Machiavelli: la scoperta della “verità effettuale”. Una nuova prosa che si apre a quella scientifica. Continuatori del pensiero di Machiavelli. 1. L’originalità rivoluzionaria del Principe Nel 1516 a Venezia esce la prima edizione dell’ Orlando Furioso dell’Ariosto, a tre anni di distanza dal Principe di Machiavelli . Il poema dell’Ariosto è l’espressione delle tendenze artistiche del primo ‘500 nella forma, perché realizza quelle esigenze di decoro, di misura, aspirazione più intima del gusto classicistico, nella sostanza, perché è il frutto di una visione della vita libera e serena, umana, mondana, concezione senza turbamenti instaurata dall’Umanesimo e Rinascimento, prima che lo spirito si ripiegasse nuovamente su di sé ad ascoltare la voce del dubbio e dell’inquietudine sorgente. L’ottava ariostesca, calma piena, con un ritmo sciolto, attua la fusione del discorso poetico con il metro, la coincidenza del periodo logico col periodo strofico, realizza la fusione nelle sue prove più alte di reale e ideale, ricercata dal Petrarca, attuata solo e in parte nel Rinascimento. Nell’Ariosto categoria espressiva che assurge a nuova importanza è l’aggettivazione, perché la realtà è vista da questo poeta nei suoi particolari, nelle sue sfumature, con profonda attenzione per la psicologia dell’uomo, ma in una contemplazione acronica, priva di drammaticità, che sembra confermare una visione della vita distaccata e serena, perché nelle mutevoli vicende del mondo si riconosce la divina armonia della vita. Probabilmente tra il luglio e il dicembre del 15131, nasce il trattato “De principatibus” di Machiavelli. Machiavelli, “mediocre poeta quando scrive versi, grande poeta nelle opere in prosa, la sua poesia è poesia dall’aggressività omerica, di Diomede e Ulisse insieme, sotto il cielo di un fato necessario e ineluttabile” (F. Montanari). M. fa professione di povertà di stile2, ma rivendica : “la varietà della materia e la gravità del subietto”.3 Machiavelli non fu un erudito, né un letterato, ebbe un interesse fortissimo dei fatti storici e della psicologia umana e a 29 anni (1498), entrò nell’attività politica fiorentina, come segretario della seconda cancelleria, che trattava la guerra e gli affari interni. La sua attività politica lo portò in Francia da Luigi XII, a Roma da Giulio II, in Tirolo dall’imperatore Massimiliano. Frutto di queste missioni sono vari e importanti testi come: “Del modo di trattare i popoli della Val di Chiana ribellati” (1502), “I rapporti delle cose della Magna” (1508), “I ritratti delle cose di Francia” (1510), “I ritratti delle cose dell’ Allemagna” (1512)…di natura storica o storico- politica. Machiavelli applica all’agire politico la fine analisi psicologica, fino ad ora patrimonio e quasi bagaglio esclusivo del letterato: “Nessuno ha mai studiato così bene come il M. la tempra del capo e quella del volgo4, M. studia le relazioni tra dominanti e dominati, lo studio si risolve in un’analisi psicologica” (A. Momigliano). secondo l’ipotesi di Federico Chabod “La quale opera (Il Principe) io non ho ornata né ripiena di clausole ample, o di parole ampullose e magnifiche, o di qualunque altro lenocinio o ornamento estrinseco, con li quali molti sogliono le loro cose descrivere e ornare”. Dedica. 3 Il Principe, Dedica. 4 E per far meglio ciò bisogna essere uomo “di basso e infimo stato”, come lui, ché: “a conoscere bene la natura de’ popoli, bisogna essere principe, e a conoscere bene quella de’ principi , bisogna essere populare”, Il Principe, Dedica. 1 2 1 La sua visione della vita e dell’uomo si scosta da quella senza turbamenti di tanto Rinascimento, non è distaccata e serena, perché riconosce nelle mutevoli vicende del mondo la forza di una natura non equa e imprevedibile, e studia5 come il politico può farle forza con la “virtù” e la “fortuna”. Pensatore rivoluzionario e fondatore del moderno pensiero politico, autore amato, frainteso e odiato, il suo Principe è il classico della letteratura italiana più noto e conosciuto nel mondo. 2. Dall’ideale al reale nella politica nel pensiero occidentale “Prima di M. i teorici della politica- dice Momigliano- avevano studiato come si dovrebbe vivere, cioè erano andati dietro all'utopia6, lui studia come si vive”. Un’opera di capitale importanza per seguire l’evoluzione della mentalità del mondo classico per quanto riguarda lo Stato è il De republica di Cicerone. L’opera, confrontata con la Repubblica di Platone mostra delle interessanti novità. Mentre quella di Platone parla di uno stato ideale, quella di Cicerone fa riferimento a uno stato realmente esistito, la repubblica romana delle origini, anche se in parte idealizzata. Al Mito di Er si contrappone il Sogno di Scipione l’Emiliano, che dimostra l’atteggiamento più realistico della mentalità romana, e al Regno ultraterreno dei Buoni che coincidono coi Giusti, in Platone, si contrappone quello dei Buoni, che sono i meritevoli della patria in Cicerone, fatto che rivela l’importanza dello stato e della politica nel pensiero e nella mentalità del cittadino romano. Da uno stato ideale, quale “dovrebbe essere”, secondo ideali di perfezione, difficilmente realizzabili in terra, a uno stato quale “potrebbe essere”, costruito sulla falsariga di uno realmente esistito anche se in epoca diversa, in diverse condizioni, e ritenuto migliore. La sicurezza e la fiducia nel poter piegare il corso della storia e la volontà degli uomini ai propri principi e convincimenti politici, Cicerone lo pagò con la vita, non riuscendo a “pre-vedere” un possibile nuovo triunvirato a distanza di 17 anni dal primo, di cui era stato spettatore. La fine della comunque gloriosa repubblica romana aveva dato un’ importante opera letterariopolitica, che mostrava oltre a un fortissimo interesse per la politica, una nuova attenzione per la realtà storica, una nuova sensibilità per la psicologia dell’uomo da parte del politico, sempre col fine di orientare e di indicare strade maestre da seguire, ancora frutto della tendenza verso una certa idealizzazione. C’è ancora spazio per l’eclettismo e per l’utopia, come nel pensiero politico di Petrarca. Bisogna arrivare a Machiavelli perché sia analizzato uno stato e una realtà politica quale effettivamente: “è”, e lo spazio all’eclettismo7 e all’utopia8 sia ulteriormente resecato. 3. Dal reale alla verità effettuale. Machiavelli, come afferma F. Montanari, risolve tutta la politica in un calcolo scientifico di natura fisico – matematica . Egli ha posto in rilievo che la politica è l’arte del possibile, perché agisce su una massa, quella degli uomini, volubile, che lui osserva con occhio vigile, attento e disincantato. “si credeva nato per fare politica invece era nato per studiarla”, A. Momigliano. Vedi il coevo testo: “Utopia” (1515) di Tommaso Moro 7 di cui c’è traccia nei Discorsi, dove la repubblica è ritenuta la forma di governo più alta. 8 prova ne sia l’Esortazione finale (Cap. XXVI), in cui riprende i versi della Canzone all’Italia del Petrarca, dove appunto la sua eloquenza politica era intonata all’esortazione (e non all’invettiva, come in Dante, Purg., VI), dimostrando quindi ancora di oscillare tra un atteggiamento utopistico (= Petrarca) ed uno rigorosamente laico (# Petrarca). In Dante l’atteggiamento politico è utopistico- cristiano- non eclettico. 5 6 2 Se si può notare in lui un certo estremismo, un forte pessimismo, questa è una reazione all’ottimismo umanistico, a cui lui giunge constatando che quell’uomo, che Pico della Mirandola aveva posto al centro dell’universo , “potes sui”, è in fondo cattivo. Egli riscopre la dottrina cristiana del peccato originale, il suo mondo è estraneo a ogni riferimento ad un annuncio di redenzione dell’uomo, il suo mondo è precristiano, il suo salvatore è un ente politico. Ma M. non crede nella perennità di questo ente, che è sottoposto alla legge naturale, che assimila gli stati ad ogni essere vivente, condannato ad un ciclo di crescita – culmine vitale – decadenza e morte. La vita degli stati è un perenne circolo. L’osservazione attenta della realtà, della natura, dell’uomo lo porta a “scoprire” ciò che è, e non ciò che dovrebbe o potrebbe essere, lo porta a scoprire che nella politica è più conveniente: “andar dietro la verità effettuale della cosa, che all’immaginazione di essa”9. Tale verità semplice è risultata oscurata nel corso dei lunghi tempi della storia a vantaggio di una visione più distaccata e rivolta all’ideale o all’ultraterreno, per un atteggiamento comune, ma di diversa matrice, che si ritrova nel mondo classico e cristiano, di svalutazione della realtà nei suoi aspetti più concreti e umili. Nel mondo classico ha avuto più peso la conoscenza legata alle idee che alle cose, copia delle prime, la storia è apparsa inferiore all’arte, perché rivolta al particolare (Aristotele) e questa inferiore alla filosofia, la forma di sapere ultimo e disinteressato. Le arti maggiori sono apparse quelle liberali, non legate ad aspetti pratici della vita sociale e individuale, ma allo spirito: capaci di rendere libero veramente l’uomo, e superiori a ogni altro tipo di attività umana. Il mondo Cristiano, si è sempre più allontanato da una visione diretta e concreta della realtà e dell’uomo, aumentando il solco tra vita terrena, sminuita nel suo valore, e vita ultraterrena. In quest’ottica è apparsa ridimensionata anche ogni attività terrena, guidata comunque dalle virtù cardinali10, e non legata ad aspetti pratici-etici, come la filosofia 11, non ancella della teologia, e l’arte12, non didascalica13. Qui si è avuto interesse a credere o far credere che le cause dei fatti sono nascoste14e le apparenze ingannano15, che la vista dell’uomo è corta16, la verità è nascosta, la ragione non basta17, l’uomo deve accontentarsi dei fatti e non cercare le cause18, il sapere è avvolto da un alone sacro e concesso solo per volere divino19, chi lo detiene si può o deve esprimere in forma velata20. 9 Il Principe, Capitolo XV. “Quivi sto io con quei che le tre sante / virtù non si vestiro, e sanza vizio / conobber l’altre e seguir tutte quante” , Purg. , VII, v. 34-36.Virgilio a Sordello parla del Limbo e delle anime lì relegate. 11 “Voi non andate giù per un sentero / filosofando: tanto vi trasporta/ l’amor dell’apparenza e ‘l suo pensero!” , Par., XXIX, v. 85-87. 12 Sintomatico di tale parziale condanna è l’aver collocato il maggior numero di artisti nel secondo regno, il Purgatorio: vedi Casella, Sordello, Oderisi da Gubbio, Stazio, Bonagiunta da Lucca, … 13 La poesia di Virgilio è salvata perché: “Per te poeta fui , per te cristiano;”, Stazio, Purg., XXII, v.73; e così quella di Dante, perché: “Ma non di men , rimossa ogni menzogna, /tutta tua vision fa manifesta ;”, Par. , XVII, v.127-128. 14 “ Veramente più volte appaion cose / che danno a dubitar falsa matera / per le vere cagion che son nascose” , Purg. XXII , v. 28- 30. 15 “non creda donna Berta e ser Martino , /per vedere un furare , altro offerere/, vederli dentro al consiglio divino/ché quel può surgere, e quel può cadere”, Par., XIII, v.139-142. 16 “ Or tu chi se’ che vuo’ sedere a scranna, /per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d’una spanna ?/, Par. , XIX , v. 79- 81. 17 “ Matto è chi spera che nostra ragione / possa trascorrer la infinita via / che tiene una sostanza in tre persone”. Purg., III, v.34- 36 . 18 “ State contenti, umana gente , al quia :/ ché se possuto aveste veder tutto , / mestier non era parturir Maria;” Purg., III, v.37- 39. 19 “Su Corrado :/ vieni a veder che Dio per grazia volse” , Purg., VIII, v. 65-66 10 3 In ambiente classico la consapevolezza dei limiti della ragione umana, portava ad un atteggiamento più clemente e tollerante nei confronti dell’uomo21, in clima cristiano medievale e post- tridentino, il credente si è arrogato un diritto di Dio, senza sentirne il peso. Il diritto di giudicare e condannare moralmente. E di far coincidere la propria giustizia con la giustizia divina22 e la Giustizia con la vendetta 23. Anche la legge del contrappasso (“condecens vindicta”), applicata da Dante nella Divina Commedia, rimanda alla vendetta privata, ancora in uso ai suoi tempi, che però si riteneva giusto mitigare. M. denuncia senza mezzi termini la realtà nei suoi aspetti più duri e inquietanti e giudica l’uomo senza pietà, ma per trarne insegnamenti utili alla vita sociale. Lo scopo dell’analisi e del duro giudizio dell’uomo non è morale, il miglioramento utopistico dell’umanità, ma la conoscenza delle leggi24e delle costanti del comportamento umano e della vita politica che diano al politico la capacità di pre-vedere, di comprendere anticipatamente gli esiti delle situazioni per predisporre le difese necessarie, in una realtà infida e mutevole. La sua concezione drammatica della politica dominata dal pericolo sempre incombente e dalla possibilità del mutamento e della crisi è motivata dalla concreta realtà della politica italiana del primo Cinquecento. Anche per lui l’ideale è la “concordia ordinum” classica, lo stato misto, dove i poteri sono divisi, come nella repubblica romana, esaltata da Livio, prova ne sia l’opera intitolata “Dai discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio”. Ma M. dedica le sue massime energie a indagare la natura del principato nuovo “nel quale consistono le difficultà”, che auspicava si formasse in Italia sotto la guida dei Medici, capace di mantenersi e far fronte alla drammatica situazione politica dell’Italia, la quale si trovava: “più stiava che gli Ebrei, più serva ch’ e’ Persi, più dispersa che gli Ateniesi; senza capo, senza ordine; battuta, spogliata, lacera, corsa, ed aveva sopportato d’ogni sorte ruina”, Il Principe, Capitolo XXVI. Dà il primo esempio di conoscenza al servizio dell’utile, utile sociale e politico, e questo fine pratico lo avvia a uno studio forse riduttivo e semplicistico della realtà e dell’uomo, ma di fondamentale importanza per il pensiero occidentale, già dal mondo latino orientato verso la rivalutazione dell’aspetto pratico della conoscenza su quello speculativo fine a se stesso 25, e della collettività sull’individuo.26 Il cristianesimo aveva dato l’esempio di un sapere sempre al servizio dell’ utilità sociale morale, più privata che pubblica, almeno nella fase iniziale evangelica. La fase umanistico – rinascimentale risveglia nell’uomo nuova fiducia nelle sue capacità, un nuovo amore per il terreno, l’attenzione per la cosa pubblica, di ciceroniana memoria, e M. applica “O voi ch’ avete li ‘ntelletti sani,/ mirate la dottrina che s’asconde/ sotto il velame de li versi strani”, Inf.,IX, 61-63 21 Seneca, De clementia I, 6: “Pensa tu in Roma, Nerone, quanta solitudine e desolazione ci sarebbe se rimanessero soltanto le persone meritevoli di essere assolte da un giudice severo”. 22 Più che le singole leggi del contrappasso trovate da Dante per i dannati dell’Inferno, creduto reale dai cristiani, il mondo del Purgatorio, nuovo per i tempi, con la sua scala di vizi da purificare mostra la certezza che un mortale possa farsi interprete della volontà di Dio. Come la meritocratica differenziazione della beatitudine delle anime nel Paradiso, che ripropone un concetto classico. 23 “ché la viva giustizia che mi spira, / li concedette , in mano a quel ch’i’ dico, / gloria di far vendetta a la sua ira”, Par., VI, v.88-90. 24 “la regola generale., la quale mai o raro falla” 25 Vedi l’assenza di un pensiero filosofico autonomo e originale nel mondo latino, e l’eclettismo di Cicerone, esponente di rilievo della Nuova Accademia, col suo pensiero rivolto prevalentemente alla etica e alla politica. 26 Lucilio: “virtus est commoda praeterea patriai prima putare, deinde parentum , tertia iam postremaque nostra”: virtù inoltre è considerare al primo posto gli interessi della patria, poi quelli dei genitori, al terzo posto e ultimo i nostri. 20 4 l’analisi dell’ io, l’esame di coscienza, tipicamente cristiano, al singolo e alla collettività per fini unicamente politici, denuncia il vero27, senza sensi di colpa e falsi pudori28. Non molto lontano è l’atteggiamento del Petrarca, che si confessa senza sperare e far sperare in una utopistica conversione. Il Vero entra, con Machiavelli, a pieno diritto nel pensiero, nell’immaginario, nella cultura dell’uomo occidentale, ma con quante reticenze! 4. “Mi è parso più conveniente andar drieto alla verità effettuale della cosa che alla imaginazione di essa”. “Non si meravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi, e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli, perché camminando gli uomini quasi sempre per le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie altrui al tutto tenere, né alla virtù di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare, acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore, e fare come gli arcieri prudenti, a quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di sì alta mira, pervenire al disegno loro”29. Dal fondamentale testo precedente si evincono alcuni importanti concetti: 1. “nel parlare che farò de’ principati al tutto nuovi”: su questi si ferma la sua attenzione, principati di nuova costituzione nei quali: “consistono le difficultà”; che possono presentare situazioni meno comuni e più difficili da risolversi. Ciò prova che la sua attenzione si è spostata dal generale al particolare: a situazioni a volte invasive su cui il politico deve avere il coraggio di indagare senza crearsi rasserenanti illusioni. 2. “procedendo nelle azioni loro con le imitazioni”: è ribadito il concetto dell’imitazione, concetto basilare del mondo classico, da Aristotele in poi, secondo cui l’uomo in ogni sua attività procede imitando; concetto ripreso e rielaborato nell’Umanesimo- Rinascimento. M. si fa sostenitore di tale concetto sia nel Principe che nei Discorsi, ritenendo possibile creare una scienza della politica proprio perché il comportamento dell’uomo si ripete e può essere imitato. 3. “né si potendo le vie di altri al tutto tenere, né alla virtù di quelli che tu imiti aggiugnere”: è ribadito il concetto dei limiti delle capacità dell’uomo, dipendenti da minori virtù e/o da diverse condizioni contestuali, concetto classico e in parte confluito in quello dell’umiltà cristiana verso gli altri e verso Dio, che talvolta però si coniuga con la superbia30 di chi si arroga il diritto di farsi interprete e conoscitore della volontà31 e giustizia divina32; Il Vero, nel suo aspetto basso, comune e quotidiano, oggetto di un’ arte minore, umile, comica, parodistica, satirica, nel mondo greco, ha nel mondo latino per la prima volta un suo genere autonomo: la Satira, che assurge a genere degno con Orazio. Ed entra di prepotenza come oggetto dell’arte con Dante, inteso come Vero del Poeta, ora cristiano ora laico: “ e s’io al vero son timido amico ,/ temo di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico” , Par., XVII, v. 118-120. 28 Come Dante : “Ma non dimen , rimossa ogni menzogna , / tutta tua vision fa manifesta ; / e lascia pur grattar dov’è la rogna”, Par. , XVII, v. 127-129. 29 Il Principe, Capitolo VI. 30 “ O superbi cristian , miseri lassi, / che , de la vista de la mente infermi, / fidanza avete ne’ retrosi passi; / non v’accorgete voi che noi siam vermi / nati a formar l’angelica farfalla, / che vola alla giustizia sanza schermi?” , Purg., X, v. 121- 126. 31 “..e per le note di questa comedìa , lettor , ti giuro , ch’i’ vidi…” , Inf., XVI, v., 128-130. 32 “Oh vendetta di Dio , quanto tu dei / essere temuta da ciascun che legge / ciò che fu manifesto a li occhi mei!”, Inf., XIV, v.16-18. 27 5 4. “addurrò grandissimi esempi”33: l’oggetto della imitazione è ancora ricercato tra i modelli più alti, più nobili, più difficili da raggiungere, ma non come potrebbe apparire, per un desiderioaspirazione al miglioramento, alla perfezione, che è classico e cristiano, ma per: 5. “rendere almeno qualche odore della virtù degli eccellentissimi”, perché come studioso di politica, letterato e politico sa che difficilmente si può raggiungere la virtù somma e conferma che la politica è l’arte del possibile, non dell’ideale, dell’auspicabile…Molta fatica deve essere fatta con la speranza di raggiungere un piccolo obiettivo. Il politico deve fare come l’arciere prudente che per raggiungere il suo bersaglio pone la mira assai più alta. In questo importante capitolo del Principe, M. enuncia l’oggetto principale del suo studio: i principati nuovi; “la cognizione delle azioni degli uomini grandi imparata da me con una lunga esperienza delle cose moderne e una continua lezione delle antique” ( Dedica); e il metodo seguito, appunto: l’imitazione – osservazione della natura e dei precedenti scrittori in materia, da cui confessa che si discosterà in parte, proprio per la maggiore aderenza a ciò che è. Il politico, deve sapere che non giova seguire l’immaginazione della cosa, ma deve andare dietro alla verità effettuale della stessa: “egli è tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere , che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare impara piuttosto la ruina che la perservazione sua”34 . Il procedimento utilizzato è quello di studiare l’uomo e le sue reazioni nel particolare con la stessa cura con cui era osservata già la natura35: e frequenti sono gli esempi tratti dalla vita quotidiana, i riferimenti alla natura, vista antropomorficamente, e le similitudini naturali36. 5. Andando dietro la verità effettuale scopre che..: Deduzioni. L’uomo è: “E se gli uomini fussino tutti buoni, questo precetto ( non osservare la fede) non sarebbe buono, ma perché sono tristi, e non la osservarebbono a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro”, Cap. XVIII “ Gli uomini non credono le cose nuove , se non ne veggano nata ferma esperienza. La natura de’ populi è varia ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione”, Cap. VI “e son tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti…*”, Cap. XVIII “E gli uomini, in universali, iudicano più agli occhi che alle mani, perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscono opporsi alla opinione di molti che abbino la maestà dello stato che li defenda,.. Perché il vulgo va sempre preso con quello che pare, e con lo evento della cosa, e nel mondo non è se non vulgo .”, Cap.XVIII “Però ti son mostrate in queste rote , / nel monte e ne la valle dolorosa , / pur l’anime che son di fama note ,/ che l’animo di quel ch’ode , non posa / né ferma fede per esemplo ch’aia, / la sua radice incognita e nascosa , / né per altro argomento che non paia”, Par., XVII, v. 136- 142. 34 Principe, Cap. XV 35 “nessuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni e se tu dirai che le scienze che principiano e finiscono nella mente abbiano verità, questo non si concede, ma si nega per molte ragioni; e prima che in tali discorsi mentali non accade esperienza, senza la quale nulla dà di sé certezza”, Leonardo da Vinci 36 Vedi la famosa similitudine del Capitolo XXV: “E assomiglio quella (la fortuna ) a uno di questi fiumi rovinosi , che quando s’adirano, allagano e’ piani, ruinano gli alberi e gli edifizi, lievono da questa parte terreno, pongono da quell’altra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede all’impeto loro sanza potervi in alcuna parte obstare.” 33 6 “Perché gli uomini sono molto più presi dalle cose presenti che dalle passate; e quando nelle presenti truovono il bene, vi si godono e non cercano altro”, Cap. XXIV “Per il che si ha a notare che gli uomini si debbano o vezzeggiare o spegnere, perché si vendicano delle leggieri offese, delle gravi non possono;…” , Cap. III “è comune defetto degli uomini, non fare conto, nella bonaccia, della tempesta” , Cap. XXIV “gli uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio”, Cap. XVII “Uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni…* Corollari Il principe “deve sapere”: *…Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, e usarlo e non l’usare secondo la necessità”, Cap. XV “Pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e l’uomo. Sendo dunque necessitato sapere bene usare la bestia debbe di quelle pigliare la golpe e il lione, perché il lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi37. Ma è necessario questa natura ( della golpe ) saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore” , Cap. XVIII “*…che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare”, Cap. XVIII “A uno principe, adunque, non è necessario avere in fatto tutte le soprascritte qualità , ma è necessario parere di averle. Anzi ardirò di dire questo, che, avendole e osservandole sempre, sono dannose; e parendo di averle sono utili . E hassi a intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro la fede, contro la carità, contro alla umanità, contro la religione. E però bisogna che egli abbia un animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti della fortuna e le variazioni delle cose li comandano, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male necessitato.” , Cap. XVIII “e nelle azioni di tutti gli uomini e massime de’ principi, dove non è iudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato, e’ mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno laudati” , Cap.XVIII “… l’offesa che si fa all’uomo debba essere in modo che la non tema la vendetta” , Cap. III “ Perché le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno.”, Cap. VIII “Bene usate si possono chiamare quelle ( crudeltà), se del male è licito dire bene, che si fanno a uno tratto, per la necessità dello assicurarsi, e di poi non vi si insiste drento, ma si convertiscono in più utilità de’ sudditi che si può”, Cap. VIII “E io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabilissima cosa in uno principe trovarsi, di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone, ma perché le non si possono avere né interamente osservare, per le condizioni umane che non lo consentono, gli è necessario essere tanto prudente che sappia fuggire l’infamia di quei vizi che li torrebbano lo stato, e da quelli che non gnene tolgano, guardarsi, se egli è possibile, ma, non possendo, vi si può con meno respetto la sciare andare. ..perché si troverà qualche cosa che parrà virtù e, seguendola, sarebbe la ruina sua; e qualcuna altra che parrà vizio, e, seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo” , Cap. XV “ Debbe nondimanco el principe farsi temere in modo che, se non acquista lo amore, che fugga l’odio, perché può molto bene stare insieme essere temuto e non odiato”, Cap. XVII “io iudico che sia meglio essere impetuoso che respettivo, perché la fortuna è donna, ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla”, Cap. XXV Per combattere ci sono due armi: le leggi proprie dell’uomo, la forza propria della bestia, se non bastano le prime, bisogna ricorrere alla seconda: il principe sarà leone ( forza) e volpe (astuzia ). 37 7 “non resta però che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari e con argini. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta li suoi impeti dove non è ordinata virtù a resisterle”, Cap.XXV “Non si debba lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia, dopo tanto tempo vegga uno suo redentore” , Cap. XXVI. “Pigli la illustre casa vostra questo assunto con quello animo e con quella speranza che si pigliano le imprese giuste; acciocché, sotto la sua insegna, e questa patria sia nobilitata, e, sotto i sua auspizi , si verifichi quel detto del Petrarca : Virtù contro furore prenderà l’arme , e fia el combatter corto; ché l’antico valore nell’italici cor non è ancor morto.” , Cap. XXVI “M., storico debolissimo - afferma F. Chabod- come politico diveniva una potenza universale”. Come pensatore fu non sistematico, fu un teorico dalla passionalità violenta38 . Mente acuta, capace di ampie sintesi, costruttiva, nella osservazione della realtà supera l’esperienza frammentaria e immediata. Scopre che l’uomo è sempre lo stesso, la possibilità di ricavare leggi eterne, la possibilità di fondare una scienza politica. Ha una concezione della storia prammatica, che vede l’uomo motore della storia. Più cattivo che buono . Ma il suo pessimismo è eroico e non esclude la fiducia nelle possibilità del “vir”, non esclude una realtà futura forse ideale. Visto che l’azione politica deriva dalla situazione storica + la virtù individuale contro la fortuna, e il buon governo da: buone leggi + buone armi (milizie cittadine) . Come uomo d’azione fu utopista . Scopre che la politica è autonoma dalla morale39, la virtù dell’uomo politico non coincide con la virtù dell’uomo buono. La sua è una concezione utilitaria, ma non egoistica, perché l’utile del singolo si purifica in quello della Patria. La Patria è al di sopra della morale40. 6. Novità dello stile del Principe Il Principe appartiene al genere della trattatistica oggi considerato extra-letterario, ma fino al ‘700 genere di rilievo. Affermatosi nel ‘400, nella forma del dialogo, ha un ruolo centrale nel ‘500, perché deve fondare un nuovo costume e una nuova scrittura. Il trattato era il genere del discorso filosofico- scientifico, per il quale si usava per lo più il latino41, ma quando il trattato filosofico verteva sulla politica, sull’amore, sulla bellezza – temi centrali del neoplatonismo- era scritto in volgare, perché si rivolgeva a un pubblico più ampio. È significativo che M. abbia scritto in volgare il Principe, come il Bembo gli Asolani. “si ritrova in quest’opera la passionalità violenta di chi vuol costruire, del creatore, che ha il sopravvento sulla serenità investigatrice di chi vuole osservare”, F. Chabod. 39 “L’insegnamento di valore europeo che si potè ritrovare in quell’opera è il riconoscimento dell’autonomia della politica , che è al di là del bene e del male morale”, F. Chabod. 40 “La patria è una divinità al di sopra della moralità e della legge, per la patria tutto è lecito”, F. De Sanctis. 41 Da ricordare , naturalmente il Convivio di Dante che inaugura la prosa scientifico- filosofica italiana. 38 8 Il trattato si lega all’idea di perfettibilità umana e alla pratica della pedagogia: è evidente il suo rapporto col platonismo e a partire dal 1536 anche con l’aristotelismo, che rese più forte la tendenza all’imitazione e aprì la strada ad una precettistica più chiusa e regolata. Il trattato del ‘500 offre tre modelli: modelli di comportamento che riguardano la vita politica (Il Principe), la vita cortigiana (il Cortegiano del Castiglione), il codice amoroso (gli Asolani del Bembo); modelli artistici e letterari (il Trattato del Castelvetro), modelli linguistici (le Prose della volgar lingua di Bembo). Lo stile del Principe è personalissimo, spezzato, nervoso, fatto di forti contrasti, fa prevalere la paratassi sull’ipotassi. Espone gli argomenti uno dopo l’altro, in modo che ogni affermazione coordinata abbia un massimo di assolutezza, imponendosi al lettore come una verità obiettiva semplicemente constatata; i suoi ragionamenti, che si impongono come indiscutibili, apodittici, tendono a organizzarsi per coppie oppositive con una forte intensità drammatica. “Linguaggio della necessità” è stato definito: tipica è la sua perentorietà ( “conviene- è necessitàdeve- si deve”). Frequenti i connettivi conclusivi (”pertanto- adunque – onde”), in un discorso che si configuri rigoroso nelle premesse e nelle conclusioni e dotato di una compiuta organicità. Vivacità e concretezza sono determinate da similitudini tratte dall’esperienza quotidiana, da metafore, da immagini che colpiscono la fantasia del lettore. Alla concretezza dell’esperienza quotidiana e alla lingua corposa dei mestieri rimandano alcuni termini come “ruinare, ruina, fondamenti” tratti dalla lingua dell’arte muraria, l’attribuire un significato tecnico ad alcune parole (“occasione, spegnere…”) indica la sua tendenza a fare della politica una scienza rigorosa, dotandola di una terminologia sufficientemente precisa. La struttura del P. ha una chiarezza architettonica . La sintassi sembra adeguarsi alla libertà del pensiero di M.: sparisce il ragionamento a piramide degli scolastici, per cui l’asserto principale occupa il posto d’onore, al centro del periodo, e si inaugura il ragionamento a catena, per cui le asserzioni scaturiscono naturalmente, una dall’altra, e sono tutte poste sullo stesso piano in una composizione più libera e semplice. Tale ragionamento a catena sarà poi quello di Galileo e di tutta la prosa scientifica moderna. La prosa di M. riesce ad essere in ogni momento un impasto di lingua e sintassi colta e di lingua e sintassi popolare.42 Lo scrittore –M. è classico e popolare, dotto e istintivo, complesso e immediato. Da frasi di stampo latino passa a espressioni di plebea vigorìa . Ma scrittore impetuoso e istintivo, quando deve dare regole e massime, sa usare uno stile fermo ed epigrammatico. Dalla polemica più soggettiva sa giungere alla scienza più oggettiva. A M. interessano le verità essenziali, quindi anche lo stile sarà essenziale43, niente retorica classicheggiante. La sua forma ha una secchezza matematica. nel suo periodare che presenta il procedimento dilemmatico, evidenziato dall’uso dei connettivi conclusivi. “Stile di marmo”, lo ha definito il Russo, nelle pagine di maggior violenza e incisività, come in quella che del Capitolo VII sulla terribile fine di Remirro de Orco. 42 Vedi la prosa del Boccaccio, importante precedente in questo senso, anche se di impostazione ciceroniana e il pluristilismo di Dante, primo esempio di rottura dei canoni classici. “In molte parti storico- narrative dello stesso Principe e dei Discorsi il modello della prosa Boccacciana ha esercitato un peso non secondario”, Anselmi- Menetti, Il Principe e la Mandragola, Bruno Mondadori, pag. VIII. 43 “Le parole non mi interessano bensì le cose”, dice Pirandello, e proprio tra gli scrittori di cose e non parole pone Machiavelli, di cui talvolta ripropone il periodare brusco e disarmonico, la tensione drammatica, che lui volge ad altri fini. 9 7. Machiavelli nella critica: detrattori e continuatori del suo pensiero. Il Machiavellismo, o la deformazione del pensiero politico di M. si sviluppò a partire dal ‘600, ma le prime avvisaglie risalgono al 1547 con l’Apologia ad Carolum V del cardinale inglese Reginaldo Poole, che accusava M. di empietà, perché subordinava la religione all’utilità politica. E al 1576 con l’Antimachiavellicus del protestante francese Jean Gentillet, che nel Principe vide l’elemento ispiratore della strage di San Bartolomeo ordinata da Caterina dei Medici44.(1572) “Il fine giustifica i mezzi” fu la formula, di origine gesuitica, divenuta di dominio pubblico con cui si definì e condannò il pensiero di M. Prima di passare agli autori che tentano una conciliazione tra pensiero di M. e morale cristiana, è da ricordare il concittadino, e per tanti aspetti pensatore non lontano, Guicciardini. Grande storico, pur partendo dalla stessa concezione della storia, prammatica, e dell’uomo, pessimistica, Guicciardini giunge a un relativismo, che nega la possibilità di ricavare leggi universali, di fondare una scienza politica, e nelle Considerazioni sui Discorsi di M., del 1530, asserisce: “E’ errore parlare delle cose del mondo assolutamente e per regola”. Il relativismo di G. salva le sue asserzioni, ugualmente pessimistiche e denigratorie sull’uomo, il potente e la chiesa, dalla dura condanna a cui è andato incontro il Principe, nei secoli. Nella II metà del ‘500, a Firenze, il Tacitismo, il culto e l’imitazione di Tacito, che sostituisce quella di Livio, permette di perpetuare la parte più spregiudicata della dottrina del Principe e riaffermare la ragion di stato, perché le pagine degli Annali, in cui è descritta la tirannide di Tiberio, diventano codice di sapienza politica, Tiberio, tipo di monarca assoluto, leone e volpe. Dati e Davanzati furono gli autori che tradussero (1560 c.), gareggiando in concisione con l’originale il secondo, tutta l’opera di Tacito. Già Benedetto Varchi, è il primo autore di una Storia di Firenze (1538), che si richiama a Tacito e Polibio. Tra il 1580 e il 1650 si ha una grande produzione di scritti politici, influenzati dal Principe. Tutti oscillano tra atteggiamento utilitaristico e morale, optando per un via di compromesso. Botero, con il trattato Della Ragion di Stato( 1589) pone a fondamento della sua dottrina la morale e la religione, pur con debite riserve. Zuccolo, autore di un trattato “ Della ragion di stato”, ( 1621), nel quale considera la politica autonoma dalla morale. Boccalini, nei suoi “Ragguagli del Parnaso” (1610), immagina che M. sia condannato per aver svelato ai sudditi i segreti e le arti del governo assolutistico dei principi, e aver messo denti posticci di cane alle pecore, che sono preziose non per la lana, ma per la molta semplicità e mansuetudine, e voler mandare in rovina la razza dei pecorai (governanti). Apre la strada all’interpretazione illuministica democratica dell’opera. Nei “Principi di una scienza nuova” (1725), la scienza della storia umana, fatta dagli uomini, Giambattista Vico col “verum ipsum factum”(il vero è lo stesso fatto), cerca la certezza e la verità, la penetrazione oggettiva del reale, e formula leggi costanti, risultando sintetico e riduttivo. Alfieri, in un capitolo dell’opera politica “Del principe e delle lettere” (1786), accetta tale interpretazione: “molto più per disvelare ai popoli le ambiziose e avvedute crudeltà dei Principi, che non certamente per insegnare ai principi a praticarle” , avrebbe scritto il Principe, e “il M. ad ogni sua parola respira libertà, giustizia, verità e altezza d’animo”. Vincenzo Cuoco, nel suo Saggio sulla rivoluzione napoletana del ’99, manifesta chiaramente i suoi debiti verso Machiavelli: “Volendo, dice Machiavelli, che un errore non sia favorito da un popolo, gran rimedio è fare che il popolo stesso lo abbia a giudicare”; “..è sempre debole quello stato che non è difeso dai cittadini, 44 Madre di Carlo IX di Francia 1560-74 10 e non sono cittadini quelli che occupano col loro corpo sette palmi di terra in una città, bensì coloro che contano tra i loro doveri l’amarla e il difenderla”. Foscolo, nell’Ortis, nella lettera (4 Dicembre), in cui ricorda l’incontro col Parini, riprende da vicino una importante asserzione di M.: “Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma, credimi, la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte e l’altro quarto a’ loro delitti”. Nei Sepolcri (1807) nei famosi versi: … Io quando il monumento vidi ove posa il corpo di quel grande, (v.155) che temprando lo scettro a’ regnatori, gli allor ne sfronda, ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue. non si allontana dall’interpretazione democratica di marca illuministica. Manzoni, nel capitolo III della Morale Cattolica, del 1845, libera il pensiero di M. da tutte quelle deformazioni cinquecentesche e secentesche, per cui era apparso il genio del male. E afferma che il suo pensiero è dominato dal criterio del l’utilità, che egli voleva con la giustizia o con l’ingiustizia. Per De Sanctis l’uomo di M. non è un essere autonomo, ma uno strumento della patria, sia essa repubblica o principato. Croce mette in risalto l’acre amarezza con la quale M. accompagna le sue categoriche e pessimistiche asserzioni : “se gli uomini fossero buoni…”, segno di austera coscienza morale. Chabod definisce l’insegnamento di M. un insegnamento di valore europeo (1926). Per Montanari M. concepisce la vita politica come noi la chimica : prese uguali quantità di elementi e combinandole insieme in identiche condizioni si ottengono identici risultati. Sfugge al M. la dimensione storica della continua novità dei fatti. Il pessimismo aristocratico del M., nei confronti del “volgo”, che da Orazio45 percorre la cultura del mondo occidentale fino ai nostri giorni, trova spazio anche in uno scrittore cristiano come il Manzoni46, e insieme al pessimismo l’amore e l’accettazione della realtà: “ Forse voi vorreste un Bortolo più ideale: non so che dire: fabbricatevelo. Quello era così.”, Promessi Sposi, Capitolo XXXIII, I parte. Pessimismo e concezione della natura come forza inclemente verso l’uomo sono presenti in tutta l’opera di Leopardi, e la protesta dell’autore nell’ultima parte della sua vita conferma la scoperta del vero, dell’arido vero, come titolo di nobiltà anche per il poeta lirico: Nobil natura è quella che a sollevar s’ardisce gli occhi mortali incontra al comun fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, confessa il mal che ci fu dato in sorte ( La Ginestra, v.111-116) Il culto della verità oggettiva dal romanticismo al verismo trionfa, nella letteratura e nella cultura occidentale. Pessimismo e coraggio nel denunciare il vero, anche quando non piace, e porta danno al denunciatore, lo troviamo in Pirandello, che ama e ammira Machiavelli, e attua nell’arte la rivoluzione di Machiavelli nella politica. Come Machiavelli lotta contro l’idealismo- irrealtà in politica, così Pirandello combatte la “stupidissima verosimiglianza”, che bandiva dall’arte, “il possibile non credibile”, a vantaggio del Ode I, 1: “…me gelidum nemus/ Nympharumque leves cum Satyris chori/ secernunt vulgo…”. “Chi forma poi la massa è un miscuglio accidentale di uomini che dell’uno e dell’altro estremo, un po’ vogliosi di vederne qualcuna di grossa, pronti alla ferocia e alla misericordia, a detestare a adorare, attori, spettatori, strumenti, ostacoli, secondo il vento”, I promessi Sposi, Cap. XIII. 45 46 11 “verosimile credibile”, e poneva come criterio – guida dell’arte la “credibilità”, ciò che lo spettatore- lettore crede, e quindi non la “verità”, dato che: “quod fere libenter homines id quod volunt credunt”. Cesare, De bello gallico, libro III, XVIII. L’elenco dei politici che hanno attinto e attingono all’ “opuscolo” del “mariolo”47 non può esaurirsi facilmente, e alcune massime sembrano alimentino ancora la politica dei nostri giorni:48 “Perché uno principe debbe avere due paure: una drento, per conto dei sudditi, l’altra di fuora per conto dei potentati esterni. Da questa si difende con le buone arme e con li buoni amici, e sempre se avrà buone arme arà buoni amici, e sempre staranno ferme le cose di drento, quando stieno ferme quelle di fuora.” Cap. XIX. Riferimenti bibliografici: Luperini Cataldi, La scrittura e l’interpretazione , Palumbo. Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana, Einaudi. De Caprio – Giovanardi, I testi della letteratura italiana, Einaudi. Ceserani – De Federicis, Il materiale e l’immaginario, Loescher. Il Principe e altre opere a cura di Anselmi- Menetti- Varotti, Bruno Mondadori 47 48 Per don Ferrante, I Promessi Sposi , Cap. XXVII. Su tale tematica vedi il testo di Raymond Aron: “Machiavelli e le tirannie moderne”, Saem (1998). 12