Comunicato stampa 10 luglio 2008 Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali LEGGE 40: IL SOTTOSEGRETARIO EUGENIA ROCCELLA FORMULA UN QUESITO AL CSS “Le linee guida della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA) firmate dall’ex Ministro della Salute Livia Turco hanno generato una confusione interpretativa fra gli operatori del settore e fra le coppie che intendono ricorrere a queste tecniche. In particolare, non è chiara la modalità con cui dovrebbe essere accertato lo stato di salute degli embrioni: l’eliminazione del riferimento alla diagnosi osservazionale (contenuta invece nel testo precedente, quello a firma dell’ex Ministro Sirchia) è stata interpretata dai più come un via libera alla diagnosi preimpianto; d’altra parte, invece, c’è anche chi ritiene che il nuovo testo vieti qualsiasi indagine diagnostica. E’ altrettanto vero che nonostante la sentenza del Tar Lazio e le ambiguità delle nuove linee guida, nessun centro di PMA in Italia ha finora eseguito diagnosi preimpianto, poiché il limite massimo dei tre embrioni da trasferire contemporaneamente in utero non consente, nei fatti, un’applicazione efficace di questa tecnica. Per risolvere ogni dubbio sulle modalità di attuazione della legge, ho ritenuto opportuno formulare un quesito al Consiglio Superiore di Sanità che chiarisca le due criticità presenti nelle nuove linee guida della legge 40: la prima riguarda, appunto, la quantità di materiale genetico embrionale necessaria per l’indagine preimpianto; la seconda è sulla effettiva percentuale di successo delle gravidanze a seguito del prelievo di una o due cellule dell’embrione. Ritengo che il parere espresso da un organismo scientifico autorevole quale il CSS potrà aiutare a fare chiarezza sulle eventuali conseguenze della diagnosi e dello screening preimpianto e fornire indicazioni utili agli operatori e alle coppie interessate per una corretta modalità di attuazione della legge 40”. Qui di seguito il testo della lettera inviata dal Sottosegretario Eugenia Roccella al Presidente del Consiglio Superiore di Sanità. Caro Presidente, lo scenario emerso a seguito dell’applicazione delle tecniche di PMA risulta ancora molto eterogeneo e tale da suggerire l’opportunità di ulteriori e più incisive azioni di prevenzione delle cause di infertilità, avvalendosi anche di specifiche campagne informative. A quattro anni dall’applicazione della legge 40 ed in considerazione della pregevole e metodologicamente rigorosa analisi condotta dall’Istituto Superiore di Sanità sull’attività delle strutture autorizzate all’effettuazione delle tecniche PMA, presentata al Parlamento nel 2007 dal Ministro della Salute, è necessario che, con identico rigore e competenza si continui ad analizzare l’outcome dei protocolli di PMA, al fine di assicurare alle coppie la migliore efficacia e sicurezza delle tecniche stesse, salvaguardando, al contempo, i principi ispiratori della legge, che sono la tutela della salute della donna e la tutela dell’embrione. In questa ottica, dati recenti della letteratura sembrano dimostrare che le procedure di diagnostica di preimpianto, PDG (Preimplantation Genetic Diagnosis) e PGS (Preimplantation Genetic Screening), entrambe basate sulla biopsia dell’embrione ai primi stati di sviluppo, presentano due criticità fondamentali, quali: 1) l’esigua quantità di materiale genetico embrionale disponibile per l’indagine e 2) l’effettiva percentuale di successo delle gravidanze a seguito del prelievo di una o due cellule dell’embrione. Alla luce di queste osservazione, ho ritenuto opportuno coinvolgere il Consesso da Lei presieduto, per acquisirne, in sintonia con le conoscenze scientifiche e le evidenze ad oggi dimostrate, autorevole parere, volto a rilevare se e in che modo l’esito dei protocolli di PMA possa risultare modificato dalla PGD e dalla PGS qualora impiegate, rispettivamente, per la diagnosi delle malattie genetiche e per lo screening delle anomalie cromosomiche dell’embrione.