Filosofia antica e religione cristiana, p. 1
1.
Richiamiamo alcuni testi discussi l’a.s. scorso, riguardanti la concezione etica e soteriologica (relativa alla “soterìa”,
cioè salvezza dell’anima) di Platone, senza dimenticare il presupposto socratico: la virtù coincide con la scienza o
conoscenza del bene.
 da Platone (IV sec. a.C.), Repubblica
(441c) -Abbiamo dunque risolto il nostro problema, e siamo d'accordo che nell'anima di ogni uomo si trovano le stesse parti che ci
sono nello Stato. -Senz'altro. -E allora, non ne viene che il singolo cittadino sarà sapiente nello stesso modo e per la stessa ragione
per cui lo è lo Stato? -Come no? -(d) E lo stesso per il modo e la ragione che rendono coraggiosi. -Per forza. -E infine, si potrà dire
che un uomo è giusto nel senso in cui si dice giusto lo Stato. -Anche questo è necessario. -E non ci siamo dimenticati che abbiamo
detto giusto uno Stato in quanto ciascuna delle tre classi di cui è composto fa ciò che le tocca. -Certo, che non l'abbiamo
dimenticato. -E dunque, ciascuno di noi (e) sarà giusto e farà il proprio dovere se ciascuna delle sue facoltà svolgerà la propria
funzione. -Lo terremo ben presente.
-Alla ragione, dunque, spetterà comandare, in quanto è sapiente e provvede all'anima tutta, e alla parte irascibile di ubbidirle e di
esserle alleata? -Non c'è dubbio. -E non saranno ginnastica e musica unite, come dicevamo, che le accorderanno, l'una dando
stimolo (442a) e alimento con belle parole e nozioni, l'altra dando calma, quiete e una certa qual grazia con l'armonia e il ritmo? -È
chiaro, disse. -E così allevate e preparate ad assolvere il proprio compito, comanderanno sulla parte concupiscente, in modo che
[...] non cresca a dismisura (b) [...] e non sovverta la vita della società intera. Esattamente, disse. [...] (e) -In definitiva, ciascuno
sarà detto coraggioso in quanto la sua facoltà irascibile saprà conservare, nel dolore e nel piacere, il criterio fissato dalla ragione su
ciò che è o no da temere. -Ben detto. -E sarà sapiente in quanto la piccola parte che in lui governa e dà questi comandi, possiede la
scienza di ciò che giova a ciascuna delle tre parti e al loro insieme. -Esatto. -E sarà temperante in quanto la parte dominante e
quelle sottomesse (d) si trovano d'accordo nel ritenere che alla ragione si deve ubbidienza, e mai ci si deve ribellare ad
essa. -Proprio così, disse, sia nella Città che nell'individuo. -E infine sarà giusto, per i motivi che abbiamo detto. -Non c'è dubbio.
 da Platone (IV sec. a.C.), Fedone
Se è vero che l’immortale è anche imperituro, non sarà possibile all’anima, quando morte le sopravvenga, di perire: perché l’anima,
è chiaro da ciò che s’è detto, non riceverà morte, né sarà mai anima morta; allo stesso modo che il tre, dicevamo, non sarà pari, e
tanto meno il dispari; né mai, si capisce, sarà freddo il fuoco, e tanto meno il calore che è nel fuoco. “Ma che cosa impedisce, dirà
qualcuno, non già che pari diventi dispari, come s’è pur convenuto, sopravvenendogli il pari, ma che, morendo esso dispari, in suo
luogo si generi il pari?”. A chi ci dicesse questo, noi non avremmo da opporgli che il dispari non perisce; perché l’impari non è
imperituro. Che se invece avessimo convenuto che fosse, allora assai facilmente potremmo opporre che, sopravvenendogli il pari, il
dispari e cosi anche il tre se ne vanno via soltanto. E del fuoco e del caldo e di ogni altra cosa potremmo sostenere lo stesso. O no?
—Certamente. —E allora anche qui, su questa questione dell’immortale, se siamo d’accordo che l’immortale è anche imperituro,
I’anima, oltre che essere immortale, sarà anche imperitura. E se no, bisognerà ricorrere ad altro ragionamento. —Ma non bisogna
affatto, disse, almeno su questo: difficilmente infatti si potrebbe dire di un’altra cosa che non ammette corrompimento, se poi ha da
ammettere corrompimento l’immortale che è eterno.
2.
Approfondiamo, quindi, quanto illustrato lo scorso a.s. circa la concezione aristotelica di Dio come motore immobile
 da Aristotele, Metafisica (IV sec. a.C.), XII, 7, 1072a19-1072b30; 9,
1075a5-10
C'è qualcosa che sempre si muove di moto continuo [i cieli], e questo è il moto circolare (e ciò è evidente non solo col
ragionamento ma anche come dato di fatto); cosicché, il primo cielo deve essere eterno. Pertanto c'è anche qualcosa che muove. E,
poiché ciò che è mosso e muove è un termine intermedio, deve esserci, per conseguenza, qualcosa che muova senza essere mosso e
che sia sostanza eterna ed atto [cioè Dio]. E in questo modo muovono l'oggetto del desiderio e dell'intelligenza: muovono senza
essere mossi. Ora, l'oggetto primo del desiderio e l'oggetto primo dell'intelligenza coincidono [in Dio]: infatti oggetto del desiderio
è ciò che appare a noi bello e oggetto primo della volontà razionale è ciò che è oggettivamente bello: e noi desideriamo qualcosa
perché lo crediamo bello, e non, viceversa, lo crediamo bello perché lo desideriamo; infatti è il pensiero il principio della volontà
razionale. E l'intelletto è mosso dall'intelligibile, e la serie positiva degli opposti è per se stessa intelligibile; e in questa serie la
sostanza ha il primo posto, e, ulteriormente, nell'ambito della sostanza, ha il primo posto la sostanza che è semplice ed è in atto [...];
ora, anche il bello e ciò che è per sé desiderabile sono nella medesima serie, e ciò che vien primo nella serie è sempre l'ottimo o ciò
che equivale all'ottimo [Dio, quindi, è bello, desiderabile, intelligibile, ottimo]. [...]
Dunque il primo motore muove come oggetto di amore, mentre tutte le altre cose muovono essendo mosse.
Ora, se qualcosa si muove, può anche essere diverso da come è. Pertanto il primo movimento di traslazione, anche se è in atto, può
tuttavia essere diverso da come è, almeno in quanto è movimento; evidentemente diverso secondo il luogo, anche se non secondo la
sostanza. Ma, poiché esiste qualcosa che muove essendo, esso medesimo, immobile ed in atto, non può essere in modo diverso da
come è in nessun senso. Il movimento di traslazione, infatti, è la prima forma di mutazione, e la prima forma di traslazione è quella
circolare: e tale è il movimento che il primo motore produce. Dunque, questo [il primo motore, cioè Dio] è un essere che esiste di
necessità; e in quanto esiste di necessità, esiste come bene, ed in questo modo è Principio. [...] Da un tale Principio, dunque,
dipendono il cielo e la natura. Ed il suo modo di vivere è il più eccellente: è quel modo di vivere che a noi è concesso solo per
breve tempo. E in quello stato Egli è sempre. A noi questo è impossibile, ma a Lui non è impossibile, poiché l'atto del suo vivere è
piacere. E anche per noi veglia, sensazione e conoscenza sono in sommo grado piacevoli, proprio perché sono atto, e, in virtù di
questo, anche speranze e ricordi.
Filosofia antica e religione cristiana, p. 2
Ora, il pensiero che è pensiero per sé, ha come oggetto ciò che è di per sé più eccellente, e il pensiero che è tale in massimo grado
ha per oggetto ciò che è eccellente in massimo grado. L'intelligenza [divina] pensa se stessa, cogliendosi come intelligibile: infatti,
essa diventa intelligibile intuendo e pensando sé, cosicché intelligenza ed intelligibile coincidono. L'intelligenza è, infatti, ciò che è
capace di cogliere l'intelligibile e la sostanza, ed è in atto quando li possiede. Pertanto, più ancora che quella capacità, è questo
possesso ciò che di divino ha l'intelligenza; e l'attività contemplativa è ciò che c'è di più piacevole e di più eccellente.
Se, dunque, in questa felice condizione in cui noi ci troviamo talvolta, Dio si trova perennemente, è meraviglioso; e se Egli si trova
in una condizione superiore, è ancor più meraviglioso. E in questa condizione Egli effettivamente si trova. Ed Egli è anche Vita,
perché l'attività dell'intelligenza è vita, ed Egli è appunto quell'attività. E la sua attività, che sussiste di per sé, è vita ottima ed
eterna. Diciamo, infatti, che Dio è vivente, eterno ed ottimo; cosicché a Dio appartiene una vita perennemente continua ed eterna:
questo è, dunque, Dio.
[...] Resta ancora un problema: se ciò che è pensato dall’intelligenza divina sia composto [come siamo noi, fatti di forma e
materia]. In tal caso, infatti, l’Intelligenza divina muterebbe, passando da una all’altra delle parti che costituiscono l’insieme del suo
oggetto di pensiero. Ed ecco la risposta [negativa] al problema. Tutto ciò che non ha materia non ha parti. E così come
l’intelligenza umana si comporta in qualche momento (infatti, essa non ha il suo bene in questa o quella parte, ma ha il suo bene
supremo in ciò che è un tutto indivisibile [...]): ebbene, in questo stesso modo si comporta anche l’Intelligenza divina, pensando
[solo] sé medesima per tutta l’eternità.
3.
Leggiamo, infine, due passi di Plotino, autore neo-platonico del III sec. d.C, dedicati rispettivamente al Dio supremo
e al modo in cui l’anima può raggiungerlo
 da Plotino, Enneadi (III sec. d.C.), IV, 4, 16; V, 3, 17, 15-38
Esiste certamente un centro [l’Uno o Bene, il Dio supremo] e intorno ad esso un cerchio che ne emana irraggiando [l’Intelligenza
divina o secondo Dio], e intorno a questo un altro cerchio [l’Anima del mondo]: luce da luce. Oltre questi, il nuovo cerchio [il
mondo materiale] non è più un cerchio di luce perché manca di luce propria, e perciò ha bisogno di luce estranea: esso è piuttosto
come una ruota o meglio come una sfera che dal terzo posto riceva - poiché gli è contigua - tutta la luce che da esso emana.
La grande luce, irraggiando, resta immobile e lo splendore che da essa emana si effonde secondo ragione; ma le altre luci
irraggiano insieme e in parte stanno ferme, in parte sono attratte dallo splendore di ciò che viene illuminato.
Questo è dunque l'ordine dei singoli piani dell'essere: se si fa del Bene il centro, l’Intelligenza lo si porrà come un cerchio immobile
e l'Anima come un cerchio mobile, mobile a causa del desiderio. L’Intelligenza ha il Bene di fronte e lo tiene abbracciato, l'Anima,
invece, aspira a ciò che è al di là. E la sfera dell'universo [corporeo], che ha in sé l'anima con quel suo anelito al Bene, si muove
conforme al suo desiderio naturale; ma, in quanto è corpo, l'universo aspira naturalmente a ciò da cui è fuori, cioè a stendersi
tutt'intorno e a tornare a se stesso: cioè circolarmente.
[...] L'anima [umana] soffre ancora le sue doglie, e ancora di più. Forse è bene che essa finalmente partorisca, dopo essersi slanciata
verso lo Stesso [Dio, l’Uno] nel momento culminante dei suoi dolori. [....] basterà un semplice contatto interiore. [...] In
quell'istante bisogna credere di aver visto, quando l'anima coglie, improvvisamente, la luce. Poiché questa luce proviene da Lui, o
meglio è lui stesso. In quell'istante bisogna credere Ehe egli sia presente, allorché, come un altro dio, avvicinandosi alla casa di chi
lo ha invitato, lo illumini; e se non si avvicina, non lo illumina. È così: un'anima non illuminata è priva di Dio; ma se è illuminata,
possiede ciò che cercava. Questo è il vero fine dell'anima: toccare quella luce e contemplarla mediante quella luce stessa, non con
la luce di un altro, ma con quella stessa con la quale essa vede. Poiché la luce, dalla quale è illuminata, è la luce stessa che essa
deve contemplare. Nemmeno il Sole si vede mediante una luce diversa.
4.
Ricordiamo, ora, due testi fondamentali del Nuovo Testamento, ricordati dal saggio sul pensiero cristiano distribuito
in fotocopia:
 dal Vangelo secondo Matteo
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in
tentazione, ma liberaci dal male.
 dal Vangelo secondo Giovanni, Prologo, 1, 1-13
In principio era il Lògos, il Lògos era presso Dio e il Lògos era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo
di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende
nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. [...] Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel
mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno
accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da
sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
Alla luce di questi testi e del saggio sul pensiero cristiano distribuito in fotocopia, metti in luce le principali analogie e differenze
tra filosofia greca e pensiero cristiano, domandandoti in particolare:
1) Le virtù classiche, esemplificate da Platone, esauriscono l’ethos (carattere, costume) del vero cristiano? Che cosa lo distingue?
2) Il destino dell’uomo dopo la morte è il medesimo per platonici e cristiani? Riguarda gli stessi elementi di cui l’uomo è fatto?
3) Dio viene rappresentato nello stesso modo? E il suo atteggiamento verso l’uomo e dell’uomo verso Dio è lo stesso?