Una teologia della storia (tratto da Giuseppe Lazzati, Una teologia della storia, in Dossier Lazzati. Giorgio La Pira visto da Giuseppe Lazzati, AVE, 2/1992, p. 48-49) Della teologia della storia (…) La Pira, che ne costruisce a poco a poco il disegno, ci offre le coordinate intorno alle quali quel disegno si sviluppa fino ad apparire nella seducente bellezza e forza del suo slancio vitale. Fa sempre da sfondo a tale teologia la prospettiva biblica – in particolare la visione di Isaia, cui il dettato infinite volte si rifà – che porta La Pira a leggere nelle tormentate tortuosità delle vicende umane un moto inarrestabile verso l’unità del genere umano, verso la conversione dei popoli, verso la pace; moto che rappresenta il senso vero della storia secondo il disegno di Dio al di sotto delle contrastanti apparenze che spesso si muovono in senso opposto. (…) Infinite volte e da ogni parte, non esclusa quella ecclesiale, l’accusa di sognatore e il sorriso di compatimento per l’ingenuità del santo (!) accoglievano le prese di posizione del professore, che peraltro viveva non già nel chiuso di un monastero, ma nel Parlamento, al Governo (fu sottosegretario al lavoro), a Palazzo Vecchio di Firenze quale Sindaco della città. Lo sapeva La Pira e non temeva di chiedersi «Sono un po’ sognatore?», dando subito la propria risposta nella luce della medesima fede dalla quale la sua visione nasceva: «Forse: ma il cristianesimo tutto è un “sogno”: il dolcissimo “sogno” di un Dio fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio! E se questo sogno è reale – e di quale realtà! – perché non sarebbero reali gli altri “sogni” che sono ad esso essenzialmente collegati?» (…) Nella prospettiva aperta della teologia della storia alla cui luce La Pira interpreta questo nostro tempo, il problema fondamentale è quello di creare il ponte fra spirituale e politico, tra azione e contemplazione, così che l’una all’altra rechi vantaggio. Tale problema e l’appassionata e continua ricerca della sua soluzione costituiscono, se così posso dire, il «cuore» della sua spiritualità. (…) E’ la spiritualità di chi è teso a vivere , giorno dietro giorno, nelle situazioni più varie, fino alle più drammatiche, sotto il peso della responsabilità dall’ampia e profonda incidenza sociale, l’ «unità dei distinti», che è dire la capacità di fare unità nell’intimo della propria persona, nel proprio cuore dirò biblicamente, tra fede e ragione, tra fede e storia, tra contemplazione e azione fino al grado estremo. Tale grado si esprime anzitutto nella esperienza di una ricercata unione con Dio, di una mistica, che si fa anima delle più coraggiose avventure politiche (pensiamolo pellegrino per il mondo a costruire la pace!); poi nella ricerca di una politica capace di iniziare nella storia, e come sua tensione ideale, il disegno «dei cieli nuovi e della nuova terra», che la esperienza mistica permette di anticipare in contemplata visione. Essa, partendo dalla fede, diventa gioiosa attesa nella speranza e si fa non rinunciabile impegno di azione nel segno dell’amore in vista di una «civiltà dell’amore».