Anno A
10ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
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Os 6,3-6 - Voglio l’amore e non il sacrificio.
Dal Salmo 49 - Rit.: Accogli, o Dio, il dono del nostro amore.
Rm 4,18-25 - Si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Il Signore mi ha mandato ad annunziare ai
poveri la buona novella, a proclamare ai prigionieri la liberazione. Alleluia.
 Mt 9,9-13 - Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori.
PER COMPRENDERE LA PAROLA
«Voglio l’amore e non il sacrificio». Dobbiamo notare tuttavia che Dio, in Osea, rifiuta le
liturgie penitenziali senza conversione, mentre Matteo dà alla frase tutto un altro
significato: la precisione legalistica ha meno importanza della misericordia verso il
prossimo. I termini sono diversi: amore (Os), misericordia (Mt), ma sono tali
intenzionalmente.
PRIMA LETTURA
Osea denuncia il peccato d’Israele (immoralità, infedeltà religiosa, sincretismo), che lo
trascina verso i castighi annunciati, invasione e deportazione. Minacciati, gli Israeliti ora
si battono contro i loro fratelli di Giuda, ora cercano la protezione degli Assiri, ripiego che
Osea denuncia come illusione e peccato.
Si verifica un cambiamento temporaneo, un movimento verso Dio, accompagnato da
solenni sacrifici. Osea, nel nome del Signore, denuncia la superficialità di questo passo. Il
ritorno a Dio è un’altra cosa, è una questione di amore sincero.
Il peccato denunciato dai profeti è un atteggiamento contro Dio che ama i suoi. L’amore
manifestato da Dio rende più grave il peccato, ma questo stesso amore permette ancora
di sperare che un giorno l’uomo sarà guarito, salvato dal suo peccato. Si legga Osea, cc.
2 e 11; Geremia, cc. 2 e 3; ecc.
Rileviamo infine le immagini della pioggia autunnale o primaverile e della rugiada mattutina, così opportune.
La pioggia, per la sua regolarità e la sua generosità, ci parla dell’amore del Signore per
noi. La rugiada, dagli effetti passeggeri, è simile al nostro amore incostante per il Signore.
SALMO
Il salmo 49 descrive profeticamente il giudizio di Israele da parte di Dio. Il popolo non ha
compreso il significato dei sacrifici; a Dio, cui tutto appartiene, non interessa la carne degli animali, ma il sacrificio di lode. Sull’insufficienza dei sacrifici esteriori, si veda anche 1
Sam 15,22 e Am 5,21-24.
SECONDA LETTURA
Nella storia degli uomini, che sono tutti peccatori, la salvezza non è incominciata da un
ritorno all’osservanza fedele della legge di Dio, ma con una promessa di Dio e con l’accoglienza di questa promessa nella fede. È la storia di Abramo; figli di Abramo, noi, come
lui, siamo salvati attraverso la fede in Dio.
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VANGELO
La chiamata di Matteo e il pranzo con i peccatori fanno parte di una successione di racconti, riferiti dal primo Vangelo fra il «discorso della montagna» e il «discorso
apostolico». Il comportamento di Gesù fa nascere un conflitto senza quartiere con i
farisei.
Gesù prende posizione nei confronti dei «peccatori», dei peccatori pubblici, coloro che, a
motivo della loro professione o del loro genere di vita, sono esclusi dalla vita religiosa e
sociale d’Israele.
Egli chiama esplicitamente come discepolo un pubblicano, Matteo. Si lascia invitare a tavola con altri peccatori... colpa rituale incontestabile. Afferma di essere venuto per i peccatori e che un atteggiamento di fedeltà rituale, che impedisca di accoglierli, non è
conforme a verità.
Prendendo tale posizione, Gesù completa doppiamente l’insegnamento del discorso della
montagna. Anzitutto il Dio che si rivolge ai poveri, si rivolge anche prioritariamente ai
peccatori. Sapevamo già (1a lettura) che l’ultima parola di Dio, di fronte al peccatore, è
l’amore misericordioso. Gesù rivela ancora più profondamente i sentimenti di Dio: egli è
venuto per quanti hanno bisogno di lui, per tutti quelli che sono peccatori. In secondo luogo, non si tratta più di un insegnamento semplicemente verbale sul regno: Gesù in persona è presente. In lui si compie l’alleanza di Dio con i poveri e con i peccatori. L’evangelista
mostra attraverso il comportamento di Gesù, più ancora che attraverso citazioni più o
meno deformate, in che modo la legge nuova sia il compimento dell’antica. Gli episodi qui
raccontati preparano il «discorso apostolico»; l’atteggiamento di Gesù determinerà
quello dei missionari del Vangelo e imporrà loro un nuovo comportamento rispetto alla
tradizione degli scribi e dei farisei.
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
I veri testimoni di Dio
– Gesù vive in un mondo di credenti, molti dei quali sono ferventi: i farisei. Essi si
preoccupano di testimoniare la santità di Dio attraverso la loro fedeltà esemplare. Per
essere sicuri che la Parola di Dio sia custodita in tutta la sua verità, denunciano il peccato
e tengono a distanza le persone classificate come peccatori. Gesù, che viene a portare a
compimento la legge, frequenta i peccatori, li accoglie, nonostante lo scandalo che
provoca. Non lo fa per venire a un compromesso con la santità di Dio; al contrario, con le
sue parole e tutte le sue iniziative, anche quelle più urtanti, ne rivela la profondità. La
santità di Dio ci appare, in Gesù, come l’amore misericordioso che si manifesta in un
atteggiamento che noi non avremmo saputo inventare: Dio va verso il peccatore. Il
Vangelo lo dice in molti modi. Ecco la Buona Novella, la luce in cui si compie la
rivelazione.
– I due episodi (chiamata di Matteo, scontro con i farisei) sono narrati dall’evangelista poco prima delle norme date agli inviati in missione: illuminano la missione, lo spirito in cui
essa deve compiersi.
È necessario far conoscere e poi insegnare e vivere il Vangelo della misericordia in Gesù
Cristo. Accogliere i peccatori, non rifiutarli; far comprendere che Cristo è venuto per loro.
Una religiosità che non lo facesse, non sarebbe una gran cosa. A che servono tutti i riti?
Tentativi maldestri! I sacrifici valgono solo in quanto annunciano l’Eucaristia, e l’Eucaristia ha il suo pieno significato soltanto se noi celebriamo in essa la legge della carità
e il banchetto eterno a cui Dio invita tutti. Inoltre, una fedeltà rituale che prevalesse sull’accoglienza ci renderebbe presto odiosi agli altri: noi sacrificheremmo gli altri, come lascia intendere Gesù. Egli non è venuto a fondare una casta di puri che escludano gli altri.
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Gesù sceglie fra i peccatori anche i responsabili della sua Chiesa. La scelta di Matteo ha un
significato notevole; a pensarci bene, tutta la Chiesa (popolo e pastori) è inevitabilmente
costituita da peccatori. Cristo avrebbe potuto fare altrimenti? Tutti siamo peccatori (vedi
Rm 1-5, riassunti in 3,23). A che servirebbe una Chiesa per i giusti? Ogni distinzione
radicale tra giusti e peccatori è falsa; dobbiamo accettare di essere contemporaneamente
peccatori e testimoni di Cristo. Non vi è altra via che la fede in Gesù, per essere in grado
di servire Dio come egli desidera. Si veda l’esempio di Abramo (2a lettura).
Medico e malati
Breve parabola e nel tempo stesso massima di sapienza, la parola di Cristo è illustrata da
diverse scene: i malati si affrettano ad andare da colui che può guarirli; forse sono ancor
più significative le scene in cui Gesù scaccia le potenze malvagie e quelle in cui rimette i
peccati.
Qui la parabola è applicata non ai malati, ma ai peccatori. Gesù dice quale tipo di medico
egli sia e quale sia il significato profondo delle guarigioni da lui compiute. Un medico, per
l’uomo comune, è qualcuno che ha un potere nei suoi confronti. Sciamano o dottore,
spera da lui un gesto che guarisca, e nello stesso tempo lo teme. Il medico, individuo che
ha un potere, è immagine di Cristo («usciva da lui una forza»).
Si va dal medico anche con un altro timore (si sarà capiti? presi sul serio?). Non è così per
i rapporti con Gesù, come non lo è per la stima che si attribuisce abitualmente al medico.
Ma un medico è anche, per vocazione, il servo dei malati; è fatto per loro e non il contrario; egli, in molti casi, deve darsi senza calcolo. Il vero medico non cerca la propria
rinomanza, né il proprio prestigio, né il proprio profitto, ma la salute, la vita dell’altro o
della società. Definirsi medico è per Gesù un altro modo di dire: «Non sono venuto per
essere servito, ma per servire». E ancora: «Io sono venuto perché abbiano la vita e
l’abbiano in abbondanza».
Il servizio, per lui, va fino al dono della vita, perché noi viviamo: «Venuto per servire e dare la sua vita in riscatto per molti», tanto che i Padri della Chiesa greca chiamano l’Eucaristia «farmaco di immortalità».
Il medico non vuole certamente nella sua clientela soltanto gente in buona salute; per
Gesù Cristo non c’è nessun pericolo, tutti siamo suoi clienti.
I discepoli di Cristo, riuniti nella Chiesa, devono sempre essere attenti alle malattie del
mondo e accoglienti verso ogni uomo a motivo delle sue infermità. Nessuno di noi è
medico, di per sé; si darebbe la zappa sui piedi con mezzi umani di cui spesso non è
specialista. Il nostro ruolo è quello di far conoscere il Medico, e di approfittarne noi per
primi.
I doveri del malato
Il medico non è onnipotente; a volte non può neppure usare i mezzi di cui dispone per
guarire. Infatti, è necessario che il malato riconosca il proprio male, che faccia ricorso al
medico, gli accordi fiducia e accetti di curarsi; ci vuole inoltre la perseveranza. Molti
peccatori del Vangelo si sono affidati a Cristo per essere guariti; molti credenti sinceri, da
venti secoli a questa parte: Paolo, Agostino, Francesco d’Assisi e una folla di sconosciuti.
Per mezzo di Osea, Dio denuncia i torti del popolo che non si preoccupa seriamente della
propria guarigione: buoni desideri, ma senza perseveranza, gesti culturali (sacrifici), che
non colpiscono il male alla radice. Il profeta offre le linee essenziali di ogni terapia: amare Dio e cercare di conoscerlo.
Anche Abramo ha il suo male: non ha figli. Ma fondandosi sulla promessa di Dio, egli crede «contro ogni speranza», e insieme a Sara viene guarito dalla sua sterilità. San Paolo
ne fa le lodi e ce lo offre come modello. Per molti di noi, il grande male può essere quello
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di avere (o credere di avere) una vita spiritualmente sterile. Soltanto Cristo può guarirci
da questo timore.
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