LA NUOVA MACROECONOMIA KEYNESIANA Come il fenomeno della stagflazione (e l’incapacità della New Economics di fornirne una spiegazione coerente all’interno della propria teoria) aveva determinato la fine dell’egemonia accademica e culturale keynesiana e la sua sostituzione con una controrivoluzione monetarista, così l’incapacità della NMC di realizzare la promessa di una disinflazione senza costi ha generato una rinascita dell’ideologia keynesiana, allo scopo di riaffermare l’utilità e la desiderabilità dell’intervento dello Stato in economia. Come la sintesi neoclassica di Keynes aveva cercato di fondere gli elementi neoclassici ed innovativi del pensiero keynesiano con la tradizione neoclassica, allo stesso modo la nuova Scuola ha inglobato nella propria teoria gli elementi più innovativi della NMC, come l’ipotesi di AR e la necessità di microfondare i comportamenti economici degli agenti, pur mantenendo la validità dell’assunzione fondamentale dei vecchi keynesiani, secondo la quale prezzi e salari non sono completamente flessibili. In tal modo, a partire soprattutto dagli anni ’90, alla NMC si è contrapposta una Scuola di pensiero denominata Nuova Macroeconomia Keynesiana (NMK). Al fine di ritrovare una giustificazione per un ruolo attivo dello Stato in economia, il bersaglio fondamentale della NMK è stato immediatamente costituito dalla tesi di Lucas, Sargent e Wallace (tesi LSW). Come abbiamo visto nel capitolo precedente, secondo una interpretazione ristretta del teorema di inefficacia delle politiche economiche, sembrava potersi affermare che l’ipotesi di AR era in grado, da sola, di produrre l’effetto proclamato. In realtà si può dimostrare che tale affermazione è errata, in quanto essa è conseguenza dell’intero set di ipotesi fondamentali della Nuova Macroeconomia Classica, che qui riportiamo per convenienza: equilibrio continuo; informazione incompleta e asimmetrica; aspettative razionali. Al fine di invalidare la tesi LSW e riaffermare la desiderabilità delle politiche di stabilizzazione, è possibile criticare anche una sola delle ipotesi sopra riportate, sebbene tuttavia, come vedremo, i risultati sono diversi in termini di fondamenti logici su cui basare politiche economiche anticicliche e di conseguenze pratiche per il ruolo e la portata delle politiche di stabilizzazione. In quel che segue esamineremo quindi le possibili critiche alla tesi LSW, seguendo un ordine diverso a quello di importanza proclamato dalla NMK. LE POSSIBILI CRITICHE ALLA NMC E LA LORO RILEVANZA 1. Per quanto riguarda l’ipotesi di aspettative razionali, si potrebbe facilmente sostenere che tale assunzione implica che gli individui dovrebbero comportarsi come veri e propri econometrici, estrapolando peraltro il valore atteso di una variabile da un modello “vero” di funzionamento dell’economia, sul quale neppure gli economisti sono 1 d’accordo. Ne conseguirebbe l’impossibilità pratica di giungere a formulare le aspettative in maniera razionale, a causa dei requisiti di conoscenza troppo elevati imposti agli operatori e dell’interazione tra i comportamenti individuali. Siccome inoltre raccogliere informazioni ha un costo, gli individui terminerebbero il reperimento di queste ultime nel momento in cui il vantaggio che ne ricavano è minore del costo che la loro raccolta comporta. Formare aspettative davvero razionali risulterebbe dunque impossibile. Se però le attese non sono razionali, come abbiamo già visto discutendo degli effetti di aspettative adattive, la politica economica riacquisterebbe efficacia. Questa critica tuttavia risulta poco incisiva. Infatti l’ipotesi di aspettative razionali discende dall’assunzione secondo la quale gli agenti applicano all’elaborazione delle informazioni gli stessi principi di razionalità propri di altre decisioni economiche. Inoltre, anche ammettendo che non si possa mai giungere in concreto a formulare attese davvero razionali, non è comunque possibile assumere che gli agenti possano essere sistematicamente in errore, come nel caso di aspettative adattive. In altre parole gli individui cercheranno di fare del loro meglio nel prevedere le variabili future, utilizzando al riguardo tutte le conoscenze loro disponibili, ivi comprese quelle derivanti dalla teoria economica. Nel caso in cui si adotti questa versione più debole circa il meccanismo di formulazione delle aspettative (per esempio aspettative quasi razionali), potrà naturalmente occorrere un lungo periodo di tempo prima che si giunga a formulare un’aspettativa corretta, e questo processo potrebbe anche non avere mai fine; tuttavia, in presenza di agenti che non possono essere sistematicamente ingannati, da un lato gli effetti reali delle politiche economiche sarebbero limitati ed inoltre tali effetti si produrrebbero in conseguenza degli errori degli agenti e dell’inganno comunque perpetrato dalle autorità di politica economica: il che non costituisce certo una base accettabile su cui fondare una teoria della politica economica. Infine, la negazione dell’ipotesi di aspettative razionali comporterebbe per lo studioso un insoddisfacente attributo di irrazionalità ed implicherebbe comunque la necessità di specificare chiaramente il processo alternativo di formulazione delle attese e la sua giustificazione dal punto di vista teorico. Ne consegue che la negazione dell’ipotesi di AR non costituisce la via più proficua per restituire desiderabilità alle politiche di stabilizzazione; queste ultime devono pertanto essere compatibili con l’ipotesi di AR. In effetti la NMK accetta tale ipotesi all’interno del proprio schema analitico, pur ricordandone i limiti in termini di verosimiglianza effettiva. 2. I nuovi keynesiani avanzano inoltre critiche sensate alla particolare struttura delle informazioni individuali assunta dalla NMC per derivare la funzione di offerta aggregata. In particolare l’ipotesi che gli individui abbiano una maggiore conoscenza del mercato sul quale operano come venditori appare non meno ad hoc della tradizionale ipotesi keynesiana della rigidità dei salari, né più plausibile (essendo nella realtà ampiamente disponibili statistiche ed informazioni sui prezzi di mercato – basti pensare all’uso dell’informatica) dell’ipotesi diametralmente opposta, la quale 2 porterebbe tuttavia a risultati in contrasto con la tesi LSW. Inoltre la AS log-lineare alla Lucas derivata dal fondamento microeconomico alternativo legato a processi di massimizzazione intertemporale dell’utilità finirebbe per far dipendere, come abbiamo visto nel capitolo precedente, lo scostamento del reddito corrente da quello naturale dalla differenza tra il prezzo corrente e quello atteso in futuro, cioè in definitiva dal tasso di inflazione atteso. In tal modo, però, in presenza di una crescita costante dell’offerta di moneta e di un conseguente tasso di inflazione strutturale, la politica monetaria, pur perfettamente attesa, avrebbe effetti reali, il che è ovviamente inaccettabile. Abbiamo già visto, infatti, che la NMC, pur riconoscendo la maggiore verosimiglianza di questo fondamento microeconomico, utilizza la funzione di offerta aggregata basata sulla carenza di informazione locale-aggregata per affermare la validità della tesi LSW. Dal punto di vista keynesiano, peraltro, la funzione di offerta aggregata è formalmente derivabile da una tradizionale curva di Phillips aumentata per le aspettative, ovvero dalla solita relazione: t te (ut un ) zt . Come si può facilmente constatare, anche in tale contesto, se le aspettative sono razionali, il tasso di disoccupazione non può che fluttuare stocasticamente intorno al suo livello naturale. Indipendentemente dall’apparato teorico di riferimento, dunque, si arriva necessariamente alla proposizione per cui le politiche economiche di stabilizzazione sono inefficaci, cosicché anche una critica rivolta alle peculiarità dell’informazione assunte dalla NMC appare poco produttiva. 3. Una terza possibile critica rimprovera alla tesi LSW di trascurare gli effetti di lungo periodo della politica economica. In effetti, in tale contesto, si può affermare che se il tasso di crescita dell’offerta di moneta aumenta, allora crescerà anche l’inflazione. Tuttavia la domanda di moneta non è indipendente dalla crescita dei prezzi, in quanto, come abbiamo già visto, la tassa da inflazione diminuisce il rendimento reale della moneta stessa. In definitiva avremo quindi una domanda di moneta del tipo Ld L(Y, R, i, ,...) . Un aumento del tasso di inflazione implica un incremento relativo del rendimento delle attività reali e produce quindi una riduzione della domanda di moneta, per cui gli individui vorranno detenere un minore livello di scorte monetarie in termini reali. L’equilibrio sul mercato dei beni in tal caso richiede un tasso di interesse reale inferiore, necessario per compensare la minore domanda di moneta, nonché la minore domanda aggregata (con riferimento alla componente dei consumi) associata ad un livello più basso di ricchezza in termini reali. In termini del modello IS-LM, la LM si sposterebbe a destra e la IS a sinistra, pur intersecandosi al livello del reddito potenziale. Con un tasso di inflazione più elevato, il tasso di interesse reale di equilibrio si ridurreebbe. In tal modo, però, al di là del breve periodo, in un orizzonte temporale più esteso, il livello del reddito naturale aumenterebbe, dato che un tasso di interesse reale più basso implicherebbe uno stock 3 di capitale maggiore e perciò, data la funzione di produzione, un livello di output potenziale più elevato. Questo effetto reale di una maggiore crescita monetaria, e quindi di una più elevata inflazione, su Yn è anche chiamato nella letteratura effetto Tobin o effetto Mundell. In base a tali conclusione, la moneta risulta quindi essere neutrale ma non anche superneutrale: infatti, come abbiamo appena visto, mentre diversi valori dell’offerta assoluta di moneta sono ininfluenti sulle variabili reali, differenti livelli del tasso di crescita dell’offerta di moneta hanno effetti reali, in quanto producono cambiamenti nel tasso di inflazione e quindi nel tasso di interesse reale, a loro volta in grado di modificare lo stock di capitale e quindi il livello del reddito naturale. Anche questa osservazione risulta tuttavia fragile per una critica rilevante alla NMC sull’utilità delle politiche di stabilizzazione. In effetti, dal punto di vista terminologico, stabilizzare l’economia significa eliminare o ridurre la differenza tra yt e yn; in tale prospettiva politiche economiche volte ad influenzare yn sono del tutto irrilevanti ai fini della stabilizzazione poiché in ogni caso lo scostamento del reddito corrente dal suo livello naturale rimarrebbe immutato e per definizione nullo in assenza di shock stocastici. In definitiva, stabilizzare l’economia è una cosa del tutto differente dallo stimolare la crescita del reddito naturale. 4. La critica essenziale della NMK alla NMC deve quindi necessariamente essere rivolta all’assunzione fondamentale di tale Scuola, rappresentata dall’ipotesi di equilibrio continuo sui mercati, ovvero di prezzi pienamente flessibili. Tale ipotesi implica di fatto che i mercati dei beni si comportino come dei mercati d’asta, in cui un ipotetico banditore assicura sempre l’uguaglianza tra domanda e offerta. In tale contesto la critica della NMK costituisce la naturale estensione, in un contesto dinamico, della tradizionale ipotesi di derivazione keynesiana per cui i prezzi non sono pienamente flessibili, ma vischiosi nel breve periodo. L’imperfetta flessibilità dei prezzi deriva da molteplici cause: anzitutto esistono menu costs, cioè costi di transazione nell’adeguare con continuità i prezzi alle mutate condizioni di mercato; esistono poi possibili costi di destabilizzazione dei mercati, nel senso che qualora le variazioni dei prezzi fossero frequenti gli individui reagirebbero in maniera speculativa, avanzando ipotesi sulle ulteriori future variazioni dei prezzi, e variando di conseguenza il sentiero temporale degli acquisti, il che renderebbe la domanda aggregata assai instabile; sul mercato del lavoro, inoltre, vengono stipulati contratti pluriperiodali, i quali fissano in anticipo l’evoluzione dei salari nominali per più periodi di tempo; in tal modo, quando si sigla un contratto, il salario nominale rimane prestabilito (non necessariamente fisso) fino al prossimo contratto. Tra la firma di un contratto di lavoro ed il suo rinnovo, il salario non viene più ricontrattato: tra lavoratori e imprese si stabilisce una sorta di contrattazione implicita in base alla quale il salario viene predeterminato in cambio di un posto di lavoro relativamente fisso. Anche le imprese, peraltro, hanno convenienza a non variare continuamente la 4 dimensione della forza lavoro: in condizioni di bassa domanda, ciò rappresenterebbe infatti un segnale sfavorevole di impresa in crisi. Inoltre una contrattazione continua comporterebbe il sostenimento di costi di transazione elevati (ad esempio in termini di ore di lavoro perse per trattative ed eventuali scioperi). Infine i contratti di lavoro hanno la proprietà di essere rinnovati non tutti alla stessa scadenza, ma a scadenze sovrapposte; in tali condizioni ogni categoria lavorativa risulta interessata non solo al proprio salario reale ma anche a quello delle altre categorie. In termini di una generica funzione di utilità ogni categoria i risulta cioè interessata a massimizzare la funzione: W W Ui = Ui i ; i P Wj dove Wi/P sta ad indicare il proprio salario reale e Wi/Wj il proprio salario in relazione a quelli delle altre categorie di lavoratori. Il fatto che i salari siano pluriperiodali ed abbiano scadenze sovrapposte, comporta che, quando si verifica uno shock, i salari dei lavoratori sono bloccati; inoltre, poiché tutti non contrattano contemporaneamente, la variazione dei salari operata dalla prima categoria che rinegozia dopo lo shock non sarà mai pari a quella necessaria a riportare il sistema al livello di reddito potenziale, in quanto ogni categoria effettuerà solo un adeguamento parziale, in conseguenza del fatto che altre categorie hanno già negoziato prima dello shock, ricevendo salari che non tenevano conto dello shock stesso, e altre categorie rinegozieranno dopo, cosicché bisognerà pure tenere conto delle attese sul loro comportamento contrattuale. Inoltre, in presenza di uno shock, un adeguamento completo dei salari alle nuove condizioni del mercato del lavoro appare impedito dalla considerazione che lo shock potrebbe sempre risultare temporaneo, cosicché un aggiustamento incompleto risulta ragionevole, al fine di premunirsi contro tale eventualità. Da ciò discende che la relazione di Phillips tradizionale: ˆ e (u u ) z W t t t n 1t e l’aggiustamento di prezzo delle imprese: ˆ z t W t 2t risultano vere solo se le velocità di aggiustamento di prezzi e salari sono infinite, ovvero se Vp=∞ e Vw=∞. In realtà, con contratti pluriperiodali e a scadenze sovrapposte, in ogni periodo t le grandezze che compaiono a sinistra 5 del segno di uguaglianza hanno la natura di grandezze desiderate, piuttosto che effettive. Indicando con un asterisco le grandezze desiderate, sarebbe cioè: ˆ * e (u u ) z W t t t n 1t * ˆ z W t t 2t Poiché prezzi e salari effettivi si adeguano con ritardo ai valori desiderati, le variazioni effettive saranno solo una frazione della variazioni desiderate. LA FUNZIONE DI OFFERTA AGGREGATA E LA CURVA DI PHILLIPS DELLA NMK Al fine di esaminare più in dettaglio le conseguenze della vischiosità di prezzi e salari sulla funzione di offerta aggregata e sulla curva di Phillips, facciamo riferimento ad un modello semplificato, quale quello elaborato da G. Calvo (1983). Supponiamo per semplicità che non ci sia inerzia di prezzi (cosicché prezzi desiderati ed effettivi coincidono), che non ci siano shock sui salari (z1t=0) e che i lavoratori contrattino in due periodi differenti: in particolare solo una frazione dei lavoratori contratta nel periodo corrente, mentre la restante parte (1-) ha negoziato nel periodo precedente, cosicché i loro salari in t sono prefissati sulla base di quanto prestabilito in t-1. Si avrà allora, nell’ipotesi che un sia costante: ˆ z W ˆ * (1 )W* z t W t 2t t t 1 2t [ te (ut un )] (1 )[ te1 (ut1 un )] z2t Assumiamo ora che le aspettative siano razionali, per cui te t t . Sostituendo nell’espressione precedente abbiamo quindi: t [ t (ut un ) t ] (1 )[ t1 (ut1 un ) t1 ] z2t t (ut un ) t (1 ) t1 (1 )(ut1 un ) (1 ) t1 z2t da cui, risolvendo per t otteniamo: t t1 (ut1 un ) (ut un ) t t1 zt (1 ) 1 z2t . 1 Graficamente, la Curva di Phillips assumerà allora la forma mostrata nella fig. 1. Nel lungo periodo, in cui tutti i lavoratori possono ricontrattare i loro salari e le aspettative sono realizzate, per cui =1 e =e, la curva di Phillips sarà verticale, come dove, per convenienza, zt 6 per la NMC. Esiste però sempre un orizzonte temporale di brevissimo periodo (ad esempio da uno a tre mesi) in cui nessun lavoratore può ricontrattare il proprio salario: in tal caso sarà =0, per cui la corrispondente curva di Phillips, definita dalla relazione: t t1 (ut1 un ) t1 zt sarà totalmente piatta, in quanto tutti i contratti sono già stati negoziati nel periodo precedente e sono quindi predeterminati, ovvero perfettamente rigidi. Infine nel caso generale, corrispondente ad un orizzonte di breve-medio periodo, descritto in precedenza, la curva di Phillips sarà inclinata negativamente, e sarà tanto più ripida quanto più è vicino a 1. Fig. 1. La curva di Phillips secondo la NMK CPLP(=1) CPBP(=0) CPBP(0<<1) un u Un discorso del tutto analogo a quello svolto in precedenza potrà essere fatto a proposito della funzione di offerta aggregata. In particolare, l’adozione delle stesse ipotesi precedentemente avanzate sull’inerzia di prezzi e salari porterebbe alla seguente funzione di offerta aggregata della NMK: pt pt1 (Yt1 Yn ) (Yt Yn ) t t1 zt (1 ) 1 la quale avrebbe le stesse caratteristiche della curva di Phillips esaminate in precedenza, per cui la sua rappresentazione sarebbe quella riportata nella figura 2. 7 Nel lungo periodo, in cui tutti i lavoratori possono ricontrattare i loro salari e le aspettative sono realizzate, cosicché =1 e p=pe, la curva di offerta aggregata risulta verticale, come per la NMC. Nel brevissimo periodo, in cui nessun lavoratore può ricontrattare, =0, per cui la corrispondente curva di offerta aggregata sarebbe definita dalla relazione: pt pt1 (Yt1 Yn ) t1 zt risultando quindi assolutamente piatta, dato che tutti i contratti di lavoro sono stati negoziati nel periodo precedente e sono quindi predeterminati. Infine nel caso generale, corrispondente ad un orizzonte di breve-medio periodo, la curva di offerta aggregata sarà inclinata positivamente, risultando tanto più ripida quanto più sarà vicino a 1. Fig. 2. La curva di offerta aggregata secondo la NMK P ASLP(=1) ASBP(0<<1) ASBP(=0) Yn Y SHOCK DI DOMANDA, DI OFFERTA E DESIDERABILITÀ DELLE POLITICHE DI STABILIZZAZIONE Possiamo ora utilizzare l’apparato teorico appena sviluppato per esaminare desiderabilità ed effetti delle politiche di stabilizzazione secondo la NMK. Utilizziamo al riguardo la figura 3, in cui, accanto ai vari tipi di funzione di offerta aggregata, a seconda dell’orizzonte temporale di riferimento adottato, consideriamo anche la scheda di domanda aggregata AD. L’equilibrio macroeconomico iniziale è perciò rappresentato dal punto E, in CUI AD e AS si intersecano. 8 Fig. 3. Shock di domanda, aggiustamento spontaneo e politiche di stabilizzazione secondo la NMK P ASLP(=1) ASBP(0<<1) ASBP’ P0 A’ E A P1 ASBP(=0) B ASBP’ AD’ YA’ YA Yn AD Y Supponiamo ora che, a partire da tale posizione di equilibrio, si verifichi uno shock di domanda aggregata, che fa traslare la curva AD permanentemente verso sinistra. A causa della riduzione della domanda, l’equilibrio di breve periodo si sposta nel punto A o A’, a seconda dell’orizzonte temporale di riferimento. Nell’immediato, in particolare, se si assume che salari e prezzi siano del tutto rigidi, il sistema si sposterà nel punto A’: il reddito si ridurrà, da Y* a YA’, ma i prezzi rimarranno immutati al livello P0. Se invece si suppone che prezzi e salari non siano completamente rigidi, ma che qualche categoria di lavoratori possa rinegoziare il proprio contratto, allora il sistema si sposterà nel punto A: prezzi e salari, in risposta allo shock, si ridurranno lievemente, e la conseguente caduta del reddito (fino a YA) sarà minore. Con il passare del tempo, tuttavia, mano a mano che i contratti di lavoro vengono a scadenza, i salari potranno essere rinegoziati: la AS di breve periodo, quindi, qualunque sia la sua forma – orizzontale o crescente - si sposterà verso il basso. Tale processo tuttavia sarà lento, a causa del fatto che i contratti di lavoro sono pluriperiodali e a scadenze sovrapposte. Il sistema quindi, a partire da A’ o da A, raggiungerà il punto di equilibrio finale B muovendosi lungo la nuova curva di domanda aggregata AD’ con una velocità che dipenderà dal tempo necessario alla rinegoziazione completa di tutti i salari alle mutate condizioni di output e mercato del lavoro: nonostante gli agenti siano razionali, e sappiano quindi perfettamente quale sarà l’equilibrio finale, il suo raggiungimento immediato è impedito dalla vischiosità con cui prezzi e salari si muovono nel tempo. In tale contesto una caduta della domanda aggregata può generare recessioni ed incrementi del tasso di disoccupazione, rispetto al livello naturale o all’equivalente livello del NAIRU, che persistono nel tempo, nonostante l’ipotesi di AR. Ampiezza e 9 durata delle fluttuazioni cicliche saranno tanto più elevate quanto più lento è il processo di aggiustamento di prezzi e salari nel tempo. Diventa allora ragionevole, al fine di ridurre i costi sociali dell’elevata disoccupazione, considerare la possibilità di utilizzare politiche anticicliche. Se ad esempio, tramite una politica monetaria e/o fiscale espansiva, si riuscisse a fare traslare la curva di domanda aggregata nella sua posizione originaria AD in tempi rapidi, il sistema potrebbe ritornare all’equilibrio iniziale E. Verrebbero in tal modo eliminati gli elevati costi sociali della disoccupazione e le recessioni sarebbero meno ampie e più brevi. Naturalmente vi sarebbe sempre la possibilità che ritardi di adozione o di operatività delle politiche economiche, come sottolineato da Friedman, portino il sistema oltre il livello del reddito potenziale. Tale obiezione, tuttavia, risulta poco convincente in un contesto in cui prezzi e salari sono vischiosi, per cui il rischio di surriscaldare il sistema appare in effetti assai limitato. In ogni caso il pericolo sottolineato da Friedman può essere evitato adottando politiche espansive meno vigorose, ad esempio in grado di traslare la AD verso destra non fino alla posizione originaria, ma un po’ meno, per tenere conto del fatto che, nelle more di adozione e di azione delle politiche anticicliche, la AS abbia già cominciato a muoversi verso il basso. In ogni caso il rischio di portare il sistema anche lievemente al di sopra del livello potenziale è comunque di secondo ordine rispetto agli elevati costi di una disoccupazione ampia e persistente nel tempo. È utile sottolineare, infine, che l’utilizzo di politiche di stabilizzazione riporterebbe il sistema proprio nel vecchio punto di equilibrio E, in cui il livello dei prezzi è pari al valore antecedente lo shock recessivo, ovvero P0. In un contesto dinamico, peraltro, anziché statico, quale quello utilizzato sinora, sarebbe il tasso di inflazione a rimanere immutato: la disoccupazione verrebbe eliminata, ma la crescita dei prezzi non sarebbe influenzata dall’operare delle autorità di governo dell’economia. In definitiva, secondo la NMK, politiche di stabilizzazione anticicliche sono utili e desiderabili, in presenza di prezzi e salari che si muovono lentamente nel tempo, pur in presenza di AR. La tesi di Lucas, Sargent e Wallace, quindi, per essere valida, richiede non solo che le aspettative siano formate in maniera razionale, ma anche che prezzi e salari siano perfettamente flessibili, ossia che si aggiustino con velocità infinita. Essa dovrebbe quindi essere riformulata, in maniera corretta ed esaustiva nella maniera seguente: “In un mondo con AR ed in cui prezzi e salari sono pienamente flessibili, politiche economiche sistematiche sono completamente inefficaci nel breve periodo”. Conclusioni analoghe a quelle ottenute in conseguenza di shock di domanda risulterebbero valide anche in seguito a shock di offerta, la cui trattazione tuttavia, come già sappiamo e come rivedremo tra poco, è più complicata di quella degli shock di domanda. Per analizzare gli effetti sul sistema di shock di offerta e le alternative disponibili per le autorità, utilizziamo ancora una volta lo schema AS-AD della NMK, come nella figura 4. Supponiamo al solito di partire da una posizione di equilibrio di 10 lungo periodo, come nel punto E, in cui il reddito è al suo valore potenziale Y* e il livello dei prezzi è pari a P0. Supponiamo ora che si verifichi uno shock di offerta, come ad esempio un innalzamento del prezzo del petrolio, di carattere permanente. Fig. 4. Shock di offerta, aggiustamento spontaneo e politiche di stabilizzazione secondo la NMK P ASLP(=1) ASBP’ ASBP(0<<1) P1 A’ B A P0 ASBP’ E ASBP(=0) AD YA’ YA Yn AD’ Y In conseguenza di ciò la curva di offerta aggregata di breve periodo trasla verso l’alto, in AS’. Data la curva di domanda aggregata AD, il sistema subirà al tempo stesso una caduta del reddito e una crescita dei prezzi. L’entità dei cambiamenti di tali grandezze dipenderà dalla forma della AS; se quest’ultima è piatta, allora la recessione sarà ampia e la crescita dei prezzi elevata: il sistema infatti si sposterà nel punto A’. Con salari completamente rigidi, l’impatto dello shock sarà traslato completamente sui prezzi, per cui, di conseguenza, la domanda aggregata si ridurrà sino al livello YA’. Se invece alcuni lavoratori possono rinegoziare i propri salari, questi risentiranno in parte della maggiore disoccupazione, per cui scenderanno, con il risultato di produrre un minore aumento del livello dei prezzi: il sistema si sposterà quindi nell’equilibrio di breve periodo corrispondente al punto A. L’evoluzione successiva del sistema dipenderà dal comportamento delle autorità. Se esse si astengono dall’intervenire, lasciando le forze di mercato libere di agire, mano a mano che i contratti verranno rinnovati, la più elevata disoccupazione indurrà i lavoratori a ridurre i salari monetari. Di conseguenza la curva AS, qualunque sia la sua forma, si sposterà lentamente verso il basso, fino a ritornare nella posizione originaria. In tal modo il sistema ritornerà nell’equilibrio antecedente lo shock, cioè nel punto E, in cui il reddito è di nuovo al suo valore naturale Y n e i prezzi al livello P0. Come nel caso di shock di domanda, sebbene i lavoratori siano razionali, e quindi 11 conoscano perfettamente il valore del salario compatibile con l’equilibrio di lungo periodo, tuttavia il fatto che i contratti di lavoro siano pluriperiodali e a scadenze sovrapposte, determina un aggiustamento lento verso la posizione di equilibrio finale. È interessante osservare, peraltro, che quando il sistema ritorna alfine nel punto E, il livello dei prezzi è lo stesso antecedente lo shock, mentre i salari monetari si sono ridotti, durante la transizione all’equilibrio, per effetto della maggiore disoccupazione: nella posizione di equilibrio finale, quindi, il salario reale si è ridotto. Questa del resto è la conseguenza necessaria di uno shock di offerta: un prezzo del petrolio (o delle materie prime, o un margine di profitto o un’aliquota di tassazione) più elevati richiedono un aggiustamento verso il basso del salario reale, per mantenere la disoccupazione al suo livello naturale. Come nel caso precedente, in cui si esaminavano le conseguenze di uno shock di domanda, la lentezza con cui salari e prezzi si aggiustano ai valori richiesti dalle mutate condizioni di equilibrio determina l’insorgere di recessioni, che sono tanto più ampie e persistenti quanto più i salari sono rigidi nel breve periodo e vischiosi nel medio, ossia quanto più lentamente essi si muovono nel corso del tempo. Ancora una volta gli elevati costi sociali di una disoccupazione ampia e persistente possono indurre le autorità ad adottare politiche anticicliche. In tal caso, come si può vedere nella figura 4, una volta che il sistema si è portato nell’equilibrio di breve periodo corrispondente al punto A o A’, le autorità, anziché attendere che l’aggiustamento spontaneo del sistema faccia il suo corso, potrebbero adottare politiche anticicliche espansive, spostando la curva di domanda aggregata nella nuova posizione AD’. Ancora una volta, se la manovra è sufficientemente rapida, e se si trascurano i possibili movimenti della AS nel periodo di ritardo di adozione e di operatività delle politiche di stabilizzazione, il sistema potrebbe raggiungere il nuovo punto di equilibrio B, in cui il reddito è tornato al suo valore naturale, mentre il livello dei prezzi è necessariamente salito al più elevato valore P1. La crescita del livello dei prezzi, peraltro, è ancora una volta una conseguenza necessaria dello shock di offerta, che richiede un aggiustamento verso il basso del salario reale al fine di riportare la disoccupazione al suo valore naturale. In effetti, in presenza di una politica anticiclica, che riporta rapidamente il reddito al suo valore potenziale, il salario monetario non si riduce, come nel caso di aggiustamento spontaneo del sistema; tuttavia, poiché ora il livello dei prezzi è permanentemente più elevato, il salario reale si riduce comunque in entrambi i casi, come richiesto dal più elevato prezzo del petrolio. La riduzione del salario reale che avviene in presenza di politiche anticicliche accomodanti non si accompagna tuttavia, come nel caso di aggiustamento spontaneo del sistema, ad una maggiore disoccupazione. I lavoratori, quindi, in assenza di costi effettivi sostenuti, legati ad una maggiore disoccupazione, potrebbero reagire alla riduzione del potere d’acquisto reale sperimentata con una richiesta di più elevati salari monetari. Se ciò accadesse, la curva di offerta aggregata si sposterebbe nuovamente verso l’alto, ed il processo precedentemente descritto si ripeterebbe: questa volta però in conseguenza di un aumento non del prezzo delle materie prime 12 importate, ma dei salari monetari. Le autorità di governo si troverebbero allora di nuovo di fronte al dilemma tra l’accettazione dell’aggiustamento spontaneo del sistema, con recessione e disoccupazione, e l’adozione di nuove politiche accomodanti, che eliminerebbero la caduta del reddito reale, a discapito però di un livello dei prezzi ancora più alto, che rideterminerebbe una nuova caduta del salario reale. Come si può facilmente capire, a questo punto il processo descritto in precedenza potrebbe ripetersi, con nuove richieste di aumenti dei salari monetari volte a ripristinare il potere d’acquisto reale delle retribuzioni. Politiche economiche accomodanti comporterebbero quindi il rischio di generare, anziché un aumento assoluto una tantum del livello dei prezzi, un incremento permanente del tasso di inflazione. Ciò spiega perché le autorità di governo, ed in particolare le Banche Centrali, sono molto caute nell’adottare politiche accomodanti in presenza di shock di offerta: il rischio è infatti quello di generare aspettative di inflazione più elevata e quindi richieste di aumenti dei salari monetari, che convaliderebbero nei fatti un tasso di inflazione maggiore. Tale pericolo non si corre invece nel caso di shock di domanda, in quanto, come abbiamo visto in precedenza, politiche anticicliche non determinano alcuna variazione nel livello dei prezzi (o nel tasso di inflazione) rispetto alla situazione antecedente lo shock. Ciò è conseguenza del fatto che negli shock di domanda reddito e prezzi si muovono nella stessa direzione, mentre nel caso di shock di offerta le grandezze in questione si muovono in direzioni opposte. Ciò spiega altresì perché le autorità di governo sono più propense ad adottare politiche anticicliche in presenza di shock di domanda, mentre sono molto più caute ad adottare politiche accomodanti in seguito a shock di offerta, a causa del rischio di trasformare un isolato aumento dei prezzi in un tasso di inflazione permanentemente più elevato. Prima di passare ad altro argomento, conviene avanzare alcune osservazioni sulla dinamica effettiva di prezzi, inflazione e reddito in seguito a shock di domanda e di offerta. Nell’analisi precedente, tramite lo schema AS-AD, si sono studiati gli effetti su prezzi e output di shock alternativi a partire da una situazione di equilibrio in cui si suppone che reddito e prezzi siano costanti nel tempo. In seguito al verificarsi di uno shock di domanda negativo, ad esempio, output e prezzi si riducono in assoluto, prima che i meccanismi riequilibratori automatici o l’intervento delle autorità di politica economica riportino il sistema verso il nuovo punto di equilibrio in precedenza descritto. Nella realtà concreta, però, in seguito a shock esogeni, non si verifica necessariamente che output e prezzi cadano in assoluto, essendo invece più probabile che essi aumentino, seppure meno di quanto accadrebbe in condizioni di funzionamento normale del sistema economico. Ciò è conseguenza del fatto che di solito, anno dopo anno, il reddito potenziale del sistema economico cresce, in conseguenza sia dell’incremento delle dotazioni di fattori della produzione (lavoro e capitale) sia del progresso tecnologico; inoltre, di norma, di anno in anno i prezzi tendono ad aumentare in seguito alla crescita della domanda aggregata in generale e dell’offerta di moneta più in particolare. Per comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando si osservi la figura 5. 13 Fig. 5. Prezzi e output dopo uno shock di domanda P P1 P0 AS’LR ASLR B AS’ E’ A AS E AD’ AD Y* Y** AD’’ Y AD’’’ La figura mostra cosa accade in realtà a prezzi e produzione dopo uno shock di domanda aggregata, sotto ipotesi particolari circa la pendenza delle curve AD e AS, che saranno oggetto di commento più dettagliato in seguito. Se non ci fossero shock, come accadrebbe in seguito ad un ipotetico regolare processo di crescita continua del reddito nel lungo periodo, il sistema si sposterebbe dal punto E ad E', in seguito ad una traslazione verso destra della scheda AS di lungo periodo (da Y* a Y**), accompagnata da un simultaneo spostamento a destra sia della scheda AD (da AD a AD') sia della scheda AS di breve periodo (da AS ad AS'). Si può facilmente vedere che in tale ipotetico scenario il reddito aumenterebbe, e così pure i prezzi (da P0 a P1), cosicché si realizzerebbe appunto una crescita reale accompagnata da una inflazione positiva (come di fatto accade nel mondo reale). Ora supponiamo che, rispetto al trend di lungo periodo appena descritto, si verifichi uno shock di domanda, che può essere lieve o intenso: nel primo caso la curva AD’ si sposta nella posizione AD”; nel secondo caso a AD'''. I nuovi punti di equilibrio macroeconomico saranno rispettivamente A e B lungo la nuova curva di breve periodo AS’ (che non si muove subito dopo lo shock). In entrambi i casi l’output diminuisce rispetto al trend di lungo periodo (cioè rispetto a y**), ma se si confronta l’output di equilibrio dopo lo shock con quello del periodo precedente (cioè con y*), solo nel secondo caso (con una domanda aggregata che si sposta in AD'') l’output sarà diminuito in livello assoluto, mentre nel primo caso l’output sarà comunque cresciuto, anche se a un tasso ridotto, rispetto al trend di lungo periodo. E’ interessante notare, 14 tuttavia, che in entrambi i casi sopra delineati, nonostante lo shock di domanda aggregata, il livello dei prezzi non scende rispetto a P0, cosicché l'inflazione, da un periodo all’altro, è sempre positiva, anche nel caso di recessione più grave quando l’output effettivamente si riduce (e questo, ancora una volta, è ciò che normalmente si verifica nel mondo reale). Nella realtà, dunque, uno shock di domanda, anziché produrre una riduzione del livello dei prezzi, come normalmente si assume in uno schema AS-AD statico, genera in realtà soltanto una decelerazione dell’inflazione. Analogamente, come già chiarito in precedenza, in presenza di shock di domanda non particolarmente gravi il reddito non diminuisce, ma decelera rispetto alla crescita tendenziale di lungo periodo. Ciò che accade a produzione e prezzi, dopo uno shock di domanda, non dipende però solo dalle dimensioni dello spostamento della curva AD, ma anche dalla pendenza di entrambe le curve AD e AS: nella figura 5 si è assunto che la scheda AD sia rigida (la domanda aggregata non risponde troppo alle variazioni dei prezzi) e che la AS di breve periodo sia piuttosto piatta (salari e prezzi sono vischiosi). Sotto tali ipotesi, in seguito a shock di domanda negativi, le perdite di produzione sono più elevate e le variazioni di prezzo ridotte. Il contrario sarebbe vero se la curva AD fosse elastica e la curva AS rigida (con elevata flessibilità nominale): in tal caso le perdite di produzione sarebbero limitate e le variazioni di prezzo più consistenti. Sotto tali condizioni sarebbe possibile che uno shock della AD determini una diminuzione assoluta del livello dei prezzi, cioè una deflazione, ovvero un tasso di inflazione negativo. Le considerazioni precedenti sono state avanzate a proposito di shock di domanda; osservazioni analoghe potrebbero essere avanzate in presenza di shock di offerta. Quel che si vuol ribadire è che mentre in uno schema AS-AD statico, in cui si ipotizzano reddito potenziale e prezzi costanti, si discutono le conseguenze di shock esogeni sui livelli assoluti di output e prezzi, si dovrebbe in realtà fare riferimento alle deviazioni di tali grandezze rispetto alle tendenze di lungo periodo. I COSTI DELLA DISINFLAZIONE SECONDO LA NMK Il fatto che prezzi e salari siano vischiosi restituisce efficacia e desiderabilità alle politiche di stabilizzazione nel breve periodo; al tempo stesso tale ipotesi costituisce altresì la spiegazione più ragionevole dei notevoli costi, in termini di ampiezza e persistenza della disoccupazione, di processi di disinflazione, quali quelli attuati negli anni ’80 dalle Amministrazioni Reagan e Thatcher. In effetti, nonostante le AR, in un mondo in cui prezzi e salari si muovono lentamente nel tempo, manovre di riduzione del tasso di crescita dell’offerta di moneta determinano inevitabilmente temporanei innalzamenti del tasso di disoccupazione oltre il livello naturale. La figura 6, a tale riguardo, consente di illustrare i problemi che si incontrano nell’attuazione di un processo di disinflazione, in un contesto di salari e prezzi vischiosi. 15 Fig. 6. I costi della di inflazione secondo la NMK 0 CPLP(=1) A B’ B CPBP(=0) CPBP(0<<1) 0 E un uB uB’ CPBP’(e=0) u CPBP’(e=0) Supponiamo di partire da una posizione di equilibrio di lungo periodo rappresentata dal punto A, in cui il tasso di disoccupazione è al suo livello naturale (o all’equivalente NAIRU) ed il tasso di inflazione è pari a 0, valore ritenuto troppo elevato. Le autorità decidono allora di attuare una politica di disinflazione, portando il tasso di crescita dell’offerta di moneta al valore compatibile con il nuovo target inflazionistico, che per semplicità supponiamo pari a zero. Nell’esempio supponiamo pertanto che le autorità seguano una strategia di doccia fredda; considerazione analoghe, tuttavia, potrebbero essere effettuate anche a proposito di una strategia alternativa di gradualismo. Sebbene il programma di disinflazione sia pubblicamente annunciato, e quindi noto, e gli agenti siano razionali, tuttavia il fatto che i salari siano pluriperiodali e a scadenze sovrapposte, e quindi vischiosi, fa sì che l’equilibrio finale E non possa essere raggiunto istantaneamente, come supposto dalla NMC. Subito dopo l’implementazione della manovra, che riduce l’offerta reale di moneta, e quindi la domanda aggregata, il sistema si troverà quindi a conoscere un equilibrio temporaneo corrispondente al punto B o B’, a seconda del grado di rigidità dei salari e dell’orizzonte temporale di riferimento: in particolare, al solito, il punto B’ corrisponderà ad un lasso temporale di brevissimo periodo, in cui i salari sono assolutamente rigidi. La manovra di disinflazione genera così una inevitabile recessione, che sarà tanto più profonda e persistente quanto più i salari sono vischiosi ed il loro processo di aggiustamento verso la posizione di equilibrio finale lento. In ogni caso, mano a mano che i contratti di lavoro vengono a scadenza, i salari monetari saranno ricontrattati, cosicché le curve di Phillips di breve periodo si sposteranno verso il basso: l’inflazione diminuirà 16 gradualmente, ed il sistema raggiungerà la posizione di equilibrio finale E tramite un processo a spirale quale quello indicato nella figura 6. In ogni caso, quindi, la disinflazione sarà progressiva ed i costi in termini di maggiore disoccupazione elevati e persistenti. Si spiega in tal modo perfettamente l’esperienza dei paesi anglosassoni dei primi anni ’80: l’ampia e prolungata disoccupazione generata dalle manovre di disinflazione adottate, pur in presenza di agenti razionali, era sostanzialmente imputabile alla vischiosità con cui prezzi e salari si muovono nel tempo. In tale contesto i costi reali di manovre di disinflazione sono ovviamente dovuti al fatto che la riduzione del tasso di crescita dell’offerta di moneta avviene prima che i salari siano ricontrattati, cosicché questi ultimi si adeguano ex post, con ovvie conseguenze in termini di maggiore disoccupazione. I costi in esame potrebbero quindi essere ridotti se la riduzione dei salari avvenisse prima che la manovra venisse adottata, o contestualmente rispetto a questa. Per ottenere tale risultato occorrerebbe quindi che il programma di disinflazione venisse annunciato prima del rinnovo dei salari monetari, possibilmente tramite la comunicazione di un percorso graduale di riduzione dell’offerta di moneta, cui le rinegoziazioni salariali potessero adeguarsi. In tal caso i costi della disinflazione potrebbero essere notevolmente ridotti, anche se la possibilità che i salari monetari si riducano davvero prima di una manovra di riduzione della crescita monetaria o contemporaneamente ad essa richiede ovviamente che il programma di disinflazione preannunciato sia creduto dagli agenti: anche in tale contesto, quindi, si ripropone un problema di credibilità, analogo a quello sollevato dalla NMC. 17