Diocesi di Piacenza-Bobbio Ufficio Stampa: servizio documentazione Pianazze Villa Regina Mundi Convegno per il cammino pastorale dell’anno 2002/03 ”Per una fede adulta matura: la formazione nella comunità cristiana” 31 agosto 2002 Mons. Luciano Monari, Vescovo “La Parola di Dio sorgente della formazione della coscienza cristiana” 0. Il tipo di itinerario di maturità che ci offre la Scrittura è assumere la figura di Gesù Cristo Prendo due testi che fanno in qualche modo da punto di riferimento a tutta la riflessione che cercherò di sviluppare. 0.1. Il primo punto di riferimento alla formazione della maturità cristiana è la Lettera agli Efesini Il primo è la Lettera agli Efesini al cap. 4,7-16. «[7]A ciascuno di noi, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. [8]Per questo sta scritto: Ascendendo in alto ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. [9]Ma che significa la parola “ascese”, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? [10]Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose. [11]È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, [12]per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, [13]finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. [14]Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. [15]Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, [16]dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità». 0.1.1. Per un cammino cristiano di crescita, per arrivare all’età matura di Cristo, il Signore ha posto nella Chiesa i ministeri Il testo è questo, e per una riflessione sulla maturità cristiana e sulla sua formazione credo sia fondamentale. Viene espresso l’obiettivo: «arrivare (…) allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo». Viene detto anche chi è l’attore di questa maturazione, e l’attore è Cristo, il Cristo risorto, il Cristo glorificato. Dice Paolo: «è asceso al di sopra dei cieli, per riempire tutte le cose». 1 Quindi siamo partiti dalla lettura del cap. 4,7-16 della Lettera agli Efesini, perché nel testo si parla del cammino cristiano di crescita per arrivare all’età matura di Cristo. L’immagine che Paolo ha in mente è questa: la Chiesa è il corpo di cui Cristo è la testa (cfr. Ef 1,22-23). “La testa del corpo”, cioè Gesù di Nazaret, ha percorso tutto il cammino della sua vita “raggiungendo la sommità dei cieli”; attraverso la sua morte, risurrezione e ascensione, si è collocato «al di sopra di tutti i cieli». Di là, Lui, che è il capo perfettamente formato, trasmette la sua vita a quel corpo che è sulla terra e che invece perfettamente formato ancora non è; è ancora un corpo bambino che deve maturare e crescere, diventare grande (cfr. Lc 2,40). È il capo, Cristo, che trasmette l’energia; la forza viene da Lui, e il corpo deve crescere verso di Lui che è il capo, fino a diventare un corpo che si adatti perfettamente a quel capo che è Gesù Cristo. Questo avviene, dice Paolo, quando il corpo cresce facendo «la verità nella carità», quindi crescendo attraverso l’opera dell’amore fraterno secondo la rivelazione di Dio che è la verità, che è Gesù Cristo, che è il suo amore. Proprio perché tutti i cristiani possono fare questo – perché questo lo devono fare tutti, e non c’è nessuno che possa sostituire l’altro in questo compito del “crescere nella carità e nella verità” (Ef 4,15) –, perché possa avvenire il Signore ha posto nella Chiesa i ministeri. I ministeri aiutano o permettono ai cristiani di ricevere l’energia di Cristo, «del capo», che permette a loro di maturare, di diventare adulti; quindi di superare l’incertezza del bambino che non sa chi è né sa dove va, per cui è facilmente influenzabile, si può trascinare da una parte o dall’altra, «secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore», secondo l’opinione pubblica che tende a fare pressione. Bisogna superare questa incertezza per arrivare invece ad una solidità di appartenenza al Signore. Questo è il primo testo fondamentale da meditare. 0.2. Il secondo punto di riferimento alla formazione della maturità cristiana è la Lettera ai Romani Il secondo testo è brevissimo perché è il versetto 8,29 della Lettera ai Romani dove san Paolo, descrivendo la vita del cristiano secondo lo Spirito, dice tra le altre cose: «[29]Quelli che Dio da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli». L’idea che ci sta sotto è questa: “l’uomo è Gesù Cristo”; l’uomo così come Dio lo ha pensato, così come Dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26-27), l’uomo perfettamente compiuto è Gesù Cristo (cfr. 2 Cor 4,4). L’archetipo, cioè l’idea da cui Dio è partito nella creazione dell’uomo, è Gesù Cristo (cfr. Col 1,15). Il progetto è che Gesù Cristo – che si è fatto carne (cfr. Gv 1,14) e quindi ha introdotto nel mondo l’archetipo, l’idea perfetta di Dio a proposito dell’uomo – diventi «il primogenito tra molti fratelli»; e quindi che tutti gli altri assumano la forma di Gesù Cristo, assomigliando a Lui come fratelli e quindi partecipando della sua esperienza spirituale (cfr. 2 Cor 3,18). Ebbene, lì c’è l’immagine della formazione cristiana. La formazione cristiana è essenzialmente un assumere la forma di Gesù Cristo come suoi fratelli, crescendo verso di Lui fino alla maturità di appartenere pienamente e compiutamente a Gesù Cristo (cfr. Gal 4,19). Questo che cosa vuole dire in concreto? Che cosa significa la somiglianza con Gesù Cristo? Essere conformi all’immagine di Gesù? Significa tante cose, e ne provo a mettere in fila alcune. 1. Il primo aspetto della maturità cristiana è stare davanti a Dio con l’atteggiamento dei figli È evidente che la prima è “stare davanti a Dio con l’atteggiamento dei figli”. Gesù Cristo è Figlio, e il suo rapporto con Dio è filiale nei confronti di Dio riconosciuto come Padre (cfr. Mt 11,27). Ebbene, si tratta di entrare in quell’esperienza. Cristiano maturo è colui che sta davanti a 2 Dio con un atteggiamento filiale; e se una persona vuole sapere che cosa sia “un atteggiamento filiale”, guarda «Gesù Cristo, che è il Figlio di Dio» (1 Gv 4,15), e capisce. Capisce che “atteggiamento filiale” vuole dire: riconoscere la propria vita come qualche cosa che continuamente accogliamo da lui, da Dio Padre, con stupore, meraviglia e riconoscenza, senza porre a lui delle condizioni, ma accogliendola con il massimo di disponibilità possibile (cfr. Gv 8,42). Gesù ha tutto quello che possiede dal Padre (cfr. Gv 3,34-35), riconosce di non avere niente di suo, le parole che dice vengono dal Padre, le opere che compie vengono dal Padre, tutta la sua vita è una vita accolta, ma proprio perché è accolta diventa anche una vita consegnata al Padre. Tutto riceve dal Padre e tutto lui consegna al Padre nell’atteggiamento dell’obbedienza e della fiducia, che trova il compimento nella croce quando Gesù ripete le parole del Salmo «Padre, nella tue mani consegno la mia vita» (Sal 31,6; Lc 23,46). Ma la consegna della vita, che è la passione e la morte del Signore, non è altro che il punto culminante conclusivo, il compimento di una consegna che è tutta la vita di Gesù, perché le parole e le opere che Gesù dice e compie sono consegnate al Padre, sono in obbedienza piena al Padre. Ebbene, se uno vuole assumere la forma di Gesù deve cercare di stare davanti a Dio in questo atteggiamento: di riconoscenza per tutto quello che siamo e accogliamo da Lui, di consegna di tutto quello che siamo e affidiamo a Lui. 1.1. Partecipare alla passione per Dio Questo significa: partecipare di quella specie di “passione per Dio”, che è tipica dell’esperienza di Gesù, il prendere Dio sul serio. Tanto “prendere Dio sul serio” che il senso della propria vita diventi il santificare il nome di Dio: «Padre (…) santifica il tuo nome; fa venire il tuo Regno; si compia la tua volontà» (Mt 6,9-10) nella mia vita, che la mia vita diventi un luogo dove il nome di Dio è santificato, perché è l’unica cosa che ha davanti a Gesù un valore assoluto. Dio è l’unico assoluto della vita, e lo deve diventare in modo concreto: con tutta la passione, che è la passione della fede (cfr. Rm 8,38-39); con tutto l’amore, che è l’amore del Comandamento: “amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (cfr. Mc 12,28-30). Discepolo di Gesù o fratello di Gesù, è colui per il quale Dio diventa l’assoluto, dal quale ha ricevuto tutto e al quale consegna tutto. Questo chiaramente significa superare altri atteggiamenti: superare l’atteggiamento dello schiavo nei confronti di Dio, cioè di colui che vive di paura, che vive di sospetto nei confronti di Dio: “quasi che Dio sia una potenza infida che può anche fare del bene ma potrebbe anche fare del male, e quindi nei confronti di Dio devo porre una serie di attenzioni per non essere schiacciato”; il sospetto di chi vede in Dio un concorrente e quindi considera la sua vita come un tesoro da proteggere gelosamente: “che Dio non me la tocchi troppo, altrimenti la mia esistenza, il mio essere, va in crisi e non riesce più a mantenere la fiducia o la gioia fondamentale nella vita”. 1.2. Il riferimento più tipico è il cap.6° del Vangelo secondo Matteo Il riferimento più tipico, per quello che ho detto finora, è tutto il cap. 6° del Vangelo secondo Matteo. Perché, questo capitolo incomincia con la preghiera, e in particolare con il “Padre nostro”. Se volete diventare dei cristiani maturi dovete imparare a pregare il “Padre nostro”, con il cuore da figli, cioè con il cuore di Gesù, con la fiducia di Gesù, con la richiesta sincera che il nome di Dio sia 3 santificato. Fateci caso, perché chiedere questo significa alla fine compromettere tutta la propria vita, cioè: non conta più che io sia sano o malato, che io abbia successo o insuccesso, che gli altri mi stimino o mi disprezzino; ma conta che nella mia vita il “nome di Dio sia santificato”. Fare questa conversione è molto faticoso, ma è lì la maturazione: la maturità cristiana chiede essenzialmente questo passaggio. Dopo il “Padre nostro” ci sono una serie di testi che insistono sulla decisione. Ci deve essere nella nostra vita una scelta per Dio che sia consapevole e totalitaria: «[24]Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6,24). Di “mammona” metteteci qualunque cosa; mentre “di padroni ce né uno solo”. La decisione deve diventare nella vita del cristiano irrevocabile, quindi non una decisione ad experimēntum, a “tempo”; quando è ad experimēntum e a tempo siamo ancora nell’immaturità. La maturità viene quando la decisione è consapevole ed è presa una volta per tutte, quindi quando «l’occhio è diventato sano» (Mt 6,22), quando non è un “occhio cattivo”, che ha ancora dei sospetti su Dio, per cui: “mi fido, ma…”, “l’accetto, ma…”. Quando dico, “mi fido, ma…”, vuole dire che il mo occhio non vede ancora Dio bene bene, ma lo vede con qualche ombra, c’è qualche cosa che gli dà ancora fastidio; invece “l’occhio pulito” è quello che, riconoscendo Dio come Padre, è capace di sceglierlo totalmente e definitivamente. La conseguenza di questo, sempre in quel cap. 6°, è il brano che conoscete bene: «[25]Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? [26] Guardate gli uccelli del cielo (…) Osservate come crescono i gigli del campo…» (Mt 6,25ss). Non lo commento altrimenti diventerebbe troppo lungo. 2. Il secondo aspetto della maturità cristiana è stare dietro a Gesù come discepoli alla sua sequela Il secondo aspetto della maturità cristiana è legato con questo che abbiamo già detto: avere nei confronti di Dio un atteggiamento filiale che è l’atteggiamento di Gesù. Per cui tutta la vita del cristiano è essenzialmente un andare dietro a Gesù, seguire Gesù; questo è il tema evangelico del discepolato, essere discepoli: «venite dietro di me» (Mc 1,17). Vuole dire che da una parte Gesù si consegna a noi perché si impegna a guidarci, non si può più staccare da noi, non ci può più rimandare indietro. Capite che il discepolato è un impegno innanzitutto che si piglia il Signore, l’impegno di sopportarci come discepoli; e forse facciamo fatica noi andargli dietro come Maestro, ma “dovrebbe fare un po’ di fatica anche lui a sopportare dei discepoli come noi”. Ma è questo l’impegno che il Signore si prende, ed è quello il cammino che noi iniziamo. 2.1. Il cammino del discepolato richiede il superamento della paura, delle preoccupazioni… È un cammino che richiede pian piano il superamento della paura. Ricordate quando i discepoli sulla barca nel lago in tempesta si impauriscono, svegliano il Signore: «Maestro non t’importa che periamo?» (Mc 4,38). E Gesù calma il lago e poi dice: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40). “Non avete ancora fede?”, vuole dire: non c’è dubbio che il cammino del cristiano, come il cammino dell’uomo nel mondo, è un cammino in un mare infido; ma una volta che c’è il rapporto con Gesù, come da discepolo a Maestro, non devi avere paura, non ci sono onde che possano minacciare in modo negativo la tua vita tanto da renderla falsa. La presenza del Signore è sufficiente. Così come il superamento non solo della paura ma delle preoccupazioni. Nel Vangelo sempre secondo Marco, al cap. 8° c’è un brano certamente significativo. Dice ancora che Gesù e i suoi discepoli sono in barca: «[14] Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo» (Mc 8,14). Quindi, sono sguarniti del necessario per 4 vivere, ne hanno troppo poco; ha «un pane solo» e non è sufficiente, in qualche modo si sentono a disagio. «[15]Allora egli li ammoniva dicendo: Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!» (Mc 8,15). “Lievito dei farisei” è l’incredulità. Allora, loro hanno problemi di pane, mentre Gesù parla di incredulità. «[16]E quelli dicevano fra loro: Non abbiamo pane. [17]Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? [18]Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, [19]quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via? Gli dissero: Dodici. [20]E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via? Gli dissero: Sette. [21]E disse loro: Non capite ancora?» (Mc 8, 16-21). Il “non capite ancora?”, vuole dire: siete ancora dentro la preoccupazione e non vi siete resi conto che siete con il Signore! Quindi, la Provvidenza per la vostra vita vi è garantita; non abbiate paura! Non lasciatevi prendere dall’affanno, dall’ansia. Ma vuole dire anche altre cose, per esempio, quello che ascolteremo domani nel Vangelo (XXII domenica t.o. A): «Se qualcuno vuole venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. [35]Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per me e per il vangelo, la salverà» (Mc 8,34-35). Vuole dire ancora: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti» Mc 9,35). Vuole dire ancora: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. [43]Ma tra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, [44]e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. [45]Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita come riscatto per la moltitudine» (Mc 10,42-45). Evidentemente si potrebbero moltiplicare le citazioni. 2.2. Il cristiano diventa maturo quando andare dietro a Gesù è un’esperienza che si concretizza Voglio dire: il cristiano diventa maturo quando andare dietro a Gesù non è dire una parola bella, ma è un’esperienza che si concretizza nel superamento delle paure, delle ansie per la vita, nella capacità di portare insieme con il Signore la croce per il Vangelo (cfr. Mc 8,34), nella scelta dell’ultimo posto e del posto del servitore (cfr. Lc 17,10). Quando una persona vive questo, tenta di vivere questo, è nella logica della maturità – quando non vive questo, è ancora un cristiano bambino, la sequela del Signore è ancora mentale: “mi sento discepolo del Signore”, ma significa poco. Ma è il cambiamento del modo di vivere: mettendo i nostri piedi nelle orme del Signore, quelle che ha lasciato lui passando in mezzo a noi (cfr. 1 Pt 2,21); «non restituendo male per male» (1 Ts 5,15); «lavando i piedi ai suoi discepoli» (Gv 13,5); “non essendo attaccato alla sua dignità di figlio di Dio, ma «facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,6.8). 3. Il terzo aspetto della maturità cristiana è lasciarsi normalmente guidare dagli impulsi dello Spirito Il terzo aspetto della maturità cristiana. È un cristiano maturo colui che normalmente nelle sue decisioni si lascia dirigere, muovere, dagli impulsi dello Spirito, che è lo Spirito di Gesù; che è il contrario della “carne”, che è lo spirito della debolezza mondana (cfr. Rm 8,4). La “carne” è un istinto egoistico di autodifesa, dove l’autodifesa diventa il criterio assoluto, e dove dietro c’è l’autoaffermazione (cfr. Rm 13,14). Lo “Spirito” è un impulso di donazione, dove la consegna della propria vita a Dio, attraverso l’amore per gli altri, diventa una volontà e un desiderio profondo del cuore (cfr. Rm 5,5). 5 Vuole dire: quello che abbiamo ricordato prima di Gesù uno lo potrebbe prendere come una legge da osservare, ma se fa questo “ci riesce fino a mezzogiorno e poi dopo si stanca presto”. Bisogna che quelle cose che abbiamo ricordato di Gesù entrino nella vita dell’uomo come un movimento interiore, siano spirito per lui e non parole. «Le parole di Gesù sono spirito e vita» (Gv 6,63), a condizione che siano sperimentate come spirito; ma sono spirito non sono parole. “Parole” sono le mie che parlo agli orecchi, ma le parole del Signore parlano al cuore, e quando parlano al cuore sono spirito, sono forza che agisce all’interno, che purifica i movimenti e i desideri del cuore, purifica quegli impulsi istintivi di egoismo che noi abbiamo, e ci orientano verso una capacità di dono, di gratuità, di servizio, di umiltà e così via. 3.1. Il dialogo tra Gesù e Nicodemo è l’origine di un’esistenza nuova Anche qui i testi sarebbero chissà quanti da potere leggere, ma m’interessa che ricordiate innanzitutto “il dialogo tra Gesù e Nicodemo”. Quando Nicodemo va da Gesù, Nicodemo ha un patrimonio religioso alle spalle che è immenso, perché è tutto il patrimonio della ricerca ebraica della legge, e quindi della volontà di Dio; tanto che Nicodemo può presentarsi davanti a Gesù con un verbo significativo: «noi sappiamo che tu sei venuto da Dio come maestro» (Gv 3,2). “Sappiamo”, è la consapevolezza di chi sa di essere in una tradizione nobile dal punto di vista religioso. Ebbene, non riesce nemmeno a fare la domanda che Gesù gli risponde: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). E più avanti spiega: «se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Vuole dire: tutto il patrimonio che uno possiede è bello, è prezioso, è ammirevole, ma qui siamo di fronte ad un’esigenza diversa: «nasce». E nessuno nasce se stesso. “Il nascere” è radicalmente creazione che viene da qualcun Altro: è il nuovo assoluto che si presenta, ma che ha alle spalle qualcosa d’altro. Ebbene, la vita cristiana è un nascere, non è semplicemente un miglioramento o una dilatazione della vita naturale; è il porre nel cuore della vita dell’uomo: un “seme nuovo di vita” (cfr. 1 Pt 1,23); una sorgente nuova che si chiama Spirito Santo (cfr. Rm 6,4); «l’amore di Dio per noi» (1 Gv 4,16); la presenza dell’amore di Gesù Cristo (cfr. Rm 5,8). Questo diventa il fondamento, l’origine, il codice genetico di un’esistenza nuova. 3.2. La “carne” e lo “Spirito” sono due stili di vita opposti Le conseguenze le trovate in Galati 5,13ss, dove Paolo scrive: «[13]Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. [14]Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. [15]Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! [16]Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; [17] la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. [18]Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. [19]Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, [20]idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, [21]invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. [22]Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; [23] contro queste cose non c’è legge» (Gal 5,13-23). 6 Bisognerebbe fare tutto il commento (ma per oggi ve lo risparmio, capiterà un’altra volta). Ma si capisce molto bene che siamo di fronte a due stili di vita opposti, a due motivazioni di comportamento contraddittorio: la “carne” e lo “Spirito”. Dove la “carne” tende essenzialmente a dividere; e lo “Spirito” è spirito di amore e di comunione. Lo Spirito si vede molto bene, in sé è invisibile ma nei suoi effetti si vede benissimo; «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» sono tutte cose che si vedono. Si tratta di avere un’esistenza che normalmente nelle sue decisioni è guidata dallo Spirito. Dico “normalmente” perché non significa che il cristiano maturo non fa mai dei peccati, ma quando pecca si rende conto del suo peccato, di avere mortificato lo Spirito, quindi di avere imposto a quel movimento interiore di spirito, che sta in lui per la fede, una decisione opposta e contraria; ma questo deve essere vissuto. E si percepisce, se siamo sinceri ce ne rendiamo conto quando ci si lascia guidare dallo Spirito, e di quando invece ci si lascia guidare da impulsi egoistici, di affermazione di sé, di risentimento. Quindi, abbiamo detto che la maturità cristiana è: 1. stare davanti a Dio con l’animo filiale; 2. stare dietro a Gesù come discepoli alla sua sequela; 3. lasciarsi normalmente guidare dagli impulsi dello Spirito. Ora tutto quello che noi abbiamo detto entra nell’esperienza del cristiano in un modo semplicissimo: guardando Gesù. Quando impariamo a guardare Gesù con amore è questo sguardo di amore – che si chiama fede e contemplazione – che permette allo Spirito, che viene da Gesù, dal Cristo glorificato, di entrare nell’esistenza dell’uomo e pian piano di imprimere la forma di Gesù nei suoi pensieri e sentimenti. 4. Interpretare la propria vita a partire dal disegno di Dio come un Dio che mi chiama 4.1. Lo Spirito di Dio è capace di arrivare ai sentimenti e ai pensieri del cuore Il modo è descritto nel versetto 3,18 della seconda Lettera ai Corinzi: «[18]Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore». «Noi tutti, a viso scoperto», non abbiamo bisogno di nascondere niente! La nostra infermità non ci fa più paura, siamo liberi, «a viso scoperto». «riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore», guardiamo il Signore come un’immagine che si specchia nel nostro cuore e nel nostro amore. Guardando il Signore «veniamo trasformati in quella medesima immagine», cioè guardiamo e «riflettiamo come in uno specchio». Ma questo riflettere non rimane esterno come nello specchio, in noi avviene un cambiamento interiore di somiglianza con Gesù, con l’immagine che Gesù porta. È un cambiamento che è sempre crescente e sempre più pieno, «di gloria in gloria», cioè di bellezza in bellezza. «secondo l’azione dello Spirito del Signore». Lo Spirito del Signore è l’unico che può fare queste cose, perché è l’unico che sa operare a livello di sentimenti e di pensieri. Noi al massimo arriviamo “alla pelle o alla carne”. Solo lo Spirito di Dio è capace di arrivare ai sentimenti e ai pensieri del cuore, quindi è capace di operare proprio come un’operazione chirurgica, ma che sia effettivamente un’operazione che dà vita, che non distrugge; perché a volte quando noi cerchiamo di andare in quei recessi lì va a finire che distruggiamo di più invece di salvare; mentre lo Spirito è capace di fare questo (cfr. Eb 4,12). 7 4.2. Guardando Gesù impariamo a leggere la nostra vita e la storia dell’uomo all’interno del disegno di Dio Allora, quando questo avviene, quali conseguenze ci sono dentro la nostra vita? La prima è che pian piano impariamo a leggere la nostra vita e la storia dell’uomo all’interno del disegno di Dio. Si tratta di interpretare, cioè di cogliere il significato degli avvenimenti, e degli avvenimenti della mia vita, considerandoli e riscoprendoli dentro ad un disegno. Abbiamo già commentato un’altra volta i cap. 4 e 5 del Libro dell’Apocalisse, dove si presenta il trono di Dio con l’Agnello ritto in piedi sgozzato sul trono, e a questo Agnello viene consegnato il libro che contiene i disegni della storia (cfr. Ap 5,6-7); quindi il motivo e il significato della storia dell’uomo, perché Dio ha creato l’uomo e a quale traguardo tende quell’immensa fatica e tragedia degli uomini nella loro storia con il bene e il male; dove tende tutto questo? Ebbene, è contenuta in quel libro, e solo «il leone della tribù di Giuda» (Ap 5,5) – che poi è l’«Agnello immolato» (Ap 5,6), ed è stranissima l’idea che il leone sia un agnello – è in grado di «sciogliere il sigillo del libro» (Ap 5,2) e quindi di dire quale sia il senso del mondo. Domanda: perché l’Agnello è in grado di sciogliere questo enigma? Forse perché è più intelligente o più forte degli altri? La motivazione che viene data è: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9). Quindi non perché è superiore agli altri nella forza o nell’intelligenza, che è anche vero. Ma il senso del mondo non lo dà per questo, ma lo dà perché è un «Agnello immolato», sacrificato, donato, sgozzato per gli altri; che nella sua obbedienza a Dio e nel suo amore agli uomini ha messo in gioco tutto; quello è il senso del mondo, solo lui che ha sacrificato la sua vita è in grado di dire qual è il senso delle sofferenze e delle angosce degli uomini, e quindi il senso della storia. 4.3. Dalla verità della croce del Signore è possibile per il credente imparare a interpretare la vita e gli avvenimenti Ed è a partire di lì, dalla verità della croce del Signore (cfr. 1 Cor 2,2) – la verità del mondo è la croce di Cristo – è possibile per il credente imparare a interpretare la vita e gli avvenimenti. Noi ormai siamo abituati a tutta una serie di categorie che vengono dalla Bibbia e sono entrate nel nostro vocabolario, nel nostro catechismo, e possono sembrare scontate ma che scontate non sono, e sono per certi aspetti preziosissimi: la categoria di “creazione”, di “peccato”, di “punizione”, di “maledizione”, di “perdono”, di “redenzione”, di “grazia”, di “promessa”, di “alleanza”… sono tutte categorie che vengono dalla Bibbia e ci servono per interpretare gli avvenimenti. Quando andiamo davanti al Signore – e diciamo: «O Dio, abbia pietà di me che sono un uomo peccatore» (Lc 18,13) – stiamo interpretando la nostra vita ma con le categorie che abbiamo imparato dalla Bibbia. La stiamo interpretando con la categoria della “misericordia di Dio” (Sal 51,3), del nostro peccato, e il peccato è comprensibile solo in questo contesto della Bibbia. Altrimenti si può usare la parola “peccato” ma ha tutt’altro significato, acquista tutt’altra valenza. Allora, attraverso tutte queste cose noi possiamo imparare a leggere la nostra vita. Ripensate ai “discepoli di Emmaus” (cfr. Lc 24,13-35). Il giorno di Pasqua vanno da Gerusalemme verso Emmaus, tristi e avviliti (cfr. 24,17). Quando Gesù si accosta a loro raccontano quello che è avvenuto, e raccontano (faceva notare il Card. Martini) tutto il kerigma, tutta la predicazione cristiana. Parlano di «Gesù di Nazaret, il quale fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; [20]come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. [21]Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. [22]Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro [23]e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. [24]Alcuni dei nostri 8 sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto» (Lc 24,19-24). Questi due discepoli sanno tutto: sanno la vita e la morte di Gesù, l’annuncio della Pasqua, che un angelo ha annunciato la Pasqua, che il sepolcro è vuoto. Ma sono tristi! Da dove viene la tristezza? Dovrebbero esultare di gioia: è Pasqua! È la loro Pasqua, e lo sanno che è la Pasqua, perché lo dicono loro, non dicono niente di più e niente di meno di quello che noi sappiamo; però sono tristi. La tristezza è la croce, non l’hanno ingoiata, è rimasta lì e non riesce a scendere perché quella morte vergognosa, «ignominiosa» e obbrobriosa, che è la croce (cfr. Dt 21,22-23; Eb 12,2), è per loro insopportabile. Quindi, possono esserci tutti i messaggi che si vogliono, ma lì c’è un segno di fallimento che non si riesce a superare. Ebbene, il Vangelo racconta che Gesù si accosta a loro e incomincia a parlare di Scritture, a dire tutto quello che nelle «Scritture si riferiva a lui» (Lc 24,27). Un po’ più avanti loro diranno che “mentre Gesù spiegava ardeva a loro il cuore in petto» (Lc 24,31). Perché “ardeva a loro il cuore in petto”? Forse perché parlava bene? No, perché, con le Scritture, Gesù aiuta questi discepoli a leggere in un modo diverso gli avvenimenti che hanno vissuto. La croce loro lo hanno vissuta come un fallimento, è un “buco nero” che distrugge tutte le loro speranze, stando lì vicino non è possibile sperare perché il buco nero annienta tutto, attira e distrugge, per loro è così, si sentono attirati irresistibilmente in quel fallimento che la croce significa. Ma attraverso le Scritture Gesù li aiuta a capire che «[26]Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26). “Bisognava”! Allora non è “un buco nero” la croce, al contrario è luminosissima, è il disegno di Dio che si è compiuto; non c’è altro momento nella storia dove il disegno di Dio sia realizzato così pienamente e compiutamente. E man mano che riescono a capire che le cose stanno così, l’angoscia si dissolve. Cioè, riuscire ad interpretare la propria vita alla luce del disegno di Dio, significa riuscire a capire che non siamo vittime di un destino baro e funesto, ma siamo dentro le mani di un Padre potente e misericordioso (cfr. 2 Cor 1,3), per cui «nemmeno un capello del vostro capo può cadere» (Lc 21,18) senza che lui lo sappia. Vuole dire: imparare questo e quindi ricuperare la speranza, rileggere la propria vita. Il Vangelo secondo Marco dice che Pietro ha rinnegato Gesù per tre volte (cfr. Mc 14,66-72), questo sta a significare una crisi grossa, perché le ha tentate tutte per non rinnegare, ha cercato di defilarsi, di scappare; è stato incastrato per tre volte e per tre volte non è riuscito a fare altro se non a rinnegare il Signore, dopo che aveva promesso di non rinnegarlo, anzi di essere disposto a morire anche con lui (cfr. Mc 14,30-31). Quindi gli deve essere venuta addosso una crisi grossa, perché uno che si rimangia una parola così importante, a pochi minuti di distanza, evidentemente è portato a pensare: “sono chissà che cosa?”. Il Vangelo secondo Marco descrive la conclusione dei rinnegamenti di Pietro così: «[72]Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto: Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte. E scoppiò in pianto» (Mc 14,72). “Si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto”. Questo è stupendo; vuole dire che la parola del Signore gli fa capire che il Signore lo sapeva che avrebbe fatto così; e nonostante che il Signore lo sapesse, il Signore gli ha voluto bene, e ha indicato nell’“ultima cena” il significato della sua vita data proprio per lui, per Pietro (cfr. Mc 14,22-24). A questo punto il pianto diventa il “pianto liberatore”, il riconoscimento del proprio peccato fino in fondo, fino ad essere annichiliti, ma anche il riconoscimento che il suo peccato sta dentro la conoscenza del Signore. Dicevo, “non è quel buco nero esterno che distrugge”. No, è un fatto dolorosissimo ma dentro la trama della storia dei rapporti Gesù-Pietro. In questa trama anche il rinnegamento di Pietro ci sta, perché il Signore lo sapeva da prima, da quando lo ha chiamato, da quando lui era Simone e Gesù lo ha chiamato Pietro (cfr. Gv 1,42), proprio lui che è più debole di quello che si potrebbe immaginare. No, invece lo ha chiamato proprio così: Pietro! Ma lo sapeva che lo avrebbe rinnegato, perché lo ha detto prima (cfr. Mc 14,30). Ecco, la Parola del Signore ci aiuta a leggere la nostra vita. 9 4.4. Arrivare a capire la vita come vocazione, come un essere chiamato dal Signore, significa entrare nella maturità, al discepolato Leggendo il Vangelo ci troviamo davanti a tutti quei personaggi nei quali ci riconosciamo: In Pietro, e lo credo proprio. In quell’uomo ricco che va da Gesù entusiasta: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?» (Mc 10,17); e poi, quando gli viene detto che cosa deve fare: «se ne va triste, perché aveva molti beni» (Mc 10,22). Ci ritroviamo anche in lui, nella debolezza o vigliaccheria del non essere capaci di fare una scelta decisiva per tutta la vita. In Zaccheo (cfr. Lc 19,1-10). Nella “peccatrice”, che ha bisogno della misericordia del Signore (cfr. 7,36-50). Ci riconosciamo nella parabola del “figlio prodigo” (cfr. Lc 15,11-32). C’è quel libro di Noble, di commento alla parabola del “figlio prodigo”, che dice: “Ci riconosciamo nel figlio prodigo, poi ci riconosciamo nel fratello maggiore, poi ci riconosciamo anche nel papà”, c’è u n modo di leggere la parabola anche riconoscendoci nel papà. Che cosa vuole dire tutto questo? Che noi leggiamo la nostra vita lì, e leggendo la nostra vita nella Scrittura ci rendiamo conto che il Signore ci conosce, che ci aiuta a capirci meglio, che ci aiuta a cogliere che la nostra vita è un essere chiamato. Arrivare a capire la vita come vocazione, come un essere chiamato dal Signore, significa entrare nella maturità, al discepolato: «venite dietro di me» (Mc 1,17). La Parola del Signore ci aiuta a discernere dentro di noi i sentimenti, i desideri, i progetti, le attività e a prendere le decisioni corrispondenti. 5. La maturità cristiana significa riuscire acquistare una libertà autentica La maturità cristiana, in quello che abbiamo ricordato, significa: riuscire ad avere, ad acquistare, nei confronti del mondo e di tutte le cose del mondo, una libertà autentica. Cioè, la capacità di usare le cose del mondo, ma rimanendone interiormente liberi; e mi spiego. La Scrittura ci aiuta a dare una valutazione positiva del mondo, perché è creazione di Dio, lo ha creato Dio; tutto quello che esiste è stato creato da Dio, e tutte le volte che Dio crea qualche cosa alla fine «Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,4.10.12.18.21.25); e quando ha creato tutto Dio vide che era una «cosa molto buona» (Gen 1,31). Quindi non c’è dubbio, il mondo è buono, buono per la bontà che Dio ha messo nel mondo con la sua creazione e che niente riesce a togliere – nemmeno il peccato di Adamo – questa benedizione originaria. 5.1. La maturità dei figli di Dio consiste nell’uscire dalla potenza di paura e di seduzione del mondo Per cui, se qualcuno ha una visione negativa del mondo in quanto tale, esce fuori dall’ottica biblica. Però la Bibbia ci aiuta a sapere che il mondo non è solo la creazione come Dio l’ha fatta, ma che il mondo si presenta nell’esperienza dell’uomo come “una potenza” [questa è una espressione paolina (cfr. 1 Cor 2,6.8)], cioè come una realtà che s’impone all’uomo con una forza che tende a determinare l’uomo facendogli paura o seducendolo; perché le due armi, “la carota e il bastone”, sono sempre quelle: la paura e la seduzione. Voglio dire: il mondo è una realtà bella creata da Dio, ma è una realtà che mi fa paura perché mi si impone. Il mondo non l’ho creato sulla mia misura, il mondo l’ho trovato già fatto, e non è proporzionato ai miei desideri e alle mie speranze. In certe cose il mondo mi aiuta, per esempio mi dà da mangiare; ma in certe cose il mondo m’impaurisce, perché mi sbatte addosso dei virus che io non vorrei, e in ultima analisi so che in questo mondo un giorno mi schiaccerà. 10 Allora, è inevitabile che io percepisca il mondo come una potenza da cui mi devo guardare: mi può fare del bene ma mi può fare del male. È come qualche cosa che mi può schiacciare quando vuole, non ci vuole molto al mondo per schiacciare quel “piccolo animaletto che sono io”, dal punto di vista biologico. Dall’altra parte non c’è dubbio, proprio perché il mondo mi fa paura, diventa anche attraente; perché tutto quello che il mondo mi può dare per riempire la mia vita – che è così debole e fragile ed effimera, che dura poco tempo – e diventi più bella o gioiosa o gradevole, acquista un fascino irresistibile. Come faccio a resistere alle promesse del mondo, se vivrò in questo mondo per pochi anni ancora? Se ho pochissimo tempo? Allora, debbo riempire la mia vita, la devo colmare quanto più è possibile. Allora, le gioie e le soddisfazioni che il mondo mi offre, perché il mondo di possibilità ne ha tante, diventano attraenti per me. Ora, tutto questo significa che il mondo è anche potenza, una realtà grande. Cioè non è semplicemente la creazione, con gli alberi, gli uccelli, i fiori, i pianeti… È tutto questo ma è una realtà di forza che impaurisce e seduce. E tutto questo perché “impaurisce e seduce”? È a motivo della condizione dell’uomo; siamo noi che facciamo essere potenza il mondo. “Siamo noi” perché siccome non abbiamo una fiducia piena in Dio, abbiamo il bisogno di difendere ad ogni costo la nostra vita. È l’attaccamento alla nostra vita che trasforma il mondo in potenza, che lo rende così forte da impaurirci o da sedurci. Ebbene, la maturità dei figli di Dio consiste nel fatto di uscire da questa tenaglia di paura e di seduzione, e di riuscire a rimanere nel mondo senza essere determinati dal mondo. 5.2.La maturità cristiana è imparare la vita nel mondo come una vita libera Questo in concreto vuole dire: Quando un cristiano riesce a non lasciarsi prendere dalla dinamica del potere – perché ha fatto della sua vita una decisione di servizio, e quindi la logica del potere non lo attrae, o meglio non lo seduce –, diventa una persona libera. Quando il cristiano riesce a trasformare il sesso in realtà di amore e di fedeltà, quella potenza grande che è la sessualità, dal punto di vista biologico e umano, questa è liberata e trasformata in valore umano, è trasfigurata in valore di libertà e di dono. Quando il cristiano tenta di mettere al centro della sua vita la logica della solidarietà e del dono, allora quel grande potere del mondo, che è l’avere le cose e i soldi e tutte le altre cose che ci vanno dietro, sono esorcizzate, non sono più una potenza che domina la vita dell’uomo e che dice all’uomo quello che l’uomo deve fare e non deve fare, ma sono diventati strumenti di dono, di comunicazione con gli altri. Insomma, tutto questo significa: imparare la vita nel mondo come una vita libera; e la maturità cristiana è questa libertà. 5.3. La libertà del cristiano si esprime nella capacità di trasformare tutta la sua vita in «sacrificio vivente e santo gradito a Dio» L’ultimo passo, è che questa libertà del cristiano si esprime nella capacità di trasformare la sua vita, e tutta la sua vita in «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1). Nella prima Lettera di Pietro – in quel testo prezioso in cui si parla anche del «sacerdozio regale» dei battezzati (1 Pt 2,9) – si dice: «[4]Stringendovi a lui (Cristo), pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, [5]anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2,4-5). 11 Allora, voi siete sacerdoti della storia del mondo, voi potete trasformare la storia e il mondo in realtà offerta a Dio. “Realtà offerta a Dio” vuole dire: realtà perfetta. Quello che piace a Dio deve essere proprio bello e santo, a Dio piace la santità. Ebbene, voi avete la possibilità di trasformare il mondo e la storia in santità, quindi il lavoro, la tecnica, la poesia… Tutto in questo è il vostro sacerdozio, è quel «sacerdozio regale» che avete in quanto battezzati (cfr. Ap 1,6). Il mondo non è solo una cosa, nelle vostre mani può diventare luogo dove la bellezza e l’amore di Dio si manifesta. Se siete dei bravi sacerdoti le pietre possono avere dentro di sé un’anima di amore e di servizio, se siete capaci di animare tutto quello che toccate con un’intenzione di vita che sia del piacere a Dio, che è l’intenzione dell’amore fraterno e della reciprocità del dono. La liturgia è una dimensione parziale della vita del cristiano, ma che deve aiutarla ad animare tutto liturgicamente. In fondo tutto dovrebbe diventare liturgia, e tutto diventerà liturgia nella Gerusalemme celeste; nell’Apocalisse noi viviamo lodando e benedicendo Dio, tutto il mondo e la storia diventa lode e benedizione di Dio (cfr. Ap 5,12-13). Capite che trasformare la storia in lode e benedizione di Dio è un lavoro grosso, perché a leggere i giornali non sembra che la storia lodi e benedica molto Dio; è una trasformazione profonda di comportamenti e di atteggiamenti. Ebbene, siete sacerdoti per questo e la vostra maturità è in questo. 1-5. Riassunto dello schema Allora abbiamo finito lo schema. Il discorso era: che tipo di itinerario di maturità ci offre la Scrittura? Abbiamo detto che fondamentalmente è di: 0. assumere la figura di Gesù Cristo, che vuole dire: 1. vivere davanti a Dio come figli, con la fiducia e l’obbedienza di figli; 2. andare dietro a Gesù come discepoli, accogliendo il cammino del suo esempio; 3. partecipando alla sua esperienza di dono di sé, che significa lasciarsi guidare normalmente dall’impulso dello Spirito come impulso di amore. Quando questo avviene il cristiano trasforma la sua vita secondo alcune logiche fondamentali che sono: 4. Innanzitutto interpreta la sua vita a partire dal disegno di Dio, quindi la interpreta subito come vocazione, come chiamata, come un Dio che mi chiama, che mi dà una vita chiamando. 5. Poi vive in questo mondo con la libertà di chi non è servo del mondo ma padrone del mondo. Trasforma il mondo perché possa diventare offerta gradita a Dio. La Bibbia ci introduce in questo cammino di maturità. 6. I modi concreti della lettura della Bibbia A questo punto ci rimane da dire quali sono i modi concreti della lettura della Bibbia. E le dico brevissimamente sulle cose che a mio parere sono le più importanti. Diventa necessario che i cristiani e le comunità cristiane abbiano un rapporto costante con il Libro della Bibbia. Come? 6.1.Una lettura continua della Bibbia per avere una visione globale della storia e della vita biblica Innanzitutto con la lettura continua, cioè con la lettura della Bibbia intera dall’inizio alla fine, dal Libro della Genesi al Libro dell’Apocalisse. Questa è la base di tutto, non c’è altro modo, perché tutte le altre forme di lettura della Bibbia in un modo o nell’altro suppongono questo. Solo 12 leggendola tutta dall’inizio alla fine con costanza, con pazienza, con perseveranza, pian piano uno assume la mentalità della Bibbia e ha una visione globale della Scrittura. Per cui quando si trova davanti ad un testo sa in qualche modo come collocarlo (per esempio sa che cosa vuole dire il Libro di Giobbe, o sa che il cap. 7 di Isaia sta più o meno in quella posizione della storia di Israele in cui il re Acaz…), cioè incomincia ad avere un disegno organico. Altrimenti stare solo sui pezzettini isolati, si è bello (dopo ci torneremo), però rischia di farci perdere l’orientamento facilmente; cioè se uno non ha chiaro l’orizzonte è difficile che sappia dov’è; è l’orizzonte che mi dice le coordinate della mia collocazione. Allora questo discorso per potere avere una visione globale della storia e della vita biblica credo sia fondamentale. Questo discorso della lettura continua si collega con tutta una serie di strumenti che adesso abbiamo, perché ci sono films, cassette e video cassette… Anche con tutte le rappresentazioni d’arte, perché l’arte Occidentale in stragrande maggioranza è biblica, cioè fa riferimento ai testi o agli avvenimenti della Scrittura. Allora si tratta di valorizzare tutte queste dimensioni diverse della nostra esperienza in cui il contatto della Bibbia può diventare continuo. Esiste anche un calandarietto che offre una lettura continua della Bibbia in quattro anni. In quattro anni si legge tutto l’A.T. una volta, e tutto il N.T. due volte, e tutti i giorni si legge un capitolo. Questa è un a “lettura corsiva” in cui non ci si ferma a tutte le parole, si legge come si legge un libro, ma dicevo, questa lettura deve rimanere costante. Richiede evidentemente anche nei Programmi Pastorali la presentazione dei Libri della Bibbia, ma non tanto la presentazione storica-critica, che a me interessa relativamente. “La presentazione storica-critica” vuole dire: sapere quando è stato scritto questo libro? Chi lo ha scritto? Se ci sono state delle aggiunte? Se ci sono stati dei successivi autori? Queste sono cose importanti, ma la più importante è la “traccia di lettura”, per dire: questo libro è costruito così, parte così, continua e arriva a questa conclusione. Per esempio, questo libro ha come testi fondamentali il cap. 3 o il cap. 12, e i temi che voi ci trovate sono quelli della Provvidenza di Dio o della sofferenza dell’uomo o della lode… Cioè sviluppare questo. E questo bisogna che nei Programmi Pastorali (poco o tanto, dipende dalle U. P) però ci entri. Così come nella catechesi esiste anche un librettino dell’Ufficio Catechistico nazionale e della CEI di introduzione alla Bibbia, un libretto piccolo di un centinaio di pagine intitolato “Incontro alla Bibbia”. Che può servire, perché è un’introduzione semplice, però i dati fondamentali generali sulla Scrittura ci sono. Evidentemente sarebbe simpatico se ci fosse un gruppetto di persone, preti e laici, che fossero disponibili a fare questi incontri, a spiegare un Libro o l’altro. Ci vuole una preparazione e bisognerà farla, però una piccola equipe diocesana di questo genere ci starebbe bene. 6.2. La Lectio divina La Lectio divina. Che è la lettura della Bibbia in un contesto di preghiera. E non c’è dubbio che tra i tanti modi di leggere la Bibbia è forse il più fruttuoso in concreto, perché è quello che personalmente coinvolge di più. Di per sé è più efficace la proclamazione della Liturgia, il massimo di attuazione della Parola di Dio è la Liturgia, l’Eucaristia, su questo non c’è dubbio. Però in concreto per la singola persona molte volte è la Lectio divina che va più in profondità, perché è fatta con tempo e pazienza, è creativa, ciascuno la deve costruire lui stesso per sé, la deve trasformare lui in dialogo con il Signore in preghiera. Quindi, è preziosissima, e credo sia uno dei punti fondamentali. Infatti, nel Programma Pastorale è stato messo l’insistenza sulla Lectio divina. Notate solo una cosa: che non è facile. La Lectio divina è uno dei modi della preghiera personale e anche mentale, e come tutti questi modi e metodi sono preziosissimi ma non sono facilissimi. Il Card. Martini nel suo ministero ha cercato in tutti i modi di chiarire il concetto di Lectio divina e di semplificarne i passi della tradizione monastica; ed esiste anche un suo libro intitolato “La pratica del testo biblico” nel quale ha raccolto più di una trentina di esempi di Lectio divina, con tutte le 13 scansioni (la Lectio divina si comincia così, ecc). Lui distingue otto passi nella preghiera della Lectio che sono: la lettura, la meditazione, la contemplazione, la preghiera, la consolazione, il discernimento, la decisione e l’azione. Perché il discorso della Lectio, è di fare un ponte che porta dall’incontro con la Bibbia al comportamento concreto, all’atio. Questo “ponte è fatto di otto piloni” e sono quelli che abbiamo ricordato. Allora, proprio perché non è facile, serve una Scuola dove questo metodo sia insegnato con pazienza e determinazione. 6.3. I Gruppi di Ascolto I Gruppi di Ascolto (G.A.), non ci sto sopra molto perché ne abbiamo già parlato tantissime volte. Sono preziosissimi soprattutto se riescono o vanno nella direzione del creare tra i partecipanti un legame di fraternità; per cui le persone che partecipano ad un G.A. non è che partecipano e poi dopo vanno a casa e ciascuno sta per conto suo. Ma imparano a conoscersi, si scambiano le loro esperienze di fede, con discrezione, come bisogna sempre fare per le cose del Signore, però con libertà e con fiducia gli uni nei confronti degli altri; pregano e dialogano insieme e se è possibile continuano aiutandosi nella vita di tutti i giorni in quello di cui possono avere bisogno o perlomeno incontrandosi nella vita di tutti i giorni. Quando i G.A. vanno verso questo traguardo sono preziosissimi perché rinnovano la parrocchia, la riempiono di piccoli nuclei vivi di fede. La parrocchia diventa molto più ricca e molto più animata. Però anche questi non sono facili perché c’è il rischio di ripetere sempre le stesse cose. Perché dire che “Dio ci vuole bene e ci dobbiamo volere bene gli uni e gli altri”, sono quelle cose che gira e ti rigira vengono fuori in tutti i brani del Vangelo. Allora a forza di ripetere le stesse cose uno dopo un po’ si fiacca e dice: “Omai le so, è vero che devo ancora praticarle ma per saperle le so”. L’unico modo per venirne fuori è invece che l’attenzione al testo sia puntuale, perché ogni testo è diverso dagli altri. Allora quando si fa un G.A. bisogna riuscire a fare emergere la ricchezza e la bellezza di un brano, riuscire fare vedere che una parabola è diversa dall’altra, e non girare sul mondo intero ma stando sul testo del Vangelo, altrimenti si dicono sempre le stesse cose, mentre se si sta sul testo vieni sempre fuori qualche cosa di nuovo. Per questo non c’è dubbio che i G.A. funzionano se ci sono degli animatori preparati, che il testo lo hanno meditato e studiato prima, che lo sanno presentare brevemente a tutti perché si capisca che cosa c’è, e sanno accompagnare la discussione perché stia sul tema e non diventi un confronto di opinioni o un conflitto di interpretazioni come tante volte può avvenire. Questa conoscenza “precisa” del testo, non vuole dire “complicata”; lasciamo agli esegeti gli approfondimenti filologici o queste cose qui… Però è bene sapere una “conoscenza precisa” per dire: questa frase ha un significato concreto; la parafrasi sia corretta, che non si faccia dire una cosa per l’altra; altrimenti può anche darsi che venga fuori delle cose geniali ma non la Parola di Dio, e questo è il pasticcio. 6.4. La Liturgia della Parola Sulla Liturgia della Parola, l’ho accennato ma non lo posso evidentemente affermare adesso. Però se voi pensate che la Parola di Dio è non solo una parola o un’idea, ma una energia divina che opera nella vita degli uomini, allora non è difficile capire che questa energia è massima proprio nell’Eucaristia, perché lì c’è la rivelazione dell’amore di Dio nella vita del Signore donato, ed è come una parola che accompagna un gesto di amore grandissimo. Allora non c’è dubbio che anche la parola più piccola acquista un significato e una forza immensa, quando è legata ad un’azione di dono significativa e rivelatrice. Allora, sulla liturgia della Parola ancora bisognerebbe insistere e lavorare molto. 14 6.5. Facciamo una scommessa sulla Parola di Dio Tutto questo vuole dire che abbiamo un “campo grosso da arare” e io sarei anche disposto a scommettere sulla Parola di Dio, cioè a prendere il riferimento alla Parola di Dio come il punto centrale di tutto il cammino che tentiamo di fare come Chiesa. Però se facciamo questa scommessa bisogna che la facciamo insieme, cioè bisogna che lo faccia il Vescovo, tutto il Presbiterio e la facciano anche i laici, i religiosi, le religiose, i diaconi e i catechisti, cioè che ci sia in questo una consonanza. Questa è una specie di piccola provocazione. La facciamo o non la facciamo la scommessa sulla Parola di Dio? Sulla fecondità e la centralità di questa Parola nel cammino pastorale? Ma non pigliatela troppo facile il discorso di fare la scommessa! Perché, altrimenti significa che la pigliamo solo mentalmente. Il problema è di pensare tutte le conseguenze che questo avrebbe e la disponibilità a prendere anche tutte le conseguenze. Perché non è solo questione di scelta, il problema delle scelte non sono le scelte che si fanno, sono le conseguenze che si subiscono e accompagnano le scelte. * Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore. 15