GESTIONE DEI PROBLEMI PROSTATICI.

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Gestione dei Problemi Prostatici
Key words: Prostata, Terapia, Decisione Clinica
L'ipertrofia Prostatica Benigna (IPB) e il cancro della Prostata (CaP) sono tra le principali cause
di morbilità negli uomini anziani. La loro gestione, nell'ambito delle cure primarie, si è evoluta
considerevolmente in questi ultimi anni grazie a strategie diagnostico-terapeutiche
particolarmente efficaci. Nella IPB, la terapia medica ha modificato l'approccio congiuntamente
all'evoluzione della chirurga prostatica. Lo screening del PSA ha cambiato radicalmente la
gestione del cancro della prostata e il riscontro, sempre più frequente, di una malattia locale ha
favorito diffusione di tecniche innovative di chirurgia e di radioterapia. In soggetti selezionati
con CaP sempre di più la vigile attesa o la sorveglianza attiva sono considerate opzioni
praticabili. Infatti oggi i quesiti aperti dalla diffusione dello screening del CaP sono: a chi,
quando e che cosa fare. Una recente revisione della letteratura scientifica pubblicata sul
International Journal of Clinical Practice ha cercato di fornire risposte utili al MMG per la
gestione di questi problemi di patologia prostatica.
Ipertrofia Prostatica Benigna
L'IPB colpisce circa il 50% degli uomini di età >50 anni e il 90% di quelli >80 anni ne sono
affetti. Può dar luogo a sintomi fastidiosi delle basse vie urinarie (minzione frequente, urgenza
urinaria, nicturia, flusso urinario debole o intermittente, svuotamento incompleto della vescica)
con possibilità di arrivare alla ritenzione acuta urinaria (RAU). Evento associato ad un aumentato
rischio di infezioni ricorrenti delle vie urinarie, calcoli della vescica e, occasionalmente,
insufficienza renale. Le opzioni di trattamento sono diverse e vanno dall'utilizzo di farmaci, a
terapie minimamente invasive, fino alla chirurgia tradizionale della prostata. Il paziente con IPB
può avere diversi sintomi, ma si preoccuperà essenzialmente solo per uno di questi. Nella
maggior parte dei casi l'ipotesi neoplastica potrà essere scartata eseguendo un'esplorazione rettale
(DRE), il dosaggio del PSA e un esame delle urine. Se questi esami sono normali la probabilità
di trovarsi di fronte ad una IPB è elevata, in particolare in soggetti >50 anni. L'associazione di
PSA elevato associata a un nodulo prostatico evidenziabile alla DRE orientano verso il CaP.
Un'ematuria microscopica con sintomi urinari può essere indicativa di cancro della vescica o
della prostata. Il riscontro di un residuo post-minzionale >300 ml può servire ad identificare un
soggetto con IPB ad alto rischio di ritenzione e con indicazione chirurgica. Diversi trial clinici
hanno dimostrato che il rischio di progressione dell'IPB aumenta con l'aumentare del volume
prostatico. Il PSA può essere usato come un surrogato della misura del volume prostatico e un
valore di 1,5 ng/ml correla con un volume prostatico di ~30 g.
I farmaci rappresentano il trattamento di prima linea in soggetti con sintomi da IPB. Le due
classi di farmaci disponibili sono gli α bloccanti e gli inibitori della 5-α-reduttasi. I primi, agendo
sulla muscolatura liscia di vescica e uretra prostatica, riducono il tono muscolare e rapidamente
aumentando il lume prostatico facilitando la minzione. I secondi riducono il tessuto iperplastico
bloccando la conversione del testosterone in diidrotestosterone, l'androgeno prostatico più
importante. Questo meccanismo riduce progressivamente, ma lentamente, l'ostruzione dello
sbocco vescicale in uretra, con risoluzione dei sintomi in 6-12 mesi. Diversi studi hanno
dimostrato una diversa interferenza di questi farmaci sul rischio di ritenzione e la necessità di
indicazione chirurgica. Quelli relativi agli α bloccanti non hanno dimostrato una modifica degli
esiti, che invece era riscontrabile negli studi con gli inibitori della 5-α-reduttasi, che in soggetti
con prostata di volume >30 ml erano superiori agli α bloccanti anche sui sintomi. La terapia di
combinazione sfrutta la sinergia di azione delle due classi e i risultati dell'associazione sono
superiori alla monoterapia. La terapia chirurgica è da prendere in considerazione in quei soggetti
che non tollerano i farmaci per scarsa risposta sui sintomi o effetti collaterali dipendenti dalla
terapia cronica. Le opzioni minimamente invasive includono l'ablazione con ago transuretrale
(TUNA) e la terapia trans uretrale a micro-onde (TUMT), che offrono il vantaggio di avere
minimi effetti collaterali nel tempo con miglioramento dei sintomi in soggetti appropriatamente
selezionati. Il gold standard chirurgico nel trattamento della IPB rimane la resezione trans
uretrale (TURP), ma le comorbidità associate (es. sanguinamento, iponatriemia) orientano verso
metodi alternativi. In alternativa sono state impiegate diverse tecnologie laser, come il laser a
Holmio (HoLEP) con esiti simili alla TURP. In parallelo si sono sviluppate tecniche di
vaporizzazione foto selettiva (PVP) con laser in grado di produrre energia di 532 nm assorbita
dall'emoglobina, in grado di portare alla vaporizzazione il tessuto prostatico con la coagulazione
dell'area sottostante. Questa tecnica è indicata in soggetti in terapia anticoagulante o
antiaggregante piastrinica. L'efficacia a lungo termine delle tecniche laser non è ben definita,
mentre per tutte le modalità di intervento esiste una probabilità variabile (50-90%) di
eiaculazione retrograda e minima (1%) di disfunzione erettile.
Cancro della Prostata
E' una neoplasia con un ampio spettro biologico di presentazione. Il problema per il medico è
saper identificare e curare le forme aggressive senza sovra-trattare i casi a decorso indolente. Lo
screening di popolazione con PSA è stato proposto come mezzo per ridurre la morbilità e
mortalità correlata a CaP. Il dosaggio del PSA, proteasi serica che svolge un ruolo nella
liquefazione seminale con altre funzioni nei meccanismi riproduttivi, dall'inizio degli anni '80 ha
progressivamente guadagnato un ruolo nello screening del CaP spostando lo stadio dei tumori
diagnosticati verso forme locali di CaP. Diversi medici considerano valori di PSA <4 ng/ml
normali, ma l'evidenza orienta a un'interpretazione personalizzata dei valori di PSA. Un grande
trial (The Cancer Prevention Trial) ha dimostrato una prevalenza di CaP del 15,2% in un gruppo
di soggetti con PSA <4,0 ng/ml e di questi il 14,9% aveva un CaP con Gleason >7, con elevato
rischio di progressione della neoplasia. Questi dati impongono al clinico pratico attenzione nel
considerare il cutoff del PSA a 4,0 ng/ml indistintamente per tutti i pazienti. Un'analisi ha
definito dei range di PSA variabili rispetto all'età, con l'intento do migliorare la detection rate di
CaP nel paziente giovane e la riduzione di biopsie inutili nei soggetti anziani. Il PSA velocity
(PSAV) è un altro paramero che viene considerato in aggiunta allo screening convenzionale. In
pazienti di età <60 anni una PSAV >0.35 ng/ml/anno serve a discriminare i soggetti eleggibili
alla biopsia. Il dato estrapolato dalla valutazione degli ultimi 3 valori di PSA intervallati fra loro
di 3-4 mesi. E' stato dimostrato che un PSAV >0,75 ng/ml/anno può fornire un vantaggio per la
diagnosi delle forme più aggressive di CaP in soggetti >60 anni. La maggior parte del PSA
circolante è legato a proteine e questo legame è in relazione al processo proteolitico del PSA
nativo che è ridotto nel CaP. Pertanto in caso di neoplasia la frazione libera di PSA circolante è
ridotta. Un PSA libero >25% in un soggetto con PSA totale fra 4 e 10 ng/ml significa un rischio
del 8% di sviluppare un CaP; in un paziente simile, ma con un PSA libero <10% il rischio di CaP
sale al 56%.
Inoltre un basso livello di PSA libero identifica un'alta probabilità prognostica di eventi avversi
correlati alla prostatectomia radicale. Il PSA libero è anche utile per definire la necessità di
ripetere la biopsia dopo un risultato iniziale negativo ed è un esame, in aggiunta al PSA totale,
probabilmente più utile all'urologo che al MMG.
Diversi fattori concorrono a modificare il PSA. Tra questi la terapia con inibitori della
5-α-reduttasi, che riduce la concentrazione serica fino al 50% entro 12 mesi dall'inizio della
terapia. Le infezioni, il cateterismo vescicale e le procedure transuretrali endoscopiche sono in
grado di alterare il dato, mentre non sono univoci i pareri circa l'influenza dell'eiaculazione,
anche se è consigliabile eseguire il test del PSA dopo 24-36 ore.
La massima efficacia per la diagnosi precoce del CaP nasce dalla combinazione del PSA con la
DRE. Ci sono evidenze che suggeriscono come lo screening con solo PSA ignori il 17% dei CaP
se il cutoff per la biopsia è 4 ng/ml.
Considerando che il CaP è una condizione altamente prevalente, gli esiti possono essere migliori
con la diagnosi precoce. Anche se due grandi studi clinici sono stati recentemente pubblicati a
supporto, lo screening di popolazione è ancora considerato controverso, in quanto espone i
pazienti a rischi, incluse le complicanze rare, ma serie della biopsia o la morbidità secondaria al
trattamento del CaP. L'assenza di un inequivocabile beneficio dello screening di popolazione
sulla sopravvivenza per CaP non permette alle linee guida di raccomandare lo screening ed
esplicitamente lo sconsiglia nei soggetti >75 anni. Il MMG se tiene conto di età, razza, storia
familiare, PSA e sua cinetica, potrà fornire al paziente elementi utili per una decisione che alla
fine rimane solo sua.
La sfida terapeutica nella gestione del CaP è tutta centrata sulla decisione di che trattamento fare
e quando farlo. La biopsia ci offre informazioni sul grado della neoplasia, ma può sottostimarla
nel caso venga ignorata un'area ad alto grado. Esistono vari protocolli per identificare i casi a
basso rischio in cui è indicata la sorveglianza attiva. In questi soggetti, per ovviare alla
sottostadiazione, vengono eseguite biopsie ripetute nel tempo, con monitoraggio di PSA e DRE.
Se la malattia è in progressione (per incremento di PSA o PSAV, o riconoscimento di un alto
grado alla biopsia) è indicata la terapia. La sorveglianza attiva si distingue dalla "vigile attesa"
che viene proposta a uomini con aspettativa di vita limitata o gravi comorbidità monitorizzando
l'emergenza di problemi di estensione locale o malattia metastatica.
Il CaP localizzato è trattato con la chirurgia o la radioterapia. La prostatectomia radicale retro
pubica ha un eccellente esito oncologico con incontinenza nel 10% e un risparmio della funzione
sessuale nel 50-60% dei casi. Gli esiti delle tecniche robot-assistite non sono attualmente
valutabili nel lungo termine. La radioterapia è diventata più efficace e meglio tollerata per
tecniche più sofisticate nella definizione del campo di irradiazione con esclusione di vescica e
intestino. In soggetti ad alto rischio si migliorano gli esiti con l'associazione alla radioterapia
dell'ablazione degli androgeni. Le terapie emergenti con ultrasuoni focali ad alta intensità
(HIFU) e la crioterapia sono interessanti per la scarsa invasività. Si attendono miglioramenti
tecnici in grado di ridurre le complicanze locali come la fistola uretrale.
In conclusione, se si considera l'invecchiamento della popolazione del mondo industrializzato, è
probabile che i MMG vedranno un numero sempre più crescente di uomini con IPB o CaP, nei
quali sarà utile una gestione in stretta collaborazione con gli urologi per formulare un corretto
giudizio clinico su significato, modalità e timing di diagnosi e trattamento.
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