4B_Trasfigurazione - salesiani don Bosco

Omelie per un anno
Volume 2 - Anno “B”
Anno “B”
TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE
(6 agosto)
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Dn 7,9-10.13-14 - La sua veste era candida come la neve.
Dal Salmo 96 - Rit.: Splende sul suo volto la gloria del Padre.
2 Pt 1,16-19 - Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Dalla nube luminosa si udì la
voce del Padre: “Questi è il mio Figlio diletto: ascoltatelo”. Alleluia.
 Mc 9,2-10 - Questi è il mio Figlio prediletto; oppure: Mt 17,1-9 Il suo volto brillò come il sole; oppure: Lc 9,28b-36 - Mentre
pregava il suo volto cambiò d’aspetto.
La vera “figura” di Gesù
Quale “figura” di Gesù dobbiamo tenere davanti agli occhi della nostra
fede? È quella del taumaturgo che guarisce, risuscita, moltiplica i
pani, o quella del buon pastore che perdona, che consola, incoraggia,
guida, o quella del maestro che insegna le verità fondamentali della
vita, o qualche altra? Insomma, ritorniamo a domandarci ancora una
volta: chi è Gesù? Era la domanda che turbinava continuamente nel
cuore dei discepoli che “seguivano” Gesù sulle strade della Palestina
antica e ogni giorno restavano stupiti e sorpresi di scoprire sempre
nuovi aspetti della “fisionomia” spirituale di Gesù. Soprattutto grande
era lo stupore dei discepoli quando sembrava loro di notare una
contraddizione nella vita di Gesù: da una parte egli si dichiarava Figlio
di Dio, compiva gesti straordinari, rivelava un’identità unica e
singolarissima; d’altra parte, era povero, umile, sofferente, parlava
della sua morte imminente, pareva consegnarsi impotente alla
volontà cattiva di uomini violenti.
Chi era dunque Gesù? Egli appartiene al genere umano, ma vi
appartiene con una qualità così singolare, straniera rispetto alla
maniera di comportarsi degli uomini, che sembra vivere una
contraddizione. Ai discepoli sembrava quasi che Gesù costituisse per
loro una “tentazione”, nel senso che ci svela insieme la sua “gloria”
ma anche la sua “umiliazione”. Qual è dunque il suo vero volto?
Trasfigurazione del Signore – 6 agosto “B” • © Elledici, Leumann 2005
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Il Figlio dell’uomo
Il brano del profeta Daniele ci introduce nella contemplazione di una
figura chiamata il “Figlio dell’uomo”, rappresentazione simbolica
dell’ideale dell’uomo giusto secondo l’alleanza dell’Antico Testamento,
cioè dell’uomo che vive della fede e comunione con Dio. Ma il Figlio
dell’uomo di Daniele è anche di più e diverso dal semplice “giusto”: è
depositario della stessa “signoria” divina: “gli diede potere, gloria e
regno” (v. 14), così che “il suo potere è un potere eterno, che non
tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (v.
14). È vero che questa figura rappresenta tutto il popolo dei giusti
dell’Antico Testamento, ma è anche una figura tutta “riempita”, per
così dire, dell’azione di Dio, al punto da restare aperta a un evento
imprevedibile che Dio può attuare. Infatti nei racconti evangelici della
trasfigurazione di Gesù, la figura e il termine di “figlio dell’uomo” sono
ripresi e applicati a Gesù.
Nel racconto evangelico, Gesù è il Figlio dell’uomo che “risuscita dai
morti”, che fa valere il potere datogli da Dio vincendo la morte e
risuscitando a una vita nuova, gloriosa. In Gesù, dunque, si realizza
pienamente la figura del figlio dell’uomo, uguale a noi, al quale Dio ha
dato il potere e la gloria al di sopra della morte.
La stella del mattino
La 2ª lettura è una risposta alle accuse rivolte ai cristiani, derisi come
seguaci di “favole artificiosamente inventate” (v. 16). È l’accusa che
si è ripetuta e si ripete spesso nella storia della Chiesa da parte di chi
pensa che Gesù sia un “mito”, una “fantasia” o una proiezione dei
bisogni o complessi dell’animo umano.
La 2 Pt risponde appellandosi a un’esperienza reale: “Siamo stati
testimoni oculari” (v. 16). È l’esperienza della trasfigurazione di Gesù
sul monte, dove egli mostrò la sua grandezza, la sua potenza e la sua
“venuta”, la gloria e l’onore che egli riceve dal Padre celeste (vv.
16-17). La fede cristiana non è una “creazione” umana, ma si fonda
su un evento realmente sperimentato. Non è una dottrina o una gnosi
di uomini sapienti e religiosi che hanno creato o fondato una
religione, ma una testimonianza resa a una persona incontrata. Ciò
costituisce una conferma migliore di quella dei profeti dell’Antico
Testamento, perché gli apostoli hanno “visto”, come testimoni oculari,
il Figlio stesso di Dio. È vero che il loro “vedere” fu il “vedere della
fede”, ma non fu un’esaltazione o un fanatismo senza fondamento,
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bensì un’esperienza di un evento che si impose loro con la forza
irresistibile del mistero trascendente.
È al “fatto” o all’evento di Gesù che siamo invitati a volgere lo
sguardo come a una lampada che brilla in un luogo oscuro, come alla
stella del mattino che illumina le tenebre del nostro cuore (v. 19). Ma
quel che la 2 Pt ci sembra suggerire è l’unicità di quel fatto, la
singolarità assoluta del Figlio prediletto del Padre che si è manifestato
sul monte, con la conferma della voce celeste. Su quel monte, gli
apostoli compresero che Gesù è il Figlio di Dio, il Figlio “unico”, cioè
assolutamente senza confronti.
Il Figlio di Dio
La narrazione evangelica della trasfigurazione di Gesù è riportata dai
tre sinottici con alcuni particolari significativamente differenti. La
liturgia fa leggere le tre versioni nel ciclo dei tre anni. Nella nostra
breve meditazione non ci soffermeremo a illustrare tali differenze nei
dettagli, pur facendovi qualche cenno, ma ci occuperemo soprattutto
del senso globale dell’evento narrato, utilizzando tutte e tre le
narrazioni.
Innanzitutto va notato che i tre sinottici sono concordi nel riferire il
contenuto della voce celeste, la “voce dalla nube” (Mc e Lc) o “una
voce” (Mt), che indica la rivelazione divina: “Questi è il Figlio mio,
ascoltatelo”. Al centro del racconto sta questa rivelazione: Gesù è il
Figlio di Dio, cui si deve ascolto e obbedienza.
La “luce” del volto e delle vesti e la presenza della “nube”, l’“ombra” e
la “voce” dalla nube, come pure il “monte”, sono tutte evocazioni o
della teofania del Sinai o della presenza divina nel tempio. Tutto ciò
sta a indicare che la “trasfigurazione” è l’evento nel quale Dio, per
così dire, esce dall’ombra indistinta del mistero e dà “figura” alla
manifestazione di se stesso nella persona di Gesù. Si tratta però non
solo di una manifestazione, ma anche di una autodonazione che
appella un “ascolto”, ossia un’accoglienza. Quest’esperienza insegnò
agli apostoli che la storia di Gesù è una vicenda pienamente umana,
collocata nel tempo e nel mondo, ma che proprio in essa Dio stesso si
rende presente, così com’è in se stesso, con il suo mistero
inafferrabile e gratuito.
Pietro vorrebbe possedere e circoscrivere la presenza di Dio:
“Facciamo qui tre tende”. Per Pietro il rimedio alla solitudine e
disperazione umana è di fuggire dalla durezza della vita, di
accamparsi sul monte e stare lassù, di trasformare il cristianesimo in
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una magia che ci strappi da questa vita troppo pesante e faticosa. Ma
il cristianesimo non è una magia, non è una fuga né un’evasione. La
rivelazione di Gesù come Figlio di Dio mira a renderci capaci,
mediante l’ascolto di lui, di vivere come ha fatto lui. Dovunque noi ci
troviamo, in tutte le parti del mondo e non solo su quel “monte”,
dobbiamo stare con Gesù e continuare a vivere come ha fatto lui. Gli
apostoli infatti scesero poi dal monte della trasfigurazione, non furono
rapiti nella gloria subito e non costruirono nessuna tenda, ma
continuarono la loro vita nella sequela di Gesù. Questo è il
cristianesimo dal quale non possiamo sfuggire. È la religione che non
è fatta solo di Gesù, il quale farebbe tutto al nostro posto e a noi
basterebbe fare la tenda là dov’egli è, ma è fatta anche da noi che
cerchiamo di “seguirlo” o “ascoltarlo”, cioè ci sforziamo di fare come
lui.
Luca dice che “mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto”.
La trasfigurazione avvenne dunque durante la preghiera di Gesù.
Poiché Gesù “prese con sé” sul monte gli apostoli, possiamo pensare
che anch’essi fossero associati alla preghiera di Gesù. Comunque, è
nella preghiera che appare veramente il volto autentico e unico di
Gesù. Dovremmo chiedere anche noi che, come lui si è trasfigurato
durante la preghiera, nella nostra preghiera riusciamo a trasfigurare il
nostro sguardo per avere gli occhi della fede capaci di riconoscerlo
come il Figlio prediletto, unico, di Dio Padre. È la preghiera il modo
vero e legittimo per “dimorare” con Gesù, radicarci nel rapporto
intimo e vitale con lui. Ma il “dimorare” nostro con Gesù non è un
fissare la tenda, bensì è dinamico, va vissuto giorno per giorno nel
condividere le scelte e la condotta che furono di Gesù.
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