ERNESTO TAVERNARI - LA FAVOLA PITTORICA
Ci sono i poeti, ci sono i pittori e ci sono i poeti-pittori. Uno di questi è certamente Ernesto Tavernari. La poesia non è solo
lirica, poesia è anche l'epica o quella sottospecie di essa che è la favola. Un grande narratore di favole pittoriche è Tavernari;
per lui si direbbe anzi che l'affabulazione è l'elemento primo, quasi l 'humus dal quale nascono le sue immagini, le quali, va
subito osservato, caratteristicamente nascono per cicli. Ogni ciclo ha un'immagine che gli fa da fulcro, presa a piacere quasi si
direbbe: può essere il cavallo o il leone, al momento presente sono gli alieni. Questo non è "opportunismo" immaginoso, nel
senso che qualsiasi tema è buono, come pretesto alla pittura. Il caso di Tavernari è differente: per lui ogni oggetto al mondo (o
dell'altro mondo) ha un lato o meglio un'essenza profondamente poetica, anzi favolosa. Si tratta solo di scoprirla e è quanto fa
Ernesto Tavernari.
Tavernari, un decano della pittura, viene da Lucca e studia scenografia a Milano. Ancora nei lontani anni Trenta produce un
ciclo di opere dedicate all' Inferno di Dante. Tavernari, ovvio, non è il primo e non sarà l'ultimo a fare dell' Inferno dantesco
un proprio tema. Le sue però non sono illustrazioni (alla Doré, poniamo), ma opere che si basano sull'avventura del tema per
farne un' avventura del colore; intensamente materici, i quadri di questo periodo, esposti allora alla prestigiosa Galleria del
Cavallino, a Venezia, sono in qualche modo veneziani per così dire dall'interno: per l'uso sapientissimo delle luci d'oro e delle
ombre in simbiosi tra loro, al punto che verrebbe da usare l'ossimoro dell'ombra luminosa o della luce oscura. Che è un po'
quello che si prova deambulando per le calli veneziane.
Venezia ritorna poi in un altro ciclo dedicato a "ritratti" di città reali (Venezia con Roma, Lucca, Verona...) o immaginarie. Le
prime vengono riprese e sintetizzate in un monumento che è emblematico a volte oggettivamente (come sarebbe il Duomo per
Milano), a volte solo soggettivamente, come emblema del cuore, per così dire. Nelle altre la fantasia del pittore si sbizzarrisce
a inventare grovigli di forme urbane, case grandi e piccole a grappoli, da cui spuntano torri e campanili, con intensi colori
distribuiti e usati sempre in modo timbrico. Non manca il personaggio umano che come in automobiline di fantasia e ti viene
da chiedere da dove venga e dove vada: tanto l'elemento narrativo, la favola, la senti qui presente ovunque.
Al tema delle città Tavernari resta fedele per decenni. Negli anni Settanta affiora poi il tema zoologico: sono cavalli
metamorfici, vale a dire semi-umani, nel senso diverso però dalle figure offerte dalla mitologia greca. Si sente qui l'apporto del
surrealismo, ma in Tavernari si tratta di surrealismo caldo, per così dire, non freddo, se non cinico, alla Dalì, per esempio. il
surrealismo in Tavernari è, ancora, il linguaggio della favola, della fantasia che nasce e torna a se stessa e non ha niente di
iconoclasta (ancora, alla Dalì).
Una favola perpetua è poi la pittura (meglio quell'insieme di pittura, disegno, china e altre tecniche) che Tavernari dedica oggi
alla esplorazione dell'altro mondo - o del mondo altro degli Alieni. È una specie di mondo alla rovescia, in cui i titoli, che
dicono il tema (per esempio, Il ritorno di Giuditta), vengono puntualmente smentiti dall'immagine in cui campeggiano i
piccoli, ma simpatici mostri (Giuditta che "ritorna" ha tre orecchie, almeno visibili, tre mani, pare, con numero variabile di
dita, e quattro gambe) che abitano l'aldilà - cioè la fantasia o l'inconscio del pittore. Anche qui, parlare di surrealismo sarebbe
riduttivo: è la poesia di Tavernari, la favola poetica, che non si accontenta di "trovare" i suoi soggetti, ma se li crea di volta in
volta, come l'ironica, bonario, divertito demiurgo di un cosmo sorto dal nulla della fantasia.
Milano, 16-7-2005,
FRANCO DE FAVERI