Bangladesh. Rana Plaza a un anno dal crollo Intervista alla fondatrice del Centro per la Riabilitazione dei Paralizzati A un anno dalla tragedia del Rana Plaza, il crollo del complesso di otto piani a Dhaka, in cui hanno trovato la morte 1132 persone – per lo più operai tessili – e oltre 2000 sono rimaste ferite, i sopravvissuti e i loro familiari faticano a riprendere una vita normale. Intanto nel paese, la lotta degli artigiani del tessile per ottenere maggiori garanzie e adeguate condizioni di lavoro, nonostante timidi passi avanti, è ancora tutta in salita. La MISNA ripercorre il racconto di quei giorni con Valerie Taylor, volontaria e fisioterapista inglese, fondatrice del Centro per la Riabilitazione dei Paralizzati (Crp), la cui sede è ad appena un chilometro di distanza dal Rana Plaza. Cosa ricorda dell’ emergenza di quei primi giorni? A poche ore dal disastro il nostro Centro si ritrovò affollato da centinaia di vittime e feriti. Squadre mediche e sacche di sangue cominciarono a circolare dappertutto, quando ancora le grida di aiuto e la polvere impregnavano l’ aria e le strade di Savar. Decidemmo quindi di adibire verande, corridoi e il refettorio stesso come luoghi di cura. Con la paura ancora viva nei corpi, nessuno accettava di salire al secondo o al terzo piano del complesso: “ Potrebbe crollare” era il loro gemito, l’ unica risposta che affiorava sulle loro labbra. Di cosa si occupava il Centro, prima del crollo? Abbiamo fondato il Centro per la Riabilitazione dei Paralizzati (Crp) nel 1979, in collaborazione con un gruppo di bangladeshi. Dopo la guerra di liberazione dal Pakistan e l’ indipendenza ottenuta nel 1971, le persone mutilate erano molte e il paese era privo di ospedali specializzati nel settore. Il Crp, che ha la sua sede appunto a Savar, alla periferia di Dhaka, ha sviluppato una vasta gamma di servizi per lesioni spinali, servizi di terapia, scuola e strutture per fisioterapia con possibili abbinamenti a corsi di formazione per il reinserimento al lavoro o ad attività di sostegno economico, a riabilitazione avvenuta. Molti, dopo le prime cure, furono dimessi. Alla fine, quanti feriti gravi hanno trovato posto nella vostra struttura? Oltre 240 persone bisognose di interventi per fratture al midollo spinale e per amputazioni hanno trovato un posto permanente per le cure e la riabilitazione: per molti i tempi di guarigione saranno dai tre ai cinque anni. Una delle difficoltà che abbiamo dovuto affrontare agli inizi è stato il ritardo causato ad alcuni dei sopravvissuti, ricoverati in altri ospedali e in cliniche private, molto costose ma non preparate ad affrontare questo tipo di interventi e cure. Questo ritardo, che in alcuni casi è stato anche di quattro mesi, ha causato in qualche paziente complicazioni e danni che stanno prolungando di molto la riabilitazione. A un anno dalla tragedia come vi preparate a ricordare vittime e sopravvissuti nel vostro Centro? In questi giorni, in cui ricorre il primo anniversario di quella tragedia, abbiamo allestito qui al Centro una mostra fotografica. Abbiamo invitato i pazienti, sopravvissuti al crollo, a visitarla. Ci siamo radunati insieme e di fronte a queste immagini, alcune veramente crude, molti di loro, piangendo, hanno ricordato il dramma che hanno vissuto. Una giovane ragazza, che al momento del crollo aveva 14 anni e ha riportato una lesione spinale, mi ha raccontato di sua madre rimasta sotto le macerie a pochi metri di distanza. Lei ora sta migliorando. L’ ultima volta l’ avevo vista sulla sedia a rotelle ma ieri, alla mostra fotografica, è arrivata con un deambulatore. È stato commovente. Chi è stato curato e ha completato il corso di riabilitazione pensa di rientrare in fabbrica o, con il sostegno economico ricevuto, vuole tornare al proprio villaggio? Molti di loro non vogliono tornare a lavorare in una fabbrica. Quello che il nostro Centro propone a chi si trova in fisioterapia e riabilitazione è di frequentare un corso di reinserimento e apprendistato per un nuovo lavoro. Al momento ne abbiamo 39 che stanno frequentando corsi di cucito, allevamento di bestiame o animali da cortile. Per coloro che hanno un po’ di istruzione, invece, prevediamo lezioni di elettronica o semplici corsi di computer. Per le donne invece abbiamo allestito anche brevi classi di micro imprenditoria. Cose semplici come portare avanti un piccolo negozio. L’ esperienza maturata dai medici e dallo staff, affiancati da esperti stranieri di ortopedia e di altre specialità mediche, ha lasciato qualcosa di positivo per le emergenze future? In Bangladesh non ci sono corsi per preparare tecnici in grado di produrre protesi. Fino ad oggi anche il nostro Centro era costretto a mandare personale in India o Vietnam. Gli aiuti, anche tecnici, che abbiamo ricevuto da molte organizzazioni internazionali per curare i feriti di Rana Plaza, hanno aperto la possibilità di avviare un corso di specializzazione di tre anni, con diploma riconosciuto dal governo. L’ azienda britannica Primark, che produce abbigliamento in Bangladesh, si è impegnata a sostenere i costi per la preparazione all’ estero dei primi insegnanti bangladeshi che, in futuro, dovranno gestire questi corsi. (articolo tratto da www.misna.org, a cura dell'Istituto Secolare Missionarie Comboniane) Copyright © 2017 ReteSicomoro