Ordo Virginum 6gen04

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ISTITUZIONE E CARISMA
(Omelia della liturgia di consacrazione nell’Ordo Virginum di Valeria Bonoretti)
Abbiamo iniziato questa liturgia di consacrazione con il rito della aspersione nel
ricordo del nostro Battesimo. Se siamo qui a celebrare l’Eucaristia è perché siamo
stati iniziati all’Eucaristia grazie al Battesimo. Anche Valeria, che tra poco
riceverà per le mani del Vescovo la benedizione che la consacra per sempre al
Signore, è qui perché ha ricevuto un giorno, su domanda dei suoi genitori, Ovidio
e Maria, il Battesimo. La scelta della data per questa liturgia di consacrazione
non è casuale. Ha alla radice delle buone ragioni. Quali?
Il Battesimo, segno della chiamata
Che cosa ci ha detto il Vangelo (Mt 2,1-12)? “Nato Gesù a Betlemme di Giudea. Al
tempo del re Erode, alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e
domandavano: Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua
stella e siamo venuti per adorarlo”. All’inizio del cammino dei Magi c’è dunque una
domanda. Non è una domanda di qualcosa da avere, da conquistare, da
guadagnare. È invece una domanda di Qualcuno da incontrare, adorare,
contemplare.
Non è forse questo il significato della domanda di Battesimo? Domandare il
Battesimo non è tanto una domanda di qualcosa. Domandare il Battesimo alla
Chiesa non è come domandare – permettetemi questo paragone - il pane al
panettiere, il latte al lattaio, le medicine al farmacista. Uno va in negozio, chiede
ciò di cui ha bisogno e poi se ne va. Non fa vita comune con il panettiere, il
lattaio, o il farmacista!
Domandare il Battesimo alla Chiesa vuol dire invece iniziare una vita comune con
la propria Chiesa, entrare a far parte di una concreta comunità, cercare la Chiesa
come la propria casa, come l’essere parte di una sola famiglia, partecipare alla
sua vita. Non si va in Chiesa come in un negozio, per soddisfare un bisogno
religioso, e poi uno se ne va per conto suo, dimentico di quanto ha ricevuto. Come
a dire: si incomincia con il Battesimo, ma poi la vita è un’altra!
Ho detto che, all’inizio del cammino dei Magi, c’è una domanda, ma mi devo
correggere. All’inizio c’è l’apparire di una stella, il segno luminoso di una
chiamata dall’alto. La domanda è già una risposta, il segno di un desiderio nato
nel cuore, allo sguardo della stella. Permettete una digressione semantica. La
parola “desiderio”, semanticamente, ha a che fare con la stella. Nel vocabolario
antico, “sidera” erano chiamate le stelle. Da qui è nata anche la leggenda della
notte di S. Lorenzo: se al cadere delle stelle tu esprimi un desiderio, il tuo
desiderio si avvera.
Ed è quanto il vescovo S. Ambrogio osserva a proposito della verginità consacrata:
“La vita verginale che tu vuoi seguire è oggetto di desiderio, non di comando. Perché
ciò che è dono di Dio può essere desiderato, non imposto: è frutto di libera scelta,
non d’obbligo” (Sulle vergini I,23). E, rivolgendosi a Dio, S. Ambrogio prosegue in
forma di preghiera: “Anche questa tua serva, attratta da questo tuo dono, sta ora
davanti al tuo altare. A te già consacrata nel battesimo, ora cerca te solo,
rinunciando alla dignità del matrimonio… Ti supplico, dunque, o Padre, perché
protegga questa tua figlia… Te la offro come sacerdote, Te la raccomando con
affetto paterno” (Istituz. della vergine 107-109).
Piace questo riferimento al Vescovo e alla Chiesa locale. La vita consacrata è un
bel dono al Vescovo e alla sua Chiesa. Proprio perché si tratta di un dono offerto
al Vescovo e alla sua Chiesa, è bene che tutta la Chiesa lo sappia, e tutti guardino
alla Chiesa locale come ad un valore, non un limite al desiderio di consacrazione
della propria vita al Signore. Dall’inizio, nella sua lunga storia, la Chiesa ha
sempre apprezzato questa forma di vita consacrata come un valore, un carisma.
Quale valore?
La missione della vergine consacrata
Ritorniamo al racconto dei Magi: “Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo
sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il
bambino. Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella
casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi
aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra”. È vero, la stella della
propria vocazione, il desiderio di consacrazione può insorgere anche molto presto;
come potrebbe dare l’impressione di scomparire nelle pieghe della vita, nei
momenti di prova e di sofferenza, nella nebbia della tristezza.
Ma poi, se è il Signore che chiama, ecco che la stella ritorna a splendere sul
proprio cammino, e con essa la gioia: la gioia di appartenere già al Signore, di
scoprirsi innamorata di Dio, pronta ad ascoltarne la voce: “Così dice il Signore,
ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore… Mi chiamerai:
Marito mio e non mi chiamerai più: Mio padrone. Ti farò mia sposa per sempre”,
come ci ha proclamato il profeta Osea nella prima lettura (Os 2,16-21: pericope
tratta dal lezionario per la consacrazione delle vergini). Questo è linguaggio da
innamorati di Dio, non da timorati di Dio: di gente che va in chiesa, perché
diversamente non si sa mai cosa potrebbe capitare.
Ecco la prima missione nella Chiesa di una vita consacrata: testimoniare l’amore
totale ed esclusivo per Gesù, non solo a parole o nell’intimo del cuore, ma nella
vita stessa della Chiesa, mettendo la Parola di Dio, l’Eucaristia, la preghiera delle
Ore al centro della giornata come i doni offerti dai Magi. Ho trovato questo bel
titolo ad un corso di esercizi spirituali “Lega il tuo aratro alla stella”. La stella è là
dove si rivela l’Amore di un Dio che si è fatto prossimo, un Dio vicino all’uomo
quale è il Dio rivelato a noi in Gesù Cristo. L’aratro è là dove è il terreno da
dissodare, il campo delle nostre relazioni da coltivare, il servizio al prossimo da
svolgere.
Ecco una seconda missione della vergine consacrata: servire il prossimo malato,
tribolato, angosciato, o semplicemente ignorato, e dire anche a lui, come
raccomanda l’apostolo Paolo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non
ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni
cosa insieme con lui?”. Non è facile a chi soffre, è malato, è lontano parlare della
generosità di Dio. Il Papa, ai cristiani del Terzo millennio, dice che oggi non basta
più parlare di Dio; bisogna in qualche modo farlo vedere (cf. Novo Millennio
Ineunte). Anch’io sono convinto che Dio, in qualche modo, bisogno farlo vedere.
Non solo qui in chiesa ma, come i Magi, ritornando al proprio paese, alla casa,
alla vita quotidiana. Sotto lo sguardo di Maria, “stella dell’evangelizzazione”.
+ Adriano VESCOVO
Montecchio Emilia – Santuario della B.V. dell’Olmo
6 gennaio 2004 – Solennità dell’Epifania
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