti restano da vedere gli altri: se ognuno di essi sia ben definito e abbia ricevuto la collocazione che gli spetta. [...] ... fare opera tale che non se ne possa trovare un’altra più piacevole d’aspetto e più lodevole, a parità di spese e di vantaggi. [...] ... badando che ogni particolare si accordi con tutti gli altri per il decoro e l’armonia dell’insieme: al punto che qualsiasi cambiamento, aggiunta o detrazione vi si apporti, dovrà apparire come un peggioramento”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 8 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Far sempre “ricorso al giudizio ponderato degli esperti”. p. 58 “Sarà pure utile chiedere il parere di tutti: perché talvolta anche chi non s’intende di questa materia fa delle osservazioni che appaiono agli stessi competenti tutt’altro che trascurabili”. Capitolo IV p. 59 “I materiali da apprestarsi sono dunque i seguenti: calce, sabbia, pietra, legname; inoltre ferro, rame, piombo, vetro e simili. E soprattutto a mio parere bisogna scegliere operai esperti, seri, fidati, a cui affidare l’esecuzione accurata di lavori esattamente definiti, raccomandando loro di essere onesti e solleciti nel condurli a termine”. Alberti dichiara di voler seguire nella trattazione i migliori autori antichi. p. 60 Iniziamo la trattazione con il “... materiale che per primo venne utilizzato dagli uomini per costruire: cioè, se non erro, il legname ricavato dagli alberi cedui delle foreste”. “... dicono che si devono tagliare gli alberi, e soprattutti l’abete, la picea e il pino, appena cominciano a germogliare... “. p. 61 “Dicono inoltre che è molto importante la fase lunare in corrispondenza della quale si procede al taglio degli alberi”. “... chi si taglia i capelli con la luna in fase calante in breve diventa calvo”. “Ma tutti gli esperti sono d’accordo nel consigliar di tagliare il legname con la luna calante: infatti dicono che in quel periodo è pressoché esaurita quella sorta di umore denso che tende ad impregnare e far marcire ben presto il legno; e si è visto che il taglio con quella luna preserva dai tarli”. p. 62 “Columella pensa che il periodo migliore per tagliar legna sia tra il quindicesimo e il ventesimo giorno del ciclo, in luna calante; Vegezio preferisce il periodo tra il quindicesimo ed il ventiduesimo giorno dopo la luna nuova, da cui pensa sia sorto il costume religioso di celebrare solo in questi giorni quei riti che si riferiscono all’eternità, appunto perché ciò che si taglia in questi giorni dura per sempre”. Capitolo V p. 63 “Tagliata la legna, bisogna riporla in luogo riparato dall’azione violenta del sole e dei venti”. “Vari rimedi erano adottati contro l’invecchiamento del legno e le sue possibili malattie”. “Ci sono poi vari sistemi per rassodare certi tipi di legname e per dar loro forza di resistere alle intemperie”. p. 64 “Ad ogni modo, sia che venga sepolto, sia che venga unto, o che lo si riponga al sicuro in determinati luoghi, tutti gli esperti concordano nel dire che non va toccato prima di tre mesi”. Capitolo VI p. 64-65 “Gli alberi il cui legno è reputato più adatto alle costruzioni sono questi: il cerro, la quercia, la rovere, l’eschio, il pioppo, il tiglio, il salice, l’ontano, il frassino, il pino, il cipresso, l’olivo selvatico, l’olivo domestico, il castagno, il larice, il bosso, il cedro; così pure * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 9 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 l’ebano e la vite. Ma le loro caratteristiche naturali sono molto varie, e adatte pertanto a vari usi”. Capitolo VII p. 70 “Tiriamo le somme su quanto si è detto. Tutti gli autori testimoniano che gli alberi infecondi sono più robusti di quelli ricchi di frutti; così pure, che quelli selvatici e non curati dall’uomo sono più resistenti di quelli domestici”. Capitolo VIII p. 72 “Bisogna anche procurarsi il pietrame che serve per la muratura. Questo può essere di due specie: l’una si usa per la preparazione delle malte, l’altra per costruire la struttura dell’edificio. Cominceremo da quest’ultima”. “Non mi soffermerò qui a discutere sulle teorie naturalistiche sull’origine delle rocce”. p. 73 “Dice Catone: “estrarrai la pietra d’estate; la terrai sotto l’aperto cielo; non l’adopererai prima di due anni”.”. “Difatti è certo che all’interno di qualsiasi specie si trovano tra pietra e pietra notevoli differenze: alcune si induriscono a contatto con l’aria, altre con la brina si arrugginiscono e si frantumano, e così via”. Capitolo IX p. 75 “infatti non è fuori luogo avere un’idea di quanto varie e sorprendenti siano le qualità delle pietre, in modo da potersene servire ai diversi fini che a ciascuna competono nella maniera più appropriata”. Capitolo X p. 78 “E’ noto tuttavia che al posto della pietra gli antichi impiegavano spesso e volentieri i mattoni. Credo che essi si inducessero la prima volta a costruire edifici in mattoni per ragioni di necessità [...]; e quando conseguentemente si avvidero che quest’altro modo di costruire era agevole ad attuarsi, di grande praticità, bellezza, durata, solidità, si diedero a costruire in mattoni ogni genere di abitazioni, perfino le regge”. p. 80 “... in molti monumenti dell’antichità, e specialmente in quelli della via Appia, si trovano diversi tipi di mattoni, di dimensioni grandi e piccole, utilizzati in modi svariati: e non credo che tali variazioni si debbano solo a convenienza pratica, bensì riflettono la sollecitudine dell’architetto nel realizzare tutto ciò che si potesse concepire come esteticamente gradevole e armonioso”. p. 81 “Con ciò concludiamo la trattazione delle pietre; si parlerà ora della calcine”. Capitolo XI p. 81 “Catone il censore sconsiglia le calcine costituite da pietre differenti; esclude poi che possa andar bene per alcun lavoro quella fatta di selce”. p. 86 “Ora, poiché nel fare gli edifici non occorre solo la calce, ma anche la sabbia, di quest’ultima dobbiamo trattare”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 10 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo XII p. 86 “La sabbia può essere di tre tipi: di cava, di fiume, di mare. La migliore è quella di cava, che a sua volta può essere di più specie: nera, bianca, rossa, carbonchiosa, ghiaiosa”. “Quella meno buona è la bianca, ...”. p. 88 “Ecco dunque come i vari popoli debbono adattarsi a costruire per sé diversi alloggi a seconda delle necessità e delle circostanze”. Capitolo XIII p. 88 “Dopo la preparazione dei materiali suddetti, cioè legnami, pietra, calce sabbia, resta ora da trattare il metodo e il procedimento da adottarsi per costruire l’edificio. Difatti, per procurarsi ferro, rame, piombo, vetro e simili non bisogna fare altra fatica che il comperarli e riunirli a portata di mano, in modo da non restarne senza nel corso dell’opera. Ad ogni modo parleremo a suo tempo della loro scelta e distribuzione, ...”. p. 89 “... Frontino, l’architetto, ammoniva di eseguire la costruzione nel periodo dell’anno a ciò più propizio, che va dal primo aprile al primo novembre, con l’intervallo dell’estate”. “Alcuni però vogliono che la costruzione sia iniziata in modo propizio, essendo di grande importanza sapere in quale momento ogni cosa sia entrata nel novero delle cose esistenti”. p. 90 “In verità il tempo, a bene interpretarlo, ha un grande influsso su tutte le cose”. “Da parte mia, pur non dando a chi professa la dottrina di osservare gli astri e le stagioni un credito tale da pensare che con tali arti essi possano stabilire con certezza il destino di ogni cosa, tuttavia non paiono da biasimare quando sostengono, in base agli indizi celesti, l’influsso notevole che tali periodi fissati hanno, sia in bene che in male. Tutto sommato, comunque stiano le cose, conviene obbedire ai loro consigli: se saranno veri, ci saranno di grande giovamento; se saranno falsi, non ci nuoceranno per nulla”. “Veramente fanno ridere coloro che esigevano di iniziare con buoni auguri qualsiasi cosa, anche il disegno dell’area di un edificio”. “Ridicolo è pure il costume di pronunciare formule e preghiere propiziatorie”. p. 91 “Io credo che la cosa migliore sia di lasciar perdere tutte le credenze superstiziose e contraddittorie, e di iniziare il nostro lavoro con una disposizione d’animo pia e religiosa: “Nel nome di Giove diamo inizio al canto; tutto è pieno di Giove” [Virgilio, Ecl., III, 60]. Con mente pura, dunque, adorando devotamente le offerte alla divinità, sarà bene dar principio alla nostra impresa; e pregheremo soprattutto gli dei di darci il loro aiuto nel nostro lavoro, favorendolo fin dal suo inizio, affinché sia poi condotto a compimento nel modo più favorevole e soddisfacente, e che il costruttore, i suoi familiari e si suoi ospiti godano a lungo di buona salute, di prosperità economica, di serenità d’animo, di fortuna crescente, di lavoro fruttifero, e di gloria sempre maggiore; e che i suoi beni durino e si trasmettano ai discendenti. Tanto può bastare”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 11 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Libro III - l’esecuzione dell’opera Capitolo I p. 92 “Il modo di eseguire una costruzione consiste tutto nel ricavare da diversi materiali, disposti in un certo ordine e congiunti ad arte (pietre squadrate, malte, leganti, ecc.), una struttura compatta e - nei limiti del possibile - integra e unitaria. Si dirà integro e unitario quel complesso che non contenga parti scisse o separate dalle altre o fuori del loro posto, bensì in tutta l’estensione delle sue linee dimostri coerenza e necessità. Bisogna dunque ricercare, nella struttura, quali siano le parti fondamentali, quale il loro ordinamento, quali le linee di cui si compongono”. “Le fondamenta si fanno in un modo, i legamenti e le cornici in un altro, gli angoli e i margini delle aperture in un altro, la superficie dei muri in un altro, e in un altro ancora il riempimento del loro interno. Sarà nostro compito indicare che cosa sia proprio per ciascuna parte. Nel far ciò cominceremo dalle fondamenta”. p. 92-93 “... il fondamento [...] non è una parte della costruzione [...]. Se infatti si trova uno spiazzo assolutamente solido e incrollabile [...] non sarà necessario gettare alcun fondamento”. “Pertanto la ‘fondazione’, cioè l’andare in profondità, e l’opera di scavo, saranno necessarie quando bisognerà ricercare un terreno saldo e stabile mediante l’apprestamento di una fossa; il che succede quasi sempre e dappertutto”. “Per tracciare gli angoli bisogna usare una squadra [...]. La squadra veniva fatta dagli antichi con tre regoli - uniti a formare un triangolo -, l’uno lungo tre cubiti, il secondo quattro, il terzo cinque [Era già’ conosciuto dagli egiziani ed è’ noto come triangolo sacro. Vitruvio (IX, prol., 6)]. p. 93-94 Gli incompetenti non sono in grado di tracciare gli angoli se in precedenza non siano rimossi tutti gli oggetti che ingombrano l’area della costruzione e il terreno non sia stato liberato e del tutto spianato. Sicché si comportano peggio che se si trovassero nei campi del nemico: dato di piglio ai martelli, inviano sul posto squadre di manovali guastatori a demolire e fare sparire tutto quanto. E’ questo un errore da correggere. Difatti l’avversità della sorte e dei tempi o la necessità di certe situazioni possono spesso indurci ad abbandonare l’impresa iniziata; e non è bene al tempo stesso non avere il minimo riguardo verso l’opera degli antichi, né si possono trascurare le comodità che i cittadini traggono dalle case tradizionali dei loro antenati. A demolire, a spianare, a distruggere qualsiasi struttura in qualsiasi posto c’è sempre tempo a disposizione. Quindi è preferibile lasciar intatte le antiche costruzioni fin tanto che le nuove possano essere innalzate senza demolirle”. Capitolo II p. 94-95 Come si tracciano le fondamenta: la geometria, ascisse e ordinate. Conformazione del sottosuolo, geologia. p. 96 “... assai meno agevole è porre rimedio a fondamenta sbagliate, una colpa che non ammette scuse”. “Noi crediamo che in ogni caso occorra chieder consiglio a tutti gli abitanti del luogo provvisti di cognizioni in materia e agli architetti delle vicinanze, i quali, fondandosi * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 12 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 sull’esempio degli antichi edifici e sulla quotidiana esperienza di costruirne dei nuovi, avranno facilmente appreso le esatte qualità e le possibilità nella zona in cui vogliamo costruire”. Capitolo III p. 97 “Il metodo per scavare le fondamenta varierà dunque a seconda del variare del luogo e delle sue caratteristiche”. Capitolo IV p. 99 “Resta da iniziare la costruzione. Ma poiché l’arte del costruttore e il metodo dell’opera dipendono parte dalla qualità, conformazione e proprietà delle pietre, parte dalla capacità adesiva della calce e del materiale di riempimento, ne tratteremo molto brevemente per quanto può servire agli scopi presenti”. Capitolo V p. 101 “Non trovo negli antichi alcuna indicazione circa il modo di costruire i muretti, cioè il coronamento delle fondamenta a livello del terreno, tranne il consiglio di impiegare nelle fondamenta quelle pietre che, dopo essere state tenute per due anni esposte all’aperto (come s’è detto), abbiano rivelato dei difetti”. p. 102 “Ma osservando altre grandi opere di espertissimi architetti antichi ho notato in esse una grande varietà quanto al modo di gettare le fondamenta”. Capitolo VI p. 103 “Gettate le fondamenta, vengono i muri”. p. 104 “Tra il muretto e il muro c’è una differenza, che l’uno, aiutato dai lati della fossa, può consistere solo del materiale di riempimento, l’altro si compone di varie parti, come ora spiegherò. Le parti principali del muro sono: la parte bassa, che sorge immediatamente sopra il materiale che riempie le fondamenta, e che ci permetteremo di chiamare zoccolo o podio; la parte mediana, che circonda l’intera parete, ed è chiamata legamento; la parte alta, che cinge la zona superiore del muro, ed è chiamata cornice”. p. 105 “I tipi di muratura sono i seguenti: ordinario reticolato, incerto”. Segue il loro uso. Capitolo VII p. 106 “E’ però molto importante sapere in quale connessione, in quale collegamento le pietre si debbano disporre”. p. 107 “Non bisogna dunque sistemare una venatura ritta nel fianco del muro, perché le intemperie la scrosterebbero, bensì disposta orizzontalmente, sicché la pressione di tutto quanto le sta sopra le impedisca di fendersi”. p. 108 “In tutto l’edificio, inoltre, gli angoli, dovendo essere quanto più possibile resistenti, andranno rafforzati con una struttura solidissima”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 13 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo VIII p. 108 “Le parti del tamponamento sono quelle comuni [...] a tutta la parete: involucri e riempitivi. Gli involucri si trovano situati all’esterno e all’interno. Sarà bene fabbricare l’involucro esterno con pietra più dura, perché tutto l’edificio abbia lunga durata”. Capitolo IX p. 111 “Tra i leganti sono poi da annoverare certi ricorsi, fatti di pietre più grandi, che tengono avvinti involucri esterni ad involucri interni, ed ossature ad ossature: com’è il caso dei ricorsi da inserire, abbiamo detto, ogni cinque piedi d’altezza all’interno del muro”. p. 112 “... quando un nuova pietra è posta sopra le precedenti, per farla meglio aderire e combaciare con quelle già collocate la si pone a giacere con il suo punto di mezzo corrispondente alla giuntura tra le due poste sotto, in modo che la sua estensione si distribuisca con esattezza in egual misura da una parte e dall’altra”. Capitolo X p. 113 “Poiché in pratica al buon costruttore importa, più che scegliere i materiali più adatti, giovarsi nel modo più opportuno e redditizio di quelli che sono a disposizione, in tal senso continueremo il nostro discorso”. p. 115 “I competenti dicono che non è conveniente innalzare ulteriormente la muratura finché non sia completamente rappresa la parte finora costruita”. “Si raccomanda altresì, durante la costruzione, di inserire nel corpo del muro un arco in ogni punto dove possano essere utili o gradevoli per l’edificio nuove aperture, in modo da fornire con l’arco alla parete, allorché in seguito verrà forata, una struttura di sostegno sicura e non avventizia”. Capitolo XI p. 116 “Abbiamo parlato finora del corretto modo di costruire: con quali tipi di pietre si eriga un muro e come lo si rafforzi con la calcina. Vi sono però altri modi di legare le pietre da costruzione: talora, ad esempio, non si applica calcina, ma fango; talaltra le pietre si accostano le une alle altre senza alcun impasto a sostenerle; per tralasciare altri metodi costruttivi, come quello che consiste tutto nel solo riempimento, o quello che si limita agli involucri”. “Un muro costruito con mattoni crudi riesce giovevole alla salute degli abitanti dell’edificio, resiste ottimamente agli incendi e non subisce soverchio danno dai terremoti; ma non regge bene gl’impalcati, salvo che non abbia un adeguato spessore. Ecco perché Catone diceva di innalzarvi pilastri in pietra, al fine di sorreggere le travature”. Capitolo XII p. 119 “Tra le coperture, dunque, alcune sono a cielo aperto, altre no; parimente alcune sono costituite di linee rette, altre curve, altre ancora di queste e quelle insieme. Si aggiunga che la copertura si costruisce di legno o di pietra”. Elementi comuni: “... è da pensare che in qualsiasi copertura vi siano, come nel muro, ossature, nervi, riempimenti, involucri e croste”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 14 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo XIII p. 123 “Passiamo alle coperture curvilinee. [...]. Una volta è costituita da archi; e che l’arco non sia altro che una trave incurvata, abbiamo già dimostrato”. Sugli archi. Capitolo XIV p. 127 “Vi sono diversi generi di volte, e bisognerà discorrere in che queste si distinguano tra loro e di quali linee siano costituite”. “I generi delle volte sono: a botte, a crociera, sferiche; e altre che sono costituite da una parte di queste”. Capitolo XV p. 132 “Torniamo a parlare dell’involucro del tetto. in verità, se si esamina attentamente la cosa, in tutto l’edificio non v’è parte più antica di quella che permette di sfuggire ai calori solari e alle intemperie”. p. 133 “Infine, provate le soluzioni possibili, l’ingegno e la solerzia umana nulla ancora hanno trovato che sia più conveniente della tegola in terracotta”. “Vi sono due tipi di tegole: uno piano, lungo un cubito e largo un piede, con margini rialzati da una parte e dall’altra che misurano un nono della larghezza; l’altro ricurvo, somigliante agli schinieri che proteggono le gambe. L’uno e l’altro hanno più larga la parte destinata ad accogliere il flusso dell’acqua, più stretta quella che la deve scaricare”. Capitolo XVI p. 135 “Veniamo ora a trattare dei pavimenti, dal momento che partecipano delle caratteristiche delle coperture. Possono essere a cielo aperto, a travature, non a travature”. p. 139 “Terminata ora la trattazione delle caratteristiche generali comuni a tutta la materia, passeremo a considerare quanto resta da trattare partitamente: in primo luogo i vari tipi di edifici, e quanto a ciascuno di essi compete; poi i loro ornamenti; infine i metodi per porre rimedio ai difetti dovuti ad errori del costruttore o ai danni del tempo”. Libro IV - opere di carattere universale Capitolo I p. 140 “Che gli edifici siano sorti per rispondere ai bisogni degli uomini, è manifesto. In origine, se vediamo giusto, essi cominciarono a costruire per apprestare a sé e alle proprie cose una difesa contro le intemperie. In seguito, non soltanto curarono di attuare quanto era necessario alla loro salute, ma non vollero trascurare nemmeno tutto ciò che potesse giovare a conseguire agi e comodità. Più tardi, attratti e spronati dal presentarsi di nuove possibilità, giunsero a concepire, e a procurarsi con l’andar del tempo, gli strumenti per soddisfare ai loro piaceri. Cosicché, dicendo che l’edificio può essere costruito o per necessità vitali, o per convenienza pratica, o per soddisfacimenti temporanei, probabilmente si coglierebbe nel segno. Ma, osservando quanti e quanto diversi edifici si possano trovare, si intende facilmente che la loro esecuzione non è tanto rivolta ai fini suddetti, né ad alcuni di essi piuttosto che ad altri; * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 15 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 la ragione fondamentale di questa infinita varietà sta bensì nelle differenziazioni presenti nella natura umana”. p. 142 “Volendo dividere in parti l’umanità, la prima cosa che risulta per sé manifesta è questa: il modo di classificare non è lo stesso, quando tutti gli abitanti un luogo sono considerati un blocco, e quando li si distingue in gruppi diversi e separati. In secondo luogo, avendo l’occhio alla loro natura stessa, risulterà ovvia l’opportunità di prender nota delle caratteristiche fondamentali per le quali essi si differenziano tra loro, per poter in base ad esse formulare la divisione”. Gli uomini si distinguono dagli animali per “la ragione, e la conoscenza delle arti liberali; a cui si può anche aggiungere la prosperità della sorte. Coloro che eccellono in tutte queste doti contemporaneamente, sono ben pochi in tutta l’umanità. [...] si sceglieranno pochi individui nella intera comunità, alcuni dei quali si distinguono per cultura, saggezza, ingegno, altri per esperienza pratica delle cose, altri infine per ricchezza ed abbondanza nei beni di fortuna. A costoro indubbiamente sono da riservare le cariche più importanti nello stato” [...] p. 143 [...] “Tutti gli altri cittadini dovranno collaborare con i precedenti e obbedir loro secondo che l’opportunità richieda. Se tutto ciò corrisponde a verità, risulta pure che altri sono i tipi di edifici da riservare all’intera comunità, altri ai maggiorenti, altri al popolo; e tra quelli per i maggiorenti, ve ne saranno alcuni riservati a coloro che sono preposti ai pubblici consigli, altri a chi cura l’esecuzione delle decisioni, altri ancora a chi ha l’incarico di accumulare ricchezze. E [...] sia lecito [...] attribuire un posto conveniente anche al diletto dell’animo. [...]. Parleremo dunque degli edifici destinati a tutti i cittadini, di quelli destinati ai cittadini eminenti, e di quelli destinati ai ceti inferiori”. Capitolo II p. 144 “Tutti hanno bisogno della città e di tutti i servizi pubblici che ne fanno parte. Se , in base al parere dei filosofi, decideremo che la ragione e lo scopo dell’esistenza della città stanno in ciò, che i suoi abitanti possano vivere in tranquillità, nel modo più comodo possibile e senza molestie, indubbiamente occorre meditare più e più volte in che luogo la si debba costruire, in quale posizione, con quale perimetro”. “Scrive Cesare che i Germani solevano considerare motivo di grande vanto l’essere circondati da territori costituiti da deserti vastissimi; e ciò perché reputavano tale condizione una mezzo importante per impedire eventuali invasioni di sorpresa effettuate dai nemici”. p. 145 “Queste considerazioni indurrebbero a tenere in considerazione, per fondarvi città, regioni del tipo suddetto, cioè selvagge e poco accoglienti. Ma c’è chi è di diverso parere, preferendo profittare di tutti i vantaggi e i doni naturali, sì da non rinunciare ad alcuna soddisfazione voluttuaria, così come si provvede alle necessità. Giacché - argomentano - un giusto uso dello nostre risorse si può ottenere facendo rispettare le leggi e i costumi aviti; ma le comodità della vita è certo più piacevole goderle a casa propria che essere costretti a ricercarle altrove”. p. 146 “Perciò i migliori autori dell’antichità che scrissero su questi argomenti [...] stabilirono che una città dev’essere situata in modo da avere tutto quel che occorre nel proprio territorio [...] senza bisogno di ricorrere altrove per alcunché; inoltre i suoi confini dovranno avere una conformazione tale per cui il nemico trovi difficoltà a farvi irruzione e d’altra parte sia possibile inviare eserciti nei paesi confinanti sia pure con l’opposizione del nemico”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 16 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 p. 147 Non diversamente da Platone “noi descriveremo, come modello esemplare, una città siffatta da venir giudicata conveniente in ogni parte dagli uomini più dotti; in altro campo ci adatteremo alle necessità della situazione concreta”. “Stabiliremo dunque che una città dev’essere interamente priva di tutti gli svantaggi esaminati nel primo libro; dev’essere inoltre provvista di tutti quei requisiti che esigono le necessità prime della vita”. “Conviene fondare la città nel centro del suo territorio, ...”. “Ma la cosa più importante è decidere se sia meglio costruirla in pianura, in montagna o sopra una spiaggia: giacché ciascuna di queste soluzioni ha lati positivi e negativi”. p. 147-148 “... molti fondarono città sui monti perché, probabilmente, si rendevano conto che tale posizione era più sicura. Essa tuttavia non fornisce acqua a sufficienza; mentre in pianura si trovano fiumi ed altri mezzi per procurarsi comodamente l’acqua. Quivi, d’altra parte, si è oppressi dalla pesantezza dell’atmosfera: d’estate si brucia, d’inverno si gela oltre misura; oltreché si rimane più esposti agli attacchi dall’esterno. Le spiagge a loro volta bene si prestano a farvi affluire le merci; dicono però che ogni città marittima non è mai sicura, ma continuamente attratta da prospettive di sovvertimento e sempre in balìa dello strapotere dei mercanti, e inoltre è esposta a molti pericoli, soprattutto per le incursioni delle flotte straniere”. “A mio parere la posizione migliore per fondare una città dovrebb’essere una zona pianeggiante situata in montagna o un rialzo in pianura. E se questo desiderio, stanti le particolari caratteristiche dei luoghi, non può avverarsi, per far fronte alle nostre necessità, useremo l’avvertenza, nel costruire in zona litoranea, che la città non risulti troppo vicino alla spiaggia, se questa è pianeggiante, né troppo discosta se questa è montagnosa”; perché il litorale col tempo muta aspetto. p. 149 “Parimente la positura di una città sopra la cresta eminente di una altura (come si usa dire) riesce di grande vantaggio al suo decoro, alla sua piacevolezza, e soprattutto alla sua salubrità e sicurezza. Giacché là dove si levano monti in prossimità del mare, quest’ultimo non può non essere profondo; inoltre l’elevazione impedisce ai vapori densi che salgono dal mare di giungere fino alle case. Se poi qualche schiera nemica tentasse un improvviso colpo di mano, si potrebbe porvi riparo per tempo e respingerla meglio”. “Dovendo infine fondare una città in mezzo alle montagne, in primo luogo occorre fare attenzione che non vi sia un inconveniente spesso presente in luoghi di tal genere, specie se cinti d’intorno da altre cime più alte: il raccogliersi e permanere di una fitta coltre di nebbie, che oscura la luce del giorno e rende il cielo sempre fosco e inclemente. E’ pure da accertare che nel luogo non imperversino in modo eccessivo e molesto i venti, ...”. p. 151 “Costruendo invece in pianura, nel caso normale che la città sia collocata in riva a un corso d’acqua che ne attraversi le mura, occorre star bene attenti che questo non provenga da sud, né vi si diriga; poiché nel primo caso l’umidità nel secondo il freddo, accresciuti dalle nebbie fluviali, giungeranno sul posto viepiù violenti e dannosi. Se poi il corso d’acqua passa fuori della cerchia muraria, bisogna esaminare la zona circostante, ed elevare le mura in quelle direzioni donde i venti hanno più facile accesso, mentre il fiume è da tenere alle spalle” ... p. 152 città”. “Terminiamo qui al trattazione dell’ambiente e della posizione ove fondare una * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 17 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo III p. 152 “E’ facile comprendere che il perimetro di una città e la distribuzione delle sue parti varierà in rapporto al variare dei luoghi: [...] se si costruisce sulle montagne non si avrà la possibilità di dare al circuito delle mura forma di cerchio”. “Non v’è dunque un unico metodo per cinger di mura le città in tutti i luoghi. p. 152-153 Inoltre gli antichi affermavano che la città è come una nave, che deve avere tali dimensioni da non ondeggiare, se vuota, né essere insufficiente, se piena. Altri ...” p. 153 “Qui tuttavia mi atterrei all’antica massima: in ogni cosa si eviti l’eccesso; o se mi toccasse scegliere tra i due opposti errori, preferirei seguire la via che mi desse eventualmente il mezzo per accogliere comodamente in città un maggior numero di abitanti, piuttosto che quella che mi facesse dare un asilo non decoroso ai cittadini già presenti. Occorre poi tener presente che una città non è destinata solo ad uso di abitazione; dev’essere bensì tale che in essa siano riservati spazi piacevolissimi e ambienti sia per le funzioni civiche sia per le ore di svago in piazza, in carrozza, nei giardini, a passeggio, in piscina, ecc. Narrano Varrone, Plutarco e altri autori antichi che i maggiorenti delle città nel tracciare il perimetro delle mura seguivano una cerimonia religiosa: [...]. Per tale motivo era stimato sacro l’intero circuito delle mura e le mura stesse, ad eccezione delle porte che era lecito non considerare tali”. p. 154-155 Seguono varie citazioni di riti e presagi su fondazioni di città. p. 155 “Ad ogni modo sono d’accordo con Platone: ogni città, per naturale ed intrinseca inclinazione, in qualsiasi momento della sua storia è in pericolo di cadere in cattività, poiché - sia derivato ciò da cause naturali o da consuetudini umane - nessuno è in grado di porre un limite ragionevole ai propri possessi e alla proprie mire di potenza, in campo sia pubblico che privato. Ed è questa l’origine fondamentale di tutte le aggressioni armate”. “Abbiamo già chiarito in precedenza che sarà più capace di tutte quella città che avrà pianta circolare; la meglio difesa quella le cui mura presentino contorni sinuosi, come fu per Gerusalemme, [...] Tuttavia bisogna anche tener conto di quanto convenga fare in rapporto alla particolare natura della città stessa”. Capitolo IV p. 157 Su come si costruiscono le mura. Capitolo V p. 159 “Il criterio da usarsi nel situare le porte deve tener conto del numero delle strade militari”. p. 161 “Tale dev’esser dunque una strada militare fuori di città: agevole, diritta, sicura al massimo grado. Quando si giunge in città, se questa è famosa e potente esigerà strade diritte e molto ampie, confacenti al suo decoro e alla sua dignità. Se invece è una colonia o una semplice piazzaforte, le vie di ingresso più sicure non sono quelle che conducono diritto alla porta, bensì quelle che svoltano a destra o a sinistra lungo le mura [...] e all’interno della città non dovran passare in linea retta, ma piegare con ampie curve [...]. Ciò perché, in primo luogo, apparendo più lunga la strada, si avrà l’impressione che la città sua più grande: inoltre perché il fatto è di grande * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 18 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 giovamento sia alla bellezza, sia alla pratica convenienza, sia alle necessità di determinati momenti. E’ infatti cosa di non poco conto che chi vi cammini venga scoprendo a mano a mano, quasi ad ogni passo, nuove prospettive di edifici; che l’ingresso e la facciata di ogni abitazione siano regolate in base all’ampiezza media della strada: qua l’eccessiva ampiezza riesce sgradevole e persino malsana, là la stessa vastità può essere appropriata”. Capitolo VI p. 162 “Una parte importantissima della strada è il ponte”. Capitolo VII p. 170 “Le fogne vengono classificate nel novero dei lavori stradali, ...”. “Siena, in Toscana, mancando di fognature, manca di pulizia; per cui avviene che per l’intera durata della notte, ore in cui si possono vuotare dalle finestre i recipienti delle immondizie, tutta la città è un solo fetore, e anche durante il giorno è molto sporca e appestata nell’aria”. Capitolo VIII p. 171 “Se c’è una parte della città a cui si attaglia l’argomento della presente trattazione, questa è indubbiamente il porto”. p. 174 “Con ciò abbiamo condotto a compimento la trattazione delle opere pubbliche di carattere universale. Aggiungiamo soltanto che nella città vanno distribuite grandi piazze: in tempo di pace serviranno per i mercati o per gli esercizi fisici dei giovani; in tempo di guerra vi si ammucchieranno le riserve di legna e di foraggio, e altri materiali utili a sostenere gli assedi. Quanto ai templi, ai santuari, alle basiliche, ai luoghi per gli spettacoli, etc., poiché sono bensì opere destinate a tutti, ma spettanti propriamente a cerchie ristrette, sacerdoti o magistrati, se ne parlerà in separata sede”. Libro V - opere di carattere particolare Capitolo I p. 175 “Abbiamo chiarito nel libro precedente come occorra adattare i vari tipi di edifici alle diverse categorie dei cittadini e degli abitanti, sia in città che in campagna; abbiamo anche detto che altri sono gli edifici destinati all’intera collettività, altri quelli riservati ai maggiorenti, altri ancora alla plebe. Ora dopo aver terminato la trattazione di quelli comuni a tutti, parleremo in questo quinto libro di ciò che risponde alle necessità o alla convenienza di particolari gruppi”. “Cominceremo dall’alto. La più alta autorità appartiene a coloro cui si affida il potere politico: possono essere più persone, ovvero una sola. L’individuo fornito della massima autorità sarà, naturalmente, colui che detiene da solo il potere. Occorre dunque considerare che cosa si debba fare per costui. Anzitutto è importante stabilire che genere di uomo egli sia; se cioè rassomiglia di più a colui che governa in modo giusto e santo, non conculcando la volontà altrui, spinto dal desiderio di beneficare i cittadini non che dal proprio tornaconto personale, ovvero a chi regola i rapporti coi propri sudditi in modo che questi gli debbano obbedire anche contro voglia. A seconda che il potere sia in mano di un tiranno (come questi viene * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 19 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 denominato) o di chi lo acquisisce e lo conserva come una magistratura concessagli da altri, variano quasi tutti gli edifici e le stesse città. Sarà propria di un re una fortificata soprattutto dove serva respingere il nemico esterno; mentre un tiranno, essendo i concittadini suoi nemici allo stesso modo degli stranieri, deve fortificare la sua città sia contro gli uni sia contro gli altri, e in modo tale da potere perfino, all’occorrenza, servirsi degli stranieri come alleati contro i suoi concittadini, e magari di una parte della cittadinanza contro l’altra”. p. 176 “Come si debba fortificare una città contro il nemico esterno, s’è detto nel libro precedente; resta da vedere cosa convenga apprestare contro gli abitanti stessi”. p. 177 “In complesso una città di questo tipo dev’essere costruita in modo che chi ha il potere abbia egli solo tutte le posizioni sopraelevate, e che i suoi fidi abbiano libero il passo a girare in lungo e in largo per l’intera città senza che alcuno possa impedirlo. In questo senso, dunque, al città del tiranno si differenzia da quella del re. Forse c’è un’altra differenza: che per una popolazione libera è più conveniente la pianura, mentre il tiranno gode di maggior sicurezza in montagna”. p. 178 “... nelle case, così come nelle città, ci sono parti frequentate da tutti, altre riservate a pochi, altre infine alle singole persone”. Capitolo II p. 178 cittadini”. “Portico e vestibolo [...] non sono destinati soltanto alla servitù [...], ma a tutti i “Il portico e il vestibolo devono trarre decoro dall’ingresso. Questo a sua volta trae decoro sia dalla strada in cui si affaccia sia dall’importanza della sua costruzione. All’interno le stanze da pranzo, i ripostigli e il resto verranno distribuiti nei punti che loro competono, di modo che quanto vi è riposto possa conservavisi nel modo migliore: dovranno essere in buona posizione riguardo all’atmosfera, al sole e ai venti, e sistemati in maniera da rispondere ai fini richiesti; saranno inoltre tenuti separati, per evitare che la presenza continua di forestieri e di frequentatori abituali tolga agli uni dignità, comodità e piacere, e dia agli altri insolenza. p. 179 Nella casa l’atrio, la sala e gli ambienti consimili devono essere fatti allo stesso modo che in una città il fòro e i grandi viali: non già, cioè, in posizione marginale, recondita e angusta, ma in luogo ben visibile e tale da essere raggiunto nel modo più diretto dalle altre parti dell’edificio. Ad esso devono dirigersi i vani delle scale e degli androni così come i forestieri a render omaggio e a ringraziare. La casa non deve avere più entrate, bensì una sola, attraverso cui nessuno possa entrare o portar fuori qualcosa all’insaputa del portiere. Occorre evitare che porte e finestre siano accessibili ai ladri, e anche allo sguardo dei vicini, che potrebbero infastidire osservando e venendo a conoscenza di quanto si dice o si fa nell’interno”. Anche però uscite segrete secondarie. p. 179-180 “Gli elementi testé chiariti sono comuni alle abitazioni dei principi e dei privati cittadini. La differenza fondamentale tra i due tipi di case consiste in ciò, che ognuno è caratterizzato da una propria intrinseca natura: i palazzi principeschi, che devono servire a un gran numero di persone, si distingueranno per il numero delle stanze e l’ampiezza degli ambienti; mentre nelle case abitate da pochi individui o da singoli dovrà contare più la bontà della fattura che la grandezza. Altra differenza: nelle abitazioni principesche, destinate a molta gente, anche le parti riservate a singole persone devono spirare un’aria di regalità, poiché sempre nelle case dei re vi è gran folla; nelle case private anche le parti frequentate da molti * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 20 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 sarà bene che si costruiscano in modo da mostrare che, con esse, il capofamiglia non ha fatto altro che provvedere alle proprie necessità”. Nelle abitazioni regali appartamenti separati per la moglie e per il marito. “La sala di riunione dei principi e i triclini saranno situati in luogo privilegiato. Tale preminenza sarà determinata dalla posizione elevata e tale da permettere la vista di un ampio panorama all’intorno, sul mare o sulle colline”. Capitolo III p. 181 “A mio giudizio vi dev’essere un loggiato coperto non soltanto riservato alle persone, sì anche come riparo per le bestie da soma, ...”. Seguono ulteriori indicazioni sugli ambienti necessari alle case principesche, la loro posizione in città, le differenze con quelle del tiranno, le reggie annesse alle rocche e la difesa militare. Capitolo IV p. 183 Seguono indicazioni sulle rocche. Capitolo V p. 186 Ancora sulle rocche. p. 187 “Con ciò abbiamo terminato la trattazione delle opere da eseguirsi per il capo della comunità, sia questi re ovvero tiranno”. Capitolo VI p. 187-188 “Resta da parlare di quanto appartiene a coloro che detengono insieme, non individualmente, il potere. Il governo o viene affidato a costoro tutti insieme, come unica magistratura, o vien diviso in parti. La vita pubblica si compone di una parte sacra, onde si onora la divinità, cui sovrintende il clero, e di una profana, rivolta la bene della società, cui sono preposti in tempo di pace senatori e giudici, in guerra generali, ammiragli, etc. A tali uomini si addicono due generi di domicilio: l’uno è attrezzato per la carica esercitata, l’altro è fatto per abitarvi insieme con i familiari. L’abitazione della famiglia dovrà essere confacente al tipo di vita che il padrone intende condurre: da re, da tiranno, o da privato. Vi sono in particolare talune caratteristiche proprie anzitutto di quest’ultima categoria. [...] le abitazioni dei maggiorenti per rispetto verso essi medesimi e verso i loro familiari dovevano tenersi ben discoste dal popolino ignobile e dal confuso brusio degli artigiani; ...”. p. 189 “I luoghi nei quali i maggiorenti esercitano le funzioni loro spettanti, sono noti: il senatore lavora nella curia, il giudice nella basilica o nella corte di giustizia, il capo militare nell’accampamento o nella flotta, e così via. Quanto al religioso, appartengono a lui non soltanto i templi, ma anche quei luoghi che sono per lui come accampamenti da guerra, poiché sia il pontefice sia coloro che sotto di lui amministrano gli uffici religiosi svolgono essi pure un duro e faticoso servizio militare, vale a dire - come abbiamo scritto nell’opera intitolata il pontefice - la lotta della virtù contro il male”. “I templi principali saranno probabilmente situati nella posizione più conveniente nel centro della città; ma più nobile è una posizione al di fuori delle zone più affollate; più decorosa se è * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 21 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 sopra un’altura; più sicura dalle scosse telluriche se è in pianura. Insomma, conviene costruire il tempio in luogo che possa conferirgli la massima venerabilità e maestà”. p. 190 “in generale l’edificio dedicato al culto dovrà essere in ogni sua parte eseguito in modo tale che chi non l’ha ancora visto sia attratto a visitarlo e i presenti siano piacevolmente presi e incantati dalla meraviglia per la rarità dell’opera”. Capitolo VII p. 190 “La roccaforte del religioso è il monastero. [...] In alcuni di tali monasteri lavorano gli studiosi che si dedicano all’approfondimento delle dottrine umane e divine. [...] compito del clero [è] guidare la comunità dei fedeli a condurre un’esistenza perfetta sotto ogni riguardo [...] il mezzo migliore per raggiungere questa meta è la filosofia. Due infatti sono i mezzi che permettono alla natura umana di seguire tale fine: la virtù e la verità: l’una lenisce o fa sparire i turbamenti dell’animo, l’altra scopre e fa conoscere i fenomeni e le leggi naturali; onde l’umano ingegno si libera dall’ignoranza, e l’anima dall’impurità della materia. In tal modo per mezzo della filosofia conduciamo un’esistenza pienamente felice, quasi agguagliandoci ai celesti. p. 191 Inoltre è dovere degli uomini virtuosi, quali gli ecclesiastici [...] dar sollievo ed aiuto ai malati, ai deboli, ai derelitti, prestando loro servizi, benefici, opere di misericordia”. “Cominciamo dai monasteri. Vi sono monasteri di clausura, [...] si dividono inoltre in monasteri maschili e femminili. Come difendere la clausura del monastero, la castità delle vergini che vi sono rinchiuse, etc. p. 192 “Quanto a quei monaci la cui missione religiosa si accompagna allo studio delle discipline liberali, per permetter loro di occuparsi più agevolmente dei problemi umani, com’è loro compito, le loro sedi non dovranno trovarsi in mezzo al rumore e alla confusione degli artigiani, ma neppure essere interamente isolate dal consorzio dei cittadini. [...] Tali monasteri avranno al sede adatta nei pressi di luoghi pubblici, come teatri, circhi, piazze, dove la gente si reca spesso e volentieri a svagarsi: ...” Capitolo VIII p. 193 “Nell’antichità, e soprattutto in Grecia, si usava costruire nel centro della città certi edifici, detti palestre, ove ci si intratteneva discutendo di filosofia. Erano provvisti di ampie finestre che aprivano vedute all’intorno, di seggi disposti in file piacevoli decorose a vedersi, di porticati che cingevano spazi verdeggianti e adorni di fiori. Tali ambienti assai bene si attagliano a quel genere di religiosi cui or ora s’è fatto cenno”. “Se poi si vogliono impiantare pubblici auditorii e scuole, ove sia possibile incontrarsi con luminari e professori, occorre situarli in zone che non riescono importune per chi le frequenti: dovranno essere lungi dal frastuono degli artigiani, da esalazioni e da fetori; non dovranno essere turbati da gente sfaccendata; e respirino aria di solitudine, che è congeniale a chi è occupato da gravi pensieri circa questioni importanti e difficili; abbiano infine un aspetto maestoso piuttosto che piacevole. Per l’assistenza verso i miseri e i derelitti il clero deve disporre di edifici articolati in diverse parti, da apprestare con la massima cura”. Luoghi differenti per trovatelli ed ammalati. p. 194 “In Toscana, terra di antichissime tradizioni di pietà religiosa, si trovano splendide case di cura, approntate con spese ingentissime, dove qualsiasi cittadino o straniero * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 22 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 trova qualunque cosa possa servire alla salute. Ma poiché vi sono malati inguaribili, come i lebbrosi, gli appestati, etc., che possono infettare e contagiare le persone sane, e malati guaribili, è necessario che siano tenuti in reparti separati”. captilo ix p. 195 “Abbiamo detto che la vita dello stato si presenta sotto due aspetti, il sacro e il profano. Del primo argomento abbiamo esaurito la trattazione, e toccato in qualche misura anche il secondo, precisamente allorché s’è parlato del senato e del luogo ove il principe amministra la giustizia. Resta ora da fare qualche breve aggiunta, per passare poi agli accampamenti militari e alla flotta, e infine agli edifici privati. Nell’antichità vigeva dapprima la consuetudine di riunire il senato in un tempio; in seguito invalse l’uso di riunirlo fuori città; infine si preferì costruire edifici riservati appositamente a questa funzione. [...] A tal fine la curia senatoria era situata nel centro della città, e nelle sue adiacenze si pensò bene di collocare la curia giudiziaria e il tempio”. p. 196 “In questi luoghi di pubbliche riunioni occorre approntare tutto quanto è necessario affinché una folla di cittadini sia agevolmente introdotta, decorosamente sistemata, e fatta uscire nel modo più adatto”. “Credo valga la pena di rammentare che negli edifici riservati all’ascolto di recite, canti o dispute le volte non sono convenienti, perché fanno rimbombare al voce; bene invece servono i soffitti a travature, che le conferiscono sonorità”. Capitolo X p. 196 “Per ben disporre un accampamento è necessario richiamare e rimeditare quanto s’è detto nei libri precedenti a proposito dei metodi da usarsi nel costruire le città. Giacché un accampamento è come un embrione di città; e si può constatare che parecchie città si sono sviluppate là dove esperti generali avevano posto il campo”. Capitolo XI Continua sugli accampamenti di terra. Capitolo XII p. 204 “Che la flotta sia reputata un accampamento marittimo, probabilmente non si vorrà ammettere da taluni ...”. “La funzione fondamentale della nave è il trasporto di uomini e materiali; viene poi subito dopo quello di fornire aiuto in guerra senza pericolo”. p. 205 “Per la fabbricazione delle navi gli architetti antichi si ispirarono nel disegno alla forma dei pesci: il dorso di questi corrisponde alla chiglia, la testa alla prua, la coda al timone, branchie e pinne ai remi”. Capitolo XIII p. 207 “A questo punto, poiché per mettere in atto tali e tanti progetti è necessario un adeguato equipaggiamento, e il procurarselo costa, si parlerà dei magistrati il cui compito è appunto quello di provvedere a queste necessità”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 23 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 p. 208 “E’ sufficientemente noto che i granai, le casse pubbliche, gli arsenali, vanno sistemati in mezzo alla città, nella zona più frequentata, perché siano più sicuri e a disposizione di tutti; mentre i cantieri navali si debbono collocare fuori degli agglomerati urbani per il pericolo rappresentato dagli incendi”. p. 209 “A questo punto mi pare di aver trattato a sufficienza le opere d’interesse pubblico. Aggiungerò soltanto che per i magistrati testé menzionati è importante disporre di luoghi ove imprigionare quei cittadini che sono stati giudicati colpevoli di resistenza alla pubblica autorità, frode, o disonestà”. “Il carcere si configurerà come ora diremo. ...”. Capitolo XIV p. 210 “Passiamo ora agli edifici privati. Abbiamo già detto altrove che la casa è una città in miniatura”. p. 210-211 “E’ risaputo che la casa dev’esser costruita per la famiglia, affinché vi possa risiede con tutte le comodità. [...] C’è un gran numero di persone e di oggetti appartenenti alla famiglia, che non possono essere assegnati con pari libertà alla città e alla campagna. Nel costruire una casa in città, infatti, un muro vicino, uno scarico d’acqua, un terreno pubblico, una strada, e molte altre cose del genere, ostacolano l’attuazione completa del nostro progetto. Ciò non succede invece in campagna. Qui tutti gli spazi sono liberi, là sono occupati. Ecco dunque una delle ragioni valide a motivare la distinzione degli edifici privati in urbani e rustici; inoltre in ambedue i generi vi sono due diversi tipi di edifici secondoché gli abitanti siano poveri o ricchi”. p. 211 “Le abitazioni di campagna sono quelle che hanno minori difficoltà; inoltre i ricchi hanno maggiore tendenza ad investire denaro in edifici rustici”. “La villa, a mio giudizio, dev’esser situata in quella parte della campagna, che meglio si confaccia alla posizione dell’abitazione urbana dello stesso padrone”. Capitolo XV p. 212 “Diverse sono le case di campagna abitate dagli uomini liberi e quelle abitate dai contadini. Queste vengono costruite essenzialmente per motivi d’interesse, quelle piuttosto per semplice diletto. Tratteremo ora di quelle adibite al lavoro dei campi. Le case dei contadini non devono trovarsi lontane dalla villa del padrone, sicché questi possa controllare a qualsiasi ora ciò che quelli stanno facendo, e constatare quali lavori occorra eseguire. Funzione tipica di questo genere di edifici è di contenere, disporre e conservare i prodotti raccolti nei campi”. “Si appresterà quindi una cucina ampia, ben illuminata, al sicuro dagl’incendi, provvista di forno, focolare, acqua, canali di scarico. A contatto con la cucina si colloca il locale dove dormono i massari, e dove sono riposti la cesta del pane, la carne salata, il lardo, per uso quotidiano. Tutti gli altri saranno distribuiti in maniera che abbiano a portata di mano ciò cui sovrintendono: il fattore sarà presso la porta principale, affinché nessuno di notte si avvicini a sua insaputa e sottragga qualcosa; i guardiani del bestiame staranno presso le stalle , per intervenire con prontezza quando il caso lo richieda”. Ricoveri per gli strumenti e per il bestiame da lavoro. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 24 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo XVI Le stalle, altri ricoveri e vivai per gli animali da “consumo”, e i magazzini per i prodotti. p. 218 “Qui terminiamo la trattazione delle case dei lavoratori rurali”. Capitolo XVII p. 218 “Riguardo alle ville signorili, alcuni istituiscono la distinzione tra ville estive ed invernali [...]. Noi tuttavia siamo dell’avviso che le condizioni siano ben diverse da zona a zona, e che occorra pertanto regolarsi di volta in volta in modo da equilibrare il freddo e il caldo, l’umidità e la siccità. Consiglierei di situare l’abitazione dei signori in un punto della campagna non particolarmente fertile, ma notevole per altri rispetti:” ventilazione, esposizione al sole, panorama; comunicazioni agevoli, viale d’ingresso decoroso; “godrà della vista di una città, di forti, del mare, o di una vasta pianura; o permetterà di volgere lo sguardo sulle note cime di colli e di montagne, su splendidi giardini, su piacevoli scene di pesca e di caccia”. Per le pertinenze di tutti “... si seguiranno i criteri che ispirano le abitazioni dei principi”. p. 219 “La parte più importante dell’edificio è quella che, benché si possa pensare di chiamarla cortile o atrio, noi chiameremo ‘cuore della casa’ [...]. Il suddetto ‘cuore della casa’ sarà dunque la parte fondamentale, intorno a cui graveranno tutte le parti minori, come verso una pubblica piazza all’interno dell’edificio, e su cui si affacceranno, oltreché delle opportune entrate, delle convenienti aperture per la luce”. Continua con le indicazioni sugli altri locali. Capitolo XVIII p. 227 “L’abitazione di campagna e quella di città differiscono in ciò, che l’una costituisce per costoro un luogo di soggiorno estivo, l’altra più vantaggiosamente è adibita per le stagioni fredde. Ne consegue che nel primo caso si profitta di tutte le piacevolezze - luce, aria, spazio, panorama - che la campagna offre. Per le abitazioni cittadine, pertanto, sarà difficile di disporre di quanto è necessario alla vita civile, per vivere cioè in modo decoroso e con buona salute; e, tuttavia, nei limiti concessi dalla scarsità di spazio e d’illuminazione, sarà bene dotare le case di città di tutte le delizie delle ville di campagna. Saranno dunque fornite di un ampio atrio, di porticato, di spazio per il passeggio e le carrozze, di bei giardini, e così via. Se a tutto ciò mancasse lo spazio, costruendo più piani sopra un terreno ben livellato si otterranno le superfici adatte alle diverse parti. Ove poi la formazione del terreno lo consenta, si scaveranno cantine ...”. p. 228 “Le abitazioni della gente meno agiata saranno ispirate, nei limiti della diversa situazione economica, all’eleganza delle dimore delle classi abbienti; tale abitazione sarà peraltro temperata dall’avvertenza di non sacrificare l’utilità al diletto. Quindi nella costruzione della casa di campagna di provvederà alle esigenze dei bovini e degli ovini non molto meno che a quelle della propria moglie ...”. Continua indicazioni sulla casa di città. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 25 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Libro VI - Gli ornamenti Capitolo I p. 231 “S’è parlato nei primi cinque libri del disegno dell’edificio, dei materiali da costruzione, dell’impiego della manodopera, di tutto quanto ci è parso importante ai fini della costruzione di opere pubbliche e private, sacre e profane, in modo da renderle resistenti alle intemperie e adatte alle svariate funzioni che la diversità di luoghi, tempi, persone e cose esige”. Segue una riflessione sulle difficoltà incontrate nel condurre a termine l’opera. Vedi quanto scrive Choay (p. 123-124). p. 233 “Dei tre criteri fondamentali che informano la tecnica costruttiva in ogni campo - che gli edifici risultino adeguati alle loro funzioni, abbiano la massima solidità e durata, e siano eleganti e piacevoli nella forma - abbiamo terminato di trattare i primi due. Rimane dunque il terzo, che è di tutti il più nobile, oltreché indispensabile”. Capitolo II p. 233 “E’ opinione diffusa che l’impressione di leggiadria e piacevolezza derivi esclusivamente dalla bellezza e dall’ornamento”. p. 233-234 “La bellezza è dunque un fattore della massima importanza e dev’essere ricercata con grande impegno soprattutto da chi intende rendere piacevoli le cose proprie. Il posto preminente che ad essa attribuirono i nostri antenati, da uomini saggi quali erano, risulta tra l’altro dalla incredibile cura che essi impiegarono per adornare riccamente le manifestazioni dei più vari campi della vita pubblica: diritto, vita militare, religione, etc.; lasciando intendere, probabilmente, che queste attività, senza le quali la società civile cessa sostanzialmente di esistere, una volta private della magnificenza dell’ornamento si riducono ad operazioni vuote e insulse. Guardando il cielo e le sue meraviglie noi restiamo incantati dinanzi all’opera degli dei più per la bellezza che vi vediamo che per l’utilità che possiamo avvertirvi. del resto è inutile dilungarsi su questo punto. In qualsiasi luogo è possibile constatare come giorno per giorno la natura non cessi mai dallo sbizzarrirsi in una fantasmagoria di bellezze: tra i molti esempi basti ricordare le tinte dei fiori. p. 234 Se dunque v’è cosa alcuna che esige queste qualità, l’edificio è certo tale da non poterne in alcun modo far senza, se non urtando al sensibilità degli esperti come dei profani. [...] Quando un’opera pecca in eleganza, il fatto che risponda alla necessità è cosa di scarsissimo peso, e che soddisfi alla comodità non appaga sufficientemente. Inoltre la bellezza è qualità si fatta da contribuire in modo cospicuo alla comodità e perfino alla durata dell’edificio. Giacché nessuno potrà negare di sentirsi più a suo agio abitando tra pareti ornate che tra pareti spoglie; né l’arte umana può trovare mezzo più sicuro per proteggere i suoi prodotti dalle offese dell’uomo stesso, anzi la bellezza fa sì che l’ira distruggitrice del nemico si acquieti e l’opera d’arte venga rispettata. Oserei dire insomma che nessuna qualità, meglio del decoro e della gradevolezza formale, è in grado di preservare illeso un edificio dall’umano malvolere”. p. 235 “In che consistano precisamente la bellezza e l’ornamento, e in che differiscano tra loro, sarà probabilmente più agevole a comprendersi nell’animo che esprimersi con parole. Ad ogni modo, senza stare a dilungarci, definiremo la bellezza come l’armonia tra tutte le membra, nell’unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 26 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio. Risultato questo di grande valore e quasi divino, per ottenere il quale è necessario impegnare tutto l’ingegno e tutta l’abilità tecnica di cui si è provvisti; e non accade di frequente che alcuno - nemmeno la natura - riesca a creare un’opera perfetta e impeccabile in ogni sua parte. [...] Ora, se non mi sbaglio, facendo uso di ornamenti, cioè ricorrendo a tinture, nascondendo le parti che urtavan la vista, e lisciando e ponendo in risalto le parti più belle, si sarebbe ottenuto l’effetto di rendere in coloro meno fastidiose le une e più piacevoli le altre. Se ciò è vero, l’ornamento può definirsi come una sorta di bellezza ausiliaria o di completamento. Da quanto precede mi pare risultare che, mentre la bellezza vera e propria è una qualità intrinseca e quasi naturale che investe l’intera struttura dell’organismo che diciamo ‘bello’, l’ornamento ha l’aspetto di un attributo accessorio, aggiuntivo, piuttosto che naturale”. p. 236 La bellezza, secondo Alberti, si fonda su un metodo esatto e costante, contrariamente a quanto altri affermano. “... le arti sarebbero nate dal caso e dall’osservazione, avrebbero avuta come alimento la pratica e l’esperienza, e si sarebbero sviluppate mediante la conoscenza e il raziocinio”. Capitolo III Racconto d’origine sull’architettura e la sua bellezza, [“metamitico”, come lo chiama Choay]. p. 237 L’architettura “ebbe la sua rigogliosa giovinezza in Asia; in seguito si affermò in Grecia; da ultimo trovò in Italia la sua splendida maturità. [...] i re asiatici, ricchissimi com’erano e con molto tempo a disposizione” si convinsero “dell’opportunità di avere abitazioni più ampie e degne [...]. I risultati furono, oltre che imponenti gradevoli. In seguito, pensando che oggetto delle lodi fosse la vastità degli edifici [...] presero gusto alle costruzioni colossali, [...] giungendo fino all’idea pazzesca d’innalzare piramidi. E’ mia opinione che la pratica stessa del costruire abbia fornito la chiave per scoprire quali differenze ci fossero nell’eseguire un edificio con una certa proporzione, ordinamento, positura, foggia esteriore, piuttosto che con altre; del pari avranno appreso ad apprezzare le opere più gradevoli e a svalutare quelle prive di armonia”. p. 238 “In tal modo i Greci decisero che in tali imprese fosse proprio compito il tentar di superare quei popoli [asiatici, egizi, etc.], non già nei doni di fortuna, che non era possibile, sì nella potenza dell’ingegno, per quanto stava in loro. Cominciarono dunque a desumere i fondamenti dell’architettura, come di tutte le altre arti, dal seno stesso della natura, e ad esaminare, meditare, soppesare ogni elemento con la massima diligenza e oculatezza”. “Mescolando elementi di pari proporzioni, linee rette con linee curve, luci con ombre, cercarono di ricavare, come da una congiunzione tra elementi maschili e femminili, qualcosa di nuovo che rispondesse ai fini per i quali si erano mossi. [...]. Divenne così manifesto che diversi dovevano essere i criteri da impiegarsi nelle costruzioni durevoli, destinate a resistere negli anni, e in quelle realizzate soprattutto per amore della bellezza”. p. 238-239 “In Italia, da principio, l’innato senso del risparmio suggerì agli abitanti di strutturare l’edificio nello stesso modo che un organismo animale”. p. 239 “... come ad esempio nel cavallo [...] la piacevolezza delle forme non va mai disgiunta dalla pratica che l’uso richiede. Ma, conquistato l’impero mondiale, arsero quanto i Greci dal desiderio di abbellire il paese e la sua capitale”. “Tutto il paese pullulò d’ingegni innumerevoli che si dedicarono alla nostra disciplina”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 27 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 “A un dato momento si preferì conciliare la parsimonia tradizionale con la magnificenza dei regni più potenti, facendo sì che la frugalità non sottraesse nulla alla pratica convenienza, né questa avesse troppi riguardi alle ricchezze, ma aggiungendo altresì a queste due qualità tutto ciò che si potesse trovare tale da conferire in qualche modo sontuosità e piacevolezza alle opere”. p. 239-240 “L’arte architettonica infatti aveva trovato in Italia ricetto fin dai tempi più remoti, specialmente presso gli Etruschi, cui sono dovuti, oltre alle costruzioni meravigliose che leggiamo attuate dai loro sovrani, come il labirinto, e i monumenti sepolcrali, quegli antichissimi e insigni precetti, a noi tramandati per iscritto, circa il modo di costruire i templi che si usava in Etruria”. p. 240-241 “Ebbene, dall’esempio degli antichi, dai consigli degli esperti, e da una pratica continua, s’è ricavata un’esatta conoscenza dei modi in cui quelle opere meravigliose venivano condotte, e da questa conoscenza si sono dedotte delle regole importantissime. [...] Tali regole si riferiscono in parte alla bellezza e alla decorazione di ogni edificio nel suo complesso, in parte alle singole membrature di esso. Le une sono ricavate dalle dottrine filosofiche, e sono rivolte a dare a quest’arte un indirizzo e dei limiti precisi; le altre derivano da quella conoscenza di cui s’è detto or ora e, corrette a tenor di filosofia - diciamo così -, reggono le fila dell’arte. Illustreremo dapprima quelle di natura più tecnica, riservando alla conclusione quelle più generali”. Capitolo IV p. 241 “Le caratteristiche che si apprezzano negli oggetti più belli e meglio ornati, o sono frutto di ritrovati e calcoli dell’ingegno oppure del lavoro dell’artefice, o sono state conferite direttamente dalla natura a tali oggetti. All’ingegno spetterà la scelta, la distribuzione delle parti, la disposizione e simili, col fine di dare decoro all’opera. Al lavoro dell’artefice toccherà accumulare il materiale, attaccare, staccare, ritagliare, levigare e simili, perché l’opera riesca gradevole. Le qualità desunte dalla natura saranno la pesantezza o la leggerezza, la densità, la purezza, la lunga durata dei materiali, e simili, che rendono l’opera ammirevole. Queste tre funzioni devono essere applicate alle varie parti dell’edificio, secondo l’uso e lo scopo di ciascuna”. Alberti ripete e segue nell’esposizione riguardante la bellezza la classificazione delle parti dell’edificio già fatta nel primo Libro, cominciando quindi dall’ambiente (o “regione” come lo traduce Choay). p. 242 “Quale contributo possano fornire l’ingegno e il lavoro umano a conferire piacevolezza e decoro all’ambiente, non si vede con certezza; salvoché possa riuscire utile seguire l’esempio di coloro che (si narra) concepirono progetti di opere favolose, e che non sono certo biasimati dalle persone di buon senso, se ciò che si accinsero a fare doveva avere un’utilità, ma nemmeno ricevono lode se non era necessario. E bene a ragione. Nessuno infatti avrebbe il coraggio di lodare colui [...] il quale dichiarò che dal monte Athos avrebbe ricavato una statua di Alessandro, nella cui mano avrebbe collocato un’intera città della capienza di diecimila abitanti. Non sarà invece da riprovare la regina Nicotri, la quale mediante scavi grandiosi costrinse l’Eufrate a ripiegare per tre volte con amplissime anse in direzione del medesimo villaggio assiro, rendendo così la zona al tempo stesso ottimamente difesa, data al profondità del canale, e molto fertile per l’abbondante irrigazione. Ma imprese di questo genere possono permettersele soltanto sovrani potentissimi; e potranno unificare mare con mare con l’eliminazione del terremo frapposto, spianare montagne a livello delle vallate, originare nuove isole e riattaccarle poi alla terraferma, in modo da non lasciar possibilità che altri li emulino, e * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 28 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 da tramandare così la propria fama ai posteri. In ogni caso, tanto più le loro opere saranno degne di plauso, quanto più ad esse andrà congiunta la praticità. p. 242-243 Gli antichi solevano onorare con il culto non solo i singoli luoghi, ad esempio dei boschi, ma anche intere zone. Così sappiamo che la Sicilia era tutta consacrata a Cerere. Ma su queste cose non importa soffermarsi. Importerà invece che l’ambiente abbia qualche proprietà notevole e rara, sia fornito di virtù benefiche ed eccellenti nel loro genere, [...] o il produrre cose uniche al mondo e molto ricercate per la loro utilità [...], o la presenza di qualche potenza soprannaturale”. p. 243 “L’area, essendo una parte determinata dell’ambiente, sarà abbellita da tutte le qualità che adornano quest’ultimo; tuttavia l’area dispone per propria natura di comodità in maggior numero [...]. Vi sono siti infatti che in vario modo si offrono all’ammirazione, come i promontori, i picchi, i rialzi del terreno, gli sprofondamenti, gli antri, le fonti e così via: tutti luoghi dove, meglio che altrove, si costruirà per suscitare meraviglia. Vi sono poi resti dell’antichità, nei quali il ricordo del tempo che fu o di fatti e uomini memorabili riempie di stupore l’animo di chi guarda. Non starò a rammentare luoghi famosi, come quello ove sorgeva Troia, o i campi di battaglie sanguinosissime, come quelli di Leuttra, del Trasimeno, e infiniti altri. Non è facile illustrare adeguatamente quanto l’inventiva e l’opera dell’uomo possano contribuire a raggiungere tale scopo. Non ci soffermeremo su quelli più ovvi, come il trasporto per mare di platani fino all’isola di Diomede per adornarne il terreno, ...”. p. 244 “Più che ogni altra cosa gioverà a nobilitare un sito qualche invenzione che dimostri sagacia e buon gusto: come il fatto che gli antichi vietassero ai maschi per legge di accedere al tempio di Bona Dea, ...” p. 245 “Se dunque si dovesse decidere di seguire gli esempi suddetti, converrà probabilmente bandire le donne dalle chiese dedicate ai martiri, e gli uomini da quelle dedicate alle sante vergini. Elemento nobilitante al massimo grado sarà l’ottenere con ritrovati ingegnosi risultati stupefacenti, tali che non vi si crederebbe a leggerli nel passato, se non se ne trovassero anche oggi di simili in vari luoghi. ...” “Molti altri esempi di questo genere si possono leggere, e sarebbe troppo lungo menzionarli tutti. Inoltre non è facile dire se tali fenomeni avvengano per opera dell’uomo o naturalmente ...” p. 246 “Circa altri mezzi per conferire in generale decoro all’area, quali sono la delimitazione del perimetro, l’innalzamento del podio, [...] etc.; non ho altro da aggiungere a quanto già detto nel primo e terzo libro di quest’opera ...”. “... è bene tener presente quel che consigliava Platone: esser maggiore la fama e la dignità di un luogo ove gli venga imposto un nome importante”. Capitolo V p. 147 “Riprenderemo qui molto brevemente a trattare della suddivisione, pur avendolo già fatto per molta parte nel primo libro. In qualsiasi cosa l’ornamento fondamentale sta nell’esser mondo da ogni bruttura. Sarà dunque elegante quella suddivisione che sia priva di vuoti, non confusa o disordinata o disarticolata, né contesta di elementi che non si accordano tra di loro; che consta di membra in numero non eccessivo, né troppo strette né troppo ampie, né troppo disarmoniche o irregolari, né disperse in modo da parere estranee all’intero complesso. Tutto in essa dovrà essere disposto esattamente per ordine, numero, ampiezza, * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 29 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 disposizione, forma, avendo l’occhio alla natura, alla pratica convenienza, alle specifiche funzioni dell’edificio; di modo che ogni parte di questo risulti a noi indispensabile, pienamente funzionale in bell’armonia con tutte le altre. Giacché, se la suddivisione risponderà esattamente a tutti questi requisiti, nell’edificio la piacevolezza e l’eleganza dell’ornamentazione troveranno il loro giusto posto e saranno situati nella luce migliore; se invece ciò non risultasse, la costruzione perderebbe certo tutto il suo decoro. L’intero complesso delle membra dev’essere dunque configurato e definito in modo da conciliare necessità e comodità, sì che non tanto si approvino queste o quelle parti, ma piuttosto ogni parte sia distribuita nel modo migliore nel punto esatto ove si trova e nell’ordine, luogo, collegamento, posizione, configurazione che le competono”. p. 248 “Gli elementi dell’ornamentazione devon essere tutti proporzionati in modo che a parti uguali corrispondano parti uguali, a quelle di destra quelle di sinistra, a quelle in alto quelle in basso; e bisogna badare che non s’introduca qualche elemento estraneo in contrasto con la qualità del materiale o con la sua distribuzione. Tutto dev’essere definito con determinati angoli e linee proporzionate”. Tratta poi di come adornare i muri. Capitolo VI p. 249-253 Sul trasporto delle grandi pietre. Si diffonde in considerazioni sui “gravi” e le loro proprietà fisiche in relazione alle tecniche di spostamento e messa in opera. Capitolo VII p. 253-258 Continua trattando delle ruote. Capitolo VIII p. 258-264 Seguono la carrucola e la leva e altri strumenti e macchine per sollevare e trasportare i gravi. captilo ix p. 264 intonaco”. “Per qualsiasi tipo di rivestimento occorre l’applicazione di tre strati di Tecniche e materiali per gli intonaci, i rilievi e le pitture su di essi. Capitolo X p. 268 “Quanto ai rivestimenti a lastre, ...”. p. 269 “I rivestimenti a tarsie e quelli a mosaico ...” p. 270 “Di quanto s’è detto finora a proposito dei rivestimenti, tutto o quasi tutto si può riferire altrettanto bene al lavoro di pavimentazione [...] solo che in quest’ultimo non si applicano rivestimenti ornati di pitture e di rilievi”. Capitolo XI p. 271 “Anche l’esecuzione della copertura, sia nelle travature, sia nelle volte, sia nei rivestimenti a cielo aperto, ha i suoi elementi decorativi e di abbellimento”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 30 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo XII p. 272 “Gli ornamenti delle coperture hanno grande importanza per la vaghezza e il decoro dell’intero edificio. Presentano tuttavia inconvenienti gravi e numerosi, cui il costruttore può far fronte solo con grande impegno e con spese non indifferenti”. p. 273 “L’apertura per definizione offre un passaggio attraverso il muro; ma talvolta si addossa una parete a un’altra, come una pelliccia infilata sotto un vestito, e si foggia un tipo particolare di apertura, che non ha funzione di passaggio, perché è sbarrata, dal frapporsi di una parete, onde non impropriamente la si potrà chiamare finta apertura. Un ornamento di tal genere, come pure la maggior parte degli altri, venne introdotto in origine dai carpentieri, al fine di rinforzare le opere loro e risparmiare sulle spese; l’uso fu poi imitato dai tagliapietre, che ne ricavarono risultati di grande eleganza”. p. 276 “Fin qui si son trattati gli ornamenti che si applicano a parti comuni a ogni genere di edifici; quegli elementi che comuni non sono costituiranno l’oggetto del libro seguente, per che questo è già lungo a sufficienza”. Capitolo XIII p. 278 “In tutta l’architettura l’ornamento fondamentale è costituito senza dubbio dalle colonne. Da un lato infatti esse adornano, riunite insieme in un certo numero, portici e muri e ogni tipo di aperture; d’altra parte fanno un effetto piacevole anche isolate, decorando crocicchi, teatri, piazze, sostenendo trofei e monumenti commemorativi. La colonna conferisce vaghezza e decoro; e non è facile dare un’idea delle ricchezze che gli antichi profondevano in essa per conferirle la massima eleganza”. “Occorre che le colonne siano ben lisce e tornite”. p. 279-281 Tutto sulla colonna. Libro VII - gli ornamenti degli edifici di culto Capitolo I p. 282 “S’è detto che l’architettura si divide in più parti, delle quali alcune sono comuni ad ogni e qualsivoglia tipo di edificio - com’è il caso dell’area, della copertura e simili , altre si differenziano da costruzione e costruzione. Finora s’è trattato del primo dei due gruppi suddetti [...]; resta ora da parlare a quelli che si applicano a questo secondo gruppo”. “A questo punto - col permesso del lettore - daremo inizio al nuovo argomento premettendo una nuova introduzione. In essa si divideranno e descriveranno con la massima esattezza le varie parti di cui si compone l’intera nostra materia [...]. Ora premettere alla trattazione attuale una partizione atta a rispondere, assai più che alle esigenze di praticità e di solidità, a quelle di eleganza e decoro negli edifici. E tuttavia le buone qualità si corrispondono sotto ogni rispetto; sicché se una costruzione lascia a desiderare in un senso, risulterà insufficiente anche in ogni altro. p. 282-283 Gli edifici, dunque, possono essere pubblici o privati; a loro volta sia i pubblici che i privati possono essere sacri o profani. Tratteremo prima di quelli pubblici. p. 283 “Le mura delle città solevano, presso agli antichi, essere innalzate con religiosa solennità, e dedicate ad una divinità tutelare. Essi ritenevano per certo che né la ragione umana né gli sforzi di chicchessia potessero evitare su questa terra che tra gli uomini serpeggiassero * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 31 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 l’oltraggio e la perfidia; sicché, vuoi per l’incuria dei cittadini, vuoi per l’odio dei vicini, essi reputavano le sorti della propria città legate all’imprevisto e sempre in preda a pericoli, come una nave in balìa delle onde. Ecco perché - suppongo - favoleggiavano di Saturno, il quale un tempo, per aiutare l’umanità, avrebbe posto a capo delle varie cittadinanze eroi e semidei che le proteggessero con la loro saggezza; gli uomini infatti necessitano, per la propria difesa, non soltanto delle mura, ma anche ed assai dell’aiuto divino [...]. Le mura venivano dunque consacrate alla divinità”. “Quando poi un esercito era sul punto d’impadronirsi di una città dopo un assedio, per non sembrare di mancar di rispetto alla religione locale recitavano una particolare invocazione in versi ai numi tutelari della città, perché accettassero di buon grado di trasmigrare. p. 283-284 Che il tempio meriti venerazione, è ovvio; poiché, tra molte altre ragioni, anzitutto in esso si rende quel pio tributo di riconoscenza e di adorazione agli dei benefattori dell’umanità, che è il principale fondamento della giustizia. E che la giustizia medesima sia nella sua essenza un dono divino, non si può porre in dubbio [...] il perseguire il fine di dare pace e tranquillità agli uomini attribuendo a ciascuno ciò che si merita. Perciò alla basilica, dove dev’essere amministrata la giustizia, si darà carattere di sacralità. p. 284 Quanto ai monumenti commemorativi, aventi la funzione di tramandare ai posteri fatti che si voglio rendere eterni, essi pure, se non erro, procedono dai princìpi della giustizia e della religione. Parleremo dunque delle mura, dei templi, della basilica, dei monumenti; prima però non possiamo esimerci dal toccare rapidissimamente alcuni punti che riguardano le caratteristiche della città. L’ambiente e l’area della città riceveranno grande decoro se molti edifici saranno situati e distribuiti nelle posizioni più adatte. Secondo Platone, il contado e l’area urbana dovevano esser divisi in dodici zone, tra le quali si sarebbero equamente ripartiti templi e cappelle. Da parte nostra vi aggiungeremo agli altari i crocicchi, i seggi per giudici subalterni, le posizioni difesa, le piste per le gare di corsa e le aree riservate alle attività ludiche, e infine ogni altra opera avente funzioni di questo tipo, purché lo spazio circostante ospiti abitazioni in gran numero. Vi sono città grandi e città piccole, come fortilizi e cittadelle. Negli autori dell’antichità si riscontra l’opinione secondo cui le città situate in pianura devono essere tenute in minor pregio, perché sarebbero le meno antiche; secondo loro infatti, esse furono fondate molto tempo dopo il diluvio. Ad ogni modo è chiaro che la posizione più attraente e gradevole è, per una città, l’aperta pianura, e per una roccaforte, un luogo impervio e scosceso. Ciò posto, è consigliabile tuttavia un incontro tra le opposte caratteristiche: vale a dire, che nella pianura si scelga una zona leggermente rialzata, per ragioni di igiene, e nelle montagne uno spiazzo piano e livellato, per facilitare la costruzione di strade ed edifici”. p. 285 “Mi pare giusto ricordare qui che una qualità altamente positiva per una città è l’avere un gran numero di abitanti”. “Ma il principale ornamento di una città è costituito dalle strade, dal fòro, da ogni edificio e dalla sua posizione, costruzione, forma, collocazione: tutti questi elementi dovranno esser disposti e distribuiti in guisa da rispondere nel modo più adeguato alla funzione di ciascun’opera e alle esigenze di praticità e di decoro. Giacché ove manchi l’ordine, anche la comodità, la piacevolezza e la dignità scompaiono”. p. 286 “In conclusione, tutti coloro che hanno esperienza sono d’accordo nel raccomandare di far la massima attenzione a che al cittadinanza non si inquini con l’accesso di * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 32 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 elementi estranei. Né d’altra parte mi sembra assennato imitare chi intenda vietare ogni contatto con qualsiasi genere di forestieri”. “Pertanto divideremo l’area della città in modo che non soltanto i forestieri abbiano abitazioni separate, fatte apposta per loro, e tali da non creare disturbo ai cittadini, ma anche questi ultimi possano abitare nei propri quartieri con tutti gli agi che le funzioni e il ceto di ciascuno esigono. p. 286-287 “Riuscirà pure d’insigne ornamento per la città il distribuire le diverse botteghe degli artigiani in diverse zone e quartieri appositi: in prossimità del fòro i banchieri, i decoratori, gli orefici; più in là le spezierie, le sartorie e in genere gli esercizi reputati più rispettabili; in zone periferiche si apparteranno infine quelli sporchi o puzzolenti, specialmente le fetidissime concerie, da relegarsi in zona rivolta a nord, perché da quella parte il vento di rado spira verso la città, e quando lo fa è così robusto da spazzar via i cattivi odori anziché portarli dentro. Probabilmente taluno vorrebbe che i paraggi delle abitazioni dei maggiorenti fossero del tutto scevri del contatto impuro della plebaglia. Altri preferirebbe che tutti i quartieri cittadini fossero provvisti senza eccezioni di tutto quanto possa essere di utilità a chicchessia; pertanto non sdegnerebbe che alle case degli ottimali si frammischiassero rivendite e altrettali botteghe. Ma basti di ciò. Altri sono gli argomenti che si fondano sulla convenienza pratica, altri quelli che concernono il decoro. Riprendiamo ora il nostro discorso”. Capitolo II p. 287 “Per la costruzione delle mura gli antichi - e più degli altri gli abitanti dell’Etruria - predilessero un tipo di pietra squadrato e di grandi dimensioni [...] si trovano altresì antiche fortezze costruite con pietre molto grandi, di forme irregolari, rustiche; è questo un genere di muratura che mi sembra assai raccomandabile, perché offre allo sguardo un certo sentore di arcaica e severa durezza che conferisce bellezza alla città”. “Il muro acquisterà in maestà d’aspetto scavandoci tutt’intorno un fossato molto largo e profondo, dalle sponde a picco [...]. Pure concorre alla maestosità l’altezza e lo spessore del muro”. p. 288 “Consiglierei inoltre di delimitare all’interno del pomerio e dinanzi alle mura, a scopo di culto, una strada ampia, da consacrare alla libertà dello stato; in essa nessuno potrà impunemente scavare fossati, né innalzare muri, né piantare recinti e neppure alberi. Passiamo ora ai templi”. p. 289 Il tempio sul Campidoglio a Roma “anche nel periodo di maggiore splendore della città, ebbe sempre il tetto di paglia e canne, perché in questo modo i Romani intendevano onorare l’antica frugalità che aveva reso celebri i loro antenati. Quando invece la ricchezza di monarchi e cittadini li indusse ad adornare se stessi e la propria città con la costruzione di grandi edifici, sembrò cosa vergognosa che le abitazioni degli dei potessero in qualsiasi modo essere superate in bellezza da quelle degli uomini”. Capitolo III p. 290 “Non esiste opera architettonica che richieda maggior impegno, sollecitudine, solerzia, accuratezza, di quanto ne occorra per costruire e adornare il tempio. Inutile rammentare che un tempio ben curato e ornato rappresenta indubbiamente il vanto maggiore e più nobile che possa avere una città. Giacché è ben certo che il tempio è l’abitazione degli dei; e se ci preoccupiamo di rendere belle e accoglienti e sontuose le case destinate ai re e agli ospiti * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 33 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 illustri, che cosa non dovremmo fare per gli dei? per coloro la cui presenza invochiamo nei sacrifici e che vogliamo porgano benignamente ascolto alle nostre preghiere? Essi, anche se non daranno peso alcuno a questi beni passeggeri tanto stimati dall’uomo, nondimeno si lasceranno persuadere dalla purezza d’animo e dalla venerazione dei fedeli. Non c’è dubbio, d’altra parte, che per il culto religioso è di grande importanza l’avere a disposizione templi siffatti da intrattenere piacevolmente l’animo e riempirlo di gioiosa meraviglia. E dicevano gli antichi: quando i templi degli dei si riempiono di folla, allora veramente si coltiva la pietà. “Per queste ragioni raccomanderemo che il tempio sia di tanta bellezza, che nulla sia possibile immaginare che abbia un aspetto più adorno; sia disposto in ogni particolare in modo tale che i visitatori entrando vengano colpiti da stupore e da meraviglia alla vista di cose tanto degne, e provino desiderio incontenibile di esclamare: ciò che vediamo è realmente un luogo degno di Dio!”. p. 291 “... ci pare giusto lodare quei templi che, compatibilmente con le proporzioni della città in cui sorgono, non si potrebbero desiderare più grandi”. “Ma una qualità sopra tutte, a mio parere, deve avere il tempio. Tutto quanto in esso è visibile dovrà risultare tale da rendere difficile il giudizio se sia più da encomiare l’ingegno e l’opera degli artefici o la sollecitudine dei cittadini nell’accogliere e nell’esporre ivi le più preziose e mirabili rarità, e se le sue caratteristiche siano più atte a conferirgli leggiadria e splendore o a farlo durare in eterno. Questa qualità, che è da perseguirsi in tutti gli edifici pubblici e privati, dev’essere coltivata in special modo nella costruzione dei templi, quanto più è possibile. Opere che sono costate tante spese meritano di essere difese al massimo contro eventuali catastrofi; giacché a nostro parere l’autorità che al tempio è data dall’antichità sua, non è inferiore al decoro conferitogli dall’ornamento. p. 291-292 Fondandosi sui dettami dell’Etrusca disciplina, gli antichi reputavano che non tutti i luoghi fossero adatti ad innalzarvi templi a qualsiasi dio”. L’etrusca disciplina “E’ l’aruspicina, arte di interpretare la volontà degli dei, introdotta a Roma dagl’indovini etruschi” [nota 7]. p. 293 “Infine, il luogo nel quale si edifica il tempio dovrà essere frequentato, ben noto, e - come si dice - prominente; inoltre sia in tutto scevro dai contatti coi profani. Perciò dinanzi alla sua facciata vi sarà una piazza degna in ampiezza del tempio; all’intorno si avranno spaziose vie lastricate o meglio ancora piazze maestose; per modo che la costruzione sia bene in vista da ogni lato”. Capitolo IV p. 294 “Il tempio consta di due parti: il portico e, all’interno, la cella [...]. Che in natura prevalga la forma circolare, è manifesto da tutto ciò che nell’universo dura, si genera e si trasforma [...]. Ma vediamo del pari come essa si compiaccia di forme esagonali ...”. “Tali piante [non rettangolari] devono tutte risultare inscrivibili entro cerchi. ...”. p. 295 casi”. “Ai templi si annettono delle absidi, in numero più o meno grande secondo i p. 295-298 Continua con varie regole di geometria e proporzioni delle varie parti di un tempio secondo la sua forma. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 34 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo V p. 298 ...”. “Abbiamo così esaurito la trattazione degli spazi inerenti. Quanto al porticato p. 299 “A -------- si saliva al tempio di ------ per una scala di cento gradini. Un’antica legge degli Ebrei diceva: “Vi sia per voi una sola città principale e sacra, in luogo conveniente e confortevole; costruirete in essa un unico tempio e un unico altare, per mezzo di pietre non già lavorate a mano bensì nello stato in cui vengono raccolte, e saranno biancheggianti e lucidissime; non si dovrà accedere al tempio per mezzo di gradinate; infatti un popolo tutto unito e concorde nella sua religione, sarà protetto e salvato dall’unico Dio”. Da parte nostra, disapproviamo e quelli e questi. Nel primo caso, infatti, si va contro la convenienza pratica e la comodità, soprattutto per molti fedeli che frequentano il tempio, come le vecchie e gli invalidi. Ma anche la seconda soluzione è da rigettare, come gravemente dannosa alla maestà del luogo sacro”. “A nostro giudizio lo spazio occupato dal porticato e da tutto il tempio dev’essere in posizione rialzata, e prominente sul terreno del resto della città, il che conferisce all’edificio grande importanza”. p. 300 “Così apprendiamo che quasi tutti i migliori architetti dell’antichità stabilivano l’altezza del podio su cui edificare il tempio in base alla larghezza che intendevano dare a quest’ultimo”. Cioè la sesta parte della larghezza. p. 300 Il loggiato. Capitolo VI p. 302-304 Colonne e capitelli. Capitolo VII p. 304 “A questo punto riprenderemo quanto già osservammo nel libro precedente circa il disegno delle colonne, ma sotto un diverso punto di vista e con latro fine ...”. Capitolo VIII p. 309 “Torniamo ora a parlare del capitello ...”. p. 316 “Qui termineremo la trattazione dei capitelli ...” Capitolo IX p. 316 “Una volta messi in opera i capitelli, vi si colloca sopra l’architrave, su quest’ultimo, poi, si collocano le travi, le assi e gli altri materiali costituenti la copertura”. Capitolo X p. 328 “Alcuni raccomandano di fare il pavimento del tempio e gli ambienti interni in una posizione elevata di qualche gradino, e soprattutto che il punto dove deve sorgere l’altare per i sacrifici sia in luogo preminente”. p. 329 “Erra chi crede che, per ottenere un effetto di solennità, i muri del tempio debbano esser fatti molto spessi. Tutti infatti disapprovano un corpo dalle membra troppo * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 35 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 grosse. Inoltre quanto maggiore è lo spessore delle pareti d’ambito, tanto meno opportuna riesce l’illuminazione”. “Lo spessore del muro deve essere determinato con lo stesso criterio delle colonne”. p. 330 diverse”. “Circa il modo di ornare le pareti degli edifici di culto, le opinioni sono p. 331 “Quanto a me, mi pare che i sommi dei gradiscono assai la purezza e la semplicità del colore allo stesso modo che quella della vita. Né è conveniente che nei templi si trovino oggetti atti a distrarre la mente dei fedeli dai pensieri religiosi con gli allettamenti e le lusinghe dei sensi. Sono dell’avviso, d’altra parte, che, come negli edifici pubblici, del pari nei luoghi sacri, a patto di non discostarsi mai dalla severità, ha ragione chi sostiene che il tetto, i muri e il pavimento del tempio debbano essere artisticamente ed elegantemente eseguiti, e soprattutto - per quanto ci sia possibile - riuscire durevoli”. “Voglio inoltre raccomandare che, sia nelle pareti sia nel pavimento del tempio, tutto ispiri filosofica saggezza”. “... l’Alberti pensa soprattutto ad iscrizioni parietali o su pavimenti con sentenze filosofiche” [nota 11]. Capitolo XI p. 333 “Per raggiungere la maestà delle forme e la lunga durata, a mio parere la copertura del tempio dev’essere a volta. Non so per quale decreto del destino, quasi non si può trovare un solo tempio famoso che non abbia subito gravi incendi”. Capitolo XII p. 335 “Le finestre dei templi devono essere di dimensioni modeste e in posizione ben elevata, sì che attraverso di esse non si possa scorgere altro che il cielo, né i celebranti e gli oranti siano in alcun modo sviati dal pensiero della divinità. Il senso di timore suscitato dall’oscurità contribuisce per propria natura a disporre la mente alla venerazione, a quel modo stesso onde la maestà si congiunge in ampia misura la severità. Si tenga presente inoltre che le fiamme accese nei templi - le quali rappresentano l’arredo di culto più divino che esista esposte a troppa luce impallidiscono”. Le porte. Segue, come per le colonne e le loro varie parti gli ordini: dorico, corinzio, etc. Capitolo XIII p. 342 “A questo punto è tempo di considerare, nella costruzione del tempio, la collocazione dell’altare per i sacrifici. Dovrà trovarsi in una posizione della massima dignità, quindi ovviamente davanti alla abside”. ... “Vi era allora un solo altare intorno al quale i fedeli si radunavano, e celebravano un solo sacrificio al giorno. Seguirono i tempi nostri, che ogni persona seria dovrebbe biasimare. [...] hanno poi affollato tutte le chiese di altari, al punto che talvolta... Ma è inutile andare avanti”. p. 343-344 Gli arredi per arredare il tempio. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 36 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo XIV p. 344 “Risulta che la basilica fosse, in origine, un luogo coperto dove i maggiorenti si riunivano per esercitare il potere giudiziario [...]. La basilica dunque è composta della navata e dei loggiati. p. 346 Data la sua naturale analogia con il tempio, la basilica esige in ampia misura gli ornamenti caratteristici di quello; li esige però in maniera tale da mostrare piuttosto di imitare il tempio che non di eguagliarlo. Sarà dunque costruita sopra un podio, come il tempio; ma tale podio sarà più basso di un ottavo [...]. Inoltre tra basilica e tempio c’è questa differenza: che quella, a causa dell’affollarsi e dell’agitarsi delle parti in lite, e per la necessità di leggere e sottoscrivere i documenti, deve avere passaggi estremamente agevoli e aperture molto luminose; e sarà da lodare se la sua disposizione farà in modo che quanti vi entrano per cercare i propri avvocati o i propri clienti vedano dove questi si trovano alla prima occhiata. Perciò si richiedono colonne alquanto distanti tra loro; sono preferibili quelle coperte ad arco, pur non rigettandosi nemmeno quelle architravate”. Capitolo XV p. 351 “Per i colonnati ad arco si richiedono colonne a pianta quadrata”. p. 352-354 Prosegue trattando le varie parti della basilica. Capitolo XVI p. 354 “Passiamo ora ai monumenti commemorativi. E qui per mio diletto voglio soffermarmi sopra argomenti un po’ più piacevoli di quelli trattati in precedenza, allorquando tutto il discorso riguardava numeri e misure”. p. 354-355 “Al tempo in cui i nostri antichi si davano ad ampliare i confini del loro impero con la forza delle armi, dopo aver sbaragliato i nemici, stabilivano dei segnali di confine, con la funzione di indicare una tappa del cammino vittorioso e di distinguere da quelli limitrofi un terreno conquistato in battaglia. Questa è l’origine di quelle mete, colonne e simili, il cui scopo è di commemorare delle imprese. In seguito si cominciò a ringraziare gli dei donando loro una parte del bottino per mezzo di sacrifici, e ad esprimete la gioia della vittoria per mezzo di cerimonie. Donde sorsero altari, tempietti, etc., eretti appunto a questo fine. Si pensò pure a tramandare ai posteri i nomi dei vincitori, le loro fattezze, la memoria del loro valore, presso tutti gli uomini: così furono inventate spoglie nemiche, statue, iscrizioni commemorative, trofei, a celebrazione della loro gloria. La stessa cosa fecero in seguito per sé non soltanto coloro che per qualsivoglia impresa avevano ben meritato della patria, ma anche possessori di beni di fortuna, per quanto fu loro lecito dimostrarlo con le sostanze di cui disponevano”. p. 356 “Il desiderio di esaltare se stessi con opere di questo genere giunse a tal punto che si fondarono, per tramandare alla posterità il proprio nome e quello dei propri accoliti, città intere. Alessandro (ometterò molti altri casi) fece costruire non solo varie città col proprio nome, ma anche una, Bucefala, in memoria del suo cavallo”. Continua con vari esempi di vari tipi di monumenti commemorativi. p. 359 Nel libro successivo tratterà dei monumenti dei privati. Capitolo XVII p. 359 “Secondo alcuni, nei templi non bisogna collocare statue”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 37 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 p. 360 “Altri la pensano diversamente”. “Comunque sia, ciò che più importa qui è sapere - soprattutto per quanto concerne i templi che genere di statue vi si debbano collocare, in quali punti si distribuiscano di solito, e di che materiale si facciano. Non credo , ad esempio, che si debbano foggiare alla maniera ridicola degli spaventapasseri che si vedono negli orti, e nemmeno del tipo di quelle che si collocano nei portici, e che rappresentano figure di guerrieri e simili; né si dovranno situare in luogo angusto e meschino”. p. 362 Sui materiali, per le statue degli dei, secondo Alberti: “Si darà quindi preferenza al rame ; e a me piace molto anche il marmo purissimo e bianchissimo. Ma il rame ha qualità tali da farlo preferire a tutti gli altri quanto alla durata”. Libro VIII - gli ornamenti degli edifici pubblici profani Capitolo I p. 364 “S’è già detto altra volta quanta importanza abbiano per l’architettura gli ornamenti che si applicano agli edifici; che poi ai diversi tipi di costruzione non siano dovuti i medesimi ornamenti, è ben noto. Quanto agli edifici sacri, infatti, soprattutto in quelli pubblici occorre impiegare abilità e sollecitudine per adornarli quanto più sia possibile: giacché essi sono fatti per la divinità, mentre quelli profani sono destinati soltanto agli uomini. E’ giusto quindi che i secondi, il cui rango è inferiore, siano meno curati dei primi, di rango superiore, pur essendo essi pure provvisti delle proprie parti ornamentali”. “La cosa che più di tutte giudico pubblica è la strada; giacché essa si presta all’uso sia dei cittadini sia dei forestieri. Ma poiché i viaggi si fanno in due modi, per via terrestre o per via d’acqua, bisognerà trattare e dell’una e dell’altra. Si rammenti a questo punto quanto s’è detto altra volta: una strada può essere militare o non militare; altra distinzione è da istituirsi tra una strada che attraversa una città e una che attraversa i campi. Un strada militare campestre trova un importante ornamento nella campagna stessa nella quale essa corre, se questa è ben tenuta e coltivata, con frequenti ville e locande, abbondante di prodotti e di bellezze; e se compaiono ora il mare, ora le montagne, ora un lago, ora un fiume o una sorgente, ora una rupe o un pianura senza una vegetazione, ora un bosco o una vallata. Sarà pure di effetto ornamentale il non essere la strada in ripida discesa o salita, né sporca, bensì tale da presentarsi (si consenta l’espressione) dilettevole, uniforme e ben ampia”. p. 365 “Altro ornamento di notevole importanza si avrà se la strada offrirà ai viaggiatori frequenti occasioni di discorrere di questo o quell’altro argomento, meglio se elevato”. Alberti consiglia di seguire l’esempio degli antichi che costruivano mirabili sepolcri in campagna, financo vietando le sepolture in città. p. 366 “Ed ecco, tra tante reliquie di cose memorabili, presentarsi infinite occasioni per richiamare alla mente le imprese di uomini eccezionali, alleviando così la fatica del viaggio con la conversazione e onorando la grandezza della città”. p. 367 “Ecco perché avevano ragione gli antichi. D’altra parte non mi paiono neppur riprovevoli i moderni, i quali seppelliscono i morti nei luoghi più sacri della città; purché però non li depongano all’interno del tempio ove convengono i maggiorenti e magistrati a pregare gli dei dinanzi all’altare. Giacché in tal caso può avvenire che la purezza del sacrificio sia contaminata dalle esalazioni pestilenziali della putrefazione. Molto più conveniente l’usanza di cremare i cadaveri”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 38 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Memento sui cimiteri e le sepolture: vedi quanto dice Romano; ma anche Assunto, che cita la Jacobs: “Ed in base a questa concezione quantitativa della morale possiamo renderci conto della diffusione, sempre più rapida e sempre più perentoria, che nelle città moderne ha avuto negli ultimi decenni un costume di cui la Jacobs credo sia stata la prima a occuparsi nel suo studio urbanistico dedicato alle “Great American Cities”; il sociale e civico dovere di occultare la morte, considerata qualcosa di indecente di cui non si deve parlare, come non se ne debbono portare i segni; giacché ricordare la morte, e la condizione mortale di ognuno di noi, sarebbe sconveniente mancanza di riguardo per gli altri, alla cui happiness è doveroso adoperarsi” (La città di Anfione e la città di Prometeo, Milano, 1984; p. 204-205). (Jane Jacobs, Vita e morte delle grandi città, Torino, 1969; p. 216.) Capitolo II p. 367 “Qui torna a proposito dire qualcosa che ci pare importante sui criteri concernenti i sepolcri. Questi infatti non sono lungi dal doversi reputare opere pubbliche, perché sono legati alla religione. Dice una legge: “dove si seppellisce il corpo di un uomo morto il luogo sia sacro”. Del pari noi affermiamo che la regolamentazione dei sepolcri è cosa che riguarda la religione. Poiché dunque al religione sta al di sopra di tutto, mi sembra opportuno parlare dei sepolcri - pur concernendo essi il diritto dei singoli - prima di passare a trattare degli edifici pubblici profani. Quasi nessun popolo vi fu, per quanto selvaggio fosse, che non sentisse al necessità di far uso dei sepolcri ...”. p. 368 “Consacrarono i sepolcri al culto religioso avendo - se non erro - questo scopo: che la memoria del defunto fosse non solo affidata alla saldezza della costruzione del terreno, ma anche difesa dal timore degli dei e dalla religione, per modo che il sepolcro fosse altresì intoccabile dalla mano dell’uomo”. “Insomma, tutti i popoli civili ebbero rispetto per i sepolcri”. p. 369 “Tutti, o quasi, coloro che si diedero a ben ordinare il proprio stato con giuste leggi, si preoccuparono di evitare che funerali e sepolcri si facessero con eccessivo sfarzo”. Una sorta di racconto storico sui sepolcri dalle loro origini. Capitolo III p. 372 “Ora, dal momento che si approvano i sepolcri dell’antichità, dirò che in alcuni di essi si notano delle cappelle, in altri delle piramidi, in altri colonne, in altri ancora delle moli, etc.; di queste parti dunque si parlerà ora ...”. Capitolo IV p. 380 “E passiamo alle iscrizioni, il cui impiego nell’antichità ebbe aspetti molteplici e svariati. Giacché non ve n’erano soltanto nei sepolcri, sì anche negli edifici sacri e nelle abitazioni private”. p. 381 “Gli epitafi possono essere scritti - e in tal caso si dicono epigrafi - ovvero rappresentati mediante rilievi o figure”. p. 383 “Delle vie di terra abbiamo già detto. Le vie d’acqua avranno gli stessi ornamenti di quelle di terra; e poiché sia le une che le altre debbono essere dotate di torri di vedetta, di queste ora si tratterà”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 39 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Ha già detto delle vie di terra nel senso che si è dilungato sui sepolcri. Capitolo V p. 383 “Le torri di vedetta costituiscono un ornamento di primaria importanza ove siano dislocate nei punti adatti e costruite nella forma opportuna. E se pure non saranno molto isolate tra loro, offriranno certo da lontano uno spettacolo imponente. Non mi pare tuttavia da ammirare la mania, invalsa circa duecento anni or sono, di costruire torri dappertutto anche nei piccoli centri [...]. Taluni, a questo proposito, sono dell’opinione che i cervelli umani mutino per influsso degli astri. Trecento o quattrocento anni fa, per esempio, vi fu un fervore religioso che gli uomini pareva non avessero altro da fare che costruire edifici di culto [...]. E del resto, non constatiamo forse che in tutta Italia ferve quasi una gara al rinnovamento? Grandi città, che da fanciulli abbiamo conosciuto costruite completamente in legno, ora sono divenute di marmo”. Capitolo VI p. 389 “Ci resta ora da entrare in città. Ma poiché certe strade sono assai più importanti, sia dentro che fuori città, di quel che la loro natura comporti - com’è il caso di quelle che conducono ai templi, alle basiliche, ai luoghi di spettacolo -, di esse parleremo dunque sempre in primo luogo”. p. 389-340 “Che le strade siano fuori città o che siano all’interno, l’estremità, direi anzi il punto d’arrivo, è costituito per quelle di terra dalla porta e per quelle di mare dal porto, se non andiamo errati”. p. 340 “Le porte avranno gli stessi ornamenti degli archi trionfali ...”. “Quanto alle strade di città, le adorneremo ottimamente, oltreché una buona pavimentazione e una perfetta pulizia, due file di porticati di uguale disegno, e di case tutte di una stessa altezza. Le parti della strada che in modo particolare richiedono ornamenti sono: il ponte, il trivio, il fòro, il luogo per gli spettacoli”. p. 395 “La posizione più opportuna per costruirvi un arco è il punto ove la via sbocca in una piazza o in un fòro; soprattutto se è la via ‘regia’, come io chiamo la via più importante tra quelle cittadine”. Capitolo VII p. 399 “E passiamo ai luoghi di spettacolo”. p. 400-402 Si diffonde sull’origine e il significato degli spettacoli e sui vari generi. p. 403-413 Come si fanno i teatri, secondo il consueto ordine delle sei parti costitutive dell’edificio. Capitolo VIII p. 414 “Con ciò terminiamo la trattazione dei teatri; è giunto il momento di parlare del circo e dell’anfiteatro”. Tutti derivati dal teatro. p. 416 “Tra le opere pubbliche si annoverano anche luoghi di passeggio, dove i giovani si esercitano ai lanci, al salto e all’uso delle armi, e gli anziani si rinvigoriscono passeggiando, o andando in carrozza se sono infermi”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 40 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 “... affinché potessero agevolmente esercitarsi anche al coperto, vi si aggiungevano dei loggiati che racchiudevano l’area tutt’intorno”. p. 418 “Gli edifici finora trattati sono quelli che mi sono parsi ‘pubblici’ a maggior diritto, poiché in esso vi avevano libero accesso senza discriminazione sia i plebei che i patrizi. Ma vi sono altresì talune opere pubbliche le quali sono aperte soltanto ai cittadini più ragguardevoli e a coloro che hanno cariche pubbliche: com’è il caso della sede dei comizi e della curia o sede del senato. Di tali edifici parleremo ora”. Capitolo IX p. 418-425 Tratta l’argomento introdotto alla fine del Capitolo precedente. p. 425 “Mi sembra ormai di aver condotto a termine quasi tutto quanto si riferiva all’ornamento delle opere pubbliche. Si sono trattate le opere sacre, le opere profane, i templi, le basiliche, i monumenti, le strade, i porti, i trivi, i fòri, i ponti, gli archi, i teatri, le piste per le corse, le curie, i locali di riunione, i luoghi per passeggio e altro ancora; sicché nient’altro ci resta su cui soffermarci, ad eccezione delle terme”. Capitolo X p. 425 “Io non sono ancora del tutto certo se le terme siano piuttosto opera privata o pubblica; e, certo, per quanto è dato constatare, si tratta di un genere misto sia dell’uno e dell’altro. Giacché vi sono in esse molti elementi ricavati dagli edifici privati, e molti altri da quelli pubblici”. Libro IX - GLI ornamenti degli edifici privati Capitolo I p. 431 “Si rammenterà che gli edifici privati possono essere di città o di campagna, e che, tra questi ultimi, sono diversi quelli di cui si servono i meno abbienti e quelli appartenenti ai ricchi”. “Apprendiamo che gli uomini più saggi e ponderati dell’antichità raccomandavano vivamente, così come in genere nella vita pubblica e privata, anche nella prassi architettonica, la moderazione e il risparmio; e pensavano che ogni forma si lusso dovesse essere eliminata o tenuta a freno dai cittadini”. p. 432 “A tale moderatezza quelle buone generazioni informarono la loro condotta, sia pubblica che privata, fin tanto che ciò fu possibile per il permanere dei buoni costumi. In seguito, ampliandosi l’impero ...”. p. 432-433 “Ho fatto questi esempi allo scopo di chiarire, nei loro confronti, ciò che già in precedenza s’è detto: è bene tutto ciò che è proporzionato alla propria importanza. Anzi se si vuole accettare un consiglio, dirò che è preferibile per i ricchi che manchi qualche elemento ornamentale nelle loro case private, piuttosto che esser tacciati in qualche modo di spreco dalle persone più frugali e savie. D’altra parte, poiché siamo tutti d’accordo che sia bene tramandare ai posteri una fama di saggezza e anche di potenza - e a tal fine, come diceva Tucidide, facciamo costruzioni grandi per apparire noi stessi grandi ai posteri -; e poiché siamo soliti adornare le nostre case, sia per onorare la patria e la famiglia, sia per amor di magnificenza -, la cosa migliore sarà indubbiamente provvedere affinché riescano quanto più possibile decorose quelle parti dell’edificio che più sono a contatto col pubblico o devono riuscire gradite agli * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 41 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 ospiti: come è il caso della facciata del vestibolo etc. Sicché come dichiaro biasimevoli coloro che passano il segno, penso tuttavia che siano da riprovare più quelli che, profondendo molte risorse, edificano in modo tale da non poter adornare le opere loro, che quelli che decidono di spendere qualche cosa di più per gli ornamenti. Sia ben chiaro questo, ad ogni modo: chi vuol sapere con esattezza in che cosa consista realmente l’ornamento degli edifici, deve capire che esso si ricava e dipende non già dalle grandi spese, ma soprattutto dalla forza dell’ingegno. Nessuno che sia saggio - credo - avrà neppure il desiderio di discostarsi dall’uso generale nell’apprestare la propria casa privata; si guarderà anzi dal suscitare invidia con l’ostentazione del lusso. Ma desidererà bensì, chi abbia senno, non essere superato in nulla da chicchessia per quanto si attiene all’accuratezza della costruzione, alla saggezza e alla perspicacia; fattori, questi, che mirabilmente illustrano la suddivisione e l’armonia del disegno, ossia il genere più importante ed essenziale di ornamento”. La nota 15 dice: “La conventio lineamentorum è in sostanza la organicità e unicità del disegno, la connessione necessaria delle linee e degli angoli che stabiliscono la struttura formale dell’opera” Sull’argomento trattato in questo lungo periodo da Alberti, cioè l’estetica e la bellezza delle case private come coscienza e morale comune dei cittadini e in relazione al rango di ciascuno, vedi Romano. p. 434 “La reggia, e la casa di chi in una città libera esercita carica senatoriale - sia egli pretore o console -, deve essere la prima tra quelle a cui si voglia conferire il massimo decoro. S’è già chiarito come si debbano adornare quelle parti che in tali edifici sono aperte al pubblico. Qui invece cominceremo a trattare gli ornamenti di quelle che si adibiscono solo ad usi privati”. “... s’è visto che, tra gli edifici pubblici, quelli profani devono essere inferiori nella giusta misura a quelli sacri in fatto di decoro, parimente nel caso nostro le costruzioni private devono adattarsi di buon grado a farsi superare dalle pubbliche in tutto ciò che riguarda l’eleganza e la ricchezza degli ornamenti”. p. 434-435 “Non è tuttavia da rifuggire in ogni modo qualsiasi ornamento insigne; occorrerà bensì farvi posto con estrema parsimonia, nei luoghi più degni, come gemme di una corona”. Riassumendo: “gli edifici sacri devono esser sistemati in modo tale che nulla manchi in essi di quanto contribuisca alla maestà, all’ammirazione, alla bellezza; gli edifici privati invece devono esser fatti in maniera che non vi si possa togliere nulla, perché tutto è legato al tutto con insigne decoro. Per tutto il resto, come ad esempio nelle costruzioni pubbliche profane, penso che occorra tenersi in una posizione intermedia tra le due suddette”. Capitolo II p. 436 “Ora, poiché le abitazioni private possono essere di città o non di città, si esaminerà che genere di ornamenti si addica a ciascun tipo. Tra le abitazioni cittadine e la villa c’è, oltre a quanto abbiamo posto in luce nei libri precedenti, questa differenza: negli ornamenti delle case di città deve spirare un’aria di severità molto maggiore che nelle ville; mentre in queste sono ammesse tutte le seduzioni della leggiadria e del diletto. Altra differenza: nella casa di città occorre regolare molti particolari tenendo conto della conformazione degli edifici vicini, mentre nella villa ci si comporta con maggiore libertà”. p. 438 “V’è un genere di edificio privato che richiede al tempo stesso il decoro della casa cittadina e la piacevolezza della villa. L’abbiamo tralasciato nella trattazione dei libri pre- * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 42 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 cedenti per riservarlo a questo punto. Si tratta dei giardini suburbani, che a mio parere non sono per nulla da trascurarsi”. “Dicono i medici che bisogna godere di un’aria quanto più possibile pura; e ciò - bisogna riconoscerlo - può essere fornito da una villa situata in posizione elevata e isolata. D’altra parte il disbrigo degli affari e i doveri civici impongono che il padre di famiglia sia presente nel fòro, nella curia, nei templi. Per far fronte agevolmente a tali impegni occorre una casa in città; senonché quella è inadatta alle occupazioni, questa alla salute [...]. Tenuto conto di tutto ciò, diremo che tra tutte le costruzioni di pratica utilità la prima e più salutare è un giardino tale che al tempo stesso non ostacoli le attività connesse con la città e sia immune dalle impurità atmosferiche”. p. 439 “E’ gradevole indubbiamente la vicinanza della città, e una posizione ritirata e facilmente raggiungibile, dove si possa fare a piacer proprio tutto ciò che si vuole. Una città vicina, una strada battuta e una plaga ridente sono fattori che contribuiscono a rendere un luogo frequentato. Quivi la costruzione riuscirà piacevole se, al primo uscire dalla città, essa si offrirà interamente allo sguardo nella sua bellezza, quasi ispirando in coloro che si dirigono alla sua volta diletto e attrazione. Pertanto io consiglierei una posizione leggermente rialzata; inoltre la strada che conduce sul posto dovrebbe elevarsi pian piano con una pendenza minima, sì che i passanti non se ne avvedano, finché non si accorgano di aver fatto una salita dal solo fatto ci trovarsi in luogo soprelevato che domina le campagne circostanti. Né potranno mancare all’intorno, per motivi sia di diletto che di utilità, distese di prati fioriti, campagne ben soleggiate, boschi ombrosi e freschi, sorgenti e ruscelli limpidissimi, specchi d’acqua dove bagnarsi, e altre cose ancora, menzionate in precedenza a proposito delle ville”. Capitolo III p. 440 “Ora, poiché le parti degli edifici differiscono notevolmente tra loro sia per natura che per aspetto, è giunto il momento di esaminare tutte queste differenze, la cui descrizione altrove abbiamo tralasciato riservandola a questo punto”. Capitolo IV p. 445 “Inoltre non si possono tralasciare alcuni ornamenti che possono essere usati nelle abitazioni private”. p. 447 “Negli ambienti ove ci si unisce con la moglie raccomandano di dipingere esclusivamente forme umane nobilissime e bellissime: ciò - dicono - ha grande importanza per la bontà del concepimento e della bellezza della futura prole”. Capitolo V p. 449 “Possiamo ora trattare di ciò che avevamo promesso: gli elementi di cui constano tutti i generi di bellezza e di ornamento, o, meglio ancora, gli elementi che scaturiscono da ogni tipo di bellezza”. p. 450 “I migliori autori dell’antichità c’insegnano, e noi lo abbiamo detto altrove, che l’edificio è come un organismo animale, e che per delinearlo occorre imitare la natura”. p. 451 “Ai giudizi in merito alla bellezza sovrintende non già l’opinione individuale, bensì una facoltà conoscitiva innata della mente [...]. Nella configurazione e nell’aspetto degli edifici si trova certamente un’eccellenza o perfezione di natura la quale stimola lo spirito ed è subito avvertita. In ciò, a mio parere, consistono la forma, il decoro, la leggiadria etc.: togliendo * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 43 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 o diminuendo quelle, tosto peggiorano e scompaiono queste. Una volta convinti di questo, non si dovranno spendere troppe parole per esaminare ciò che si può togliere, aggiungere, cambiare, principalmente nelle forme e nelle figure”. p. 452 “Da quanto sopra si può ricavare - senza soffermarsi a lungo su altre considerazioni di questo genere - che tre sono le leggi fondamentali su cui si fonda per intero il metodo che andiamo indagando: il numero [numerus: “nel senso di suddivisione e misura, e più propriamente, come è chiarito in seguito, nel senso della scelta del numero adatto per le diverse membrature” (nota 12)], ciò che noi chiameremo delimitazione [finitio: “l’Alberti traduce il termine finitio, usato nella stesura latina del De Statua, con il ‘porre dei termini’ [...] Estese all’architettura, queste categorie dovrebbero indicare le caratteristiche geometriche e quelle ottiche dell’opera. L’Alberti considera la finitio sinonimo di ‘proporzione’, ma non come rapporto di dimensioni astratte, di pure quantità, ma come rapporto di linee, di elementi architettonici definiti” (nota 13)], e la collocazione [collocatio: “Cfr. la definizione “collocatio ad situm et sedem partium pertinet” (IX, 7). L’Alberti considera la collocazione come una categoria controllabile solo empiricamente, strettamente legata alla finitio e destinata a regolare i rapporti di posizione degli elementi architettonici e il rapporto dell’edificio con l’ambiente” (nota 14)]. Ma vi è inoltre una qualità risultante dalla connessione e dall’unione di tutti questi elementi: in essa risplende mirabilmente tutta la forma della bellezza; e noi la chiameremo concinnitas e diremo che essa è veramente nutrita da ogni grazia e splendore. E’ compito e disposizione della concinnitas l’ordinare secondo leggi precise la parti che altrimenti per propria natura sarebbero ben distinte tra loro, di modo che il loro aspetto presenti una reciproca concordanza. p. 452-453 Ecco perché, qualunque cosa noi percepiamo per via visiva o auditiva o di altro genere, subito avvertiamo ciò che risponde alla concinnitas. Per istinto naturale, infatti, noi aspiriamo al meglio, e al meglio ci accostiamo con piacere ...”. La concinnitas “... io la chiamo compagna dell’animo e della ragione -; ha spazi vastissimi nei quali applicarsi ed affermarsi. Abbraccia l’intera vita dell’uomo e le sue leggi; presiede alla natura tutta quanta [...]. Ma un fine sì fatto non sarebbe mai raggiunto senza la simmetria, giacché in tal caso andrebbe perduto quel superiore accordo tra le parti che è a ciò necessario [“L’Alberti sembra influenzato dal concetto greco della [kalogathìa] e dà alla concinnitas il significato di armonia cosmica” (nota 16)] [...]. Una volta che queste nozioni siano sufficientemente acquisite, potremo stabilire quanto segue. La bellezza è accordo e armonia delle parti in relazione a un tutto al quale esse sono legate secondo un determinato numero, delimitazione, collocazione, così come esige la concinnitas, cioè la legge fondamentale e più esatta della natura. La quale concinnitas è seguita quanto più possibile dall’architettura; essa è il mezzo onde quest’ultima consegue onore, pregio, autorità, valore. Tutto quanto finora s’è detto, i nostri antenati l’avevano appreso dall’osservazione della natura medesima [...]. Ed osservando ciò che avviene in natura circa la strutturazione dell’organismo nel suo insieme e nelle sue singole parti, si avvidero che, fin dalle origini, le proporzioni secondo cui erano costituiti i corpi non erano sempre uguali, ond’è che taluni riescono sottili, altri più tozzi, altri medi; e notando che gli edifici riescono diversi tra loro per fini e funzioni - come s’è detto nei libri precedenti -, compresero che bisognava costruire mediante differenziazioni [“Poiché nella natura la bellezza è anche molteplicità, l’architettura, che imita le strutture naturali cercando di coglierne e replicarne la concinnitas, si basa anch’essa sulla molteplicità; ma tale molteplicità ammette un’indagine analitica ed è ordinabile secondo classi omogenee” (nota 17)]. p. 453-454 Seguendo dunque la natura, scoprirono tre stili atti ad ornare la casa, e diedero loro dei nomi [...]. Uno era più robusto, più adatto agli sforzi e più durevole; e fu chiamato * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 44 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 dorico. Un altro, sottile e quanto mai leggiadro; e fu detto corinzio. Quello intermedio poi, che riuniva quasi i due suddetti, ebbe nome ionico”. p. 454 I princìpi che regolano l’applicazione dei tre elementi fondamentali: “Circa il numero, prima di tutto constatarono che vi sono numeri pari e numeri dispari. Si servirono degli uni e degli altri, ma in occasioni diverse. Ad imitazione della natura , infatti, non fecero mai in numero dispari le ossature dell’edificio, ossia colonne, angoli etc.; poiché non esiste animale che si regga o si muova su un numero di piedi dispari ...”. p. 454-456 Continua sul numerus, sempre citando gli antichi e le correlazioni tradizionali tra numeri e natura dal mondo al cosmo. p. 456 “Chiameremo delimitazione la reciproca corrispondenza tra le linee che definiscono le dimensioni. Tali linee sono: la lunghezza, la larghezza, l’altezza. Le leggi della delimitazione si ricavano nel modo più conveniente dall’osservazione di quegli oggetti nei quali è manifestamente noto che la natura si mostra a noi degna di considerazione e di ammirazione [...] è assolutamente certo che la natura non discorda mai da se stessa”. Ora, quei numeri che hanno il potere di dare ai suoni la concinnitas, la quale riesce tanto gradevole all’orecchio, sono gli stessi che possono riempire di gioia gli occhi e l’animo nostro”. p. 457 architetti”. “Di tutti questi numeri [quelli della musica] fanno uso appropriatamente gli Capitolo VI p. 458 “Di tutto ciò tratteremo ora. In primo luogo si tratterà della aree, le quali hanno due dimensioni. Esse possono essere corte, lunghe, medie. La più corta di tutte è l’area quadrata, i cui lati sono tutti eguali tra loro in lunghezza, e i cui angoli sono tutti egualmente retti. A questa segue immediatamente l’area detta sesquialtera (‘una e mezza’); e dopo questa sempre tra le aree corte - si annovera quella sesquitertia (‘una e un terzo’). Questi tre tipi di proporzione, che chiamiamo ‘semplici’, si applicano dunque alle aree corte. Pure tre si attagliano alle aree medie. La migliore delle quali è quella doppia; ad essa fa seguito un’area che si ottiene raddoppiando la sesquilatera, e si costruisce nel modo seguente ...” p. 459 “Riassumendo, abbiamo parlato: delle aree corte, ove le misure sono uguali tra loro, o stanno tra loro come due sta a tre, o come tre sta a quattro; delle aree medie, nelle quali le proporzioni sono id uno a due, o di quattro a nove, o di nove a sedici; infine delle aree lunghe, in cui sono di uno a tre, di uno a quattro, o di tre a otto. Le dimensioni complete di un corpo - se posso dir così - si connettono a tre a tre in base a determinati rapporti numerici, tali che siano naturalmente ‘armonici’ ovvero concepiti secondo criteri esatti e precisi di diversa provenienza ...”. p. 460 “Di questi numeri, su cui ci siamo soffermati, fanno uso gli architetti; non però combinandoli alla rinfusa, sibbene in reciproche proporzioni armoniche. Così, chi voglia ad esempio erigere dei muri in un’area la cui lunghezza è doppia della larghezza, in tal caso dovrà far uso di proporzioni tali quali appunto compongono un’area di dimensioni l’una doppia dell’altra, non già di proporzioni triple. Nello stesso modo ci si regolerà per un’area tripla ...”. “Per la determinazione di tali dimensioni vi sono anche particolari proporzioni naturali, le quali non si possono definire mediante numeri, sibbene vanno ricavate con radici e potenze ...”. p. 460-463 Continua. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 45 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo VII p. 463 “A questo punto sarà opportuno chiarire la forma e la misura adottate dagli antichi nel costruire le colonne ...”. p. 464 “Resta da trattare della collocazione. Essa concerne l’ambiente e la posizione delle parti; ed è più facile avvertire quando è mal riuscita che chiarire quale sia il modo giusto per ottenerla. Essa infatti dipende in gran parte da una facoltà di giudizio innata nell’animo umano; e pure in gran parte si fonda sui princìpi della delimitazione ...” p. 466 “Termineremo a questo punto il nostro discorso sulla natura della bellezza, sulle parti di cui si compone, sulla delimitazione e sui rapporti numerici a cui i nostri antenati la informarono”. Capitolo VIII p. 466 “Si raduneranno ora in breve alcune avvertenze fondamentali, a cui bisogna attenersi come a leggi sia nell’adornare e nell’abbellire qualsiasi edificio, sia nell’intera prassi architettonica [...]. Poiché anzitutto s’è detto che sono da evitare con ogni cura tutti i difetti consistenti in deformità, a tal fine metteremo in luce i peggiori di essi. Alcuni difetti derivano dall’intelletto e dal senno, come nell’atto del giudicare o dello scegliere; altri dalla mano, come nei lavori materiali”. “Sarà in primo luogo ascritto a colpa lo scegliere per la costruzione una zona malsana, non tranquilla, sterile, infelice, spiacevole, funestata e tormentata da mali sia manifesti che nascosti ...”. p. 467 “Del pari è sconsigliabile costruire in tal modo che, sebbene l’edificio non sia mal condotto quanto alle fondamenta, tuttavia non solo si senta in esso la mancanza degli ornamenti, ma neppure ci sia la minima possibilità di arricchirlo con tali ornamenti e renderlo più elegante”. p. 469 “Difetto invero grave è quello nel quale incorrono taluni incompetenti. Costoro, ad opera appena iniziata, la ricoprono tutta di pitture e di rilievi esornativi; ne consegue che questi elementi di breve durata vanno in rovina prima ancora che l’opera sia condotta a compimento”. p. 470 Ripete la raccomandazione di fare sempre modelli prima di intraprendere l’opera di studiarli attentamente e di sottoporli all’esame degli esperti. Capitolo IX p. 470 “Così dunque si regola l’uomo assennato: intraprenderà il lavoro con preparazione e diligenza; si informerà sulle caratteristiche e sulla saldezza del terreno nel quale vuole costruire la casa; dedurrà sia dai vecchi edifici, sia dagli usi e costumi locali, quali materiali - pietre, sabbia, calcine, legnami - reperibili in luogo o importati da altre zone, abbiano le proprietà necessarie a resistere alle intemperie caratteristiche del clima in cui si intende costruire; stabilirà l’ampiezza, l’altezza e l’ordinamento iniziale delle fondamenta e del basamento. ...”. p. 471 “Tutti questi accorgimenti, sebbene il loro fine principale sia la solidità e la praticità, tuttavia sono di tale importanza che, quando vengano trascurati, comportano di conseguenza gravi difetti di forma. Quelli poi che concernono soprattutto l’eleganza dell’ornamento, sono i seguenti. ...”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 46 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 “L’ordinamento complessivo si disporrà in maniera tale che le singole parti non solo contribuiscano a gara ad abbellire l’edificio intero, ma neppure possano stare ciascuna per conto proprio staccata dalle altre, senza perdere perciò stesso il proprio valore [“La concinnitas albertiana non è l’unione di parti autosufficienti ma la connessione necessaria di membra che solo nella nuova unità acquistano pieno valore” (nota 3)]”. p. 472 “Ogni ordine avrà assegnate le proprie parti, in modo che non risulti sparpagliato in forma discontinua o confusa, ma sia disposto nei luoghi che gli sono propri e congeniali [...]. Il loro aspetto dovrà riuscire tale che lo sguardo corra, come fluendo con libero godimento, lungo cornici e rientranze, spaziando su tutto l’aspetto dell’opera, sia all’interno che all’esterno, ad ogni impressione piacevole aggiungendosene altre di cose uguali o diverse; e lo spettatore, pur dopo aver più e più volte riguardato il tutto con ammirazione, non si reputerà ancora soddisfatto di quello che ha visto senza aver dato un’ultima occhiata nell’allontanarsi; e per quanto ricerchi, nell’intera opera non troverà un solo particolare che non sia uguale o corrispondente ad altri, e in tutte le sue proporzioni corrispondente alla leggiadria”. Capitolo X p. 473 “Tuttavia, perché l’architetto possa regolarsi in modo corretto e conveniente nella preparazione, nell’apprestamento e nell’esecuzione dell’opera sua, non può trascurare i seguenti punti. Deve esaminare la natura dell’incarico che si assume, quali obblighi prenda, quale reputazione voglia avere, quale sia la mole del lavoro che lo attende, quanta gloria, guadagno, riconoscenza, quanta fama nel futuro si acquisterà se eseguirà l’opera sua nel modo dovuto; e, all’opposto, nel caso che vi si accinga in modo maldestro, imprudente o temerario, a quante riprovazioni, a quanta avversione egli vada incontro, offrendo agli uomini tutti una testimonianza quale più eloquente, ovvia, manifesta e duratura non potrebb’essere, della propria stoltezza. L’architettura è grande impresa, che non è da tutti poter affrontare, Occorre esser provvisti di grande ingegno, di zelo perseverante, di eccellente cultura e di una lunga pratica, e soprattutto di molta ponderatezza e acuto giudizio, per potersi cimentare nella professione di architetto. Giacché in architettura la maggior gloria tra tutte sta nel valutare con retto giudizio ciò che sia degno. Costruire, infatti, è una necessità; costruire convenientemente risponde sia alla necessità che alla utilità; ma costruire in modo da ottenere l’approvazione degli uomini di costumi splendidi, senza peraltro esser riprovati dagli uomini frugali, può solo provenire dall’abilità di un artista dotto, saggio e giudizioso”. p. 474 “Occorrerà pertanto che l’opera da cominciare sia concepita con l’ingegno, esaminata con l’esperienza, sceverata col giudizio, ordinata con il senno, resa perfetta con l’arte”. “Inoltre è auspicabile che l’architetto si regoli allo stesso modo di chi si dà agli studi letterari. Giacché nessuno, in questo campo, penserà di essersi adoperato a sufficienza finché non avrà letto e approfondito gli autori [...]. Parimenti l’architetto, dovunque si trovino opere universalmente stimate e ammirate, tutte le esaminerà con la massima cura, ne farà il disegno, ne misurerà le proporzioni ...”. p. 477 “Tra le discipline, quelle che sono utili all’architetto, anzi strettamente necessarie, sono la pittura e la matematica; quanto alle altre non ha molta importanza se ne sia dotto o no”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 47 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo XI p. 478 “Non voglio trascurare qui un consiglio importante per un architetto: non devi promettere di tua iniziativa l’opera tua a tutti coloro che vogliono costruire, come fanno a gara i superficiali e coloro che soggiacciono ad uno smodato desiderio di gloria”. p. 479 “E’ dunque condotta saggia il conservare la propria dignità; a chi ne fa richiesta è sufficiente fornire consigli sinceri e buoni disegni”. p. 480 “Le costruzioni dalle proporzioni più grandi, a causa della brevità della vita umana e per la vastità stessa delle opere, quasi mai potranno essere portate a compimento da chi le concepisce. Ma chi gli succede, a causa dell’ambizione, desidera assolutamente innovarle in qualche parte, e farsene così un merito; onde avviene che vengano guastati e mandati in rovina edifici che altri avevano iniziato bene. Io credo che occorra mantenersi fedeli alle intenzioni degli autori, le quali sono state certo frutto di matura riflessione”. Libro X - il restauro degli edifici Capitolo I p. 482 “Poiché nelle pagine seguenti si dirà come porre riparo ai difetti degli edifici, occorre chiarire quali siano, e di che tipo, quei difetti che la mano dell’uomo può correggere”. “I difetti degli edifici, siano essi pubblici o privati, possono essere quasi congeniti e connaturati, e provengono dall’architetto, ovvero derivare da cause esterne. Taluni, inoltre, con l’ingegno e il mestiere possono essere corretti; altri sono affatto irreparabili”. p. 482-483 “I guasti di provenienza esterna si possono - a mio avviso - passare in rassegna con difficoltà, tali sono il numero e la loro varietà [...] tutto è vinto dal tempo [...]. Ben si sente quanto potere abbiano il cocente sole, l’ombra diaccia, le gelate, i venti. Sotto la loro azione noi vediamo sfaldarsi e sbriciolarsi perfino le più dure selci [...]. Vi sono poi i danni provocati dagli uomini... Perdio! avvolte non posso far a meno di ribellarmi a vedere come, a causa dell’incuria - per non usare un apprezzamento più crudo: avrei potuto dire avarizia - di taluni, vadano in rovina monumenti che per la loro eccellenza e lo splendore furono risparmiati perfino dal nemico barbaro e sfrenato; o tali che anche il tempo, tenace distruttore, li avrebbe agevolmente lasciati durare in eterno. Si aggiungano le disgrazie improvvise: incendi, fulmini, terremoti, violente inondazioni, e i numerosi accidenti straordinari, imprevedibili, impensabili, provocati dalla forza prodigiosa della natura, e capaci di guastare e sconvolgere da un giorno all’altro qualsiasi ben ordinata concezione architettonica”. p. 484 “Passeremo invece a trattare di quegli edifici che si possono realmente migliorare con restauri; e cominceremo da quelli pubblici. In questo campo il problema più importante e più vasto è costituito dalla città, o meglio - se è giusta l’idea - dall’ambiente in cui si inserisce la città. Se l’architetto ha fondato la città in una cera località senza la necessaria accortezza, può darsi che questa presenti dei difetti da eliminare”. Difesa dal nemico, dal clima sfavorevole , dalla scarsezza di generi di prima necessità. Capitolo II p. 488 “Occorre poi porre riparo alla mancanza eventuale di elementi di utilità indispensabile ...”. Soprattutto l’acqua. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 48 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo III p. 492 “Riguardo all’acqua ...”. p. 494 “Da tutto ciò s’inferisce che la conoscenza della natura è cosa davvero difficile ed estremamente incerta”. Capitolo IV p. 494 “Torniamo al nostro argomento. Le acque nascoste si potranno individuare mediante indizi. ...” Capitolo V p. 498 ...”. “Lo scavo può essere di due tipi: in profondità (pozzo) o per lungo (galleria). Capitolo VI p. 500 “L’acqua una volta scoperta, non è bene che sia lasciata indiscriminatamente al consumo della gente; ...”. Capitolo VII p. 508 “Una volta dunque che si sia scoperta e trovata buona l’acqua ...”. Capitolo VIII p. 517 “E passiamo alle cisterne. ...”. Capitolo IX p. 520 “Passiamo ora ad altri argomenti. S’è detto che i contadini hanno bisogno di cibo e di abiti, ...”. “Di tali accorgimenti non tocca a me parlare in questa sede; tuttavia l’architettura può in certi casi fornire un utile contributo al lavoro dell’agricoltore ...”. p. 522 “S’è dunque parlato dei casi in cui le acque sono in eccesso, e anche, in parte, dei casi in cui sono dannose con il loro movimento. Se qualcosa è stato tralasciato su questo argomento, ne parleremo tra breve, trattando del fiume e del mare”. Capitolo X p. 522 “Tocca ora parlare dei mezzi con cui, nel modo più conveniente possibile, ci si procura da altre zone quei prodotti che un ambiente non può offrire da sé ai suoi uomini. A questo fine rispondono le vie di comunicazione, come le strade, ...”. Di terra, di acqua. Capitolo XI p. 526 “Passiamo ai canali. ...”. * * * Appunti di lettura * * * Leon Battista Alberti, L’architettura, introduzione e note di Paolo Portoghesi, traduzione di Giovanni 49 Orlandi, Edizioni il Polifilo, Milano 1989 Capitolo XII p. 529 “Anche la spiaggia del mare si può fortificare per mezzo di argini ...”. Il porto. Capitolo XIII p. 536 “Passiamo ora a trattare, con maggior concisione possibile, degli altri difetti di minor entità che possono essere riparati. In taluni luoghi l’immissione dell’acqua ha reso la zona più calda; ...”. Capitolo XIV p. 540 “Se poi si deve costruire in un luogo eccessivamente freddo, si ricorrerà al fuoco”. Camini. Capitolo XV p. 541 “E poiché siamo entrati in questo argomento ...”. Varie, persino sulle cimici. Capitolo XVI p. Torniamo al nostro argomento. E’ sorprendente il fatto che, se si rivestono le pareti dell’atrio di tessuti di lana, l’ambiente risulterà tiepido; se invece questi sono di lino, esso sarà piuttosto fresco ...”. E via ..., altri inconvenienti, anche strutturali, e loro rimedi fino alla fine del capitolo a p. 551 e così del volume.