MOVIMENTO DI COOPERAZIONE EDUCATIVA 52° ASSEMBLEA NAZIONALE ORVIETO 5/8 DICEMBRE 2003-12-09 GRUPPO N. 3 ‘BISOGNI FORMATIVI DEI SOGGETTI NELLA DIMENSIONE GLOBALE/LOCALE’ Accordo sui significati Il gruppo, costituito da 10 partecipanti, coordinato da Clara Pagnotta e Giancarlo Cavinato, inizialmente si è soffermato sul termine ‘bisogni’ in rapporto ai ‘diritti’. Secondo un’interpretazione riportata, mentre il termine ‘diritti’ dei soggetti richiama precise finalità educative comuni a popolazioni di soggetti, ‘bisogni’ si presta all’adesione a una logica mercantile, in quanto sul bisogno individuale si può attivare un’offerta formativa con un valore economico sul mercato, a cui singole famiglie possono aderire. Si risponde però operando una distinzione fra bisogni autentici del soggetto, ‘primari’, e bisogni indotti (motivazione secondaria) dal mercato stesso, affermando che la funzione della scuola è di intervenire a individuare e ad esplicitare i primi, organizzando attorno ad essi la propria attività di promozione e di costruzione conoscitiva. Solo un’attenta analisi e lettura dei bisogni formativi dei soggetti consente di intessere una progettazione aderente alla realtà delle diverse situazioni, costruendo un curricolo non astratto ed astorico. Non sempre ciò avviene: a volte la scuola lavora a conoscenze che, al di fuori del contesto in cui sono state apprese, non hanno molto senso, che gli individui non riescono ad impiegare nella vita, a reinvestire in situazioni che ne richiedano l’uso. Gli stessi diritti delle carte internazionali, si fa presente, non possono essere applicati indifferenziatamente in tutte le situazioni, adattati a soggetti ad esempio che soffrono di carenze di ogni tipo, che mancano di beni indispensabili, o a soggetti che vivono nel benessere e nella sovrabbondanza di risorse. Ricerca di connessioni Due testi sono proposti alla lettura-discussione (cfr. allegato). Uno, estratto da ‘Non sono obiettivo’ di O. Toscani, ripropone un argomento polemico che in varie occasioni ritorna a fa discutere. Esso evidenzia la reale o presunta ‘sconnessione mentale’, la difficoltà a utilizzare forme di pensiero relazionale, modalità di argomentazione, uso di consequenzialità da parte dei ragazzi/e, e ne evidenzia le cause nel consumismo e nell’omologazione culturale (il ‘pensiero unico’). E’ quanto emerge dagli articoli di Lodoli su ‘Repubblica’ sull’afasia dei giovani, sull’incapacità a istituire correlazioni, da quelli di Galimberti sull’analfabetismo emozionale; dal libro di Raffaele Simone ‘La terza fase’, che segnala la trasformazione legata all’affermarsi di un pensiero simultaneo, analogico- spaziale, che procede per balzi, accostamenti, condensazione di figure, frammenti, rispetto a forme di pensiero sequenziale, logico-argomentativo, sistemico, che procede per concatenazioni, tipico della scrittura e della struttura di una lingua ‘pensata’ per essere scritta. In realtà, si sottolinea, accanto a una dimensione della lingua ‘sintattica’, a un pensiero lineare (se mai lo è stato), è sempre esistito un pensiero spaziale, iconico-visivo, della contiguità, a cui sembra appoggiarsi la cosiddetta ‘oralità di ritorno’ (cfr. W. Ong). Il compito educativo è di ripensare la necessità educativa di costruire un pensiero sistemico-relazionale, una capacità di interconnessione, la costruzione di mappe e reti comprensive di sempre nuove realtà, in un quadro generale della comunicazione che non facilita tale costruzione. Quale flessibilità Il secondo nodo che il gruppo ha affrontato è quello della flessibilità come sfondo e ‘mission’ attribuiti alla scuola. Si rileva che c’è stato un periodo (anni 70-80) in cui si è pensato da parte di più concentrazioni di interessi (anche imprenditoriali) ai compiti di una scuola adeguata all’oggi in termini di formazione POLIVALENTE, di una intercambiabilità di compiti e funzioni nell’arco del percorso professionale di un soggetto. Tale idea di polivalenza si coniugava anche con un’educazione al pensiero divergente, alla creatività. Ipotesi analoghe hanno arricchito di suggestioni pedagogiche l’idea stessa di scuola a tempo pieno come scuola della formazione intera dei soggetti. Oggi, e, in prospettiva, nel futuro, sembrano profondamente modificate le aspettative e le richieste sociali verso la scuola, ad opera dei processi di mondializzazione e globalizzazione in corso, della ‘new economy’. Sennett, in ‘L’uomo flessibile’, si chiede. ‘ Come può un essere umano sviluppare un’autonarrazione di identità e una storia della propria vita in una società composta di episodi e frammenti? Le condizioni della nuova economia si alimentano di esperienze che vanno alla deriva nel tempo, da un posto all’altro, da un lavoro all’altro’. L’idea e l’immaginazione rispetto al futuro sono profondamente modificate da nuove condizioni: un futuro la cui percezione sembra essere catastrofica o lineare, un futuro già tutto predeterminato oppure contrassegnato da incertezza o statico, senza evoluzione, appiattito su un presente tecnologico e mediatico che è già futuro. Gli effetti sono, conseguentemente, l’omologazione, la sconnessione mentale, la massificazione delle intelligenze. A fronte di tali aspetti, che sembrano privare frange sociali, categorie di cittadini, singoli individui di potenzialità progettuali e anticipatorie, si è evidenziato che il compito educativo è quello di offrire e stimolare CONSAPEVOLEZZA. Una pluralità di sguardi Dare e far esprimere consapevolezza in luoghi aperti alla discussione significa anzitutto consapevolezza, da parte degli educatori/trici che i bisogni formativi non sono tanto quelli del singolo bambino/a, ragazzo/a (che chiederanno la Barbie, la moto, la play station), che non possono che essere espressi da una congiunzione di soggetti in condizioni di ECOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE (cfr. Bronfenbrenner U., ‘Ecologia della comunicazione umana’, Il Mulino, 1985), non escludendo nessuno dei soggetti dalla negoziazione a più voci e secondo diversi punti di vista: la scuola deve assicurare una pluralità di sguardi per interpretare la realtà. La pluralità ( di genere, di generazioni, di ruoli, di compiti, di valori condivisi,….) è una garanzia rispetto alla tendenza corrente a fare del familismo e del cambiamento di riferimenti dal committente all’idea oggi ‘forte’ di cliente le voci dominati dentro la scuola, facendo del particolarismo l’interesse cardine. Le diverse visioni del mondo, i diritti concreti (non solo quelli dichiarativi astratti ed universali) devono trovare spazio e ascolto anche se possono risultare-almeno inizialmente- perturbanti ( si fa l’esempio della bambina cinese che, in un lavoro sui diritti dei bambini nella propria classe, ha enunciato come proprio diritto quello di ‘capire la maestra quando parla’. Nel lavoro del gruppo nazionale lingua M.C.E. uno dei presupposti era proprio la necessità di creare le condizioni perché tutti comprendano; non di valutare cosa è stato capito, ma di mettere in luce come e quanto ciascuno capisce). Mettere insieme sguardi diversi significa convenzionare, co-attribuirsi, corresponsabilità educative e auto-educative. Una scuola come luogo della cura per la formazione di tutti i soggetti si assume il compito di educare alla consapevolezza, che non è quello di attestarsi su forme di adeguamento alla flessibilità e alle regole del ‘libero’ mercato, ma quello di immettere anticorpi, di fornire strumenti per interpretare la realtà, per agevolare il decentramento del punto di vista e l’uscita dall’etnocentrismo, per reagire alla sconnessione resa possibile dagli attuali flussi comunicativi ma rinforzata altresì dal disciplinarismo vigente nella scuola, dalla frammentarietà, settorialità e limitazione degli interventi, tendendo viceversa alla costruzione di un pensiero sistemico, semiotico, ermeneutico-interpretativo. Un lessico per la comprensione e l’inclusione In un’ottica di semiotica della comunicazione didattica e di avvertenza circa l’ambiguità e la polisemia dei messaggi è necessario precisare referenti e significati connessi a valori. Spesso in scuole e situazioni diverse le stesse parole, apparentemente le stesse azioni, le stesse realizzazioni, e le conoscenze correlate, nascondono scopi, vissuti, ricadute educative, valenze diverse, anche opposte:possono contribuire a costruire senso di appartenenza, clima di gruppo, senso dello stare insieme, oppure a dis-integrare, escludere, marginalizzare. Alcune azioni, pratiche, esperienze per la realizzazione di una scuola cooperativa quale il M.C.E. ha inteso e praticato, vanno ribadite e tutelate dalla decontestualizzazione e da un uso opposto a quello per cui sono nate, pur alla luce delle nuove sfide e dei diversi scenari in cui la scuola si colloca. Ci è sembrato di poter tessere una mappa, senz’altro grezza e provvisoria, di ‘permanenze’ e di esperienze significative da coltivare e difendere anche nella nuova situazione che globalmente e internazionalmente si viene delineando ( prevalenza di valori mercantili, ottica economicistica e manageriale, privatizzazione di beni e servizi, dismissione del servizio educativo pubblico di e per tutti/e): porre le basi per il processo identitario un progetto unitario di costruzione dell’individuo che attribuisca valore e riconoscimento al ruolo conoscitivo delle emozioni (interezza) favorire tempi lenti e distesi di attenzione, di attesa, di concentrazione, di progressiva attenuazione dell’ansia (non consentendo che la scuola sia pervasa da questa autentica nevrosi quotidiana della nostra società), di controllo delle frustrazioni legate al non ottenimento di risposte immediate orientamento nel mondo, nella realtà, ricerca di un proprio centro ed equilibrio e di una sintonia con gli altri e nelle diverse situazioni, ricerca di risposte a domande sul senso supporto al rafforzamento di una memoria affettiva e progettuale: non una memoria trasmissiva e imitativa, catalogo inventario ( una memoria personale, generazionale, storica, degli eventi che, in positivo in negativo, hanno contrassegnato e condizionano il nostro essere qui ed ora e il nostro futuro); una memoria di genere, di specie, planetaria, così come Morin parla di un’analoga triplice identità da formare la comunicazione (e la riflessione sul rapporto fra forme di globalizzazione e comunicazione): attivare, mantenere, ampliare il campo dei bisogni e dei desideri di interscambio comunicativo, tendere a istituire un’ecologia della comunicazione; fornire strumenti per decodificare i messaggi dei media la cooperazione come senso dello stare insieme affettivo e cognitivo, come rapporto fra aspetti individuali e collettivi, come desiderio d’ascolto, costruzione condivisa di significati ( la scuola è luogo privilegiato al riguardo: se non a scuola, dove? non può, pertanto, partire da significati precostituiti), assunzione di responsabilità e partecipazione nell’attuazione di un progetto ( in quanto ‘impegno civile’ da richiedere ai ragazzi), come senso e percezione delle disparità e delle differenze, della necessità di ricerca di sostenibilità. Un progetto può riguardare il vicino ma estendersi via via con proiezioni nel lontano, in altri mondi, apprendendo che vi sono luoghi dove si vive anche senza acqua, senza cibo, in condizioni di precarietà ed estrema difficoltà a trovare risposta ai bisogni primari. Senza questo ‘spiazzamento’ non si sviluppa in forme sufficientemente stabili la percezione della necessità di aderire a modalità cooperative in quanto più vantaggiose, non si instaura una sensibilità a non sprecare, a non consumare eccessivamente. Occorre cogliere le occasioni per insegnare a lavorare insieme, che non sono casuali e non si reperiscono comunque; occorre interconnettere canali, far percepire le molteplici presenze, contemporanee e non contemporanee, che costituiscono debiti e intrecci con la nostra cultura, cercare forme di comunicazione fra la classe e il mondo utilizzare strumenti organizzatori e mediatori della comunicazione e della cooperazione, senza l’uso autentico dei quali la scuola non affronta realmente la costruzione di competenze reali e trasferibili (uso di materiali e strumenti alternativi ai libri di testo, forme di documentazione, utilizzo delle nuove tecnologie in forme interattive e interrelate) lavorare per la costruzione di competenze aperte, duttili, continuamente modificabili e integrabili nell’arco della vita, non automatizzabili e chiuse in se stesse ( si può ‘insegnare’ l’alfabeto, una serie di nozioni puntuali e isolate in successione inspiegabile così come la ‘tradizione’ la trasmette a noi; si può condurre alla scoperta della duplice articolazione del codice scritto, della sua potenzialità combinatoria e ricorsiva; ed è una chiave per una serie di altre scoperte e di molti potenziali usi, una chiave di lettura dei codici artificiali trasferibile a molti possibili codici). Fra le competenze ‘aperte’ vi è, fondamentale, la capacità di interrogare, di autointerrogarsi, l’apprendere a porsi domande, a ricercare del senso (la ‘competenza interrogativa’) aiutare a sfoltire il sovraffollamento di immagini selezionando l’essenziale in base ai bisogni rispetto al pensiero unico che pervade luoghi pubblici e privati della crescita e dello scambio intergenerazionale, far coltivare i desideri ed il piacere della conquista del sapere far misurare con i limiti della conoscenza, le zone oscure, le incertezze, i cambiamenti di punti di riferimento, non indurre a ritenere certi i dati delle conoscenze in nostro possesso la funzione degli educatori è di mettere in condizione di compiere operazioni avvertite consapevoli, sui dati di realtà: separare, collegare, connettere, accostare, selezionare, segmentare, simbolizzare… ( a cura di Angela Fossa e Giancarlo Cavinato)