STORIA DEL NUOVO TEATRO (II modulo)
Prof. Cristina Valenti
Gruppo di studio su:
TEATRO IN CARCERE.
L’ESPERIENZA DELLA COMPAGNIA DEL PRATELLO
ALL’ISTITUTO PENALE MINORILE DI BOLOGNA
(Anna Brunelli, Chiara Marsilli, Elvira Venezia)
1ª Parte:
QUADRO STORICO E LEGISLATIVO
di Anna Brunelli
1. Premesse legislative: il Codice Zanardelli (in vigore dal 1890 al 1930)
Nel 1890 entrò in vigore il Codice penale italiano, comunemente detto Codice Zanardelli,
dal nome dell’allora ministro di Grazia e Giustizia. Questo codice rese possibile
l’unificazione del Regno d’Italia in materia legislativa e rese più organica la legislazione
minorile.
Zanardelli si diceva convinto che “le leggi devono essere scritte in modo che anche gli
uomini di scarsa cultura possano intenderne il significato; e ciò deve dirsi specialmente di
un codice penale, il quale riguarda un grandissimo numero di cittadini anche nelle classi
popolari, a questi deve essere dato modo di sapere, senza bisogno d’interpreti, ciò che dal
codice è vietato”. Zanardelli, infatti, riteneva che la legge penale non dovesse mai
dimenticare i diritti dell'uomo e del cittadino e che non dovesse guardare al delinquente
come a un essere necessariamente irrecuperabile: non occorreva solo intimidire e reprimere,
ma anche correggere ed educare. Il trattamento teorizzato da Zanardelli faceva perno sulla
educazione religiosa e sull’adattamento alla disciplina, senza tenere conto della individualità
del soggetto e dei suoi bisogni.
2. Premesse teatrali: Bertolt Brecht e Antonin Artaud
Negli anni fra la prima e la seconda guerra mondiale, in un periodo di particolare fermento a
livello culturale e politico, anche il teatro da vita ad esperienze diverse e innovative,
aprendosi alla dimensione psico-pedagogica. Massimi esponenti di questo periodo di
transizione sono Antonin Artaud (1896 - 1948) e Bertolt Brecht (1898 - 1956), che si
avvicinano all’evento teatrale con l’intento di renderlo fruibile in maniera nuova da parte
dello spettatore che è così portato a esercitare le proprie potenzialità personali, non restando
osservatore passivo di ciò che avviene sul palcoscenico.
3. Dal Codice Rocco (1930) alla caduta del Fascismo
Con l’avvento del Governo Mussolini il Codice Zanardelli fu progressivamente disatteso,
fino a essere soppresso nel 1930 e sostituito dal Codice Rocco.
L’idea essenziale del nuovo codice imponeva una maggiore severità contro la delinquenza,
in nome della difesa dello Stato, e l’introduzione di nuovi istituti considerati più moderni,
portando così a un sostanziale stravolgimento delle iniziative nate con la promulgazione del
Codice Zanardelli. Fu soltanto con la caduta del governo fascista e con la nascita di una
repubblica democratica che si arrivò a una teorizzazione di tipo rieducativo che individuava
nella delinquenza il sintomo di una patologia individuale. Il Codice Rocco restò in vigore,
anche se sottoposto ad alcuni alcuni cambiamenti che ne espunsero le disposizioni più
illiberali. Inoltre furono creati presidi di tipo assistenziale, primo fra tutti la figura dell’
assistente sociale, garante di un trattamento più adeguato delle singole personalità dei
soggetti.
Il principio del trattamento individualizzato era favorito dal fermento culturale, sociale e
politico che investì l’intera società.
4. Trasformazioni teatrali dagli anni Sessanta a oggi
Fra gli anni Sessanta e Ottanta si moltiplicano le esperienze teatrali che mettono
radicalmente in discussione il teatro ufficiale. Si tratta di una contestazione assoluta e
globale in nome di un nuovo teatro che metta al centro il ruolo dello spettatore e la funzione
sociale del teatro. In particolare in Italia si riscontra in questi anni una forte e positiva
risposta sociale, i teatri si spingono nelle strade, operando a stretto contatto con la gente per
instaurare una resistenza contro l’appiattirsi del linguaggio e delle istanze relazionali e
partecipative.
Uno dei più importanti innovatori in questo senso è stato Giuliano Scabia che, attraverso
l’esperienza del Teatro Vagante, sperimenta dinamiche innovative di partecipazione
dell’uomo al teatro, allargando il proprio campo d’interesse a diversi contesti, fra questi
anche l’istituzione manicomiale.
Teoria principale alla base del modo di operare di Scabia è quella secondo cui “il conoscere
che passa attraverso il fare” diventa veicolo principale di una consapevolezza che conduce
alla percezione di sé e di ciò che ci circonda.
Relativamente alle esperienze rivolte all’infanzia e alla gioventù, si assiste a un pieno
riconoscimento nel 1970, quando la rivista “Sipario”, dedica un numero monografico
all’animazione teatrale, affermando l’importanza della libera espressione teatrale e artistica
all’interno della istituzione scolastica.
La prima esperienza di Teatro Carcere storicamente ricordata è quella del "The San Quentin
Drama Workshop", una compagnia fondata nel 1957 nel carcere di San Quintino in
California da Rick Cluchly, ergastolano in seguito graziato per meriti teatrali ed eletto attore
ideale da Samuel Beckett che lo diresse in diversi allestimenti.
In Italia, a partire dagli anni '80 il teatro in carcere – già presente in alcuni istituti con
esperienze amatoriali – assume significati, metodologie e obiettivi nuovi che si precisano e
si consolidano negli anni. Si pone l’accento sulla pratica teatrale piuttosto che sul risultato
spettacolare, sull’attività laboratoriale e creativa per i detenuti e sulla funzione terapeutica e
pedagogica di quest'ultima, in grado di intervenire sugli aspetti relazionali e la cura di sé. Il
teatro diviene anche uno strumento importante per fare conoscere alla società civile la realtà
del carcere, tramite le rappresentazioni negli istituti che vengono aperti al pubblico e con
spettacoli di compagnie di detenuti realizzati teatri esterni.
Un momento decisivo per lo sviluppo e l'affermazione del Teatro Carcere è rappresentato,
nel 1985, dalla prima tournée italiana del San Quentin Drama Workshop. Il gruppo presenta
al Teatro Argentina un’opera di Samuel Beckett che suscita grande interesse di pubblico e
consensi della critica.
In Italia, il Teatro Carcere assume una dimensione professionale e un pieno riconoscimento
istituzionale e culturale con la Compagnia della Fortezza, fondata nel 1988 a Volterra da
Armando Punzo, che ne precisa metodologie e scopi. Da allora le esperienze di Teatro
Carcere si sono moltiplicate, e in molti casi l’Amministrazione penitenziaria ha sostenuto
nuove esperienze e progetti di sperimentazione e formazione. Ciò non toglie che la
precarietà e la mancanza di prospettive di un lavoro continuativo e professionalizzante siano
ancora i tratti portanti delle esperienze che si muovono in questo ambito.
5. Riforme dell’ordinamento penitenziario e condizione dei minori reclusi
Il 26 luglio 1975, con la promulgazione della legge numero 354 si ebbe la prima riforma
dell’ordinamento penitenziario italiano, ma la legge non teneva molto in considerazione la
condizione dei minori reclusi. Solo due anni dopo, nel 1977, con un Decreto del Presidente
della Repubblica, fu introdotto il Servizio Sociale per i minori.
Dopo la seconda metà degli anni Settanta si assiste a una riorganizzazione del sistema
penale che vede nel carcere il luogo nel quale attuare il progetto di recupero del condannato,
facendo leva sulle potenzialità della condizione detentiva per la risocializzazione della
persona reclusa.
Nel corso degli anni Ottanta e con gli anni Novanta, l’obiettivo principale fu quello di
favorire un graduale processo di reinserimento dei detenuti nella società attraverso un
allargamento delle possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione e attraverso
la possibilità di scambio o contatto con l’esterno per gli individui con una pena detentiva
non superiore ai tre anni. Ciò si deve sostanzialmente alla Legge 663 del 1986, conosciuta
come Legge Gozzini, che rappresenta la più importante modifica alla legge di riforma
dell’ordinamento penitenziario del 1975. La Legge Gozzini punta a obiettivi di
risocializzazione e rieducazione del detenuto, e inaugura una serie di attività “trattamentali”,
intese a favorire gli scambi fra società libera e popolazione detenuta. In questo contesto, il
teatro entra in carcere come una delle attività finalizzate al trattamento. Gli operatori teatrali
entrano negli istituti di pena aprendo esperienze laboratoriali, e i momenti di spettacolo
accolgono il pubblico esterno o, in alcuni casi, portano gli attori detenuti al di fuori del
carcere.
Contemporaneamente, sul versante dei minori, la posizione prevalente sosteneva che le
carceri minorili non potessero scomparire, ma si dovesse semmai ipotizzare un tipo diverso
di reclusione, eliminando carenze e inadeguatezze e operando in termini di prevenzione e
lotta alla emarginazione degli ex detenuti unitamente alla loro integrazione nella società.
Nel corso di questi anni prese forma la consapevolezza di quanto fosse importante che
l’esperienza sociale e pedagogica che i ragazzi vivono nei luoghi di detenzione dovesse
inserirsi nel percorso di costruzione del proprio sé, come soggetto della società civile.
Al tempo stesso fu posto l’accento sulla rieducazione dei minori detenuti, su come questa
dovesse essere finalizzata a canalizzare la valorizzazione del sentimento di identità dei
ragazzi. Le nuove e diversificate esperienze con cui i ragazzi fossero entrati in contatto, da
questo momento in poi, dovevano portarli ad avere una nuova consapevolezza, che avesse
come substrato imprescindibile il loro passato, da considerare non come una costante
immodificabile, ma come punto di partenza verso prospettive rinnovate. (il “momento della
appropriazione soggettiva” generalmente considerato l’apice formativo nel conseguimento
di una criticità responsabile).
Nel 1988 con l’entrata in vigore del D.P.R. 448 (Decreto del Presidente della Repubblica)
(cfr. allegato) si attua la prima riforma del diritto minorile. Il fondamento della riforma
consiste essenzialmente nel passaggio del minore da oggetto di protezione e tutela a
soggetto titolare di diritti. Obiettivo principale è la presa di coscienza da parte del giovane
del suo disagio per poterne eliminare la cause attraverso un trattamento penitenziario
individualizzato e finalizzato a reinserire il reo nel tessuto sociale attraverso diverse attività
di tipo culturale, ricreativo e sportivo e comunque volte alla realizzazione della personalità
dei minori detenuti. Per la prima volta emergono i concetti di "interesse del minore", e di
"esigenze educative" legate al percorso processuale e trattamentale. Sono le premesse per
l’ingresso del teatro n egli Istituti Penali Minorili.
6. Esperienze teatrali negli Istituti Penali Minorili
Il 9 dicembre 1996 il Ministero di Grazia e Giustizia firma un protocollo d’intesa con l’ETI
a proposito delle attività teatrali all’interno delle istituzioni minorili detentive per offrire la
possibilità ai detenuti di maturare e qualificarsi grazie a un intervento istituzionale ed
economico a sostegno di alcune fra le più significative realtà teatrali, permettendo così la
realizzazione di progetti pilota a Treviso, Bari e Catania.
A partire dal 1998, attestata l’efficacia di questa prima fase, il progetto viene allargato a
tutte le carceri del territorio nazionale e prende il nome I mestieri del teatro poiché le
attività laboratoriali riguardano, oltre alla formazione attoriale, tutti i mestieri legati alla
realizzazione di uno spettacolo (tecnici del suono, illuminotecnici, scenografi, musicisti,
ecc.) e che possono in un futuro rappresentare per questi ragazzi una opportunità lavorativa
al di fuori del carcere.
Le compagnie che lavorano negli istituti penitenziari sono oggi decine. Queste esperienze
sviluppano diverse forme di collaborazione tra il Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria e diversi soggetti istituzionali, principalmente le istituzioni culturali degli enti
locali e territoriali.
Alcune esperienze hanno assunto una dimensione europea.
Nell’ambito degli adulti ricordiamo il progetto Socrates/Grundvig Teatro e Carcere in
Europa - promosso da Carte Blanche-Compagnia della Fortezza e Newo (Italia),
Riksdrama/Riksteatern (Svezia), Escape Artists (Inghilterra), Théâtre de l’Opprimé
(Francia), Aufbruch Kunst Gefangnis Stadt (Germania), Kunstrand (Austria).
Nell’ambito minorile, particolare importanza, anche per l’eccellenza degli spettacoli
realizzati, ha rivestito il progetto comunitario Equal “Ipm in scena” promosso
dall’Associazione EURO - Centro di Ricerca Promozione ed Iniziativa Comunitaria di
Palermo, in collaborazione con Ministero della Giustizia - Dipartimento Giustizia Minorile,
Unione Europea-Fondo Sociale Europeo, Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale,
Regiona Siciliana. Al progetto hanno partecipato i tre istituti penali per i minorenni di
Palermo, Bologna e Milano, con i registi Claudio Collovà, Paolo Billi, Giuseppe Scutellà,
che hanno lavorato a distanza sul Re Lear di Shakespeare.
Gruppi e compagnie che, pur con differenti metodi di lavoro e linguaggi artistici, realizzano
spettacoli in cui la qualità espressiva si coniuga con gli immancabili esiti pedagogici della
pratica teatrale.
2ª Parte:
LA COMPAGNIA DEL PRATELLO
di Chiara Marsilli
1. Nascita e sviluppi dell’esperienza teatrale nell’Istituto Penale Minorile di Bologna
Nell’Istituto Penale Minorile di Bologna sono ospitati fino a un massimo di 24 ragazzi, tutti
di sesso maschile e in maggior parte stranieri; le loro pene detentive vanno dai pochi mesi ai
diversi anni e l’età varia dai 14-15 fino ai 21 anni, perché, per chi ha commesso reati da
minorenne e ha ricevuto una condanna a lunghi anni di detenzione, esiste la possibilità di
rimanere in un istituto minorile fino ai 21 anni anziché essere trasferito in un carcere per
adulti immediatamente dopo il compimento dei 18 anni.
Nel 1997, con l’emanazione della Legge Turco, viene istituito un fondo per attività culturali
dedicate a bambini e adolescenti inserite in piani di intervento a base territoriale. Tra queste
realtà sono compresi anche gli istituti penali minorili, e una delle città coinvolte è proprio
Bologna. Paolo Billi viene contattato per dare inizio a un primo progetto di teatro in carcere,
della durata di tre anni. Il 14 settembre 1998 il Consiglio Comunale approva il “Progetto di
Pratiche Teatrali” all’interno dell’IPM, e il 5 febbraio 1999 sigla una convenzione con
l’Associazione Bloom-Culture Teatrali diretta da Paolo Billi. Nasce così la realtà del Teatro
del Pratello, attiva da ormai 12 anni e caratterizzata dall’inconsueta apertura dell’istituto al
pubblico esterno in occasione delle rappresentazioni conclusive di fine anno.
La partecipazione al progetto teatrale è su base esclusivamente volontaria, ma dipende in
maniera vincolante dalla situazione penale dei ragazzi. Esistono due tipi di condizioni
all’interno dell’Istituto: l’Accoglienza comprende chi è in attesa di giudizio, in stato di
fermo, aspettando il processo o la decisione del giudice, e i ragazzi in questione non
possono partecipare a nessun tipo di iniziativa, perché ufficialmente ancora innocenti e
dunque non inseribili in nessun tipo di percorso rieducativo. Chi è in Orientamento invece è
già stato condannato in via definitiva e sta scontando una pena di cui si sa esattamente la
durata prevista. Solo questi ultimi possono prendere parte ai progetti attivi all’interno del
carcere e usufruire delle borse lavoro. In ogni caso, anche la situazione di questi ragazzi non
è mai definitiva: in ogni momento il giudice può decidere di farli trasferire in comunità o in
un altro istituto.
Il lavoro del regista Paolo Billi con i ragazzi dura circa tre mesi, indicativamente da
settembre a dicembre, durante i quali le prove si svolgono tutti i giorni per molte ore al
giorno. I ragazzi che vengono coinvolti nell’iniziativa come attori sono quelli che stanno
scontando pene detentive più lunghe, per assicurare continuità al progetto. I ragazzi che
sono condannati a pochi mesi o che semplicemente non vogliono recitare possono scegliere
di partecipare solo al laboratorio di falegnameria: i mesi che precedono il lavoro
“espressivo” vero e proprio vengono infatti impiegati nella progettazione e nella costruzione
delle scenografie, alcune delle quali estremamente elaborate, che concorreranno alla
realizzazione dello spettacolo finale.
Quello del regista Paolo Billi è un lavoro di carattere prettamente sperimentale, per
un’ampia gamma di motivi. Prima di tutto l’ambiente nel quale si svolge e il “materiale
umano” con il quale si entra in contatto e con cui si deve lavorare. Si tratta in massima parte
di ragazzi stranieri, molti giovani clandestini, i cui primo ostacolo è la lingua: non sapersi
esprimere in italiano rappresenta un problema importante per chi, come Paolo Billi, vuole
porsi in un rapporto di collaborazione e di rispetto con le persone con cui lavora. Tale
problema è superato invitando i ragazzi stessi a forzare i propri limiti con un lavoro su testi
letterari molto impegnativi: opere poetiche e filosofiche, caratterizzate da una profondità di
contenuti e da un’osticità della lingua che spesso le rendono poco frequentate anche dagli
italiani. I testi letterari, pur assai diversi, hanno tematiche comuni che li legano: la speranza,
la libertà, la distanza, il dolore. Elementi comuni, argomenti universali che però, inseriti in
un ambiente non convenzionale, rivelano la loro particolare forza comunicativa. A partire
dal confronto con il testo scritto si evolve un percorso creativo autonomo che porta alla
ricostruzione di uno spettacolo originale, molto vivo, un teatro fatto di suggestioni.
Una della finalità implicite del progetto, uno dei “precipitati” che segue naturalmente il
lavoro puramente artistico, è la possibilità, che i ragazzi vivono con particolare forza, di
mostrare e dimostrare che non sono dei “mostri”. La visibilità che il progetto si è
guadagnato negli anni, e l’attenzione anche da parte delle istituzioni, permette un contatto
con la società civile e con le istituzioni altrimenti impensabile: basti ricordare la
collaborazione attiva che si è creata nell’ultimo anno con l’arrivo tra le mura dell’istituto dei
videoclip di alcune autorità cittadine (Rettore dell’Università, Sindaco, eccetera), video che
sono stati poi inseriti nella rappresentazione come materiale spettacolare.
La conquista del rispetto dal mondo “fuori” è un passo fondamentale per riacquistare la
consapevolezza di sé, e a questo contribuisce anche l’aspetto economico. I ragazzi che
partecipano al progetto ricevono un piccolo contributo, pari a circa 3 euro l’ora, che viene
erogato dalla Regione Emilia-Romagna poiché l’impegno dei ragazzi è legalmente
riconosciuto ed equiparato al lavoro in carcere. Secondo la legge, il lavoro in carcere è
considerato non un inasprimento della pena, ma un trattamento rieducativo estremamente
efficace anche nel facilitare il successivo reinserimento dei ragazzi nella società civile. Il
denaro viene depositato su una specie di conto corrente interno all’istituto. Questi soldi sono
a disposizione dei ragazzi per comprare una volta in settimana alcune cose di prima
necessità (in massima parte sigarette!).
Le repliche dello spettacolo si susseguono per due settimane di fila, durante le quali i
ragazzi sono impegnati a recitare tutte le sere. Il teatro ha sede nell’ex chiesa del Convento
di San Lodovico. Per poter vedere lo spettacolo, avendo luogo all’interno della struttura, è
necessario chiedere con molto anticipo (circa tre settimane) un permesso personale
giornaliero al giudice competente, che valuta caso per caso la storia penale di ogni aspirante
spettatore, per poi decidere se concedere o meno il permesso. All’ingresso del teatro
vengono ritirati tutti gli oggetti di metallo (chiavi, portafoglio) e tutti gli apparecchi
elettronici, in particolare quelli che possono fare riprese audio-video e scattare fotografie;
questo perché gli attori sono tutti minori e in sconto di pena, e per effettuare riprese è
necessario ottenere permessi molti speciali, rilasciati raramente, e in ogni caso ci sono
restrizioni fortissime per la diffusione del materiale raccolto.
Ogni spettacolo è accompagnato da un libretto di scena, che raccoglie una breve
introduzione, sotto forma di note di regia, del regista Paolo Billi, e tutti i testi recitati dai
ragazzi in scena. Una differenziazione grafica permette di distinguere le parole del testo
“originale” da quelle prodotte dai ragazzi durante il laboratorio di scrittura.
Il progetto, oltre a essere validissimo dal punto di vista artistico-espressivo, “serve”. Molto
impegnativo, ma altrettanto stimolante, è l’occasione concreta che molti hanno per la prima
volta di mettersi in gioco ad armi pari tra di loro e nei confronti delle persone provenienti
dall’esterno, delle quali percepiscono la naturale ostilità e diffidenza. Necessaria dunque, se
non indispensabile, la collaborazione con gli assistenti sociali e gli educatori, che insieme
agli psicologi seguono i ragazzi detenuti fin dal primo momento di contatto con la realtà
carceraria. Gli assistenti sociali comunicano con i ragazzi interessati al progetto, spiegando
di cosa si tratta sottolineando l’impegno richiesto per minimizzare il rischio di abbandoni in
corso d’opera, rischio concreto vista la fatica che gli esercizi fisici e mentali richiesti, e la
serietà e la costanza con le quali devono essere eseguiti. Vista la parziale sovrapposizione di
ambiti, è normale che sorgano dei contrasti tra professionisti del teatro e professionisti del
sociale: ciò può essere superato solo attraverso un profondo rispetto reciproco e una
sostanziale autonomia di un lavoro dall’altro, ma mantenendo sempre un continuo contatto.
Un difficile equilibrio di libertà e interdipendenza, nel quale gioca un ruolo importante
anche l’obiettivo primario che si vuole individuare nel progetto: piena identità artistica o
semplice mezzo finalizzato all’espressività personale per favorire il reinserimento sociale?
Tra le realtà con le quali il teatro in carcere deve avere a che fare, quella economica è
certamente uno degli ostacoli più evidenti. I tagli ai finanziamenti per gli istituti di
detenzione decisi negli ultimi anni da parte del governo hanno causato problemi, in
particolare per quanto riguarda gli agenti carcerari: costretti dal regolamento dell’Istituto a
controllare i ragazzi in ogni momento, vivono con disagio la necessità di fare molti
straordinari sottopagati, soprattutto durante il periodo di replica dello spettacolo. Gli agenti
penitenziari denunciano già da diversi anni la carenza dell’organico, e hanno sempre
sottolineato che la loro non è una protesta per boicottare il progetto teatrale in sé, ma un
problema sindacale che però rischia di avere forti ripercussioni sull’effettivo svolgimento di
prove e spettacoli in condizioni di sicurezza.
2. Spettacoli realizzati
- Linea d’ombra, 1999
“Sei atti per sei interni”: spettacolo itinerante attraverso tutta la struttura interna ed esterna
dell’istituto. Ispirato all’omonimo romanzo di Conrad, si compone delle storie di alcuni
marinai in viaggio sul vascello “Linea d’ombra”: l’immagine dell’uccello fermo sul ramo
che improvvisamente e senza apparente motivo prende il volo e parte diventa la metafora di
una vita vissuta al confine.
- Paradisi, 2000
Spettacolo itinerante per tutto il primo piano della struttura. Ispirato al Caino di Byron, si
tratta di uno spettacolo “interattivo”, durante il quale gli spettatori sono invitati a compiere
azioni significative e sono marchiati all’ingresso del “paradiso”. Vengono indagate le
diverse idee di paradiso, abitato da vittime consapevoli e mai innocenti.
- Le ali dell’albero, 2001
Drammaturgia incentrata sulla tessitura (pratica e metaforica) di un tappeto. Come la tela di
Penelope, a partire dalle Mille e una notte e da un poema persiano, si intrecciano le storie
dei ragazzi. “Raccontare per sopravvivere”.
- La bellezza degli acrobati, 2002
Strumento di partenza è il romanzo della Yourcenar, Il colpo di grazia. La storia di amore e
guerra narrata dalla scrittrice francese diventa l’occasione per riflettere su temi che molti
ragazzi hanno vissuto in prima persona. Un enorme ponte rotto rappresenta il simbolo del
conflitto che divide, il teatro diventa il ponte tra l’esperienza dentro il carcere e la città.
- Il teatro dei prodigi e delle miserie, 2003
Contribuiscono a creare la base della drammaturgia sia La Tempesta di Shakespeare, sia gli
elaborati che escono dal laboratorio di scrittura Dialoghi, dedicato ad alcuni istituti superiori
della città. La chiesa dell’ex convento riacquista la sua identità, e diventa il santuario di
un’isola di naufraghi dove, nel gioco delle apparizioni, ognuno lascia il suo segno. Un luogo
di passaggio che permette a tutti di ripartire in libertà.
- Romeo. La recita, 2004
Lo spettacolo consiste nella messa in scena di un irreale Romeo e Giulietta shakespeariano
da parte di una compagnia di giardinieri intrappolati in un misterioso hortus conclusus.
L’amara riflessione che intreccia memoria, lontananza e dimenticanza, si conclude con il
ribelle prendere atto che non si nasce solo per le lacrime: nell’uomo è insita la volontà di
andare avanti e superare il dolore.
- Lo stupore di Orlando, 2005
Il lavoro di messinscena delle situazioni narrate nell’Orlando innamorato di Boiardo parte
da due presupposti fondamentali: l’innamoramento come motore del mondo e la
complessità della lingua italiana quale ricchezza, non solo ostacolo alla comprensione
immediata. I personaggi si muovono intrappolati in un’atmosfera onirica, in attesa di
qualcuno che riesca a rompere l’incantesimo, ma che non arriva mai.
- Lezioni di vita da Giganti, 2006
Liberamente ispirato al capolavoro di Rabelais, Gargantua e Pantagruel, il lavoro si muove
nella direzione del grottesco, del non sense e del triviale, e si compone di sette “lezioni
magistrali”. Il Congresso dei Pantagruelisti è arricchito da un ospite “a sorpresa”
proveniente dal mondo delle istituzioni e diverso per ogni sera di replica, nel ruolo di
Gargantua padre che legge al figlio Pantagruel una lettera sulla buona educazione.
- Fool bitter fool, 2007
Il lavoro è il punto di arrivo di una collaborazione particolare, che prevede il confronto tra le
compagnie teatrali di tre istituti minorili di città diverse (Bologna, Milano e Palermo), tutte
impegnate a costruire uno spettacolo a partire dallo stesso testo: il Re Lear di Shakespeare.
Una sorta di rassegna a distanza. I pazzi, gli scemi, gli emarginati sono i soli sopravvissuti,
e insieme ai morti insepolti raccontano la tragedia che, a rigor di logica, si è appena
conclusa. Il personaggio di Re Lear, che assiste da lontano, è interpretato da un ex detenuto
che, dopo aver recitato nello spettacolo Lezioni di vita da Giganti ed essere uscito, rientra in
carcere come allievo attore regolarmente assunto.
- L’ultimo viaggio del Gulliver, 2008
Lo spettacolo assume la forma di un’ultima tappa di un viaggio, iniziato con l’elaborazione
del testo I viaggi di Gulliver di Swift prima nel carcere della Dozza e poi con la Comunità di
via del Pratello. Un video di scena ha il compito di legare tra loro le varie tappe. Si tratta di
una riscrittura del romanzo d’avventura, nella quale un gruppo di naufraghi, a bordo di una
nave (il Gulliver, appunto), decidono di ripercorrere a ritroso il loro percorso, partendo alla
ricerca delle isole che hanno fortunosamente visitato. Il taglio dei fondi ministeriali
minaccia pesantemente la realizzazione dello spettacolo, che si deve limitare a un ristretto
numero di repliche per problemi di bilancio.
- Il fascino indiscreto della stupidità, 2009
Basato sul romanzo di Flaubert Bouvard e Pécuchet, lo spettacolo affronta il mito
dell’irraggiungibile traguardo di arrivare alla comprensione di tutto lo scibile umano, e
denuncia la massa di luoghi comuni e stupidità che circonda l’uomo.
- Don Chisciotte collapse, 2010
L’immortale capolavoro di Cervantes viene riletto “davvero”, andando oltre gli stereotipi e
gli aneddoti, per scavare nella profonda tristezza di uomo dell’eroe da tutti deriso come
buffone ingenuo. Il vecchio cavaliere, accompagnato in scena da un bambino, assiste allo
spettacolo della sua stessa vita, ma nei panni di vittima messa alla gogna da un mondo
crudele e incapace di riconoscerlo. Lo spettacolo rischia di non andare in scena a causa di
un minacciato sciopero delle guardie, poi ritirato, finalizzato alla protesta contro i tagli
finanziari e di organico.
- Bagatelle, 2011
Lo spettacolo ha origine dal confronto con il Tristram Shandy di Sterne, e in particolare
dall’elogio delle divagazioni che l’autore vi inserisce. La narrazione si avvolge e si svolge,
ritornando sempre al tema della nascita e dell’infanzia, e al difficile rapporto con la società
adulta. Prendono parte allo spettacolo, in qualità di rappresentanti dell’autorità ma ridotti a
“fantasmi” video, personalità importanti della città di Bologna (rettore, sindaco..).
3ª Parte:
IL FASCINO INDISCRETO DELLA STUPIDITÀ
di Elvira Venezia
1. Lo spettacolo
Nel novembre del 2009 all’Istituto Penale Minorile di Bologna è di scena Il fascino
indiscreto della stupidità prodotto dalla compagnia Teatro del Pratello con la regia di Paolo
Billi e ispirato all’opera di Gustave Flaubert Bouvard e Pecuchet.
Snaturando la convinzione tutta illuministica che individua la ragione come unico strumento
di dominio sulla realtà, Bouvard e Pecuchet, mossi da un urgente desiderio di comprendere i
misteri della scienza, si imbattono nello studio delle più nobili tematiche del sapere umano,
dall’astronomia alla chimica, dalla politica all’estetica, immergendosi ogni volta tra pile di
libri che, come pilastri senza fondamenta, crollano davanti alla consapevolezza che ogni
applicazione concreta non risulterà che una stravagante o noiosa o incoerente esperienza.
L’opera di Flaubert assume un ruolo centrale all’interno della storia universale della
stupidità, tracciando un inesauribile labirinto di luoghi comuni, di stereotipi e frasi fatte che
i due protagonisti coltivano con attenta bizzarria. Solo il ritorno alla loro vita da copisti
rappresenterà l’unica fuga possibile.
Lo spettacolo, percorrendo la traiettoria allegorica di Bouvard e Pecuchet, conclude una
quadrilogia che, iniziata con Rabelais, è proseguita con Re Lear e con Swift, per approdare a
Flaubert, rivelando definitivamente il motivo “erasmiano”che dirige i quattro lavori.
Nonostante l’utilizzo di registri sempre diversi, la comicità eversiva proposta da capolavori
che si pongono l’obiettivo di riportare lo sguardo su quella zona d’ombra che accoglie le
stranezze umane, viene recepita da Paolo Billi come una grande sfida e prova d’umiltà.
Come afferma il regista:
Con i nove ragazzi dell’Istituto Penale Minorile, con i sei giovani di Botteghe Molière e i due
adulti dell’Università della Terza Età Primo Levi, ho affrontato la stupidità senza vestire i
panni del giudice intelligente, ma sfiorandola con serietà, consapevoli che esiste in ciascuno di
noi una faccia stupida nascosta, che deve essere portata in luce senza vergogna, senza
esibizioni, con gioco, affermando indirettamente la propria intelligenza.
L’atteggiamento con cui Billi si avvicina a una tematica così apparentemente frivola, è
pienamente condiviso dai ragazzi dell’IPM, i quali hanno contribuito alla composizione
della drammaturgia dello spettacolo con testi da loro elaborati e per la quasi totalità destinati
al copione finale.
Il laboratorio di scrittura creativa, come quello di formazione scenografica e scenotecnica,
oltre a mostrare una peculiarità esclusiva della compagnia, contribuisce preventivamente
alla realizzazione dello spettacolo, costituendo un vero cantiere in cui i ragazzi hanno la
possibilità di elaborare le proprie capacità artigianali tramite progetti formativi riconosciuti
anche economicamente.
L’elaborazione di una drammaturgia che scelga la stupidità come oggetto di riflessione e
produzione testuale ha rappresentato un obiettivo tanto insidioso quanto ambizioso per i
ragazzi dell’IPM, i quali, guidati da Filippo Milani, hanno dato forma a dialoghi che,
evitando intenzionalmente una comicità subdola alimentata da scontate sfumature di
nonsense, siano piuttosto il risultato di un processo affrontato con la massima serietà e la
più sottile intelligenza.
Come afferma lo stesso Filippo Milani:
Ai ragazzi è stato suggerito di affrontare la scrittura immaginando di essere una sorta di
vecchi professori di Stupidità, che si sfidano in dotte quanto inutili dissertazioni sulla materia
di cui sono esperti, sviluppando così dialoghi apparentemente logici, ma del tutto surreali,
privi di qualsiasi fondamento.
Lo spazio costruisce un’architettura abbastanza complessa, stabilendo una netta separazione
tra la scena e il pubblico, che, protetto da imponenti grate, vede elevarsi pile interminabili di
libri su ampi spalti. L’architettura carceraria non è nascosta, ma ridimensionata al suo
interno, coinvolgendo tutto lo spazio disponibile per l’evento teatrale. Questo è avvenuto sin
dai primi lavori della compagnia, quando gli spettacoli si sviluppavano in forma itinerante e
utilizzavano apparentemente gli ambienti carcerari come spunti di una drammaturgia meta
teatrale.
Quindi libri e ancora libri che, come pareti di stanze immaginarie, si caricano di una valenza
semantica tale da risultare essi stessi protagonisti dello spettacolo. La loro presenza in scena
non si limita a presentarsi in quanto oggetto culturalmente conosciuto, ovvero come
contenitore di sapere, ma viene recuperata l’idea di libro come oggetto, ribaltando così un
luogo comune parecchio consolidato all’interno del nostro immaginario collettivo. Ciò che
ne risulta è un libro pronto a vivere in qualsiasi contesto, privato della sua sacralità ma
declinabile in qualsiasi forma l’immaginazione desideri.
Ecco allora che i testi prodotti dai ragazzi collaborano sinergicamente alla creazione scenica
di un libro-zappa, libro-specchio e ancora libro-telefono.
Nonostante le difficoltà linguistiche, che non arrivano mai a rappresentare un ostacolo
insormontabile, la produzione dei testi viene assistita dagli attori di Botteghe Molière, i
quali seguono dal principio il processo artistico, apportando un grande sostegno alle attività
trasversali che animano la compagnia del Pratello.
Occorre ricordare che la quasi totalità dei ragazzi che abitano l’Istituto Penale Minorile
parla un italiano incerto, le parole faticano a essere pronunciate, la recitazione si scontra con
testi poetici molto ambiziosi, mentre i loro corpi, solidissime presenze fisiche, ci
restituiscono forza, destreggiandosi all’interno delle sempre complesse scene architettate da
Billi.
L’incontro che lega il corpo alla parola segue un percorso molto insidioso.
Se il primo attraversa lo spazio servendosi di quei movimenti che la strada ha insegnato,
come scatti, inibizioni, gesti compressi, il rapporto con la parola, che formalmente tende a
riportare una sorta di ordine, si rivela piuttosto come una sorprendente possibilità per
emanciparsi da un ruolo scomodo, marginale, per vivere in personaggi spesso molto distanti
da sé.
2. L’approccio metodologico
Una delle più urgenti puntualizzazioni che mi preme fare, riguarda il carattere
esclusivamente artistico che sin dal principio ha guidato la Compagnia del Pratello, durante
la sua esperienza all’interno dei luoghi di reclusione, marcando un ulteriore confine attorno
all’edificio carcerario, ovvero quello ideale della rappresentazione.
Sia il prima del teatro, le attività più materiali (il lavoro di studio e di memoria degli attori;
le dinamiche di relazione prima che diventino gioco teatrale; i dettagli di gesti e di
espressioni che preparano e non sono ancora linguaggio scenico), sia la sua realizzazione,
nel caso della Compagnia del Pratello seguono un processo creativo ed espressivo ben
articolato..
È un teatro di cui il regista, Paolo Billi, conosce tutte le implicazioni trattamentali e
riabilitative, proprio perché le ha verificate come risultati e non come premesse del lavoro
scenico.
A tal proposito, riporto un’osservazione che è emersa durante l’intervista a Paolo Billi, a cui
mi sembra occorra prestare particolare attenzione per cogliere al meglio l’essenza del suo
lavoro.
Alla domanda sul perché sia importante il teatro in carcere e quali siano i benefici per un
detenuto, Billi ha risposto:
Questa è la questione cardine. se io rispondo come teatrante, e rispondo come teatrante, ecco
io, di fronte a questa domanda, rispondo che il teatro non serve assolutamente a niente! Anzi,
non deve servire a niente. Paradossalmente, è nel momento in cui non serve che allora serve
veramente. Il mio operare all'interno di questi contesti è diverso da quello che fa una figura
professionale tipica. Io parto dalla gratuità del fare, in un luogo come il carcere in cui tutto
quanto viene fatto perché c'è uno scopo, fare una cosa per il piacere di farla, per la cura verso
di sé, questo, come dire, è la base.
È possibile toccare il processo di trasformazione tramite l’arte da vari punti di vista, ovvero
riferendosi al lavoro teatrale come a un luogo in cui il giovane detenuto può mettersi in
discussione ed elaborare un diverso sentimento di identità , ma anche come una possibilità
per emanciparsi dal ruolo prestabilito di marginalità, bullismo, per lanciarsi nella scoperta di
altri personaggi possibili e diversi da sé.
Tale processo di trasformazione si conforma all’arte teatrale intesa come all’insieme delle
pratiche legate al mestiere del teatro, ossia alle dimensioni del laboratorio. L’insieme di
queste pratiche risulta essere fondante per la Compagnia del Pratello.
Il cantiere di lavoro precede e accompagna la realizzazione degli spettacoli, inquadrandosi
in un progetto artigianale e formativo che qualifica in senso di apprendistato professionale
l’attività dei ragazzi, inseriti in corsi di formazione di scenografia, scenotecnica, riconosciuti
anche economicamente.
Per questi motivi il teatro del Pratello ha conquistato un doppio riconoscimento:
- come attività inserita nel trattamento educativo
- come pratica artistica non occasionale e fondata su approcci metodologici e obiettivi
formativi consolidati.
Il laboratorio nasce quindi da un’irrevocabile urgenza dettata dalla materialità dell’operare.
Riferimenti bibliografici essenziali
Massimo Marino, Roberto Mutti, Il mare dietro un muro. Nostro padre Re Lear, Milano,
Electa. 2008.
Cristina Valenti, Il cantiere del teatro in carcere, in Alessandro Zanini, Alla luce delle
prove. Il teatro nel carcere minorile di Bologna, Bologna, Bononia University Press, 2009,
pp. 7-14.
Alessandro Zanini, Alla luce delle prove. Il teatro nel carcere minorile di Bologna,
Bologna, Bononia University Press, 2009.
Sitografia:
www.teatrodelpratello.it
www.teatrocarcere-emiliaromagna.it/
ALLEGATO
D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448. Approvazione delle disposizioni sul processo penale a
carico di imputati minorenni
(Pubblicato nel Suppl. Ord. alla Gazz. Uff. 24 ottobre 1988, n. 250).
Art. 1 - Principi generali del processo minorile
1. Nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto
e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale. Tali disposizioni
sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne.
2. Il giudice illustra all’imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in
sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni.
Art. 2 - Organi giudiziari nel procedimento a carico di minorenni
1. Nel procedimento a carico di minorenni esercitano le funzioni rispettivamente loro
attribuite, secondo le leggi di ordinamento giudiziario:
a) il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni;
b) il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per i minorenni;
c) il tribunale per i minorenni;
d) il procuratore generale presso la corte di appello;
e) la sezione di corte di appello per i minorenni;
f) il magistrato di sorveglianza per i minorenni.
Art. 3 - Competenza
1. Il tribunale per i minorenni è competente per i reati commessi dai minori degli anni
diciotto.
2. Il tribunale per i minorenni e il magistrato di sorveglianza per i minorenni esercitano le
attribuzioni della magistratura di sorveglianza nei confronti di coloro che commisero il reato
quando erano minori degli anni diciotto. La competenza cessa al compimento del
venticinquesimo anno di età.
Art. 4 - Informativa al procuratore della Repubblica per i minorenni
1. Al fine dell’eventuale esercizio del potere di iniziativa per i provvedimenti civili di
competenza del tribunale per i minorenni, l’autorità giudiziaria informa il procuratore della
Repubblica presso il tribunale per i minorenni nella cui circoscrizione il minorenne
abitualmente dimora dell’inizio e dell’esito del procedimento penale promosso in altra
circoscrizione territoriale.
Art. 5 - Sezioni di polizia giudiziaria per i minorenni
1. In ciascuna procura della Repubblica presso i tribunali per i minorenni è istituita una
sezione specializzata di polizia giudiziaria, alla quale è assegnato personale dotato di
specifiche attitudini e preparazione.
Art. 6 - Servizi minorili
1. In ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili
dell’amministrazione della giustizia. Si avvale altresì dei servizi di assistenza istituiti dagli
enti locali.
Art. 7 - Notifiche all’esercente la potestà dei genitori
1. L’informazione di garanzia e il decreto di fissazione di udienza devono essere notificati, a
pena di nullità, anche all’esercente la potestà dei genitori.
Art. 8 - Accertamento sull’età del minorenne
1. Quando vi è incertezza sulla minore età dell’imputato, il giudice dispone, anche di
ufficio, perizia.
2. Qualora, anche dopo la perizia, permangono dubbi sulla minore età, questa è presunta ad
ogni effetto.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano altresì quando vi è ragione di ritenere che
l’imputato sia minore degli anni quattordici.
Art. 9 - Accertamenti sulla personalità del minorenne
1. Il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse
personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e
il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate
misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili.
2. Agli stessi fini il pubblico ministero e il giudice possono sempre assumere informazioni
da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, anche
senza alcuna formalità.
Art. 10 - Inammissibilità dell’azione civile
1. Nel procedimento penale davanti al tribunale per i minorenni non è ammesso l’esercizio
dell’azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato.
2. La sentenza penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il
risarcimento del danno cagionato dal reato.
3. Non può essere riconosciuta la sentenza penale straniera per conseguire le restituzioni o il
risarcimento del danno.
Art. 11 - Difensore di ufficio dell’imputato minorenne
1. Fermo quanto disposto dall’articolo 97 del codice di procedura penale, il consiglio
dell’ordine forense predispone gli elenchi dei difensori con specifica preparazione nel diritto
minorile.
Art. 12 - Assistenza all’imputato minorenne
1. L’assistenza affettiva e psicologica all’imputato minorenne è assicurata, in ogni stato e
grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altra persona idonea indicata dal
minorenne e ammessa dall’autorità giudiziaria che procede.
2. In ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi indicati nell’articolo 6.
3. Il pubblico ministero e il giudice possono procedere al compimento di atti per i quali è
richiesta la partecipazione del minorenne senza la presenza delle persone indicate nei
commi 1 e 2, nell’interesse del minorenne o quando sussistono inderogabili esigenze
processuali.
Art. 13 - Divieto di pubblicazione e di divulgazione
1. Sono vietate la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o
immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel
procedimento.
2. La disposizione del comma 1 non si applica dopo l’inizio del dibattimento se il tribunale
procede in udienza pubblica.
Art. 14 - Casellario giudiziale per i minorenni
Art. 15 - Eliminazione delle iscrizioni
Capo II
Provvedimenti in materia di libertà personale
Art. 16 - Arresto in flagranza
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere all’arresto del minorenne
colto in flagranza di uno dei delitti per i quali, a norma dell’articolo 23, può essere disposta
la misura della custodia cautelare.
2.
3. Nell’avvalersi della facoltà prevista dal comma 1 gli ufficiali e gli agenti di polizia
giudiziaria devono tenere conto della gravità del fatto nonché dell’età e della personalità del
minorenne .
Art. 17 - Fermo di minorenne indiziato di delitto
È consentito il fermo del minorenne indiziato di un delitto per il quale, a norma dell’articolo
23, può essere disposta la misura della custodia cautelare, sempre che, quando la legge
stabilisce la pena della reclusione, questa non sia inferiore nel minimo a due anni.
Art. 18 - Provvedimenti in caso di arresto o di fermo del minorenne
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o il fermo del
minorenne ne danno immediata notizia al pubblico ministero nonché all’esercente la potestà
dei genitori e all’eventuale affidatario e informano tempestivamente i servizi minorili
dell’amministrazione della giustizia.
2. Quando riceve la notizia dell’arresto o del fermo, il pubblico ministero dispone che il
minorenne sia senza ritardo condotto presso un centro di prima accoglienza o presso una
comunità pubblica o autorizzata che provvede a indicare. Qualora, tenuto conto delle
modalità del fatto, dell’età e della situazione familiare del minorenne, lo ritenga opportuno,
il pubblico ministero può disporre che il minorenne sia condotto presso l’abitazione
familiare perché vi rimanga a sua disposizione.
3. Oltre nei casi previsti dall’articolo 389 del codice di procedura penale, il pubblico
ministero dispone con decreto motivato che il minorenne sia posto immediatamente in
libertà quando ritiene di non dovere richiedere l’applicazione di una misura cautelare.
4. Al fine di adottare i provvedimenti di sua competenza, il pubblico ministero può disporre
che il minorenne sia condotto davanti a sé.
5. Si applicano in ogni caso le disposizioni degli articoli 390 e 391 del codice di procedura
penale.
Art. 18 bis - Accompagnamento a seguito di flagranza
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accompagnare presso i propri uffici
il minorenne colto in flagranza di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la
pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e trattenerlo
per il tempo strettamente necessario alla sua consegna all’esercente la potestà dei genitori o
all’affidatario o a persona da questi incaricata. In ogni caso il minorenne non può essere
trattenuto oltre dodici ore.
2. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all’accompagnamento
ne danno immediata notizia al pubblico ministero e informano tempestivamente i servizi
minorili dell’amministrazione della giustizia. Provvedono inoltre a invitare l’esercente la
potestà dei genitori e l’eventuale affidatario a presentarsi presso i propri uffici per prendere
in consegna il minorenne.
3. L’esercente la potestà dei genitori, l’eventuale affidatario e la persona da questi incaricata
alla quale il minorenne è consegnato sono avvertiti dell’obbigo di tenerlo a disposizione del
pubblico ministero e di vigilare sul suo comportamento.
4. Quando non è possibile provvedere all’invito previsto dal comma 2 o il destinatario di
esso non vi ottempera ovvero la persona alla quale il minorenne deve essere consegnato
appare manifestamente inidonea ad adempiere l’obbligo previsto dal comma 3, la polizia
giudiziaria né dà immediata notizia al pubblico ministero, il quale dispone che il minorenne
sia senza ritardo condotto presso un centro di prima accoglienza ovvero presso una
comunità pubblica o autorizzata che provvede a indicare.
5. Si applicano le disposizioni degli articoli 16 comma 3, 18 commi 2 secondo periodo, 3, 4
e 5 e 19 comma 5.
Art. 19 - Misure cautelari per i minorenni
1. Nei confronti dell’imputato minorenne non possono essere applicate misure cautelari
personali diverse da quelle previste nel presente capo.
2. Nel disporre le misure il giudice tiene conto, oltre che dei criteri indicati nell’articolo 275
del codice di procedura penale, dell’esigenza di non interrompere i processi educativi in
atto. Non si applica la disposizione dell’articolo 275, comma 3, secondo periodo, del codice
di procedura penale .
3. Quando è disposta una misura cautelare, il giudice affida l’imputato ai servizi minorili
dell’amministrazione della giustizia, i quali svolgono attività di sostegno e controllo in
collaborazione con i servizi di assistenza istituiti dagli enti locali.
4. Le misure diverse dalla custodia cautelare possono essere applicate solo quando si
procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non
inferiore nel massimo a cinque anni .
5. Nella determinazione della pena agli effetti della applicazione delle misure cautelari si
tiene conto, oltre che dei criteri indicati nell’articolo 278, della diminuente della minore età.
Art. 20 - Prescrizioni
1. Se, in relazione a quanto disposto dall’articolo 19 comma 2, non risulta necessario fare
ricorso ad altre misure cautelari, il giudice, sentito l’esercente la potestà dei genitori, può
impartire al minorenne specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro
ovvero ad altre attività utili per la sua educazione. Si applica l’articolo 19 comma 3.
2. Le prescrizioni previste dal comma 1 perdono efficacia decorsi due mesi dal
provvedimento con il quale sono state impartite. Quando ricorrono esigenze probatorie, il
giudice può disporre la rinnovazione, per non più di una volta, delleprescrizioni imposte.
3. Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni, il giudice può disporre la misura
della permanenza in casa.