RTF - Biblioteca Italiana per i Ciechi

Luglio-Settembre 2007 n. 3
Anno XXI
Quaderni di Minimondo
Rivista culturale Braille
Periodico trimestrale
Fascicolo II
Direzione Redazione Amministrazione
Biblioteca Italiana per i Ciechi
20052 Monza - Casella postale 285
c.c.p. 853200 - tel. 039/28.32.71
e-mail: [email protected]
Dir. Resp. Pietro Piscitelli
Comitato di redazione:
Massimiliano Cattani,
Antonietta Fiore,
Ilaria De Cristofaro
Pietro Piscitelli (Responsabile)
Copia in omaggio
Stampato in Braille
a cura della
Biblioteca Italiana per i Ciechi
via G. Ferrari, 5/a
20052 Monza
Sommario
Marco Cadioli:
Second Life, per rifarsi una vita (digitale)
(«Vita e Pensiero» n.2/07)
Stefano Cagliano,
Mauro Miselli:
Il danno da farmaci
(«Le Scienze» n. 467/07)
Nicoletta Beschin,
Sergio Della Sala:
Sembra lei ma non è lei
(«Psicologia contemporanea» n. 202/07)
Edoardo Patriarca:
Scoutismo: cent'anni ma non li dimostra
(«Vita e Pensiero» n. 3/07)
Second Life, per rifarsi una vita (digitale)
- È nato su Internet un intero mondo, che però
non esiste. Mentre milioni di persone sviluppano
una nuova, impalpabile identità, e aziende e
politici raddoppiano mercati e bacino elettorale,
come cambia il rapporto tra reale e virtuale? Si è creduto per un po' che fosse un gioco, chi
ci entrava era guardato con sospetto e ironia.
C'erano già altri mondi virtuali on line, i Mmorpg
(Massive Multiplayer Online Role Playing Game), i
giochi di ruolo dove ci si incontrava per spararsi
in scenari di guerra o per vivere avventure
fantastiche tra fate, draghi, alleanze e
guerrieri. Ma questo come gioco appariva da subito
qualcosa di diverso, non c'era niente da fare, non
una missione da compiere, non un anello da
cercare. E poi era vuoto. Una terra vuota dove si
aggiravano personaggi che stavano inventando
qualcosa. Era il 2003, la preistoria di questo
mondo.
Oggi Second Life (SL) è il mondo virtuale più
chiacchierato dai media e coccolato dall'arte - e
interessa al business. È un mondo 3D on line
completamente immaginato e costruito dai suoi
residenti, come dicono nel sito ufficiale
(www.secondlife.com).
Il numero dei residenti, come vengono chiamati
gli abitanti di SL, ha avuto una crescita
impressionante in questi ultimi mesi. Mentre ci è
voluto tutto il 2005 per passare da 20.000 a
100.000 iscritti, nell'ottobre 2006, dopo
l'annuncio dell'entrata dell'agenzia Reuters che
ha fatto fare il giro del mondo alle news su SL,
gli account sono schizzati a 1.000.000 e, quattro
mesi dopo, sul blog SL Insider
(www.secondlifeinsider.com) si stava seguendo in
diretta il raggiungimento dei 4 milioni, previsto
in tarda mattinata, con un ritmo di crescita di
decine di migliaia di utenti al giorno. Anche in
Italia il fenomeno sta esplodendo e in questi
giorni si incontrano moltissimi nuovi arrivati che
si guardano attorno spaesati cercando qualcuno che
parli la loro lingua. Va precisato che il numero
degli iscritti non corrisponde al numero di chi
frequenta SL con regolarità, c'è anche chi è
entrato una volta per curiosità e non ci ha più
messo piede. Ma si conta che almeno il 10% del
totale sia veramente attivo, di età media 33 anni,
57% uomini, 43% donne.
Un'idea per re-inventare il web
La grande idea alla base di tutto il progetto è
stata quella di lasciar liberi di agire gli utenti
senza dar loro un mondo preconfezionato e un
ambiente fantastico definito, ma fornendo gli
strumenti per poter creare il mondo stesso.
Philip Rosedale guida la Linden Lab, la società
con base a San Francisco produttrice del software
che gestisce l'intero pianeta Second Life.
Rosedale, nato a San Diego nel 1968, ha cominciato
a lavorare al sogno di costruire ambienti di
realtà virtuale già nel 1999 e sostiene di non
aver creato SL per essere un gioco, ma per reinventare la rete e mettere in contatto più
persone possibili in una nuova forma di social
network. Dichiara anche di essersi ispirato per
questo al romanzo di sci-fiction di Neal
Stephenson Snow Crash, che si svolge tra il mondo
reale e uno spazio on line iper-realistico
chiamato The Metaverse. Tra gli investitori che
hanno creduto nel progetto di Rosedale vi sono il
fondatore di Amazon, Jeff Bezos, e il fondatore di
e$Bay, Pierre Omidyar di Omidyar Network.
La possibilità di costruire autonomamente e la
libertà di interpretare il proprio ruolo senza
schemi stabiliti hanno portato al fiorire di
attività di ogni tipo, imprevedibili a priori e
nate dalla rete di collaborazioni che si
stabilisce nella comunità dei residenti. Il
paesaggio è in continuo mutamento e c'è il clima
di un cantiere permanente. Si aprono sedi di
società, di università, centri commerciali, ci
sono decine di dibattiti ogni sera, concerti,
presentazioni in anteprima di film e libri.
Ciascuno detiene i diritti e la proprietà degli
oggetti che crea e questo ha spinto migliaia di
persone a mettere a disposizione del tempo per
programmare e costruire in un progetto di sviluppo
collaborativo che sino a ora è stato libero e non
coordinato, come nella costruzione del web.
La moneta e l'accesso
C'è anche un'economia interna, basata sul Linden
Dollar (L$) che viene cambiato a circa 270 a uno
sul dollaro americano. All'interno di SL ci sono
bancomat dove è possibile cambiare Linden
direttamente dal proprio conto corrente con la
carta di credito e i Linden guadagnati in SL
possono essere riconvertiti in dollari reali.
Questo meccanismo ha messo in moto una vera
economia, con scambi per 5 milioni di dollari Usa
nel gennaio 2007, di cui si sono occupati studiosi
come Edward Castronova e testate come il «Business
Week», che ha dedicato una cover story ad Anshe
Chung, la cinese che ha guadagnato un milione di
dollari comprando e vendendo terreni.
Per entrare in SL si deve scaricare e installare
un programma che elabora sulla propria macchina i
dati che provengono dai server che si trovano
presso Linden Lab e li visualizza come uno spazio
tridimensionale sul nostro monitor permettendoci
di vedere anche gli altri utenti connessi in quel
momento.
Bisogna poi registrarsi, gratuitamente,
scegliendo un nome e un cognome, e si ha un
proprio Avatar, cioè un doppio virtuale,
un'estensione di noi nel digitale. A questo punto,
se non si ha già avuto esperienza di come muoversi
nei videogiochi, bisogna imparare tutto da capo. A
camminare, ad esempio, a sedersi su una sedia,
volare, cambiarsi i vestiti. C'è un tempo di
apprendimento che va calcolato, poi l'esperienza è
molto diretta e ci si dimentica del computer
perché si agisce e ci si muove in uno spazio che
ci fa percepire una sorta di realtà conosciuta.
Attorno il paesaggio è spesso realistico, con
case, alberi, negozi, altri Avatar; per comunicare
si chatta, e questo più o meno tutti lo sanno
fare.
L'urbanistica
Lo spazio di SL è in vendita e ciascuno può
comprare o affittare un terreno secondo i prezzi
altalenanti del mercato interno. L'acquisto di un
terreno porta anche a un costo mensile di
mantenimento che va pagato alla Linden e che per
una porzione di terra di 512 metri quadrati,
adatta per una casa ad esempio, è attorno ai 15
dollari al mese. Sul proprio terreno si può
costruire quello che si vuole, utilizzando gli
strumenti di modellazione interni che sono simili,
anche se molto più ridotti, a quelli usati per la
progettazione architettonica. Ci si costruiscono
le case ma anche i mobili e i vestiti. Chi non è
capace deve rivolgersi ad architetti, e per gli
arredi può fare un giro nelle centinaia di negozi
di design.
Aimee Weber è una delle più brave e famose
designer di SL, è giovanissima nella vita vera ma
adesso ha una società a New York con 14 dipendenti
e clienti come le Nazioni Unite, il marchio di
abbigliamento American Apparel, The National
Oceanic & Atmospheric Association per i quali ha
realizzato la simulazione di uno tsunami, American
Cancer Society per i quali ha curato la campagna
Relay for Life in SL. Ha costruito il loft per il
lancio del cd di Regina Spector per la Warner
Bros, restituendo con un'architettura le atmosfere
urbane dell'album e creando un punto di incontro
per i fan. È proprietaria di Midnight City, la
città notturna ispirata a New York dove ha aperto
il primo negozio della sua linea di abbigliamento
Preen e costruito per l'Exploratorium Museum in
San Francisco un planetario dove è possibile farsi
una camminata tra i pianeti e assistere alla
simulazione dell'eclisse solare totale del 29
settembre 2006 in Turchia. Lei è una farfalla con
le ali blu. L'architettura e il design sono per
forza al centro della costruzione di un mondo 3D,
ne determinano il paesaggio e l'uso. In molti casi
si tende a costruire imitando la realtà, le case
sono appoggiate per terra, hanno il tetto anche se
non piove e le scale anche se si può volare. Ma ci
sono progetti più sperimentali, come la sede del
magazine «The Ava Star» costituita da cinque
enormi sfere sospese nell'aria. Ci sono pezzi di
città ricostruite, San Francisco, Venezia, Los
Angeles, Dublino, rifatta sulla pianta reale della
città e con tutti i principali punti di interesse,
compresa la fabbrica della Guinness e il Blarney
Stone, il miglior pub irlandese di SL dove si
ascolta ottima musica perché i dj sono tutti
irlandesi, ci sono serate di cultura celtica e si
balla la giga. Per arredare la propria casa ci
sono decine di negozi che propongono linee
diversissime, da quelle terribilmente kitsch ai
classici del design come il divano di Le Corbusier
e la poltrona di Mies van der Rohe, ma puoi anche
affittare una casa su un albero in stile isola
tropicale.
La stampa, il business e la moda
L'agenzia Reuters ha aperto nell'ottobre 2006
una sede permanente in Second Life, comprando
un'intera isola e costruendo un palazzo di 5 piani
veramente imponente. Porta le notizie del mondo
reale in SL e quelle di SL fuori. Ci sono schermi
con filmati, le ultimissime news che scorrono, ci
sono sale per incontrarsi tra giornalisti. Adam
Parkins, giornalista di tecnologia e media
veterano della Reuters, dirige con il nome di Adam
Reuters la sede in SL. Pochi giorni dopo ha aperto
una sua sede anche «Wired», la bibbia dei new
media. Lo spazio è costruito ricreando l'interno
di un computer, la reception è nell'alimentazione,
la sala riunioni nella «cpu», ci si siede su
transistor e resistenze. Ma quello che vi accade è
assolutamente reale, si incontrano giornalisti e
ci sono conferenze, si discute e si prendono
decisioni.
Così anche Cnet ha una sede, e Bild.T-Online.de
è la versione on line di «Bild», il più diffuso
tabloid europeo pubblicato da Axel Springer. AG ha
fondato «The Ava Star», il primo magazine
professionale di SL lanciato nel dicembre 2006. La
redazione di Berlino si avvale del lavoro di
giornalisti in world, come si usa dire per le
attività che si svolgono nel mondo on line, che si
incontrano per l'editorial meeting il lunedì
pomeriggio alle tre e mezza, ora di Berlino, in
una delle sfere sospese in aria dove ci sono gli
uffici della redazione e la sala riunioni. Lo so
perché ho lavorato come fotografo free lance per
loro.
Uno dei fenomeni del momento è l'entrata delle
società reali: Ibm ha acquistato numerose isole e
sta costruendo anfiteatri e centri di ricerca in
un progetto da 10 milioni di dollari, è entrata
General Motors, la Toyota ha fatto il lancio della
XB Shion, c'è Dell, Cisco System, Sun Microsystem.
Microsoft ha lanciato qui il nuovo sistema
operativo Vista. In molti casi si tratta di
operazioni di immagine, perché tutto ciò che
succede in SL oggi fa notizia, ma si stanno
sperimentando forme di business e promozione più
concrete. American Apparel è il primo brand reale
di abbigliamento ad aver aperto un punto vendita
in SL, oltre agli ottanta che ha in giro per il
mondo, e lo ha fatto sul modello del suo negozio
di Tokyo. Vende felpe e t-shirt indifferentemente
per umani e Avatar con politiche di sconto
incrociate.
Al momento della nascita il proprio Avatar è
nudo, poi il suo corpo si veste con
l'abbigliamento standard in dotazione e uguale per
tutti, di solito jeans e maglietta. Tutti vogliono
personalizzare il proprio Avatar, renderlo
riconoscibile e far sì che in qualche modo
rispecchi una parte di sé, sia essa uomo, donna,
furry, cioè animale tipo cartoon. È possibile
modificare la forma del corpo, modellandosi
bellissimo o mostro, cambiare la pelle scegliendo
il colore, comprarsi dei capelli, vestiti, scarpe,
accessori di tutti i tipi. E si possono aggiungere
animazioni che permettano di compiere particolari
movimenti più complessi di quelli che si
controllano con le freccette sulla tastiera, come
ballare, eseguire mosse di arti marziali e quelli
che richiedono una certa sincronia tra due
personaggi. Si comprano animazioni per abbracciare
la propria fidanzata, ad esempio, o baciarla o
qualunque altra situazione riusciate a
immaginarvi. Sul mercato interno di SL si trova
qualsiasi prodotto per gli Avatar venduto
regolarmente in Linden. Un paio di jeans costa 300
Linden, poco più di un dollaro, e una pelle molto
dettagliata può arrivare a 10 dollari. Ci sono
linee di abbigliamento firmate e mall grandi come
città dove ci si muove volando. E la moda porta
l'indotto, come a Milano, così sono nate riviste
di fashion, ci sono sfilate, agenzie di modelle e
di organizzazione di eventi. Ci sono gioiellerie
per gli Avatar, ma non solo. Dior ha lanciato la
sua ultima collezione di gioielli disegnata da
Victoire De Castellane esponendo anelli grandi
come sculture disposti tra gli alberi di Belladone
Island. E siccome i gioielli esposti sembrano
fiori, ci si trova a volare e posarsi sulle pietre
preziose come si fosse un'ape.
Una piattaforma per eventi
Ci sono già sperimentazioni che vedono in SL una
piattaforma per l'insegnamento a distanza e il
lavoro collaborativo. Le lezioni possono svolgersi
in world, dove l'insegnante stesso è un Avatar e
si trova tra altri Avatar studenti, o lezioni
trasmesse in streaming video da fuori, come una
videoconferenza. È stato così per la conferenza
tenuta dal guru della rete John Maeda alla
Mediateca di Milano in febbraio e trasmessa in
contemporanea in SL. Alla Ohio University si
sperimenta già come gli spazi virtuali possano
accrescere le esperienze di apprendimento, Harvard
ha aperto un campus e gruppi di docenti e
ricercatori di varie parti del mondo hanno
frequenti incontri per scambiarsi le esperienze.
Lo stesso vale per i concerti, dove l'Avatar si
muove sul palco di SL mentre l'artista è in
qualche studio in Real Life e trasmesso in
diretta. Ci ha suonato Susan Vega l'estate scorsa
e ci sono una miriade di folk singer indipendenti
che suonano nei locali. Per ora ci possono essere
un numero molto limitato di spettatori, perché le
sim non riescono a reggere più di una trentina di
Avatar dovendo elaborare in diretta tutti i dati.
Questo dà ai concerti un'atmosfera da piccolo club
con molta interazione con l'artista che dialoga
con il pubblico e si siede tra i fan.
Le relazioni sociali e la politica
Le relazioni che si stabiliscono tra Avatar
all'interno di un mondo condiviso sono più ricche
delle normali relazioni che si hanno in rete, in
luoghi come Msn o nelle chat, tramite e-mail.
Inizia a esserci una comunicazione del corpo
sintetico con gesti e atteggiamenti. Anche se non
parlo ma mi avvicino a un Avatar e mi siedo su un
divanetto di fianco a lui, stabilisco una
comunicazione, e questo è ovvio in Real Life ma
impossibile nel web. Chi sta comprando un libro da
Amazon non si accorge della presenza degli altri
utenti che magari stanno sfogliando lo stesso
libro, ma in una libreria di SL ci si incontra, si
può avvicinarsi e scambiare opinioni, e potrebbe
esserci un commesso preparato che ci consiglia. Ci
sono gruppi di interesse e incontro su tutti i
temi possibili, ho visto annunci di gruppi di
donne per la lettura e il commento di brani della
Bibbia, reading di poesie, discussioni politiche.
Oltre a tutti i luoghi di aggregazione come
discoteche, pub, communities divise per lingua e
nazione. Si sperimentano conoscenze e lavoro tra
individui che non si sono mai incontrati e si
conoscono solo attraverso l'Avatar, ma le
relazioni appaiono quanto mai reali nelle loro
dinamiche.
Ségolène Royal ha aperto la sede del Parti
Socialiste in Second Life in gennaio con il
sostegno del gruppo Désir d'avenir Comité 748,
dove 748 fa riferimento alla normale numerazione
degli altri comitati in Real Life. Nella sede è
esposto il programma elettorale, si svolgono
dibattiti con i candidati, si incontrano i
militanti a discutere. In dicembre Le Pen aveva
già aperto una sede del Front National e vi erano
state molte manifestazioni anti-FN, e nonostante
le critiche fatte da Nicolas Sarkozy all'entrata
dei politici in SL, da febbraio c'è île Sarkozy,
quartier generale non ufficiale a sostegno del
candidato.
Le notizie sono sulle pagine politiche dei
quotidiani, non su quelle dei videogiochi.
«Libération» mi ha commissionato un reportage
sull'evento e mi sono incontrato con la
giornalista che scriveva il pezzo nella sede di
Desir d'avenir così mentre lei faceva le
interviste io scattavo le foto. Ho mandato il
materiale di notte al photoeditor e la foto è
finita in prima pagina il 20 gennaio scorso
(www.ecrans.fr/spip.php?article722).
In SL sono il fotografo Marco Manray e racconto
dal 2005 l'evoluzione di questo mondo portando le
immagini fuori dalla rete per la stampa reale ed
esponendole come opere su carta. Pubblico i
reportage e le avventure di Marco Manray nel
progetto My First Second Life, dove è possibile
trovare una documentazione fotografica di molti
dei fatti riportati qui
(www.myfirstsecondlife.com).
Verso la rete del futuro
L'intreccio tra mondo reale e mondo virtuale è
sempre più stretto. Sta finendo la prima epoca
d'oro da isole vergini non toccate dal mondo
esterno, poi da far west e caccia all'oro: ora
stanno entrando le regole del mondo e del mercato.
Si stratificano i passaggi evolutivi del mondo
virtuale, così i negozi dell'Adidas e della
Reebook stanno di fianco a piccole esperienze
private di chi vende vestiti cyber per un dollaro,
e le affissioni stanno invadendo con vecchie
logiche pubblicitarie il territorio. E i residenti
iniziano a chiedersi che influenza possono avere
nelle scelte di sviluppo di SL e alcuni gruppi
hanno iniziato a chiedere la possibilità di voto
su temi importanti del mondo virtuale che non
possono essere trattati solo e autonomamente dalla
Linden Lab. Gli artisti Alain Della Negra e Kaori
Kinoshita, di base a Parigi, hanno appena
terminato un documentario che indaga i rapporti
tra mondo reale e virtuale, una frontiera che si
sta spostando e che pone questioni come: chi
decide le regole del mondo virtuale, quali leggi,
quali misure devono essere definite, quale modello
di futuro scegliamo. La presentazione avverrà al
Michinaga-Lichty Arts Center, Han Loso (65, 31,
137). Hans Loso è la zona, le tre coordinate sono
come il numero civico ma danno un punto nello
spazio.
Second Life, o qualcosa che gli assomiglia, sarà
la base per lo sviluppo del web 3D. Anziché
cliccare su un link e finire in un sito, ci
andremo direttamente volando con il nostro Avatar.
Qualcuno pensa ancora che sia un gioco?
Marco Cadioli
(«Vita e Pensiero» n.2/07)
Il danno da farmaci
- Le medicine sono un'arma fondamentale nella
lotta contro le malattie: ma gli studi preliminari
non bastano a garantirne la sicurezza per tutti. «Negli ultimi quindici anni, molti farmaci
appartenenti a diversi gruppi terapeutici sono
stati ritirati dal mercato per ragioni di
sicurezza», scrive Joel Lexchin, della School of
Health Policy and Management di Toronto, su
«Adverse Drug Reaction Bulletin», un periodico che
si occupa esclusivamente dei danni causati dai
farmaci. «Grande rilievo ha avuto di recente il
rofecoxib, un antinfiammatorio non più in
commercio poiché associato a gravi effetti
cardiovascolari (infarto). Ma altri farmaci
ritirati sono un antibiotico, la temafloxacina
(anemia e insufficienza renale); un
antidispeptico, la cisapride (aritmie cardiache);
un ipocolesterolemizzante, la cerivastatina (danni
muscolari anche mortali); un miorilassante per uso
chirurgico, il rapacuronio (problemi
broncopolmonari) e un dimagrante, la fenfluramina
(danni alle valvole cardiache)».
Il tema del danno da farmaci, o ADR (adverse
drug reaction), occupa sempre più spesso le
colonne delle riviste scientifiche. Il problema,
infatti, non è stato affatto risolto dopo la
vicenda del talidomide. Se sino ad allora si era
sbagliato nel credere che per la sicurezza di un
farmaco bastasse controllare che non contenesse
impurità, trascurando i possibili danni causati
dal suo principio attivo, l'errore successivo è
stato illudersi che bastassero poche informazioni
iniziali su un campione limitato di persone, e non
comprendere che la commercializzazione del farmaco
è in realtà una grande prova generale, effettuata
su larga scala, nelle condizioni più disparate, in
persone di età diversa e che si curano con chissà
quante altre medicine. Così, le brutte sorprese
non sono mancate. Negli Stati Uniti, nel 2006,
l'organo di controllo federale, la Food and Drug
Administration (FDA), ha dichiarato che quasi 20
milioni di americani sono stati esposti a cinque
farmaci successivamente ritirati dal mercato per
ragioni di sicurezza.
Dal talidomide al Vioxx
Negli anni cinquanta, quando un sedativo
chiamato talidomide provocò la nascita di migliaia
di bambini focomelici, vi fu una reazione di
allarme generalizzata. Negli Stati Uniti la
consapevolezza che un farmaco potesse procurare un
danno simile si tradusse, nel 1962,
nell'emendamento Harris-Kefauver al Federal Food,
Drug and Cosmetic Act del 1938, emendamento che ha
ispirato le normative nazionali sulla
registrazione e il controllo dei farmaci in gran
parte del mondo. In quella norma si prese atto per
la prima volta che per valutare ogni nuovo farmaco
occorrono una gradualità di passaggi, il
coinvolgimento di volontari sani e il consenso
informato di chi partecipa alle ricerche. L'anno
successivo, le norme note come Investigational New
Drug stabilirono che per ottenere il via libera al
commercio negli Stati Uniti le industrie dovevano
provare la sicurezza e l'efficacia del farmaco, e
indicare il ricercatore responsabile di quelle
prove. Si concluse, cioè, che bastassero prudenza,
un ingresso graduale sul mercato e, naturalmente,
i presupposti farmacologici, perché il farmaco
mantenesse le sue promesse e riservasse poche
sorprese.
Negli anni sessanta si riconobbe che era utile
distinguere tra ADR di tipo A e B, a seconda che
l'effetto fosse legato all'azione curativa
(l'eccesso di sedazione causato da un antiansia)
oppure completamente diverso (l'anemia causata da
un antibiotico). Inoltre, per creare un linguaggio
comune che facilitasse lo scambio d'informazioni,
nel 1970 l'Organizzazione mondiale della Sanità
(OMS) propose di definire ADR «ogni effetto
tossico, non intenzionale, che si osserva a dosi
del farmaco usate nell'uomo per terapia,
profilassi o diagnosi». Una scelta ritenuta poi da
molti troppo ottimistica rispetto alla realtà,
perché - osservano Virginia A. Sharpe e Alan I.
Faden - «molte reazioni avverse sono legate a
errori nell'uso dei farmaci», per esempio nel
dosaggio, o a possibili interazioni di cui non si
è tenuto conto.
In ogni caso, la storia dimostra che il
plausibile effetto farmacologico di una medicina e
il suo collaudo nell'ambito controllato di qualche
studio iniziale non ne fanno una medicina sicura.
All'inizio degli anni ottanta uno studio dell'OMS
dimostrò che una terapia con clofibrato funzionava
da un punto di vista farmacologico perché
abbassava il colesterolo, ma nell'insieme era
dannosa perché aumentava la mortalità, per cancro
o altre ragioni.
Nel settembre 1997 la casa farmaceutica
statunitense Wyeth annunciò il ritiro dal
commercio di due farmaci dimagranti di sua
produzione, la dexfenfluramina (Redux), e la sua
stretta parente fenfluramina (Pondimin). La prima,
a lungo usata in Europa, era stata approvata
Oltreoceano nel 1996, mentre risaliva al 1973 il
lancio sul mercato della fenfluramina, spesso
usata in combinazione con la fentermina, un
dimagrante immesso sul mercato nel lontano 1959.
La Wyeth, disse il direttore medico Marc Deitch,
«ha deciso il ritiro alla luce di nuove
informazioni sui danni alle valvole cardiache
descritti in alcuni pazienti». Deitch alludeva al
rapporto inviato l'8 luglio 1997 alla FDA dalla
Mayo Clinic di Rochester, che descriveva la
comparsa di insufficienza valvolare in 24 persone
trattate con fentermina e fenfluramina.
L'8 giugno 1998 toccò alla Roche, che dalla sede
di Nutley, nel New Jersey, annunciò il ritiro
volontario dal mercato del mibefradil, un farmaco
usato per abbassare la pressione e ridurre i
dolori da angina, commercializzato nell'agosto
1997 con il nome di Posicor. Pochi giorni dopo, il
22 giugno, fu di nuovo la Wyeth a dover
annunciare, per la seconda volta in meno di un
anno, il ritiro di un farmaco di sua produzione.
Era il bromfenac, un antidolorifico
commercializzato come Duract, che dal momento del
lancio aveva causato 12 casi di insufficienza
epatica, portando 4 pazienti alla morte e gli
altri 8 al trapianto di fegato.
Nel 2004, infine, c'è stata la vicenda degli
antinfiammatori anti-Cox-2 Vioxx (rofecoxib) e
Celebrex (celecoxib), all'inizio presentati privi
di danni gastrici, poi sospesi dal commercio in
diversi paesi perché il loro impiego è risultato
associato a problemi cardiaci, e poi di nuovo
riammessi in alcuni con avvertenze sui loro
rischi, con decisioni che fanno ancora discutere.
Nel 2005, raccomandazioni a prestare attenzione
al problema sono venute da un importante documento
governativo inglese, in cui si leggeva, tra
l'altro, che si impiegano farmaci di cui non è
certa la sicurezza, ma di cui si celebrano le
virtù. «L'eccessiva prescrizione degli arti-Cox-2
ha causato migliaia di morti e un numero ancora
maggiore di casi di insufficienza cardiaca».
Questo non è accaduto a caso, ma «denuncia una
serie di inadempienze a vari livelli [...].
Inoltre vi sono state carenze sia nelle procedure
di autorizzazione all'immissione in commercio sia
nell'attività di farmacovigilanza successiva alla
loro commercializzazione. Da ultimo, vi è stata
un'attività promozionale eccessiva presso la
classe medica». Secondo gli esperti britannici,
l'episodio degli anti-Cox-2 non è eccezionale, ma
emblematico.
I limiti dei trial clinici
Può sembrare disarmante che i farmaci, un'arma
decisiva nella lotta alle malattie, riservino
sorprese così amare. Ma il rischio connesso
all'uso quotidiano di un farmaco nella popolazione
generale è molto diverso da quello che emerge
negli studi preliminari su una popolazione
selezionata. Solo negli ultimi anni ci si è resi
conto che gli strumenti di verifica più rigorosi e
affidabili, come i trial clinici randomizzati,
sono impostati in modo da valutare meglio i
benefici di un farmaco che i suoi danni.
Nelle fasi iniziali della vita di un farmaco, i
trial sono condotti su gruppi limitati di malati,
per di più selezionati, e per un tempo ristretto.
L'obiettivo principale dei trial è misurare
l'efficacia del farmaco, mentre gli effetti
indesiderati sono rilevati incidentalmente e in
modo non sistematico. Così, quando il farmaco è
assunto da decine di migliaia di malati, con
caratteristiche non proprio simili a quelli
coinvolti nei trial, possono esserci conseguenze
inattese. Inoltre durante i primi studi clinici
non ci si preoccupa troppo delle possibili
interazioni con altri farmaci. L'esempio della
cerivastatina è esemplare. Non ci furono affatto
sorprese quando fu testato in malati che non
prendevano altri medicinali. I problemi nacquero
quando arrivò nelle farmacie e fu usato in modo
diffuso anche da persone trattate con sostanze con
cui la cerivastatina aveva un'interazione
pericolosa.
Più in generale, quando l'uso del farmaco passa
dal campione del trial alla popolazione possono
esserci sorprese sgradite perché aumentano coloro
che ne fanno uso, cambiano le loro caratteristiche
e crescono le probabilità che sia consumato da
persone con predisposizione genetica a reazioni
allergiche o avverse gravi, anche mortali. Gli
studi iniziali sono condotti su malati con una
diagnosi precisa, in genere con l'esclusione di
anziani, bambini e donne in gravidanza, e questo
condiziona ciò che si può scoprire sulla sicurezza
del farmaco.
Un esempio di come l'eccessiva selezione della
popolazione arruolata negli studi si paghi in
termini di sicurezza viene dai nuovi antipsicotici
(i cosiddetti «atipici»), usati per i disturbi
gravi del comportamento e indicati sino a pochi
anni fa come tranquillanti maggiori. Sin dalla
loro introduzione in commercio, sono stati usati
anche in malati sui quali non erano stati
sperimentati, per esempio anziani con demenza
senile. Ma nella primavera del 2004 un'analisi
retrospettiva più attenta degli studi condotti su
poco più di 1500 anziani, oltre a dimostrare la
loro scarsa efficacia, scoprì che aumentavano gli
ictus e la mortalità.
Osserva il «Drug & Therapeutics Bulletin» che
«per avere una certezza del 95 per cento di
rilevare un evento che si verifica con una
frequenza di 1 caso su 1000 devono essere
esaminate 3000 persone», ma spesso i pazienti
arruolati negli studi sono meno di 1000. Maggiore
è il numero di persone esposte al farmaco,
maggiori sono le probabilità di far emergere
effetti avversi gravi ma rari. E può persino
accadere che farmaci nuovi e promettenti riservino
sorprese proprio perché li si impiega in malati
più fragili.
Studi non pubblicati
Un altro problema è la correttezza e completezza
delle informazioni diffuse ai medici. Negli Stati
Uniti dal 1998 al 2003 le aziende farmaceutiche
hanno concordato con la FDA di iniziare studi
post-marketing concernenti la sicurezza o le
reazioni indesiderate di alcuni farmaci e le
interazioni farmaco-farmaco, ma solo una parte di
questi studi è stata completata. E, del resto,
studi del genere sulla sicurezza dei farmaci
possono essere completati, ma senza rendere
pubblici i risultati. Per esempio, anche se un
riesame dei dati della FDA effettuato da
ricercatori della Bayer dal 1999 al 2000 indicava
un'incidenza di rabdomiolisi più elevata con
cerivastatina rispetto ad altri farmaci della
stessa classe, il riesame non è mai stato reso
pubblico.
Il caso della sicurezza degli antidepressivi nei
bambini è altrettanto significativo. Negli Stati
Uniti dal 1998 al 2002 l'uso di antidepressivi è
letteralmente esploso, con un aumento del 150 per
cento e con più di 2 ragazzi su 100 in
trattamento. Stando alle indicazioni degli studi
pubblicati sino al 2003, gli eventi avversi più
comuni di questi farmaci in età pediatrica e
adolescenziale non sembravano diversi da quelli
osservati negli adulti, ma la brevità degli studi
e le dimensioni dei campioni non consentivano di
conoscere gli eventi avversi poco frequenti, e
all'appello mancavano gli studi non pubblicati.
Non deve meravigliare che si parli di studi non
pubblicati. L'azienda farmaceutica che finanzia
uno studio è «proprietaria» dei risultati e può
decidere se pubblicarli o meno in funzione della
loro rilevanza. Succede, quindi, che quando i
risultati sono negativi o non favorevoli (sotto il
profilo dello sfruttamento commerciale), non
pubblica lo studio. Cosicché, quando nel 2004 due
enti di controllo, il Committee on Safety of
Medicines in Gran Bretagna e la FDA negli Stati
Uniti, hanno analizzato tutti gli studi
(pubblicati o meno) condotti tra il 1983 e il
2001, si è scoperto che nei bambini e negli
adolescenti gli antidepressivi di nuova
generazione aumentavano il rischio di suicidio,
spingendo le autorità di controllo a
controindicarne l'impiego come terapia della
depressione nei pazienti con meno di 18 anni.
Il fatto che i possibili rischi associati
all'uso della paroxetina (uno degli antidepressivi
sotto accusa) siano stati sollevati grazie alle
segnalazioni giunte a una trasmissione della BBC
ha sottolineato anche i limiti dei sistemi di
farmacovigilanza post-marketing e la necessità di
una maggiore sensibilità da parte delle autorità
regolatorie che si occupano di tutelare la salute
pubblica. Dopo questo episodio, la FDA è stata
messa sotto inchiesta dal Congresso degli Stati
Uniti per un atteggiamento ritenuto troppo
accondiscendente verso gli interessi delle
industrie farmaceutiche.
Carenze di vigilanza
La fonte di informazione più importante per
l'analisi sulla sicurezza del farmaco, almeno in
teoria, dovrebbero essere i sistemi nazionali di
raccolta delle ADR. La segnalazione di un caso
importante, o un gruppo di segnalazioni di eventi
poco frequenti, può innescare iniziative delle
autorità sanitarie e, in particolare, analisi più
approfondite su tutti gli eventi dello stesso
tipo. Così è avvenuto, per esempio, che le
segnalazioni di ADR che hanno messo in relazione
la fenilpropanolamina (usata come dimagrante) con
l'ictus emorragico hanno portato al ritiro del
farmaco dal mercato.
Da quando è iniziato il programma di raccolta
dei dati, nel 1969, la FDA ha accumulato più di
2,5 milioni di segnalazioni, peraltro non tutte
della stessa rilevanza. In tutti i paesi, i medici
e gli altri operatori sanitari vengono
incoraggiati a segnalare possibili casi di ADR, e
in alcuni paesi - tra cui Canada, Svezia, Gran
Bretagna e Italia - sono accettate anche le
segnalazioni dei pazienti.
In Italia però le segnalazioni di reazioni
avverse dei farmaci sono più basse che altrove.
Dal 2001 al 2005 hanno oscillato tra le 6000 e le
7000 all'anno, con differenze importanti da
Regione a Regione, e con un tasso largamente al di
sotto dell'obiettivo ottimale di 30 segnalazioni
per 100.000 abitanti raccomandato dall'OMS. In
teoria, il numero ridotto potrebbe essere spiegato
con differenze genetiche che rendono gli italiani
più resistenti ai danni da farmaci, per esempio
per un assetto particolare di un pool di enzimi
che metabolizzano i farmaci. Il fatto è che gli
enzimi coinvolti in quel processo sono molti, ed è
abbastanza improbabile che siano stati tutti
benedetti dalla fortuna. È, invece, più probabile
che i medici italiani facciano semplicemente meno
segnalazioni di ADR, magari solo perché tendono a
non attribuire a un farmaco la responsabilità del
problema che assilla il malato.
Anche le case farmaceutiche sono tenute a
rendere nota qualsiasi reazione associata a un
farmaco di loro produzione di cui vengano a
conoscenza, ma alcune aziende possono sminuire
l'importanza delle segnalazioni o ritardarne
l'invio, grazie all'esistenza di norme
contraddittorie in certi paesi. Per esempio, in
caso di segnalazioni di effetti avversi «gravi,
riportati in etichetta» avvenuti nel territorio
degli Stati Uniti, le aziende hanno l'obbligo di
riferirli alla FDA entro 15 giorni, ma se sono
avvenuti in altri paesi la comunicazione può
essere inviata entro 6 mesi. Un doppio standard
cronologico incomprensibile, che, tra l'altro, ha
ritardato la ricezione delle segnalazioni europee
dei casi di ipertensione polmonare dovuti a
fenfluramina e desfenfluramina.
A ciò si aggiunge il problema del tempo che
intercorre fra il momento in cui si ha la prima
conoscenza concreta di un grave effetto
indesiderato e quello in cui intervengono le
autorità regolatorie. L'iter che va dalla
decisione dell'autorità al provvedimento concreto
alla comunicazione ai medici e al pubblico è
tutt'altro che efficiente. Ancora oggi succede che
nessuna informazione sia diffusa né venga presa
alcuna decisione fino a quando i dati disponibili
non sono stati vagliati e discussi a lungo
dall'autorità sanitaria e dal produttore. A volte
il provvedimento può essere attuato senza
un'informazione ufficiale, aggiornando
semplicemente la scheda tecnica del farmaco. Il
risultato finale è che il ritardo causato da
questa inefficienza del sistema si somma a quello
dovuto alle difficoltà insite nella raccolta di
informazioni sulle reazioni avverse sospette, e
così un maggior numero di malati corre un rischio
evitabile.
Il ritiro dal mercato
Anche se previsto nelle diverse normative
nazionali, il ritiro di un farmaco dal mercato per
la comparsa di ADR gravi e di un negativo bilancio
rischi-benefici è un processo laborioso e
difficile. Il primo motivo è la difficoltà di
raccolta di dati sulle ADR, sia per un deficit di
segnalazione da parte dei medici, sia per una
sensibilità inadeguata degli organismi
istituzionali.
Consapevoli dell'inadeguatezza o, perlomeno,
dell'incompletezza del sistema della segnalazione
spontanea, in alcuni Paesi si è pensato a qualcosa
di più sistematico. Per esempio in Gran Bretagna
la Drug Safety Research Unit dell'Università di
Southampton, che gestisce il sistema PEM
(monitoraggio di eventi conseguenti a prescrizione
di farmaci), raccoglie i dati delle prescrizioni
dei medici di medicina generale riferiti a gruppi
di circa 10.000 malati curati con un farmaco
nuovo. In seguito i medici ricevono un
questionario che chiede loro di riferire qualsiasi
problema o disturbo segnalato dai malati dopo la
prescrizione. Inoltre, sempre in Gran Bretagna, è
stato adottato un sistema di allarme originale:
sulle scatole dei medicinali, per i primi due anni
di commercializzazione, a fianco del nome della
specialità è stampato un triangolo nero indicante
che il farmaco è sotto stretto controllo da parte
delle autorità sanitarie.
Un problema diffuso è la disparità tra i fondi
destinati alla sorveglianza post-marketing e
quelli destinati all'autorizzazione al commercio.
Per esempio, il settore del Ministero della Sanità
canadese incaricato della sicurezza dei farmaci
dispone di un quinto dello stanziamento annuale di
quello dedicato alle domande di registrazione, e
ha solo un quinto del personale. Negli Stati Uniti
nel 1999 la FDA aveva 1408 impiegati che si
occupavano delle registrazioni dei farmaci e 72
addetti alla sorveglianza post-marketing di quasi
50.000 specialità.
Un altro motivo di controversia sul ritiro di un
farmaco dal mercato è la mancanza di consenso tra
gli addetti ai lavori su quando si debba ricorrere
a una misura del genere. Anni fa, quando uno
studio del «British Medical Journal» mise in luce
il rischio di una grave forma di polineuropatia
progressiva connessa all'uso di farmaci a base di
sostanze note come gangliosidi, un editoriale
della rivista osservò che andavano sospesi dal
mercato perché si erano rivelati potenzialmente
pericolosi e la loro efficacia era perlomeno
discutibile. Ma la situazione non è sempre così
definita. Se l'efficacia del farmaco è ben
documentata, che peso deve essere dato all'evento
che suggerisce un provvedimento di revoca?
Qui emergono notevoli differenze tra i vari
paesi. A un estremo si collocano politiche
ultraprotettive nei confronti del farmaco (e della
ditta produttrice), dall'altro quelle
ultraprotettive per la salute della popolazione.
Per esempio, i farmaci contenenti l'associazione
tra destropropoxifene e paracetamolo a scopo
analgesico sono stati ritirati dal commercio in
Svezia e Gran Bretagna per la segnalazione di
decessi causati da sovradosaggio, ma questo
elemento non è stato ritenuto sufficiente in
Francia. Il troglitazone (un antidiabetico) ha
causato insufficienza epatica e morte in un certo
numero di pazienti ed è stato ritirato dal mercato
britannico nel dicembre 1997, ma è rimasto
disponibile negli Stati Uniti per altri 19 mesi.
Ci sono poi situazioni apparentemente
inspiegabili, come quella del tolcapone. Nel 1998
il farmaco, primo del suo genere nella cura del
morbo di Parkinson, fu ritirato in Europa dopo
solo due mesi di commercializzazione per i casi di
epatite fulminante e rabdomiolisi associati al suo
impiego. Ma l'anno successivo il suo posto fu
occupato da un farmaco analogo, l'entacapone, e
nell'autunno 2006 il tolcapone è rientrato in
commercio, anche in Italia. Che cos'è successo nel
frattempo per giustificarne la riammissione? È
stata dimostrata la sua estraneità agli eventi
avversi segnalati? Il farmaco è così utile ai
malati di Parkinson da accettare qualche rischio
in più del dovuto? Più semplicemente, la
riammissione è stata decisa dall'agenzia europea
per i farmaci, l'EMEA, in base a uno studio che ha
aggiunto poco o nulla alle informazioni
disponibili prima del 1998 e non ha escluso il
rischio per il quale era stato ritirato.
La qualità dei dati usati per decidere di
ritirare un farmaco varia molto. Da un riesame dei
dati resi pubblici dalle autorità statunitensi e
britanniche su 11 farmaci negli anni tra il 1999 e
il 2001, è emerso che quattro sono stati ritirati
solo sulla base di segnalazioni spontanee, e due
in base alla dimostrazione di un effetto rilevante
per il malato ottenuta da studi comparativi. Per
questo si auspicava la pianificazione di studi
prospettici che iniziassero nella prima fase di
commercializzazione del farmaco. Destano quindi
speranza le regole sulla farmacovigilanza
pubblicate recentemente dall'EMEA, che
sottolineano i passaggi da effettuare all'inizio
della fase di post-marketing di un nuovo farmaco.
Un terzo aspetto è che le autorità regolatorie
non hanno tutte lo stesso potere in merito al
ritiro dei farmaci dal mercato. Mentre in Canada
il Ministero della Sanità può deciderlo
unilateralmente, negli Stati Uniti l'FDA negozia
con le case farmaceutiche la decisione di ritirare
volontariamente i farmaci minacciando di renderne
pubblici i rischi. Pertanto, spesso è difficile
determinare se il ritiro del farmaco sia stato
deciso volontariamente dalla casa farmaceutica o
sia piuttosto il risultato di pressioni.
Infine, un aspetto a cui bisogna continuare a
prestare attenzione è il conflitto d'interessi. Un
episodio recente è quello legato alla revoca del
provvedimento di ritiro del rofecoxib (Vioxx),
negli Stati Uniti. All'inizio del 2005 una
commissione consultiva della FDA aveva espresso
parere favorevole (18 voti contro 14) alla sua
reintroduzione sul mercato. Ebbene, «su 32 membri
della commissione, 10 erano stati poco prima
consulenti della Merck o di altri produttori di
farmaci analoghi (inibitori della COX-2), e tutti
e 10 votarono per la reintroduzione del rofecoxib
sul mercato. In Gran Bretagna, nel 1996, su 23
membri del British Committee on the Safety of
Medicines, tre avevano interessi in almeno 20 case
farmaceutiche, sette in almeno 10, e 20 in almeno
cinque».
La ricerca non finisce mai
Di fronte al salasso di vite umane e di risorse
economiche imposto dal danno da farmaci, è emersa
l'esigenza sempre più pressante di un giro di vite
che riguardi ogni aspetto della politica
farmaceutica, da più controlli preliminari a più
controlli in corso d'opera. Ci si è accorti, per
esempio, che gli studi volti a verificare l'esito
di un trattamento nella pratica clinica sono stati
trascurati mentre sono gli unici in grado di
indicare quale uso venga fatto del farmaco nella
realtà di tutti i giorni. Tutto questo significa
che la ricerca sui farmaci non ha fine. C'è sempre
qualcosa da scoprire. Mezzo secolo fa nessuno
pensava che avremmo guardato con tanto interesse
all'aspirina per le malattie del cuore e
quarant'anni fa non si immaginava che la
talidomide sarebbe diventata una risorsa utile
contro malattie poco curabili.
Se, sostiene il documento inglese già citato,
«lo scopo di ogni nuovo farmaco dovrebbe essere
quello di apportare un reale beneficio terapeutico
al paziente», allora il ricorso alla verifica
nella pratica clinica dovrebbe essere l'aspetto
centrale degli studi clinici. Ma accanto a questa
«sono assolutamente necessari anche miglioramenti
nell'attività di farmacovigilanza post-marketing.
[...] Si raccomanda di indagare meglio l'aspetto
della sicurezza dei farmaci, con studi ad hoc,
condotti sia nelle fasi dello sviluppo sia dopo la
loro immissione in commercio. Il governo dovrebbe
finanziare, con una certa urgenza, studi per
verificare il costo delle malattie iatrogene».
Parole che dovrebbero trovare ascolto in ogni
paese.
I danni delle cure naturali
Tra il 1991 e il 1992, a Bruxelles, circa 100
donne che avevano assunto erbe cinesi a scopo
dimagrante subirono gravi danni renali. Almeno 70
di loro ebbero bisogno di dialisi o di trapianto
renale, e 18 svilupparono un tumore. È stato
dimostrato che la causa era l'acido aristolochico,
una sostanza nota per la sua tossicità renale,
derivata da un vegetale probabilmente introdotto
per errore nel prodotto. Analisi di laboratorio
effettuate dalla FDA hanno rilevato la presenza di
acido aristolochico in prodotti di erboristeria e
in integratori dietetici venduti negli Stati
Uniti.
Sempre dagli Stati Uniti sono arrivate le prime
segnalazioni del rischio di grave danno al fegato,
cirrosi compresa, conseguente all'uso di
integratori dietetici contenenti kava, dopo le
quali Canada e alcuni paesi europei, tra cui
l'Italia, hanno ritirato il kava dal commercio.
Motivi di preoccupazione sono segnalati anche
per l'echinacea, un integratore dietetico
impiegato nella prevenzione e nel trattamento del
raffreddore. Un primo motivo è che le quantità dei
composti attivi variano molto da una formulazione
all'altra, e da un anno all'altro. Un altro è la
presenza possibile di sostanze tossiche quali
un'ampia gamma di pesticidi organoclorici,
compresi alcuni vietati.
Dalle provette al malato
Prima di essere messi in commercio, i farmaci
vengono sperimentati gradualmente per testarne
l'efficacia e, in qualche misura, anche la
sicurezza, ovvero la maggiore o minore frequenza
di effetti indesiderati. Il processo parte
naturalmente dai cosiddetti test clinici,
effettuati su cellule o su animali, che possono
durare da uno a cinque anni e forniscono le prime
informazioni sull'eventuale tossicità del farmaco.
Poi, se non ci sono state brutte sorprese, si
passa alla tappa successiva, quella dei test
clinici, ovvero della sperimentazione sull'uomo,
che prevede quattro fasi, per un periodo medio di
cinque-sei anni, ma che possono durare da due a
dieci.
Nella fase I, il farmaco è somministrato a basse
dosi a una decina di volontari sani allo scopo di
controllare in che modo venga metabolizzato dal
corpo. La fase II coinvolge un primo gruppo di
malati che potrebbero trarre beneficio dal farmaco
- in genere un centinaio - e mira a studiare gli
effetti curativi, a precisare le dosi e i tempi
della somministrazione e ad avere un primo
bilancio tra rischi e benefici. La fase III serve
a valutare con sufficiente certezza la reale
efficacia del farmaco e a stabilire se è meglio di
altri già in circolazione. In questa fase è
coinvolto in genere un migliaio di malati, ma il
numero varia in base alla frequenza del fenomeno
di cui si vuole ridurre la frequenza, per esempio
una malattia o un sintomo, e all'efficacia attesa.
È in questa fase che si ricorre al metodo dello
«studio controllato randomizzato», e si confronta
il nuovo farmaco con un placebo o con un altro
della stessa categoria già disponibile. Alla fine
di ciascuna di queste tre fasi si decide se il
rapporto tra i benefici attesi e i possibili danni
è accettabile o inaccettabile, e si consente (o si
blocca) l'ulteriore sviluppo del nuovo
trattamento. Al termine dell'iter sperimentale, se
ha dato buoni risultati, il farmaco viene
registrato, ovvero se ne ammette la
commercializzazione.
Una volta che il medicinale è negli scaffali
delle farmacie si entra nella cosiddetta fase IV,
il periodo di sorveglianza post-marketing, durante
il quale il farmaco è sotto osservazione per
controllare che nella pratica clinica di tutti i
giorni non sia fonte di brutte sorprese. È durante
questo periodo che si riesce a fare il bilancio
vero della sicurezza del farmaco: dopo, cioè, che
è stato prescritto a un numero di pazienti
sufficientemente ampio per far emergere effetti
indesiderati poco comuni, ma a volte gravi.
Stefano Cagliano
Mauro Miselli
(«Le Scienze» n. 467/07)
Sembra lei ma non è lei
Ricordate L'invasione degli ultracorpi, il film
degli anni Cinquanta di Don Siegel? Una strana
psicosi collettiva iniziò a diffondersi in un
paesino della California. Molti affermavano che
alcuni loro parenti non erano più «loro».
L'aspetto fisico, le movenze, la voce e i pensieri
erano sempre gli stessi, ma qualcosa era cambiato,
per cui erano certi che i loro parenti non fossero
più le stesse persone. La storia del film, per
quanto sia completamente inventata, sembra la
descrizione esatta di una sindrome neurologica,
nota come Sindrome di Capgras, dal nome dello
psichiatra francese che per primo la descrisse nel
1923 in un articolo dal titolo L'illusione dei
sosia. I pazienti affetti da questa condizione
sono convinti che alcuni dei loro parenti più
stretti (spesso il coniuge, ma anche i figli, i
fratelli o i genitori) siano in realtà degli
impostori, anche se sembrano perfettamente uguali
agli originali. Ma mentre nel film i timori della
gente si rivelavano fondati (le persone venivano
effettivamente sostituite da alieni invasori), i
pazienti affetti da Sindrome di Capgras si
sbagliano clamorosamente, gettando nello sconcerto
i loro cari che, dopo anni di vita insieme, si
sentono improvvisamente trattati da estranei.
Fred cerca la vera Vilma
Fred è un quasi sessantenne laureato che ha
sempre condotto una vita del tutto normale. È
sposato, non beve, e non ha mai avuto disturbi
psichiatrici. Da qualche tempo si è accorto della
comparsa di disturbi di memoria e di qualche
difficoltà nel reperire le parole. Questi disturbi
erano stati notati anche dai suoi familiari per
cui Fred viene invitato a sottoporsi a delle
indagini specifiche. Gli esami neurologici,
neuropsicologici e neuroradiologici fanno
propendere per una diagnosi di iniziale
deterioramento demenziale.
Quindici mesi circa dopo l'esordio dei primi
disturbi, ecco comparire il primo episodio
riferibile alla Sindrome di Capgras. Rientrato in
casa, Fred chiede a Vilma dove si trova «sua
moglie». Con sorpresa Vilma gli risponde di essere
proprio davanti a lui. «Conosco molto bene la
madre dei miei figli», risponde Fred, per il quale
quella signora che ha davanti è diventata una
perfetta estranea.
Il disturbo regredisce velocemente durante il
corso della giornata, ma nelle settimane
successive si ripresenta e diviene sempre più
frequente. Nel giro di poco tempo episodi simili
diventano quotidiani, cominciano a presentarsi più
volte al giorno e con durata sempre più lunga.
A poco a poco Fred si adatta alla situazione. Si
comporta come se Vilma fosse un'estranea, anche se
ammette che quella signora ha lo stesso nome, lo
stesso aspetto fisico, perfino la stessa voce
della moglie. È comunque molto preoccupato per la
sorte della «vera» Vilma. Chiede spesso di lei ed
è in ansia per la sua scomparsa. Finché un giorno
decide di andare alla polizia a denunciarne la
scomparsa.
Ma sta di fatto che con la nuova Vilma Fred si
trova davvero bene. Le parla volentieri, le
racconta del suo passato con Vilma, sembra quasi
farle una corte discreta anche se è sempre
consapevole che Vilma può tornare da un momento
all'altro. Al neuropsicologo Fred racconta che
questa Vilma è più giovane della precedente e
anche più gentile.
Fred è il nome fittizio usato dai due
ricercatori italiani Federica Lucchelli ed Hans
Spinnler per descrivere il caso di un signore
affetto da Sindrome di Capgras da loro seguito per
quattro anni, fino a quando le sue abilità
cognitive peggiorarono e la diagnosi fu quella di
una demenza fronto-temporale.
Che cos'è la Sindrome di Capgras
Il paziente affetto da Sindrome di Capgras crede
che una persona generalmente molto vicina a lui,
spesso un congiunto (raramente questo fenomeno si
manifesta verso più di un familiare) non sia chi
dice di essere. La sua convinzione è che si tratti
di un doppio, di un sosia perfetto. Dal suo punto
di vista le due persone (il doppio e l'originale)
sono identiche in tutto e per tutto, sia
fisicamente che cognitivamente ed emotivamente,
tanto uguali da condividere la stessa storia
autobiografica.
Il disturbo dura spesso molti mesi o anni e ci
sono periodi in cui compare solo saltuariamente.
Il paziente afferma con grande convinzione che
la persona presente è falsa, è cioè un estraneo,
che ha preso il posto di quella vera, ma trova
estremamente difficile sostenere in che cosa le
due persone differiscano. La convinzione è
comunque tale da resistere ad ogni possibile
critica. Proprio come nel film, la persona stessa
si stupisce dell'assurdità di quello che dice e di
non riuscire a fornire prove a favore della
propria convinzione.
Nei casi in cui la Sindrome di Capgras è
originata da un danno cerebrale, il paziente,
seppur angosciato per la scomparsa del «vero»
congiunto, si adatta molto rapidamente alla
convivenza con quello «falso»; quando invece la
matrice della sindrome è psichiatrica, il falso
congiunto diventa un impostore e assume quasi
sempre scopi persecutori. Il paziente allora
diventa aggressivo e può addirittura diventare un
assassino, così come è testimoniato dalla presenza
in letteratura di casi di omicidio dovuti alla
Capgras. In ogni caso i pazienti affetti da questa
sindrome sono tendenzialmente più violenti e la
violenza sarebbe rivolta prevalentemente verso i
membri della propria famiglia: su 23 casi di
omicidio associati alla Capgras e analizzati in
letteratura, 21 erano rivolti verso i familiari.
Tutti gli assassini sarebbero psicotici con storia
di alcolismo e abuso di sostanze e il rischio
aumenterebbe notevolmente se il paziente è un
uomo.
Mentre i pazienti psichiatrici con Sindrome di
Capgras rispondono bene al trattamento
farmacologico (Khouzam, 2002), ciò non si verifica
nei casi in cui l'origine della malattia è
organica.
La frequenza della Sindrome di Capgras
La presenza di episodi di Capgras, è attestata
in molte malattie neurologiche e nelle patologie
psicotiche (la concomitanza con le psicosi è di
circa il 3-4%). La Sindrome di Capgras è stata
osservata principalmente in pazienti affetti da
schizofrenia, soprattutto del subtipo paranoide, e
in associazione con disordini schizoaffettivi.
Molto più frequente appare nelle demenze: nella
malattia di Alzheimer, saltuari episodi sarebbero
presenti nel 20-30% dei pazienti.
Questa sindrome è poi stata osservata in casi di
traumi cranici, di ictus cerebrali, di tumori
cerebrali (in particolare alla ghiandola
pituitaria), di sclerosi multipla, di morbo di
Parkinson, di ipossie cerebrali e perfino dopo la
somministrazione di elettroshock. Sono descritti
anche fenomeni associati ad AIDS, alcolismo,
intossicazioni da litio (farmaco molto usato nei
disturbi maniaco-depressivi) e persino ad alcuni
casi di emicranie.
Non è stata ancora identificata una precisa
localizzazione cerebrale per la Sindrome di
Capgras, anche se le sedi preferenziali
sembrerebbero essere a carico dell'emisfero destro
e dei lobi frontali (Lewis, 1987).
Sono comunque riportati molti casi con lesione
bilaterale. Studi neuroradiologici hanno inoltre
mostrato come pazienti affetti da schizofrenia e
Sindrome di Capgras abbiano una più estesa atrofia
corticale frontale e temporale se confrontati con
altri pazienti schizofrenici non affetti da
Capgras (Joseph e coll. 1990).
La sindrome sembrerebbe inoltre associata ad
iperattività dopaminergica e ad anomalie
serotoninergiche (la dopamina e la serotonina sono
due neurotrasmettitori cerebrali): non tutti gli
autori concordano però sulla presenza di queste
alterazioni, non essendo state riscontrate
sistematicamente.
Alcune possibili interpretazioni della Sindrome di
Capgras
Le ipotesi interpretative della Sindrome di
Capgras sono numerose ma possono essere
classificate in due gruppi: le interpretazioni che
prevedono un'implicazione emotiva e quelle che non
la prevedono. Per quanto riguarda le prime, si
possono riassumere in due punti.
1) Durante il riconoscimento di una persona,
vengono attivate due vie cerebrali: una via
dorsale e una via ventrale. La via dorsale
risulterebbe responsabile del riconoscimento
implicito, quella ventrale di quello esplicito.
Nella Capgras sarebbe compromessa la via dorsale
che, avendo stretti legami con l'amigdala (zona
del cervello coinvolta nel sistema emotivo)
farebbe perdere il riconoscimento affettivo ed
emotivo di quella persona. La riconosciamo, ma
essa non suscita in noi le emozioni che dovrebbe,
quindi «quella persona non è più lei» (Ellis e
Young, 1990).
2) La percezione di familiarità che ci permette
di riconoscere i nostri cari comporterebbe
l'attivazione dell'amigdala. La persona con
Capgras, con compromissione dell'amigdala,
creerebbe un nuovo tipo di riconoscimento che,
essendo privo di familiarità, si sovrappone al
precedente solo per le caratteristiche fisiche
(Hirstein e Ramachandran, 1997).
Per quanto riguarda le interpretazioni senza
implicazione emotiva, recentemente due ricercatori
italiani (Lucchelli e Spinnler, in stampa) hanno
ipotizzato che il riconoscimento avvenga sia in
maniera gestaltica (viene colto l'insieme della
persona) che in maniera analitica. Nella Sindrome
di Capgras il riconoscimento gestaltico avverrebbe
correttamente a tal punto che il paziente arriva
all'identificazione biografica della persona e al
suo nome. Il riconoscimento analitico invierebbe
invece un segnale di non riconoscimento e la
discrepanza provocherebbe l'assenza del giudizio
di familiarità.
Alcuni casi particolari della Sindrome di Capgras
Esistono in letteratura dei casi di Sindrome di
Capgras che hanno come sosia un animale domestico
o persino un oggetto di valore. Il paziente
ritiene che i «veri oggetti» siano stati rubati e
quelli che lui vede lì davanti a sé siano molto
simili agli originali, ma di valore inferiore. Una
signora di 31 anni non riconosceva, ad esempio, i
suoi oggetti personali del bagno e pensava che le
riviste in casa sua non fossero le sue, ma solo
una ben riuscita imitazione.
La Sindrome di Capgras può inoltre colpire anche
la cognizione del tempo. Una signora inglese si
recava in chiesa ogni giorno della settimana,
perché secondo lei la domenica aveva sostituito
tutti gli altri giorni. Questo comportava inoltre
che la signora, una settantenne completamente
autonoma, preparasse ogni giorno un succulento
pranzo domenicale. Il disturbo durò per circa sei
mesi, poi il suo quadro cognitivo iniziò a
peggiorare e fu diagnosticata una demenza di
Alzheimer (Aziz e Warner, 2005). Un'altra signora
sessantenne, descritta dagli stessi autori,
pensava che la domenica venisse due o tre volte la
settimana e ciò la disturbava molto perché non
poteva fare shopping e perché a ogni domenica
seguiva inesorabilmente un pesante lunedì.
Nicoletta Beschin
Sergio Della Sala
(«Psicologia contemporanea» n. 202/07)
Scoutismo: cent'anni ma non li dimostra
- La strada come metafora della vita: nel 1907
nascevano gli scout. Nel suo centenario, lo
storico movimento educativo insegue «un solo
mondo, una sola promessa». Insegnando ai più
piccoli a vivere insieme, cristianamente, nell'era
globale. Quali sono i tratti distintivi di questo
centenario che lo scoutismo italiano e mondiale
sta celebrando in tutti i Paesi del mondo? Molta
strada è stata fatta da quando il fondatore Baden
Powell, nell'agosto 1907, iniziò l'avventura scout
con una ventina di ragazzi raccolti nelle strade
di Londra.
Anzitutto non è l'anniversario di una storia
oramai conclusa, da ricordare con nostalgia e con
un po' di retorica, ma un'avventura educativa che
vive ancora e che raccoglie grandi consensi. I
dati sono eloquenti: 38 milioni gli appartenenti
sparsi in 216 Paesi e due associazioni mondiali:
il Wosm che raccoglie le associazioni maschili,
con sede a Ginevra; e la Waggs, con sede a Londra,
che coordina quelle femminili. Un movimento
educativo da subito interreligioso e
multiculturale che trovò nell'impero inglese, al
massimo della sua espansione, il naturale
moltiplicatore a livello mondiale dell'esperienza
nata a Londra.
Dicevamo che è la storia di un movimento
educativo oramai di cento anni, che ha
attraversato con successo tutto il secolo scorso
subendo, tra l'altro, persecuzioni da dittature di
ogni colore, come accadde in Italia durante il
fascismo e come accadde nell'Est europeo con
l'avvento della dittatura comunista. Numerose,
anche se poco note, le storie di resistenza e di
clandestinità che lo hanno temprato, pronto a
risorgere - lo si è visto nell'Est europeo dopo il
crollo delle dittature comuniste - appena gli
spazi della democrazia lo consentivano. Proviamo a
tratteggiare gli elementi di forza che ne hanno
decretato il successo, per poi indagare e
riflettere sulle sfide che il movimento ha davanti
a sé, in Italia in particolare.
Buoni cristiani e buoni cittadini
Anzitutto si tratta di una proposta fondata
sulle «virtù difficili» elencate sinteticamente
nella Legge e nella Promessa; parole semplici che
propongono una chiara antropologia, uno stile e
una visione della vita che anticipano il
personalismo comunitario: sono sì virtù personali,
ma costantemente orientate all'altro, all'essere
per e con gli altri. Saper meritare fiducia,
lealtà, fraternità, amicizia, dedizione nel
servire gli altri, obbedienza alla verità,
laboriosità, cortesia, ottimismo intelligente,
purezza di spirito e stili di vita sobri e
sostenibili dicono di un profilo di persona sempre
attuale. Bella l'assonanza che si riscontra con
quanto affermato nel decreto sull'apostolato dei
laici del Concilio Vaticano II: «Tutti i laici
facciano di gran conto della competenza
professionale, del senso della famiglia e di
quelle virtù che riguardano i rapporti sociali,
come la correttezza, lo spirito di giustizia, la
sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo. Virtù
senza le quali non ci può neanche essere un vera
vita cristiana». Non è un caso: le virtù scout
sono profondamente legate all'antropologia
cristiana, eppure aperte a un umanesimo che
ambisce a parlare a tutti. Baden Powell, cristiano
anglicano fervente, ha anticipato con lungimiranza
il dialogo interreligioso, che lo scoutismo
mondiale vivrà sin dalla sua nascita. È la storia
di una laicità credente vissuta nel rispetto di
tutte le dimensioni che attraversano la vita delle
persone, e della distinzione tra i diversi piani
delle relazioni sociali. Una proposta catechetica
che si affida al racconto, al linguaggio
simbolico, all'incontro con i testimoni delle
virtù cristiane, ma soprattutto che crede che la
via maestra per aiutare a crescere i piccoli
nell'incontro con il Cristo vivente è la
testimonianza quotidiana, semplice e umile dei
capi educatori.
Un secondo dato che ha segnato il successo della
proposta consiste nel puntare al protagonismo dei
ragazzi rendendoli capaci di auto-educazione,
seppur accompagnati da un capo. Un ottimismo
profondo che crede nella possibilità di ciascuno
di realizzarsi, un ottimismo che fa dire al
fondatore che basta anche solo un 5% di bontà
presente in un ragazzo per realizzare una vita
felice. Una relazione adulto-ragazzo improntata
sulla reciprocità, senza confusione di ruoli e
senza cadere in forme di giovanilismo immaturo o
di autoritarismo intransigente. L'adulto fa lo
stesso gioco del ragazzo, rispetta le medesime
regole, non ha privilegi in più, va in calzoncini
corti e dorme in tenda. Il suo ruolo è di «capo»,
di colui cioè che propone le virtù testimoniandole
e rendendole vive. Ask the boy, raccomanda il
fondatore: ascolta il ragazzo, i suoi desideri e
le sue speranze, sii un buon capo e una buona
guida. E questa avventura di crescita personale
avviene sempre con il gruppo: l'invenzione della
«squadriglia» nell'età adolescente nasce
dall'osservazione di come si organizzano gli
adolescenti. La squadriglia è il gruppo che non si
struttura attorno alle patologie - come accade
oggi - ma aiuta l'autonomia, la progettazione,
l'avventura nella natura, la scoperta. Lo spazio
reale in cui si fa questa esperienza è l'ambiente
naturale che rende possibile l'autonomia e il
progettare di ciascuno: il campo estivo, le
vacanze di branco o la route diventano metafora
concreta della vita a misura di ragazzo. Si
costruisce tra i boschi una piccola città fatta di
quartieri, una città organizzata con servizi
comuni costituita da ragazzi cittadini. È una
città che va tenuta pulita, è un luogo in cui si
gioca, si prega e si lavora per costruire la
propria casa; una casa ben fatta perché
arriveranno le piogge ed è bene essere preparati.
Un altro elemento di forza è l'imparare facendo:
è una pedagogia del fare e dell'esperienza, che
non si attarda in lunghe dissertazioni sui valori,
ma li propone e li fa vivere. La buona azione derisa da molti commentatori - ha in sé una
intuizione grande: si diventa buoni educandosi
tutti i giorni a fare cose buone. Non è
l'esperienza per l'esperienza cui sono condannati
molti giovani oggi, ma l'esperienza che diventa
proposta di vita, vissuta, ragionata e accolta.
Sono elementi che andrebbero riproposti e che
appaiono profondamente attuali nei confronti di
una gioventù sotto «dittatura» della virtualità.
La stessa insistenza a educare le abilità manuali
va nella medesima direzione: l'uso delle mani e la
capacità di costruire oggetti è un'educazione
efficace alla competenza e alla consapevolezza del
proprio corpo, della sua cura e della sua
accettazione per quello che è. Per non parlare
della dimensione del gioco come luogo della
gratuità, della relazione e della sfida, non per
combattere l'altro, ma per sfidare se stessi e per
educarsi al rischio e all'avventura.
È infine una proposta che mette al centro la
dimensione della cittadinanza, oggi diremmo attiva
e solidale. Baden Powell ne parla da subito, forse
presagendo i momenti tragici che di lì a poco
sarebbero accaduti. Buoni cristiani e buoni
cittadini, quasi un nesso indissolubile tra la
doppia appartenenza alla Gerusalemme celeste e
alla città degli uomini che i cristiani sono
chiamati a vivere in un equilibrio sempre da
ricercare. Il servizio nel territorio, l'impresa,
il capitolo sono tutti strumenti tesi a educare il
futuro cittadino alla responsabilità per i beni
comuni e per lo «spazio pubblico». Con
lungimiranza il fondatore, che aveva viaggiato per
tutto il pianeta, pone come tratto fondativo della
proposta la dimensione della mondialità e
dell'educarsi a essere cittadini del mondo. Oggi
ci appaiono temi quasi scontati, ma ripensando al
tempo in cui sono stati proposti ci dicono di un
uomo con una profonda spiritualità e con una vera
genialità educativa.
Questa è la lunga traccia lasciata in cento anni
di storia. Ma se davvero vogliamo guardare al
futuro è bene, anche solo per un attimo, indicare
qualche pista di lavoro che metta a tema le sfide
che attendono il movimento affinché l'avventura
continui e offra alle generazioni future le
medesime opportunità vissute da quelle che le
hanno precedute.
L'educazione alla cittadinanza mondiale
Va anzitutto coltivata la profonda convinzione
che l'educazione rimane la chiave strategica che
permetterà alla nostra comunità di poter guardare
al futuro con speranza. Credo vada continuamente
rinnovata, tra gli educatori, la scelta della
vocazione educativa, troppo atipica rispetto ad
altre che appaiono «vincenti». Il servizio
educativo lavora sui tempi lunghi e non accetta
facili rendiconti e verifiche; si misura con i
ritmi dell'altro-più-piccolo e non prevede
accelerazioni e neppure bilanci annuali perché
l'incontro e la relazione educativa sono ammantati
di «mistero» e di libertà. Il servizio educativo
subisce le influenze del tempo: oggi va tutto
verificato, si attende il successo, non si ha
pazienza, tutto si misura su risultati
quantificabili. Rischiamo di perdere questo sapere
preziosissimo: il servizio educativo verso i più
piccoli - credo lo si possa dire - è una delle
forme più alte della carità cristiana, persino
prima di quella politica. La questione della
formazione degli educatori è dunque un aspetto
cruciale e nevralgico perché la proposta continui
nel suo successo.
Una seconda sfida è la capacità di incarnare la
proposta nell'oggi: occorre da una parte la
consapevolezza e la conoscenza del nocciolo
profondo della proposta scout e della ricchezza
della sua «strumentazione» e dall'altra la
creatività necessaria per obbedire al mandato del
fondatore: Ask the boy. Come declinare oggi
l'ambiente naturale in una realtà oramai
antropomorfizzata? Come contrastare il calo degli
iscritti nelle grandi città e quale «ambiente
educativo» offrire per continuare a vivere
l'avventura? Come riproporre il gruppo e la sua
autonomia in un tempo che appare minaccioso e
pericoloso per gli adolescenti? Come evitare
l'orizzontalizzazione delle funzioni nel gruppo ed
educare a una leadership positiva? Come
intercettare educativamente le nuove tecnologie
visive e comunicative?
Da aggiungere, la sfida dell'accoglienza e
dell'impegno verso coloro che hanno più bisogno. È
un nodo in parte ancora irrisolto: la proposta
risulta selettiva perché esigente, chiede impegno
e costanza, e una particolare attenzione della
famiglia, cosicché questa forte strutturazione
educativa impedisce spesso l'accesso alle
categorie sociali più povere e deboli. Nelle
periferie urbane più degradate lo scoutismo è una
proposta possibile e praticabile? L'incontro con
gli ultimi è determinante per misurare l'efficacia
e la possibilità di «speranza» che lo scoutismo
cattolico potrà offrire alle future generazioni.
Non può non mancare un rinnovato impegno
all'educazione alla fede: è una questione che oggi
assume una radicalità e una complessità tali da
far tremare le vene e i polsi di chiunque. Se la
natura (il secondo libro di Dio, ci ricorda il
fondatore) sino ad alcuni decenni fa era il luogo
privilegiato per una catechesi vissuta, oggi
questa dimensione come potrà vivere in una cultura
che propone una natura tutta conosciuta,
manipolabile e senza alcun mistero? E se la
trasmissione della fede passa principalmente
attraverso la testimonianza dei valori e
l'esercizio delle virtù cristiane, come tutto ciò
troverà un radicamento nella vita, spesso segnata
dalla fragilità, dei giovani educatori? Come andrà
ricostruito un rapporto, talvolta di
contrapposizione, fra i tempi e l'autonomia della
comunità educativa e quelli della vita della
chiesa locale? Quale nuovo dialogo andrà ricercato
con la famiglia non più percepita come un freno,
ma come risorsa indispensabile per ottenere un
successo educativo? Oggi questa opzione diventa
strategica: in caso contrario, chi aiuterà i
giovani a scegliere responsabilmente e a darsi un
minimo di strumentazione per capire la posta in
gioco?
E infine, in un tempo di individualismi e di
egoismi collettivi, va riproposta un'idea forte di
cittadinanza, perché i destini di ognuno sono
indissolubilmente legati a tutti quelli della
comunità, da quella locale a quella mondiale.
L'educazione alla cittadinanza mondiale, una
felice intuizione del fondatore, come viene
vissuta e resa concreta? È ancora troppo
sottotraccia e assai carente nei contenuti e nelle
prospettive indicate. Perché non ripartire dal
tema della fraternità scout, metafora della più
grande fraternità tra gli uomini? Essa ha bisogno
di nuova energia culturale e di una strumentazione
educativa adeguata. Lo scoutismo cattolico in
Italia è ormai maturo per animare una stagione di
incontro con altre religioni a partire dai valori
condivisi della Legge e della Promessa scout: come
recita il motto del centenario, è «un solo mondo,
una sola promessa». Davvero l'utopia di una
medesima promessa condivisa da associazioni in
ogni parte del mondo, superando steccati politici,
religiosi, etnici può divenire un grande
laboratorio educativo e sociale riguardo ai temi
dell'integrazione dei bambini stranieri e del
dialogo interculturale.
Lo scoutismo è nato sulla strada: la strada è la
metafora della vita ed è l'immagine che accompagna
la vita di Gesù. L'intuizione educativa di Baden
Powell è maturata osservando la strada e i ragazzi
che la frequentavano, e mettendo a frutto la
grande esperienza umana vissuta in Africa. Il
successo dello scoutismo sta tutto qui: ascolto e
discernimento, strumentazione a misura di ragazzo,
flessibilità e capacità di adeguarsi ai vari
contesti senza tradire le proprie radici.
L'avventura continuerà, ne sono certo.
Edoardo Patriarca
(«Vita e Pensiero» n. 3/07)