Tutti i media, con una voce sola Se un sistema di comunicazione è centralizzato, come accade nei regimi totalitari o autoritari, la manipolazione è altamente probabile; qualora ci sia una pluralità di fonti indipendenti, essa invece diminuisce notevolmente. L'indipendenza delle fonti è il vero elemento discriminante: il sistema televisivo di un regime politico autoritario può contare diverse emittenti, ma se esse sono tutte controllate da un unico centro, abbiamo una pluralità che non corrisponde al “pluralismo”. Questi assunti sono un'eredità di Hovland e Lazarsfeld, le cui ricerche del secondo dopoguerra sono tra le più importanti e studiate nelle scienze sociali. Ma oggi sappiamo che anche in regimi politici democratici, e in presenza di pluralismo informativo, si possono determinare delle condizioni che portano a perversi effetti di consonanza nella copertura informativa, ossia a fenomeni per cui tutti i mezzi di informazione parlano con una sola voce. Questo terzo appuntamento con la rubrica “Grammatica della Manipolazione” affronta proprio questo fenomeno. Si può avere convergenza nella copertura informativa: • A causa della concorrenza : sembra paradossale, eppure la stessa molla del pluralismo informativo, la concorrenza, ciò che dovrebbe garantire varietà e voci diverse a confronto, spesso è causa invece di consonanze e scarsa originalità nella copertura informativa. Questo accade perché tra le diverse e concorrenti redazioni dei giornali e dei telegiornali, ogni giorno entrano in gioco aspettative reciproche circa le notizie da diffondere. Per paura di “bucare” una notizia od un argomento, si pubblica ciò che si ritiene possa essere pubblicato dalle testate concorrenti. Scrive il professor Guido Gili, dell'Università di Macerata: “queste aspettative reciproche generano un «legame comune», un sistema vincolante a cui tutti i media contribuiscono e di cui tutti sono vittime, che scoraggia le innovazioni nella selezione delle notizie e l'assunzione di un punto di vista originale”. Molto gioca in questo fenomeno anche l'osservazione privilegiata di cui le testate più prestigiose sono fatte oggetto; esse sono tenute sott'occhio dalle testate minori, che tendono a emularne le scelte, causando a livello di sistema una inevitabile omogeneità nella copertura informativa. Ma la consonanza che si viene a creare a causa di dinamiche concorrenziali non è un fenomeno limitato al giornalismo. In televisione, in particolare, la rincorsa tra reti tv che si copiano vicendevolmente programmi e idee di successo, porta ad una consonanza anche nell'intrattenimento, che soffoca le idee innovative anche in questo settore, e determina una marcata omogeneità nei palinsesti. • A causa dei “valori-notizia” : essi sono una sorta di “giurisprudenza” del giornalismo, un insieme di regole che si sono imposte col tempo, nella storia del giornalismo, e che oggi sono il punto di riferimento per tutti i giornalisti nell'esercizio quotidiano del loro lavoro. I valori-notizia presiedono alla selezione e tematizzazione degli eventi e dei problemi. È ovvio che se tutti i giornalisti hanno un metro di giudizio comune, condividono lo stesso concetto di newsworthiness , questo concetto a sua volta contribuisce all'omogeneità dell'informazione. • A causa di situazioni di emergenza : in particolare in caso di guerra, quando una nazione si trova coinvolta in un conflitto, come promotrice dell'azione militare o inquadrata in un'alleanza, la convergenza è una realtà e la manipolazione la sua conseguenza più sistematica. Approfondiamo quest'ultimo punto e prendiamo ad esempio la Guerra del Golfo del '91. Durante quel conflitto in tutti i paesi coinvolti i mass media hanno fatto fronte comune nel sostenere la legittimità della guerra e nell'avvalorarne le cause. La scelta di sostenere le autorità politiche e militari, secondo molti ma non tutti gli studiosi, è stata libera e volontaria. È stato altresì accettato un rigido controllo imposto dagli stati maggiori sull'informazione proveniente dal teatro degli eventi. Questo è accaduto (e accade oggi con la “guerra al terrorismo” portata avanti dagli Stati Uniti) perché entrano in gioco diversi fattori che spingono i media a convergere su posizioni dominanti: i media in situazioni di crisi avvertono di avere una funzione integrativa nella società e sentono il dovere, anche patriottico, di appoggiare in frangenti difficili le autorità e la guida del paese, con uno spirito collaborativo. Gli editori di giornali e chi controlla grandi network radiotelevisivi, con l'appoggio dei direttori delle singole testate, danno disposizioni affinché vengano diminuiti i livelli di diffidenza e criticità nell'esercizio della professione giornalistica, salvo poi “recuperare” in fasi successive alla crisi. Ma questo fenomeno può essere controllato, regolato, usato? Il potere costituito di una nazione può approfittare della convergenza informativa propria delle situazioni di crisi, per trarne vantaggio nella conduzione della politica estera (e bellica)? Oggi sono in molti a chiederselo, dopo il Patriot Act del 2001 (che è andato a toccare diversi diritti civili negli Stati Uniti), e dopo la scoperta di alcune menzogne addotte dai vertici militari e politici americani e britannici circa le ragioni addotte per l'invasione dell'Iraq (le armi di distruzione di massa mai rinvenute sul suolo iracheno). Al di là del patriottismo e del senso di responsabilità, dietro agli effetti di consonanza dei media in situazioni critiche può esserci un'opera manipolatoria: il governo, l'esercito o le forze dell'ordine possono enfatizzare la gravità del pericolo, alimentando nei cittadini ansia e insicurezza, i quali garantiscono poi atteggiamenti favorevoli verso misure eccezionali. Quando i mass media assecondano e amplificano questa politica ansiogena, contribuiscono ad elevare la disponibilità del pubblico, che darà certamente mandato alle istituzioni di risolvere i problemi senza andare troppo per il sottile. Non c'erano armi di distruzione di massa in Iraq e Saddam Hussein era forse uno dei peggiori nemici di Osama bin Laden (o di quello che questa icona rappresenta). Ma dopo l'11 settembre poche testate, nel mondo occidentale, sono state disposte ad andare a spulciare tra le prove addotte dall'amministrazione Bush per giustificare l'intervento militare. Se vogliamo essere davvero malpensanti, e ipotizzare anche che ci siano, in posizioni strategiche, anche qualche giornalista o direttore di giornale/telegiornale in malafede e convintamente schierati, ecco che il quadro della convergenza nella copertura informativa degli ultimi anni ci appare in tutta la sua gravità. I contenuti di questa rubrica, con ulteriori aggiunte e riflessioni, sono ispirati da “Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?” di Guido Gili, Editore Franco Angeli, 2001 di Paolo Jormi Bianchi