Luglio-Settembre 2007 n. 3 Anno XXI Quaderni di Minimondo Rivista culturale Braille Periodico trimestrale Fascicolo II Direzione Redazione Amministrazione Biblioteca Italiana per i Ciechi 20052 Monza - Casella postale 285 c.c.p. 853200 - tel. 039/28.32.71 e-mail: [email protected] Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani, Antonietta Fiore, Ilaria De Cristofaro Pietro Piscitelli (Responsabile) Copia in omaggio Stampato in Braille a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi via G. Ferrari, 5/a 20052 Monza Sommario Marco Cadioli: Second Life, per rifarsi una vita (digitale) («Vita e Pensiero» n.2/07) Stefano Cagliano, Mauro Miselli: Il danno da farmaci («Le Scienze» n. 467/07) Nicoletta Beschin, Sergio Della Sala: Sembra lei ma non è lei («Psicologia contemporanea» n. 202/07) Edoardo Patriarca: Scoutismo: cent'anni ma non li dimostra («Vita e Pensiero» n. 3/07) Second Life, per rifarsi una vita (digitale) - È nato su Internet un intero mondo, che però non esiste. Mentre milioni di persone sviluppano una nuova, impalpabile identità, e aziende e politici raddoppiano mercati e bacino elettorale, come cambia il rapporto tra reale e virtuale? Si è creduto per un po' che fosse un gioco, chi ci entrava era guardato con sospetto e ironia. C'erano già altri mondi virtuali on line, i Mmorpg (Massive Multiplayer Online Role Playing Game), i giochi di ruolo dove ci si incontrava per spararsi in scenari di guerra o per vivere avventure fantastiche tra fate, draghi, alleanze e guerrieri. Ma questo come gioco appariva da subito qualcosa di diverso, non c'era niente da fare, non una missione da compiere, non un anello da cercare. E poi era vuoto. Una terra vuota dove si aggiravano personaggi che stavano inventando qualcosa. Era il 2003, la preistoria di questo mondo. Oggi Second Life (SL) è il mondo virtuale più chiacchierato dai media e coccolato dall'arte - e interessa al business. È un mondo 3D on line completamente immaginato e costruito dai suoi residenti, come dicono nel sito ufficiale (www.secondlife.com). Il numero dei residenti, come vengono chiamati gli abitanti di SL, ha avuto una crescita impressionante in questi ultimi mesi. Mentre ci è voluto tutto il 2005 per passare da 20.000 a 100.000 iscritti, nell'ottobre 2006, dopo l'annuncio dell'entrata dell'agenzia Reuters che ha fatto fare il giro del mondo alle news su SL, gli account sono schizzati a 1.000.000 e, quattro mesi dopo, sul blog SL Insider (www.secondlifeinsider.com) si stava seguendo in diretta il raggiungimento dei 4 milioni, previsto in tarda mattinata, con un ritmo di crescita di decine di migliaia di utenti al giorno. Anche in Italia il fenomeno sta esplodendo e in questi giorni si incontrano moltissimi nuovi arrivati che si guardano attorno spaesati cercando qualcuno che parli la loro lingua. Va precisato che il numero degli iscritti non corrisponde al numero di chi frequenta SL con regolarità, c'è anche chi è entrato una volta per curiosità e non ci ha più messo piede. Ma si conta che almeno il 10% del totale sia veramente attivo, di età media 33 anni, 57% uomini, 43% donne. Un'idea per re-inventare il web La grande idea alla base di tutto il progetto è stata quella di lasciar liberi di agire gli utenti senza dar loro un mondo preconfezionato e un ambiente fantastico definito, ma fornendo gli strumenti per poter creare il mondo stesso. Philip Rosedale guida la Linden Lab, la società con base a San Francisco produttrice del software che gestisce l'intero pianeta Second Life. Rosedale, nato a San Diego nel 1968, ha cominciato a lavorare al sogno di costruire ambienti di realtà virtuale già nel 1999 e sostiene di non aver creato SL per essere un gioco, ma per reinventare la rete e mettere in contatto più persone possibili in una nuova forma di social network. Dichiara anche di essersi ispirato per questo al romanzo di sci-fiction di Neal Stephenson Snow Crash, che si svolge tra il mondo reale e uno spazio on line iper-realistico chiamato The Metaverse. Tra gli investitori che hanno creduto nel progetto di Rosedale vi sono il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, e il fondatore di e$Bay, Pierre Omidyar di Omidyar Network. La possibilità di costruire autonomamente e la libertà di interpretare il proprio ruolo senza schemi stabiliti hanno portato al fiorire di attività di ogni tipo, imprevedibili a priori e nate dalla rete di collaborazioni che si stabilisce nella comunità dei residenti. Il paesaggio è in continuo mutamento e c'è il clima di un cantiere permanente. Si aprono sedi di società, di università, centri commerciali, ci sono decine di dibattiti ogni sera, concerti, presentazioni in anteprima di film e libri. Ciascuno detiene i diritti e la proprietà degli oggetti che crea e questo ha spinto migliaia di persone a mettere a disposizione del tempo per programmare e costruire in un progetto di sviluppo collaborativo che sino a ora è stato libero e non coordinato, come nella costruzione del web. La moneta e l'accesso C'è anche un'economia interna, basata sul Linden Dollar (L$) che viene cambiato a circa 270 a uno sul dollaro americano. All'interno di SL ci sono bancomat dove è possibile cambiare Linden direttamente dal proprio conto corrente con la carta di credito e i Linden guadagnati in SL possono essere riconvertiti in dollari reali. Questo meccanismo ha messo in moto una vera economia, con scambi per 5 milioni di dollari Usa nel gennaio 2007, di cui si sono occupati studiosi come Edward Castronova e testate come il «Business Week», che ha dedicato una cover story ad Anshe Chung, la cinese che ha guadagnato un milione di dollari comprando e vendendo terreni. Per entrare in SL si deve scaricare e installare un programma che elabora sulla propria macchina i dati che provengono dai server che si trovano presso Linden Lab e li visualizza come uno spazio tridimensionale sul nostro monitor permettendoci di vedere anche gli altri utenti connessi in quel momento. Bisogna poi registrarsi, gratuitamente, scegliendo un nome e un cognome, e si ha un proprio Avatar, cioè un doppio virtuale, un'estensione di noi nel digitale. A questo punto, se non si ha già avuto esperienza di come muoversi nei videogiochi, bisogna imparare tutto da capo. A camminare, ad esempio, a sedersi su una sedia, volare, cambiarsi i vestiti. C'è un tempo di apprendimento che va calcolato, poi l'esperienza è molto diretta e ci si dimentica del computer perché si agisce e ci si muove in uno spazio che ci fa percepire una sorta di realtà conosciuta. Attorno il paesaggio è spesso realistico, con case, alberi, negozi, altri Avatar; per comunicare si chatta, e questo più o meno tutti lo sanno fare. L'urbanistica Lo spazio di SL è in vendita e ciascuno può comprare o affittare un terreno secondo i prezzi altalenanti del mercato interno. L'acquisto di un terreno porta anche a un costo mensile di mantenimento che va pagato alla Linden e che per una porzione di terra di 512 metri quadrati, adatta per una casa ad esempio, è attorno ai 15 dollari al mese. Sul proprio terreno si può costruire quello che si vuole, utilizzando gli strumenti di modellazione interni che sono simili, anche se molto più ridotti, a quelli usati per la progettazione architettonica. Ci si costruiscono le case ma anche i mobili e i vestiti. Chi non è capace deve rivolgersi ad architetti, e per gli arredi può fare un giro nelle centinaia di negozi di design. Aimee Weber è una delle più brave e famose designer di SL, è giovanissima nella vita vera ma adesso ha una società a New York con 14 dipendenti e clienti come le Nazioni Unite, il marchio di abbigliamento American Apparel, The National Oceanic & Atmospheric Association per i quali ha realizzato la simulazione di uno tsunami, American Cancer Society per i quali ha curato la campagna Relay for Life in SL. Ha costruito il loft per il lancio del cd di Regina Spector per la Warner Bros, restituendo con un'architettura le atmosfere urbane dell'album e creando un punto di incontro per i fan. È proprietaria di Midnight City, la città notturna ispirata a New York dove ha aperto il primo negozio della sua linea di abbigliamento Preen e costruito per l'Exploratorium Museum in San Francisco un planetario dove è possibile farsi una camminata tra i pianeti e assistere alla simulazione dell'eclisse solare totale del 29 settembre 2006 in Turchia. Lei è una farfalla con le ali blu. L'architettura e il design sono per forza al centro della costruzione di un mondo 3D, ne determinano il paesaggio e l'uso. In molti casi si tende a costruire imitando la realtà, le case sono appoggiate per terra, hanno il tetto anche se non piove e le scale anche se si può volare. Ma ci sono progetti più sperimentali, come la sede del magazine «The Ava Star» costituita da cinque enormi sfere sospese nell'aria. Ci sono pezzi di città ricostruite, San Francisco, Venezia, Los Angeles, Dublino, rifatta sulla pianta reale della città e con tutti i principali punti di interesse, compresa la fabbrica della Guinness e il Blarney Stone, il miglior pub irlandese di SL dove si ascolta ottima musica perché i dj sono tutti irlandesi, ci sono serate di cultura celtica e si balla la giga. Per arredare la propria casa ci sono decine di negozi che propongono linee diversissime, da quelle terribilmente kitsch ai classici del design come il divano di Le Corbusier e la poltrona di Mies van der Rohe, ma puoi anche affittare una casa su un albero in stile isola tropicale. La stampa, il business e la moda L'agenzia Reuters ha aperto nell'ottobre 2006 una sede permanente in Second Life, comprando un'intera isola e costruendo un palazzo di 5 piani veramente imponente. Porta le notizie del mondo reale in SL e quelle di SL fuori. Ci sono schermi con filmati, le ultimissime news che scorrono, ci sono sale per incontrarsi tra giornalisti. Adam Parkins, giornalista di tecnologia e media veterano della Reuters, dirige con il nome di Adam Reuters la sede in SL. Pochi giorni dopo ha aperto una sua sede anche «Wired», la bibbia dei new media. Lo spazio è costruito ricreando l'interno di un computer, la reception è nell'alimentazione, la sala riunioni nella «cpu», ci si siede su transistor e resistenze. Ma quello che vi accade è assolutamente reale, si incontrano giornalisti e ci sono conferenze, si discute e si prendono decisioni. Così anche Cnet ha una sede, e Bild.T-Online.de è la versione on line di «Bild», il più diffuso tabloid europeo pubblicato da Axel Springer. AG ha fondato «The Ava Star», il primo magazine professionale di SL lanciato nel dicembre 2006. La redazione di Berlino si avvale del lavoro di giornalisti in world, come si usa dire per le attività che si svolgono nel mondo on line, che si incontrano per l'editorial meeting il lunedì pomeriggio alle tre e mezza, ora di Berlino, in una delle sfere sospese in aria dove ci sono gli uffici della redazione e la sala riunioni. Lo so perché ho lavorato come fotografo free lance per loro. Uno dei fenomeni del momento è l'entrata delle società reali: Ibm ha acquistato numerose isole e sta costruendo anfiteatri e centri di ricerca in un progetto da 10 milioni di dollari, è entrata General Motors, la Toyota ha fatto il lancio della XB Shion, c'è Dell, Cisco System, Sun Microsystem. Microsoft ha lanciato qui il nuovo sistema operativo Vista. In molti casi si tratta di operazioni di immagine, perché tutto ciò che succede in SL oggi fa notizia, ma si stanno sperimentando forme di business e promozione più concrete. American Apparel è il primo brand reale di abbigliamento ad aver aperto un punto vendita in SL, oltre agli ottanta che ha in giro per il mondo, e lo ha fatto sul modello del suo negozio di Tokyo. Vende felpe e t-shirt indifferentemente per umani e Avatar con politiche di sconto incrociate. Al momento della nascita il proprio Avatar è nudo, poi il suo corpo si veste con l'abbigliamento standard in dotazione e uguale per tutti, di solito jeans e maglietta. Tutti vogliono personalizzare il proprio Avatar, renderlo riconoscibile e far sì che in qualche modo rispecchi una parte di sé, sia essa uomo, donna, furry, cioè animale tipo cartoon. È possibile modificare la forma del corpo, modellandosi bellissimo o mostro, cambiare la pelle scegliendo il colore, comprarsi dei capelli, vestiti, scarpe, accessori di tutti i tipi. E si possono aggiungere animazioni che permettano di compiere particolari movimenti più complessi di quelli che si controllano con le freccette sulla tastiera, come ballare, eseguire mosse di arti marziali e quelli che richiedono una certa sincronia tra due personaggi. Si comprano animazioni per abbracciare la propria fidanzata, ad esempio, o baciarla o qualunque altra situazione riusciate a immaginarvi. Sul mercato interno di SL si trova qualsiasi prodotto per gli Avatar venduto regolarmente in Linden. Un paio di jeans costa 300 Linden, poco più di un dollaro, e una pelle molto dettagliata può arrivare a 10 dollari. Ci sono linee di abbigliamento firmate e mall grandi come città dove ci si muove volando. E la moda porta l'indotto, come a Milano, così sono nate riviste di fashion, ci sono sfilate, agenzie di modelle e di organizzazione di eventi. Ci sono gioiellerie per gli Avatar, ma non solo. Dior ha lanciato la sua ultima collezione di gioielli disegnata da Victoire De Castellane esponendo anelli grandi come sculture disposti tra gli alberi di Belladone Island. E siccome i gioielli esposti sembrano fiori, ci si trova a volare e posarsi sulle pietre preziose come si fosse un'ape. Una piattaforma per eventi Ci sono già sperimentazioni che vedono in SL una piattaforma per l'insegnamento a distanza e il lavoro collaborativo. Le lezioni possono svolgersi in world, dove l'insegnante stesso è un Avatar e si trova tra altri Avatar studenti, o lezioni trasmesse in streaming video da fuori, come una videoconferenza. È stato così per la conferenza tenuta dal guru della rete John Maeda alla Mediateca di Milano in febbraio e trasmessa in contemporanea in SL. Alla Ohio University si sperimenta già come gli spazi virtuali possano accrescere le esperienze di apprendimento, Harvard ha aperto un campus e gruppi di docenti e ricercatori di varie parti del mondo hanno frequenti incontri per scambiarsi le esperienze. Lo stesso vale per i concerti, dove l'Avatar si muove sul palco di SL mentre l'artista è in qualche studio in Real Life e trasmesso in diretta. Ci ha suonato Susan Vega l'estate scorsa e ci sono una miriade di folk singer indipendenti che suonano nei locali. Per ora ci possono essere un numero molto limitato di spettatori, perché le sim non riescono a reggere più di una trentina di Avatar dovendo elaborare in diretta tutti i dati. Questo dà ai concerti un'atmosfera da piccolo club con molta interazione con l'artista che dialoga con il pubblico e si siede tra i fan. Le relazioni sociali e la politica Le relazioni che si stabiliscono tra Avatar all'interno di un mondo condiviso sono più ricche delle normali relazioni che si hanno in rete, in luoghi come Msn o nelle chat, tramite e-mail. Inizia a esserci una comunicazione del corpo sintetico con gesti e atteggiamenti. Anche se non parlo ma mi avvicino a un Avatar e mi siedo su un divanetto di fianco a lui, stabilisco una comunicazione, e questo è ovvio in Real Life ma impossibile nel web. Chi sta comprando un libro da Amazon non si accorge della presenza degli altri utenti che magari stanno sfogliando lo stesso libro, ma in una libreria di SL ci si incontra, si può avvicinarsi e scambiare opinioni, e potrebbe esserci un commesso preparato che ci consiglia. Ci sono gruppi di interesse e incontro su tutti i temi possibili, ho visto annunci di gruppi di donne per la lettura e il commento di brani della Bibbia, reading di poesie, discussioni politiche. Oltre a tutti i luoghi di aggregazione come discoteche, pub, communities divise per lingua e nazione. Si sperimentano conoscenze e lavoro tra individui che non si sono mai incontrati e si conoscono solo attraverso l'Avatar, ma le relazioni appaiono quanto mai reali nelle loro dinamiche. Ségolène Royal ha aperto la sede del Parti Socialiste in Second Life in gennaio con il sostegno del gruppo Désir d'avenir Comité 748, dove 748 fa riferimento alla normale numerazione degli altri comitati in Real Life. Nella sede è esposto il programma elettorale, si svolgono dibattiti con i candidati, si incontrano i militanti a discutere. In dicembre Le Pen aveva già aperto una sede del Front National e vi erano state molte manifestazioni anti-FN, e nonostante le critiche fatte da Nicolas Sarkozy all'entrata dei politici in SL, da febbraio c'è île Sarkozy, quartier generale non ufficiale a sostegno del candidato. Le notizie sono sulle pagine politiche dei quotidiani, non su quelle dei videogiochi. «Libération» mi ha commissionato un reportage sull'evento e mi sono incontrato con la giornalista che scriveva il pezzo nella sede di Desir d'avenir così mentre lei faceva le interviste io scattavo le foto. Ho mandato il materiale di notte al photoeditor e la foto è finita in prima pagina il 20 gennaio scorso (www.ecrans.fr/spip.php?article722). In SL sono il fotografo Marco Manray e racconto dal 2005 l'evoluzione di questo mondo portando le immagini fuori dalla rete per la stampa reale ed esponendole come opere su carta. Pubblico i reportage e le avventure di Marco Manray nel progetto My First Second Life, dove è possibile trovare una documentazione fotografica di molti dei fatti riportati qui (www.myfirstsecondlife.com). Verso la rete del futuro L'intreccio tra mondo reale e mondo virtuale è sempre più stretto. Sta finendo la prima epoca d'oro da isole vergini non toccate dal mondo esterno, poi da far west e caccia all'oro: ora stanno entrando le regole del mondo e del mercato. Si stratificano i passaggi evolutivi del mondo virtuale, così i negozi dell'Adidas e della Reebook stanno di fianco a piccole esperienze private di chi vende vestiti cyber per un dollaro, e le affissioni stanno invadendo con vecchie logiche pubblicitarie il territorio. E i residenti iniziano a chiedersi che influenza possono avere nelle scelte di sviluppo di SL e alcuni gruppi hanno iniziato a chiedere la possibilità di voto su temi importanti del mondo virtuale che non possono essere trattati solo e autonomamente dalla Linden Lab. Gli artisti Alain Della Negra e Kaori Kinoshita, di base a Parigi, hanno appena terminato un documentario che indaga i rapporti tra mondo reale e virtuale, una frontiera che si sta spostando e che pone questioni come: chi decide le regole del mondo virtuale, quali leggi, quali misure devono essere definite, quale modello di futuro scegliamo. La presentazione avverrà al Michinaga-Lichty Arts Center, Han Loso (65, 31, 137). Hans Loso è la zona, le tre coordinate sono come il numero civico ma danno un punto nello spazio. Second Life, o qualcosa che gli assomiglia, sarà la base per lo sviluppo del web 3D. Anziché cliccare su un link e finire in un sito, ci andremo direttamente volando con il nostro Avatar. Qualcuno pensa ancora che sia un gioco? Marco Cadioli («Vita e Pensiero» n.2/07) Il danno da farmaci - Le medicine sono un'arma fondamentale nella lotta contro le malattie: ma gli studi preliminari non bastano a garantirne la sicurezza per tutti. «Negli ultimi quindici anni, molti farmaci appartenenti a diversi gruppi terapeutici sono stati ritirati dal mercato per ragioni di sicurezza», scrive Joel Lexchin, della School of Health Policy and Management di Toronto, su «Adverse Drug Reaction Bulletin», un periodico che si occupa esclusivamente dei danni causati dai farmaci. «Grande rilievo ha avuto di recente il rofecoxib, un antinfiammatorio non più in commercio poiché associato a gravi effetti cardiovascolari (infarto). Ma altri farmaci ritirati sono un antibiotico, la temafloxacina (anemia e insufficienza renale); un antidispeptico, la cisapride (aritmie cardiache); un ipocolesterolemizzante, la cerivastatina (danni muscolari anche mortali); un miorilassante per uso chirurgico, il rapacuronio (problemi broncopolmonari) e un dimagrante, la fenfluramina (danni alle valvole cardiache)». Il tema del danno da farmaci, o ADR (adverse drug reaction), occupa sempre più spesso le colonne delle riviste scientifiche. Il problema, infatti, non è stato affatto risolto dopo la vicenda del talidomide. Se sino ad allora si era sbagliato nel credere che per la sicurezza di un farmaco bastasse controllare che non contenesse impurità, trascurando i possibili danni causati dal suo principio attivo, l'errore successivo è stato illudersi che bastassero poche informazioni iniziali su un campione limitato di persone, e non comprendere che la commercializzazione del farmaco è in realtà una grande prova generale, effettuata su larga scala, nelle condizioni più disparate, in persone di età diversa e che si curano con chissà quante altre medicine. Così, le brutte sorprese non sono mancate. Negli Stati Uniti, nel 2006, l'organo di controllo federale, la Food and Drug Administration (FDA), ha dichiarato che quasi 20 milioni di americani sono stati esposti a cinque farmaci successivamente ritirati dal mercato per ragioni di sicurezza. Dal talidomide al Vioxx Negli anni cinquanta, quando un sedativo chiamato talidomide provocò la nascita di migliaia di bambini focomelici, vi fu una reazione di allarme generalizzata. Negli Stati Uniti la consapevolezza che un farmaco potesse procurare un danno simile si tradusse, nel 1962, nell'emendamento Harris-Kefauver al Federal Food, Drug and Cosmetic Act del 1938, emendamento che ha ispirato le normative nazionali sulla registrazione e il controllo dei farmaci in gran parte del mondo. In quella norma si prese atto per la prima volta che per valutare ogni nuovo farmaco occorrono una gradualità di passaggi, il coinvolgimento di volontari sani e il consenso informato di chi partecipa alle ricerche. L'anno successivo, le norme note come Investigational New Drug stabilirono che per ottenere il via libera al commercio negli Stati Uniti le industrie dovevano provare la sicurezza e l'efficacia del farmaco, e indicare il ricercatore responsabile di quelle prove. Si concluse, cioè, che bastassero prudenza, un ingresso graduale sul mercato e, naturalmente, i presupposti farmacologici, perché il farmaco mantenesse le sue promesse e riservasse poche sorprese. Negli anni sessanta si riconobbe che era utile distinguere tra ADR di tipo A e B, a seconda che l'effetto fosse legato all'azione curativa (l'eccesso di sedazione causato da un antiansia) oppure completamente diverso (l'anemia causata da un antibiotico). Inoltre, per creare un linguaggio comune che facilitasse lo scambio d'informazioni, nel 1970 l'Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) propose di definire ADR «ogni effetto tossico, non intenzionale, che si osserva a dosi del farmaco usate nell'uomo per terapia, profilassi o diagnosi». Una scelta ritenuta poi da molti troppo ottimistica rispetto alla realtà, perché - osservano Virginia A. Sharpe e Alan I. Faden - «molte reazioni avverse sono legate a errori nell'uso dei farmaci», per esempio nel dosaggio, o a possibili interazioni di cui non si è tenuto conto. In ogni caso, la storia dimostra che il plausibile effetto farmacologico di una medicina e il suo collaudo nell'ambito controllato di qualche studio iniziale non ne fanno una medicina sicura. All'inizio degli anni ottanta uno studio dell'OMS dimostrò che una terapia con clofibrato funzionava da un punto di vista farmacologico perché abbassava il colesterolo, ma nell'insieme era dannosa perché aumentava la mortalità, per cancro o altre ragioni. Nel settembre 1997 la casa farmaceutica statunitense Wyeth annunciò il ritiro dal commercio di due farmaci dimagranti di sua produzione, la dexfenfluramina (Redux), e la sua stretta parente fenfluramina (Pondimin). La prima, a lungo usata in Europa, era stata approvata Oltreoceano nel 1996, mentre risaliva al 1973 il lancio sul mercato della fenfluramina, spesso usata in combinazione con la fentermina, un dimagrante immesso sul mercato nel lontano 1959. La Wyeth, disse il direttore medico Marc Deitch, «ha deciso il ritiro alla luce di nuove informazioni sui danni alle valvole cardiache descritti in alcuni pazienti». Deitch alludeva al rapporto inviato l'8 luglio 1997 alla FDA dalla Mayo Clinic di Rochester, che descriveva la comparsa di insufficienza valvolare in 24 persone trattate con fentermina e fenfluramina. L'8 giugno 1998 toccò alla Roche, che dalla sede di Nutley, nel New Jersey, annunciò il ritiro volontario dal mercato del mibefradil, un farmaco usato per abbassare la pressione e ridurre i dolori da angina, commercializzato nell'agosto 1997 con il nome di Posicor. Pochi giorni dopo, il 22 giugno, fu di nuovo la Wyeth a dover annunciare, per la seconda volta in meno di un anno, il ritiro di un farmaco di sua produzione. Era il bromfenac, un antidolorifico commercializzato come Duract, che dal momento del lancio aveva causato 12 casi di insufficienza epatica, portando 4 pazienti alla morte e gli altri 8 al trapianto di fegato. Nel 2004, infine, c'è stata la vicenda degli antinfiammatori anti-Cox-2 Vioxx (rofecoxib) e Celebrex (celecoxib), all'inizio presentati privi di danni gastrici, poi sospesi dal commercio in diversi paesi perché il loro impiego è risultato associato a problemi cardiaci, e poi di nuovo riammessi in alcuni con avvertenze sui loro rischi, con decisioni che fanno ancora discutere. Nel 2005, raccomandazioni a prestare attenzione al problema sono venute da un importante documento governativo inglese, in cui si leggeva, tra l'altro, che si impiegano farmaci di cui non è certa la sicurezza, ma di cui si celebrano le virtù. «L'eccessiva prescrizione degli arti-Cox-2 ha causato migliaia di morti e un numero ancora maggiore di casi di insufficienza cardiaca». Questo non è accaduto a caso, ma «denuncia una serie di inadempienze a vari livelli [...]. Inoltre vi sono state carenze sia nelle procedure di autorizzazione all'immissione in commercio sia nell'attività di farmacovigilanza successiva alla loro commercializzazione. Da ultimo, vi è stata un'attività promozionale eccessiva presso la classe medica». Secondo gli esperti britannici, l'episodio degli anti-Cox-2 non è eccezionale, ma emblematico. I limiti dei trial clinici Può sembrare disarmante che i farmaci, un'arma decisiva nella lotta alle malattie, riservino sorprese così amare. Ma il rischio connesso all'uso quotidiano di un farmaco nella popolazione generale è molto diverso da quello che emerge negli studi preliminari su una popolazione selezionata. Solo negli ultimi anni ci si è resi conto che gli strumenti di verifica più rigorosi e affidabili, come i trial clinici randomizzati, sono impostati in modo da valutare meglio i benefici di un farmaco che i suoi danni. Nelle fasi iniziali della vita di un farmaco, i trial sono condotti su gruppi limitati di malati, per di più selezionati, e per un tempo ristretto. L'obiettivo principale dei trial è misurare l'efficacia del farmaco, mentre gli effetti indesiderati sono rilevati incidentalmente e in modo non sistematico. Così, quando il farmaco è assunto da decine di migliaia di malati, con caratteristiche non proprio simili a quelli coinvolti nei trial, possono esserci conseguenze inattese. Inoltre durante i primi studi clinici non ci si preoccupa troppo delle possibili interazioni con altri farmaci. L'esempio della cerivastatina è esemplare. Non ci furono affatto sorprese quando fu testato in malati che non prendevano altri medicinali. I problemi nacquero quando arrivò nelle farmacie e fu usato in modo diffuso anche da persone trattate con sostanze con cui la cerivastatina aveva un'interazione pericolosa. Più in generale, quando l'uso del farmaco passa dal campione del trial alla popolazione possono esserci sorprese sgradite perché aumentano coloro che ne fanno uso, cambiano le loro caratteristiche e crescono le probabilità che sia consumato da persone con predisposizione genetica a reazioni allergiche o avverse gravi, anche mortali. Gli studi iniziali sono condotti su malati con una diagnosi precisa, in genere con l'esclusione di anziani, bambini e donne in gravidanza, e questo condiziona ciò che si può scoprire sulla sicurezza del farmaco. Un esempio di come l'eccessiva selezione della popolazione arruolata negli studi si paghi in termini di sicurezza viene dai nuovi antipsicotici (i cosiddetti «atipici»), usati per i disturbi gravi del comportamento e indicati sino a pochi anni fa come tranquillanti maggiori. Sin dalla loro introduzione in commercio, sono stati usati anche in malati sui quali non erano stati sperimentati, per esempio anziani con demenza senile. Ma nella primavera del 2004 un'analisi retrospettiva più attenta degli studi condotti su poco più di 1500 anziani, oltre a dimostrare la loro scarsa efficacia, scoprì che aumentavano gli ictus e la mortalità. Osserva il «Drug & Therapeutics Bulletin» che «per avere una certezza del 95 per cento di rilevare un evento che si verifica con una frequenza di 1 caso su 1000 devono essere esaminate 3000 persone», ma spesso i pazienti arruolati negli studi sono meno di 1000. Maggiore è il numero di persone esposte al farmaco, maggiori sono le probabilità di far emergere effetti avversi gravi ma rari. E può persino accadere che farmaci nuovi e promettenti riservino sorprese proprio perché li si impiega in malati più fragili. Studi non pubblicati Un altro problema è la correttezza e completezza delle informazioni diffuse ai medici. Negli Stati Uniti dal 1998 al 2003 le aziende farmaceutiche hanno concordato con la FDA di iniziare studi post-marketing concernenti la sicurezza o le reazioni indesiderate di alcuni farmaci e le interazioni farmaco-farmaco, ma solo una parte di questi studi è stata completata. E, del resto, studi del genere sulla sicurezza dei farmaci possono essere completati, ma senza rendere pubblici i risultati. Per esempio, anche se un riesame dei dati della FDA effettuato da ricercatori della Bayer dal 1999 al 2000 indicava un'incidenza di rabdomiolisi più elevata con cerivastatina rispetto ad altri farmaci della stessa classe, il riesame non è mai stato reso pubblico. Il caso della sicurezza degli antidepressivi nei bambini è altrettanto significativo. Negli Stati Uniti dal 1998 al 2002 l'uso di antidepressivi è letteralmente esploso, con un aumento del 150 per cento e con più di 2 ragazzi su 100 in trattamento. Stando alle indicazioni degli studi pubblicati sino al 2003, gli eventi avversi più comuni di questi farmaci in età pediatrica e adolescenziale non sembravano diversi da quelli osservati negli adulti, ma la brevità degli studi e le dimensioni dei campioni non consentivano di conoscere gli eventi avversi poco frequenti, e all'appello mancavano gli studi non pubblicati. Non deve meravigliare che si parli di studi non pubblicati. L'azienda farmaceutica che finanzia uno studio è «proprietaria» dei risultati e può decidere se pubblicarli o meno in funzione della loro rilevanza. Succede, quindi, che quando i risultati sono negativi o non favorevoli (sotto il profilo dello sfruttamento commerciale), non pubblica lo studio. Cosicché, quando nel 2004 due enti di controllo, il Committee on Safety of Medicines in Gran Bretagna e la FDA negli Stati Uniti, hanno analizzato tutti gli studi (pubblicati o meno) condotti tra il 1983 e il 2001, si è scoperto che nei bambini e negli adolescenti gli antidepressivi di nuova generazione aumentavano il rischio di suicidio, spingendo le autorità di controllo a controindicarne l'impiego come terapia della depressione nei pazienti con meno di 18 anni. Il fatto che i possibili rischi associati all'uso della paroxetina (uno degli antidepressivi sotto accusa) siano stati sollevati grazie alle segnalazioni giunte a una trasmissione della BBC ha sottolineato anche i limiti dei sistemi di farmacovigilanza post-marketing e la necessità di una maggiore sensibilità da parte delle autorità regolatorie che si occupano di tutelare la salute pubblica. Dopo questo episodio, la FDA è stata messa sotto inchiesta dal Congresso degli Stati Uniti per un atteggiamento ritenuto troppo accondiscendente verso gli interessi delle industrie farmaceutiche. Carenze di vigilanza La fonte di informazione più importante per l'analisi sulla sicurezza del farmaco, almeno in teoria, dovrebbero essere i sistemi nazionali di raccolta delle ADR. La segnalazione di un caso importante, o un gruppo di segnalazioni di eventi poco frequenti, può innescare iniziative delle autorità sanitarie e, in particolare, analisi più approfondite su tutti gli eventi dello stesso tipo. Così è avvenuto, per esempio, che le segnalazioni di ADR che hanno messo in relazione la fenilpropanolamina (usata come dimagrante) con l'ictus emorragico hanno portato al ritiro del farmaco dal mercato. Da quando è iniziato il programma di raccolta dei dati, nel 1969, la FDA ha accumulato più di 2,5 milioni di segnalazioni, peraltro non tutte della stessa rilevanza. In tutti i paesi, i medici e gli altri operatori sanitari vengono incoraggiati a segnalare possibili casi di ADR, e in alcuni paesi - tra cui Canada, Svezia, Gran Bretagna e Italia - sono accettate anche le segnalazioni dei pazienti. In Italia però le segnalazioni di reazioni avverse dei farmaci sono più basse che altrove. Dal 2001 al 2005 hanno oscillato tra le 6000 e le 7000 all'anno, con differenze importanti da Regione a Regione, e con un tasso largamente al di sotto dell'obiettivo ottimale di 30 segnalazioni per 100.000 abitanti raccomandato dall'OMS. In teoria, il numero ridotto potrebbe essere spiegato con differenze genetiche che rendono gli italiani più resistenti ai danni da farmaci, per esempio per un assetto particolare di un pool di enzimi che metabolizzano i farmaci. Il fatto è che gli enzimi coinvolti in quel processo sono molti, ed è abbastanza improbabile che siano stati tutti benedetti dalla fortuna. È, invece, più probabile che i medici italiani facciano semplicemente meno segnalazioni di ADR, magari solo perché tendono a non attribuire a un farmaco la responsabilità del problema che assilla il malato. Anche le case farmaceutiche sono tenute a rendere nota qualsiasi reazione associata a un farmaco di loro produzione di cui vengano a conoscenza, ma alcune aziende possono sminuire l'importanza delle segnalazioni o ritardarne l'invio, grazie all'esistenza di norme contraddittorie in certi paesi. Per esempio, in caso di segnalazioni di effetti avversi «gravi, riportati in etichetta» avvenuti nel territorio degli Stati Uniti, le aziende hanno l'obbligo di riferirli alla FDA entro 15 giorni, ma se sono avvenuti in altri paesi la comunicazione può essere inviata entro 6 mesi. Un doppio standard cronologico incomprensibile, che, tra l'altro, ha ritardato la ricezione delle segnalazioni europee dei casi di ipertensione polmonare dovuti a fenfluramina e desfenfluramina. A ciò si aggiunge il problema del tempo che intercorre fra il momento in cui si ha la prima conoscenza concreta di un grave effetto indesiderato e quello in cui intervengono le autorità regolatorie. L'iter che va dalla decisione dell'autorità al provvedimento concreto alla comunicazione ai medici e al pubblico è tutt'altro che efficiente. Ancora oggi succede che nessuna informazione sia diffusa né venga presa alcuna decisione fino a quando i dati disponibili non sono stati vagliati e discussi a lungo dall'autorità sanitaria e dal produttore. A volte il provvedimento può essere attuato senza un'informazione ufficiale, aggiornando semplicemente la scheda tecnica del farmaco. Il risultato finale è che il ritardo causato da questa inefficienza del sistema si somma a quello dovuto alle difficoltà insite nella raccolta di informazioni sulle reazioni avverse sospette, e così un maggior numero di malati corre un rischio evitabile. Il ritiro dal mercato Anche se previsto nelle diverse normative nazionali, il ritiro di un farmaco dal mercato per la comparsa di ADR gravi e di un negativo bilancio rischi-benefici è un processo laborioso e difficile. Il primo motivo è la difficoltà di raccolta di dati sulle ADR, sia per un deficit di segnalazione da parte dei medici, sia per una sensibilità inadeguata degli organismi istituzionali. Consapevoli dell'inadeguatezza o, perlomeno, dell'incompletezza del sistema della segnalazione spontanea, in alcuni Paesi si è pensato a qualcosa di più sistematico. Per esempio in Gran Bretagna la Drug Safety Research Unit dell'Università di Southampton, che gestisce il sistema PEM (monitoraggio di eventi conseguenti a prescrizione di farmaci), raccoglie i dati delle prescrizioni dei medici di medicina generale riferiti a gruppi di circa 10.000 malati curati con un farmaco nuovo. In seguito i medici ricevono un questionario che chiede loro di riferire qualsiasi problema o disturbo segnalato dai malati dopo la prescrizione. Inoltre, sempre in Gran Bretagna, è stato adottato un sistema di allarme originale: sulle scatole dei medicinali, per i primi due anni di commercializzazione, a fianco del nome della specialità è stampato un triangolo nero indicante che il farmaco è sotto stretto controllo da parte delle autorità sanitarie. Un problema diffuso è la disparità tra i fondi destinati alla sorveglianza post-marketing e quelli destinati all'autorizzazione al commercio. Per esempio, il settore del Ministero della Sanità canadese incaricato della sicurezza dei farmaci dispone di un quinto dello stanziamento annuale di quello dedicato alle domande di registrazione, e ha solo un quinto del personale. Negli Stati Uniti nel 1999 la FDA aveva 1408 impiegati che si occupavano delle registrazioni dei farmaci e 72 addetti alla sorveglianza post-marketing di quasi 50.000 specialità. Un altro motivo di controversia sul ritiro di un farmaco dal mercato è la mancanza di consenso tra gli addetti ai lavori su quando si debba ricorrere a una misura del genere. Anni fa, quando uno studio del «British Medical Journal» mise in luce il rischio di una grave forma di polineuropatia progressiva connessa all'uso di farmaci a base di sostanze note come gangliosidi, un editoriale della rivista osservò che andavano sospesi dal mercato perché si erano rivelati potenzialmente pericolosi e la loro efficacia era perlomeno discutibile. Ma la situazione non è sempre così definita. Se l'efficacia del farmaco è ben documentata, che peso deve essere dato all'evento che suggerisce un provvedimento di revoca? Qui emergono notevoli differenze tra i vari paesi. A un estremo si collocano politiche ultraprotettive nei confronti del farmaco (e della ditta produttrice), dall'altro quelle ultraprotettive per la salute della popolazione. Per esempio, i farmaci contenenti l'associazione tra destropropoxifene e paracetamolo a scopo analgesico sono stati ritirati dal commercio in Svezia e Gran Bretagna per la segnalazione di decessi causati da sovradosaggio, ma questo elemento non è stato ritenuto sufficiente in Francia. Il troglitazone (un antidiabetico) ha causato insufficienza epatica e morte in un certo numero di pazienti ed è stato ritirato dal mercato britannico nel dicembre 1997, ma è rimasto disponibile negli Stati Uniti per altri 19 mesi. Ci sono poi situazioni apparentemente inspiegabili, come quella del tolcapone. Nel 1998 il farmaco, primo del suo genere nella cura del morbo di Parkinson, fu ritirato in Europa dopo solo due mesi di commercializzazione per i casi di epatite fulminante e rabdomiolisi associati al suo impiego. Ma l'anno successivo il suo posto fu occupato da un farmaco analogo, l'entacapone, e nell'autunno 2006 il tolcapone è rientrato in commercio, anche in Italia. Che cos'è successo nel frattempo per giustificarne la riammissione? È stata dimostrata la sua estraneità agli eventi avversi segnalati? Il farmaco è così utile ai malati di Parkinson da accettare qualche rischio in più del dovuto? Più semplicemente, la riammissione è stata decisa dall'agenzia europea per i farmaci, l'EMEA, in base a uno studio che ha aggiunto poco o nulla alle informazioni disponibili prima del 1998 e non ha escluso il rischio per il quale era stato ritirato. La qualità dei dati usati per decidere di ritirare un farmaco varia molto. Da un riesame dei dati resi pubblici dalle autorità statunitensi e britanniche su 11 farmaci negli anni tra il 1999 e il 2001, è emerso che quattro sono stati ritirati solo sulla base di segnalazioni spontanee, e due in base alla dimostrazione di un effetto rilevante per il malato ottenuta da studi comparativi. Per questo si auspicava la pianificazione di studi prospettici che iniziassero nella prima fase di commercializzazione del farmaco. Destano quindi speranza le regole sulla farmacovigilanza pubblicate recentemente dall'EMEA, che sottolineano i passaggi da effettuare all'inizio della fase di post-marketing di un nuovo farmaco. Un terzo aspetto è che le autorità regolatorie non hanno tutte lo stesso potere in merito al ritiro dei farmaci dal mercato. Mentre in Canada il Ministero della Sanità può deciderlo unilateralmente, negli Stati Uniti l'FDA negozia con le case farmaceutiche la decisione di ritirare volontariamente i farmaci minacciando di renderne pubblici i rischi. Pertanto, spesso è difficile determinare se il ritiro del farmaco sia stato deciso volontariamente dalla casa farmaceutica o sia piuttosto il risultato di pressioni. Infine, un aspetto a cui bisogna continuare a prestare attenzione è il conflitto d'interessi. Un episodio recente è quello legato alla revoca del provvedimento di ritiro del rofecoxib (Vioxx), negli Stati Uniti. All'inizio del 2005 una commissione consultiva della FDA aveva espresso parere favorevole (18 voti contro 14) alla sua reintroduzione sul mercato. Ebbene, «su 32 membri della commissione, 10 erano stati poco prima consulenti della Merck o di altri produttori di farmaci analoghi (inibitori della COX-2), e tutti e 10 votarono per la reintroduzione del rofecoxib sul mercato. In Gran Bretagna, nel 1996, su 23 membri del British Committee on the Safety of Medicines, tre avevano interessi in almeno 20 case farmaceutiche, sette in almeno 10, e 20 in almeno cinque». La ricerca non finisce mai Di fronte al salasso di vite umane e di risorse economiche imposto dal danno da farmaci, è emersa l'esigenza sempre più pressante di un giro di vite che riguardi ogni aspetto della politica farmaceutica, da più controlli preliminari a più controlli in corso d'opera. Ci si è accorti, per esempio, che gli studi volti a verificare l'esito di un trattamento nella pratica clinica sono stati trascurati mentre sono gli unici in grado di indicare quale uso venga fatto del farmaco nella realtà di tutti i giorni. Tutto questo significa che la ricerca sui farmaci non ha fine. C'è sempre qualcosa da scoprire. Mezzo secolo fa nessuno pensava che avremmo guardato con tanto interesse all'aspirina per le malattie del cuore e quarant'anni fa non si immaginava che la talidomide sarebbe diventata una risorsa utile contro malattie poco curabili. Se, sostiene il documento inglese già citato, «lo scopo di ogni nuovo farmaco dovrebbe essere quello di apportare un reale beneficio terapeutico al paziente», allora il ricorso alla verifica nella pratica clinica dovrebbe essere l'aspetto centrale degli studi clinici. Ma accanto a questa «sono assolutamente necessari anche miglioramenti nell'attività di farmacovigilanza post-marketing. [...] Si raccomanda di indagare meglio l'aspetto della sicurezza dei farmaci, con studi ad hoc, condotti sia nelle fasi dello sviluppo sia dopo la loro immissione in commercio. Il governo dovrebbe finanziare, con una certa urgenza, studi per verificare il costo delle malattie iatrogene». Parole che dovrebbero trovare ascolto in ogni paese. I danni delle cure naturali Tra il 1991 e il 1992, a Bruxelles, circa 100 donne che avevano assunto erbe cinesi a scopo dimagrante subirono gravi danni renali. Almeno 70 di loro ebbero bisogno di dialisi o di trapianto renale, e 18 svilupparono un tumore. È stato dimostrato che la causa era l'acido aristolochico, una sostanza nota per la sua tossicità renale, derivata da un vegetale probabilmente introdotto per errore nel prodotto. Analisi di laboratorio effettuate dalla FDA hanno rilevato la presenza di acido aristolochico in prodotti di erboristeria e in integratori dietetici venduti negli Stati Uniti. Sempre dagli Stati Uniti sono arrivate le prime segnalazioni del rischio di grave danno al fegato, cirrosi compresa, conseguente all'uso di integratori dietetici contenenti kava, dopo le quali Canada e alcuni paesi europei, tra cui l'Italia, hanno ritirato il kava dal commercio. Motivi di preoccupazione sono segnalati anche per l'echinacea, un integratore dietetico impiegato nella prevenzione e nel trattamento del raffreddore. Un primo motivo è che le quantità dei composti attivi variano molto da una formulazione all'altra, e da un anno all'altro. Un altro è la presenza possibile di sostanze tossiche quali un'ampia gamma di pesticidi organoclorici, compresi alcuni vietati. Dalle provette al malato Prima di essere messi in commercio, i farmaci vengono sperimentati gradualmente per testarne l'efficacia e, in qualche misura, anche la sicurezza, ovvero la maggiore o minore frequenza di effetti indesiderati. Il processo parte naturalmente dai cosiddetti test clinici, effettuati su cellule o su animali, che possono durare da uno a cinque anni e forniscono le prime informazioni sull'eventuale tossicità del farmaco. Poi, se non ci sono state brutte sorprese, si passa alla tappa successiva, quella dei test clinici, ovvero della sperimentazione sull'uomo, che prevede quattro fasi, per un periodo medio di cinque-sei anni, ma che possono durare da due a dieci. Nella fase I, il farmaco è somministrato a basse dosi a una decina di volontari sani allo scopo di controllare in che modo venga metabolizzato dal corpo. La fase II coinvolge un primo gruppo di malati che potrebbero trarre beneficio dal farmaco - in genere un centinaio - e mira a studiare gli effetti curativi, a precisare le dosi e i tempi della somministrazione e ad avere un primo bilancio tra rischi e benefici. La fase III serve a valutare con sufficiente certezza la reale efficacia del farmaco e a stabilire se è meglio di altri già in circolazione. In questa fase è coinvolto in genere un migliaio di malati, ma il numero varia in base alla frequenza del fenomeno di cui si vuole ridurre la frequenza, per esempio una malattia o un sintomo, e all'efficacia attesa. È in questa fase che si ricorre al metodo dello «studio controllato randomizzato», e si confronta il nuovo farmaco con un placebo o con un altro della stessa categoria già disponibile. Alla fine di ciascuna di queste tre fasi si decide se il rapporto tra i benefici attesi e i possibili danni è accettabile o inaccettabile, e si consente (o si blocca) l'ulteriore sviluppo del nuovo trattamento. Al termine dell'iter sperimentale, se ha dato buoni risultati, il farmaco viene registrato, ovvero se ne ammette la commercializzazione. Una volta che il medicinale è negli scaffali delle farmacie si entra nella cosiddetta fase IV, il periodo di sorveglianza post-marketing, durante il quale il farmaco è sotto osservazione per controllare che nella pratica clinica di tutti i giorni non sia fonte di brutte sorprese. È durante questo periodo che si riesce a fare il bilancio vero della sicurezza del farmaco: dopo, cioè, che è stato prescritto a un numero di pazienti sufficientemente ampio per far emergere effetti indesiderati poco comuni, ma a volte gravi. Stefano Cagliano Mauro Miselli («Le Scienze» n. 467/07) Sembra lei ma non è lei Ricordate L'invasione degli ultracorpi, il film degli anni Cinquanta di Don Siegel? Una strana psicosi collettiva iniziò a diffondersi in un paesino della California. Molti affermavano che alcuni loro parenti non erano più «loro». L'aspetto fisico, le movenze, la voce e i pensieri erano sempre gli stessi, ma qualcosa era cambiato, per cui erano certi che i loro parenti non fossero più le stesse persone. La storia del film, per quanto sia completamente inventata, sembra la descrizione esatta di una sindrome neurologica, nota come Sindrome di Capgras, dal nome dello psichiatra francese che per primo la descrisse nel 1923 in un articolo dal titolo L'illusione dei sosia. I pazienti affetti da questa condizione sono convinti che alcuni dei loro parenti più stretti (spesso il coniuge, ma anche i figli, i fratelli o i genitori) siano in realtà degli impostori, anche se sembrano perfettamente uguali agli originali. Ma mentre nel film i timori della gente si rivelavano fondati (le persone venivano effettivamente sostituite da alieni invasori), i pazienti affetti da Sindrome di Capgras si sbagliano clamorosamente, gettando nello sconcerto i loro cari che, dopo anni di vita insieme, si sentono improvvisamente trattati da estranei. Fred cerca la vera Vilma Fred è un quasi sessantenne laureato che ha sempre condotto una vita del tutto normale. È sposato, non beve, e non ha mai avuto disturbi psichiatrici. Da qualche tempo si è accorto della comparsa di disturbi di memoria e di qualche difficoltà nel reperire le parole. Questi disturbi erano stati notati anche dai suoi familiari per cui Fred viene invitato a sottoporsi a delle indagini specifiche. Gli esami neurologici, neuropsicologici e neuroradiologici fanno propendere per una diagnosi di iniziale deterioramento demenziale. Quindici mesi circa dopo l'esordio dei primi disturbi, ecco comparire il primo episodio riferibile alla Sindrome di Capgras. Rientrato in casa, Fred chiede a Vilma dove si trova «sua moglie». Con sorpresa Vilma gli risponde di essere proprio davanti a lui. «Conosco molto bene la madre dei miei figli», risponde Fred, per il quale quella signora che ha davanti è diventata una perfetta estranea. Il disturbo regredisce velocemente durante il corso della giornata, ma nelle settimane successive si ripresenta e diviene sempre più frequente. Nel giro di poco tempo episodi simili diventano quotidiani, cominciano a presentarsi più volte al giorno e con durata sempre più lunga. A poco a poco Fred si adatta alla situazione. Si comporta come se Vilma fosse un'estranea, anche se ammette che quella signora ha lo stesso nome, lo stesso aspetto fisico, perfino la stessa voce della moglie. È comunque molto preoccupato per la sorte della «vera» Vilma. Chiede spesso di lei ed è in ansia per la sua scomparsa. Finché un giorno decide di andare alla polizia a denunciarne la scomparsa. Ma sta di fatto che con la nuova Vilma Fred si trova davvero bene. Le parla volentieri, le racconta del suo passato con Vilma, sembra quasi farle una corte discreta anche se è sempre consapevole che Vilma può tornare da un momento all'altro. Al neuropsicologo Fred racconta che questa Vilma è più giovane della precedente e anche più gentile. Fred è il nome fittizio usato dai due ricercatori italiani Federica Lucchelli ed Hans Spinnler per descrivere il caso di un signore affetto da Sindrome di Capgras da loro seguito per quattro anni, fino a quando le sue abilità cognitive peggiorarono e la diagnosi fu quella di una demenza fronto-temporale. Che cos'è la Sindrome di Capgras Il paziente affetto da Sindrome di Capgras crede che una persona generalmente molto vicina a lui, spesso un congiunto (raramente questo fenomeno si manifesta verso più di un familiare) non sia chi dice di essere. La sua convinzione è che si tratti di un doppio, di un sosia perfetto. Dal suo punto di vista le due persone (il doppio e l'originale) sono identiche in tutto e per tutto, sia fisicamente che cognitivamente ed emotivamente, tanto uguali da condividere la stessa storia autobiografica. Il disturbo dura spesso molti mesi o anni e ci sono periodi in cui compare solo saltuariamente. Il paziente afferma con grande convinzione che la persona presente è falsa, è cioè un estraneo, che ha preso il posto di quella vera, ma trova estremamente difficile sostenere in che cosa le due persone differiscano. La convinzione è comunque tale da resistere ad ogni possibile critica. Proprio come nel film, la persona stessa si stupisce dell'assurdità di quello che dice e di non riuscire a fornire prove a favore della propria convinzione. Nei casi in cui la Sindrome di Capgras è originata da un danno cerebrale, il paziente, seppur angosciato per la scomparsa del «vero» congiunto, si adatta molto rapidamente alla convivenza con quello «falso»; quando invece la matrice della sindrome è psichiatrica, il falso congiunto diventa un impostore e assume quasi sempre scopi persecutori. Il paziente allora diventa aggressivo e può addirittura diventare un assassino, così come è testimoniato dalla presenza in letteratura di casi di omicidio dovuti alla Capgras. In ogni caso i pazienti affetti da questa sindrome sono tendenzialmente più violenti e la violenza sarebbe rivolta prevalentemente verso i membri della propria famiglia: su 23 casi di omicidio associati alla Capgras e analizzati in letteratura, 21 erano rivolti verso i familiari. Tutti gli assassini sarebbero psicotici con storia di alcolismo e abuso di sostanze e il rischio aumenterebbe notevolmente se il paziente è un uomo. Mentre i pazienti psichiatrici con Sindrome di Capgras rispondono bene al trattamento farmacologico (Khouzam, 2002), ciò non si verifica nei casi in cui l'origine della malattia è organica. La frequenza della Sindrome di Capgras La presenza di episodi di Capgras, è attestata in molte malattie neurologiche e nelle patologie psicotiche (la concomitanza con le psicosi è di circa il 3-4%). La Sindrome di Capgras è stata osservata principalmente in pazienti affetti da schizofrenia, soprattutto del subtipo paranoide, e in associazione con disordini schizoaffettivi. Molto più frequente appare nelle demenze: nella malattia di Alzheimer, saltuari episodi sarebbero presenti nel 20-30% dei pazienti. Questa sindrome è poi stata osservata in casi di traumi cranici, di ictus cerebrali, di tumori cerebrali (in particolare alla ghiandola pituitaria), di sclerosi multipla, di morbo di Parkinson, di ipossie cerebrali e perfino dopo la somministrazione di elettroshock. Sono descritti anche fenomeni associati ad AIDS, alcolismo, intossicazioni da litio (farmaco molto usato nei disturbi maniaco-depressivi) e persino ad alcuni casi di emicranie. Non è stata ancora identificata una precisa localizzazione cerebrale per la Sindrome di Capgras, anche se le sedi preferenziali sembrerebbero essere a carico dell'emisfero destro e dei lobi frontali (Lewis, 1987). Sono comunque riportati molti casi con lesione bilaterale. Studi neuroradiologici hanno inoltre mostrato come pazienti affetti da schizofrenia e Sindrome di Capgras abbiano una più estesa atrofia corticale frontale e temporale se confrontati con altri pazienti schizofrenici non affetti da Capgras (Joseph e coll. 1990). La sindrome sembrerebbe inoltre associata ad iperattività dopaminergica e ad anomalie serotoninergiche (la dopamina e la serotonina sono due neurotrasmettitori cerebrali): non tutti gli autori concordano però sulla presenza di queste alterazioni, non essendo state riscontrate sistematicamente. Alcune possibili interpretazioni della Sindrome di Capgras Le ipotesi interpretative della Sindrome di Capgras sono numerose ma possono essere classificate in due gruppi: le interpretazioni che prevedono un'implicazione emotiva e quelle che non la prevedono. Per quanto riguarda le prime, si possono riassumere in due punti. 1) Durante il riconoscimento di una persona, vengono attivate due vie cerebrali: una via dorsale e una via ventrale. La via dorsale risulterebbe responsabile del riconoscimento implicito, quella ventrale di quello esplicito. Nella Capgras sarebbe compromessa la via dorsale che, avendo stretti legami con l'amigdala (zona del cervello coinvolta nel sistema emotivo) farebbe perdere il riconoscimento affettivo ed emotivo di quella persona. La riconosciamo, ma essa non suscita in noi le emozioni che dovrebbe, quindi «quella persona non è più lei» (Ellis e Young, 1990). 2) La percezione di familiarità che ci permette di riconoscere i nostri cari comporterebbe l'attivazione dell'amigdala. La persona con Capgras, con compromissione dell'amigdala, creerebbe un nuovo tipo di riconoscimento che, essendo privo di familiarità, si sovrappone al precedente solo per le caratteristiche fisiche (Hirstein e Ramachandran, 1997). Per quanto riguarda le interpretazioni senza implicazione emotiva, recentemente due ricercatori italiani (Lucchelli e Spinnler, in stampa) hanno ipotizzato che il riconoscimento avvenga sia in maniera gestaltica (viene colto l'insieme della persona) che in maniera analitica. Nella Sindrome di Capgras il riconoscimento gestaltico avverrebbe correttamente a tal punto che il paziente arriva all'identificazione biografica della persona e al suo nome. Il riconoscimento analitico invierebbe invece un segnale di non riconoscimento e la discrepanza provocherebbe l'assenza del giudizio di familiarità. Alcuni casi particolari della Sindrome di Capgras Esistono in letteratura dei casi di Sindrome di Capgras che hanno come sosia un animale domestico o persino un oggetto di valore. Il paziente ritiene che i «veri oggetti» siano stati rubati e quelli che lui vede lì davanti a sé siano molto simili agli originali, ma di valore inferiore. Una signora di 31 anni non riconosceva, ad esempio, i suoi oggetti personali del bagno e pensava che le riviste in casa sua non fossero le sue, ma solo una ben riuscita imitazione. La Sindrome di Capgras può inoltre colpire anche la cognizione del tempo. Una signora inglese si recava in chiesa ogni giorno della settimana, perché secondo lei la domenica aveva sostituito tutti gli altri giorni. Questo comportava inoltre che la signora, una settantenne completamente autonoma, preparasse ogni giorno un succulento pranzo domenicale. Il disturbo durò per circa sei mesi, poi il suo quadro cognitivo iniziò a peggiorare e fu diagnosticata una demenza di Alzheimer (Aziz e Warner, 2005). Un'altra signora sessantenne, descritta dagli stessi autori, pensava che la domenica venisse due o tre volte la settimana e ciò la disturbava molto perché non poteva fare shopping e perché a ogni domenica seguiva inesorabilmente un pesante lunedì. Nicoletta Beschin Sergio Della Sala («Psicologia contemporanea» n. 202/07) Scoutismo: cent'anni ma non li dimostra - La strada come metafora della vita: nel 1907 nascevano gli scout. Nel suo centenario, lo storico movimento educativo insegue «un solo mondo, una sola promessa». Insegnando ai più piccoli a vivere insieme, cristianamente, nell'era globale. Quali sono i tratti distintivi di questo centenario che lo scoutismo italiano e mondiale sta celebrando in tutti i Paesi del mondo? Molta strada è stata fatta da quando il fondatore Baden Powell, nell'agosto 1907, iniziò l'avventura scout con una ventina di ragazzi raccolti nelle strade di Londra. Anzitutto non è l'anniversario di una storia oramai conclusa, da ricordare con nostalgia e con un po' di retorica, ma un'avventura educativa che vive ancora e che raccoglie grandi consensi. I dati sono eloquenti: 38 milioni gli appartenenti sparsi in 216 Paesi e due associazioni mondiali: il Wosm che raccoglie le associazioni maschili, con sede a Ginevra; e la Waggs, con sede a Londra, che coordina quelle femminili. Un movimento educativo da subito interreligioso e multiculturale che trovò nell'impero inglese, al massimo della sua espansione, il naturale moltiplicatore a livello mondiale dell'esperienza nata a Londra. Dicevamo che è la storia di un movimento educativo oramai di cento anni, che ha attraversato con successo tutto il secolo scorso subendo, tra l'altro, persecuzioni da dittature di ogni colore, come accadde in Italia durante il fascismo e come accadde nell'Est europeo con l'avvento della dittatura comunista. Numerose, anche se poco note, le storie di resistenza e di clandestinità che lo hanno temprato, pronto a risorgere - lo si è visto nell'Est europeo dopo il crollo delle dittature comuniste - appena gli spazi della democrazia lo consentivano. Proviamo a tratteggiare gli elementi di forza che ne hanno decretato il successo, per poi indagare e riflettere sulle sfide che il movimento ha davanti a sé, in Italia in particolare. Buoni cristiani e buoni cittadini Anzitutto si tratta di una proposta fondata sulle «virtù difficili» elencate sinteticamente nella Legge e nella Promessa; parole semplici che propongono una chiara antropologia, uno stile e una visione della vita che anticipano il personalismo comunitario: sono sì virtù personali, ma costantemente orientate all'altro, all'essere per e con gli altri. Saper meritare fiducia, lealtà, fraternità, amicizia, dedizione nel servire gli altri, obbedienza alla verità, laboriosità, cortesia, ottimismo intelligente, purezza di spirito e stili di vita sobri e sostenibili dicono di un profilo di persona sempre attuale. Bella l'assonanza che si riscontra con quanto affermato nel decreto sull'apostolato dei laici del Concilio Vaticano II: «Tutti i laici facciano di gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, come la correttezza, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo. Virtù senza le quali non ci può neanche essere un vera vita cristiana». Non è un caso: le virtù scout sono profondamente legate all'antropologia cristiana, eppure aperte a un umanesimo che ambisce a parlare a tutti. Baden Powell, cristiano anglicano fervente, ha anticipato con lungimiranza il dialogo interreligioso, che lo scoutismo mondiale vivrà sin dalla sua nascita. È la storia di una laicità credente vissuta nel rispetto di tutte le dimensioni che attraversano la vita delle persone, e della distinzione tra i diversi piani delle relazioni sociali. Una proposta catechetica che si affida al racconto, al linguaggio simbolico, all'incontro con i testimoni delle virtù cristiane, ma soprattutto che crede che la via maestra per aiutare a crescere i piccoli nell'incontro con il Cristo vivente è la testimonianza quotidiana, semplice e umile dei capi educatori. Un secondo dato che ha segnato il successo della proposta consiste nel puntare al protagonismo dei ragazzi rendendoli capaci di auto-educazione, seppur accompagnati da un capo. Un ottimismo profondo che crede nella possibilità di ciascuno di realizzarsi, un ottimismo che fa dire al fondatore che basta anche solo un 5% di bontà presente in un ragazzo per realizzare una vita felice. Una relazione adulto-ragazzo improntata sulla reciprocità, senza confusione di ruoli e senza cadere in forme di giovanilismo immaturo o di autoritarismo intransigente. L'adulto fa lo stesso gioco del ragazzo, rispetta le medesime regole, non ha privilegi in più, va in calzoncini corti e dorme in tenda. Il suo ruolo è di «capo», di colui cioè che propone le virtù testimoniandole e rendendole vive. Ask the boy, raccomanda il fondatore: ascolta il ragazzo, i suoi desideri e le sue speranze, sii un buon capo e una buona guida. E questa avventura di crescita personale avviene sempre con il gruppo: l'invenzione della «squadriglia» nell'età adolescente nasce dall'osservazione di come si organizzano gli adolescenti. La squadriglia è il gruppo che non si struttura attorno alle patologie - come accade oggi - ma aiuta l'autonomia, la progettazione, l'avventura nella natura, la scoperta. Lo spazio reale in cui si fa questa esperienza è l'ambiente naturale che rende possibile l'autonomia e il progettare di ciascuno: il campo estivo, le vacanze di branco o la route diventano metafora concreta della vita a misura di ragazzo. Si costruisce tra i boschi una piccola città fatta di quartieri, una città organizzata con servizi comuni costituita da ragazzi cittadini. È una città che va tenuta pulita, è un luogo in cui si gioca, si prega e si lavora per costruire la propria casa; una casa ben fatta perché arriveranno le piogge ed è bene essere preparati. Un altro elemento di forza è l'imparare facendo: è una pedagogia del fare e dell'esperienza, che non si attarda in lunghe dissertazioni sui valori, ma li propone e li fa vivere. La buona azione derisa da molti commentatori - ha in sé una intuizione grande: si diventa buoni educandosi tutti i giorni a fare cose buone. Non è l'esperienza per l'esperienza cui sono condannati molti giovani oggi, ma l'esperienza che diventa proposta di vita, vissuta, ragionata e accolta. Sono elementi che andrebbero riproposti e che appaiono profondamente attuali nei confronti di una gioventù sotto «dittatura» della virtualità. La stessa insistenza a educare le abilità manuali va nella medesima direzione: l'uso delle mani e la capacità di costruire oggetti è un'educazione efficace alla competenza e alla consapevolezza del proprio corpo, della sua cura e della sua accettazione per quello che è. Per non parlare della dimensione del gioco come luogo della gratuità, della relazione e della sfida, non per combattere l'altro, ma per sfidare se stessi e per educarsi al rischio e all'avventura. È infine una proposta che mette al centro la dimensione della cittadinanza, oggi diremmo attiva e solidale. Baden Powell ne parla da subito, forse presagendo i momenti tragici che di lì a poco sarebbero accaduti. Buoni cristiani e buoni cittadini, quasi un nesso indissolubile tra la doppia appartenenza alla Gerusalemme celeste e alla città degli uomini che i cristiani sono chiamati a vivere in un equilibrio sempre da ricercare. Il servizio nel territorio, l'impresa, il capitolo sono tutti strumenti tesi a educare il futuro cittadino alla responsabilità per i beni comuni e per lo «spazio pubblico». Con lungimiranza il fondatore, che aveva viaggiato per tutto il pianeta, pone come tratto fondativo della proposta la dimensione della mondialità e dell'educarsi a essere cittadini del mondo. Oggi ci appaiono temi quasi scontati, ma ripensando al tempo in cui sono stati proposti ci dicono di un uomo con una profonda spiritualità e con una vera genialità educativa. Questa è la lunga traccia lasciata in cento anni di storia. Ma se davvero vogliamo guardare al futuro è bene, anche solo per un attimo, indicare qualche pista di lavoro che metta a tema le sfide che attendono il movimento affinché l'avventura continui e offra alle generazioni future le medesime opportunità vissute da quelle che le hanno precedute. L'educazione alla cittadinanza mondiale Va anzitutto coltivata la profonda convinzione che l'educazione rimane la chiave strategica che permetterà alla nostra comunità di poter guardare al futuro con speranza. Credo vada continuamente rinnovata, tra gli educatori, la scelta della vocazione educativa, troppo atipica rispetto ad altre che appaiono «vincenti». Il servizio educativo lavora sui tempi lunghi e non accetta facili rendiconti e verifiche; si misura con i ritmi dell'altro-più-piccolo e non prevede accelerazioni e neppure bilanci annuali perché l'incontro e la relazione educativa sono ammantati di «mistero» e di libertà. Il servizio educativo subisce le influenze del tempo: oggi va tutto verificato, si attende il successo, non si ha pazienza, tutto si misura su risultati quantificabili. Rischiamo di perdere questo sapere preziosissimo: il servizio educativo verso i più piccoli - credo lo si possa dire - è una delle forme più alte della carità cristiana, persino prima di quella politica. La questione della formazione degli educatori è dunque un aspetto cruciale e nevralgico perché la proposta continui nel suo successo. Una seconda sfida è la capacità di incarnare la proposta nell'oggi: occorre da una parte la consapevolezza e la conoscenza del nocciolo profondo della proposta scout e della ricchezza della sua «strumentazione» e dall'altra la creatività necessaria per obbedire al mandato del fondatore: Ask the boy. Come declinare oggi l'ambiente naturale in una realtà oramai antropomorfizzata? Come contrastare il calo degli iscritti nelle grandi città e quale «ambiente educativo» offrire per continuare a vivere l'avventura? Come riproporre il gruppo e la sua autonomia in un tempo che appare minaccioso e pericoloso per gli adolescenti? Come evitare l'orizzontalizzazione delle funzioni nel gruppo ed educare a una leadership positiva? Come intercettare educativamente le nuove tecnologie visive e comunicative? Da aggiungere, la sfida dell'accoglienza e dell'impegno verso coloro che hanno più bisogno. È un nodo in parte ancora irrisolto: la proposta risulta selettiva perché esigente, chiede impegno e costanza, e una particolare attenzione della famiglia, cosicché questa forte strutturazione educativa impedisce spesso l'accesso alle categorie sociali più povere e deboli. Nelle periferie urbane più degradate lo scoutismo è una proposta possibile e praticabile? L'incontro con gli ultimi è determinante per misurare l'efficacia e la possibilità di «speranza» che lo scoutismo cattolico potrà offrire alle future generazioni. Non può non mancare un rinnovato impegno all'educazione alla fede: è una questione che oggi assume una radicalità e una complessità tali da far tremare le vene e i polsi di chiunque. Se la natura (il secondo libro di Dio, ci ricorda il fondatore) sino ad alcuni decenni fa era il luogo privilegiato per una catechesi vissuta, oggi questa dimensione come potrà vivere in una cultura che propone una natura tutta conosciuta, manipolabile e senza alcun mistero? E se la trasmissione della fede passa principalmente attraverso la testimonianza dei valori e l'esercizio delle virtù cristiane, come tutto ciò troverà un radicamento nella vita, spesso segnata dalla fragilità, dei giovani educatori? Come andrà ricostruito un rapporto, talvolta di contrapposizione, fra i tempi e l'autonomia della comunità educativa e quelli della vita della chiesa locale? Quale nuovo dialogo andrà ricercato con la famiglia non più percepita come un freno, ma come risorsa indispensabile per ottenere un successo educativo? Oggi questa opzione diventa strategica: in caso contrario, chi aiuterà i giovani a scegliere responsabilmente e a darsi un minimo di strumentazione per capire la posta in gioco? E infine, in un tempo di individualismi e di egoismi collettivi, va riproposta un'idea forte di cittadinanza, perché i destini di ognuno sono indissolubilmente legati a tutti quelli della comunità, da quella locale a quella mondiale. L'educazione alla cittadinanza mondiale, una felice intuizione del fondatore, come viene vissuta e resa concreta? È ancora troppo sottotraccia e assai carente nei contenuti e nelle prospettive indicate. Perché non ripartire dal tema della fraternità scout, metafora della più grande fraternità tra gli uomini? Essa ha bisogno di nuova energia culturale e di una strumentazione educativa adeguata. Lo scoutismo cattolico in Italia è ormai maturo per animare una stagione di incontro con altre religioni a partire dai valori condivisi della Legge e della Promessa scout: come recita il motto del centenario, è «un solo mondo, una sola promessa». Davvero l'utopia di una medesima promessa condivisa da associazioni in ogni parte del mondo, superando steccati politici, religiosi, etnici può divenire un grande laboratorio educativo e sociale riguardo ai temi dell'integrazione dei bambini stranieri e del dialogo interculturale. Lo scoutismo è nato sulla strada: la strada è la metafora della vita ed è l'immagine che accompagna la vita di Gesù. L'intuizione educativa di Baden Powell è maturata osservando la strada e i ragazzi che la frequentavano, e mettendo a frutto la grande esperienza umana vissuta in Africa. Il successo dello scoutismo sta tutto qui: ascolto e discernimento, strumentazione a misura di ragazzo, flessibilità e capacità di adeguarsi ai vari contesti senza tradire le proprie radici. L'avventura continuerà, ne sono certo. Edoardo Patriarca («Vita e Pensiero» n. 3/07)