CENTRALE MONTEMARTINI La Centrale Montemartini è stata il primo impianto pubblico di produzione di elettricità a Roma, sorto agli inizi del 1900 sulla Via Ostiense tra i Mercati Generali e la sponda sinistra del Tevere. La centrale fu inaugurata nel 1912 e intitolata già dall'anno successivo alla memoria dell'Assessore al Tecnologico, Giovanni Montemartini. Nel 1963 una parte degli impianti fu messa fuori servizio e pochi anni dopo anche il resto cessò l'attività. La storia del polo espositivo dei Musei Capitolini nella ex Centrale Termoelettrica Giovanni Montemartini, esempio di archeologia industriale riconvertito in sede museale, ha avuto inizio nel 1997 con il trasferimento di centinaia di sculture in occasione della ristrutturazione di ampi settori del complesso capitolino. Per liberare gli spazi del Museo del Palazzo dei Conservatori, Museo Nuovo e Braccio Nuovo mantenendo accessibili al pubblico le opere, è stata infatti allestita nel 1997 negli ambienti ristrutturati della prima centrale elettrica pubblica romana una mostra dal titolo "Le macchine e gli dei", accostando due mondi diametralmente opposti come l'archeologia classica e l'archeologia industriale. Lo splendido spazio museale, inizialmente concepito come temporaneo, in occasione del rientro di una parte delle sculture in Campidoglio nel 2005, alla conclusione dei lavori di ristrutturazione, è stato confermato come sede permanente delle collezioni di più recente acquisizione dei Musei Capitolini Frontone del tempio di Apollo Sosiano 450-425 a.C La ricostruzione del frontone del tempio di Apollo Sosiano raffigura la battaglia tra Greci e Amazzoni con Eracle e Teseo alla presenza di Atena e Nike. Le sculture marmoree sono preziosi originali, greci portati a Roma in età augustea per decorare l’edificio di culto, i cui resti sono ancor oggi visibili vicino al Teatro di Marcello. Al centro si trova Atena, la quale assiste al combattimento in qualità d protettrice dei Greci. Alla sinistra della dea si trova una Nike che ha appena posto sul capo di Teseo una corona, simbolo della vittoria, Il giovane eroe ateniese è pronto ad aggredire una Amazzone a cavallo. Alla destra di Atena c’è la possente figura di Eracle che sta muovendo contro Ippolita , della quale è conservata solo parte del busto. Alle spalle di Eracle c’è un guerriero greco inginocchiato , contro il quale è pronta a scagliarsi una seconda Amazzone a cavallo. Nell’angolo a sinistra è posta la figura di un greco caduto che presenta sul torace un foro per l’inserimento di una freccia di bronzo. Anni, scudi e dettagli decorativi delle vesti e delle acconciature erano realizzati in bronzo dorato per rendere più comprensibile la narrazione del mito che si trovava a più di 25 metri di altezza, inoltre la sua lettura era resa più vivace da una ricca policromia applicata sulle statue come dimostrano ancora alcune tracce sul volto della Nike. Il gruppo è opera greca del 450-425 a.C., creata in un clima culturale ateniese o comunque filo ateniese ; lo dimostra anche il posto privilegiato riservato ad Atena e all’eroe ateniese Teseo che sembra il protagonista principale dell’impresa condotta da Eracle. Su tali basi è stata avanzata la suggestiva ipotesi che le statue decorassero il frontone del tempio di Apollo ad Eretria, da dove sarebbero state portate a Roma per essere riadattate nel tempio di Apollo Medico che Caio Sosio restaurò a celebrazione dell’imperatore Augusto. Statua di Musa: Polimnia scultura da originale di età ellenistica marmo Nella mitologia greca Polimnia è una delle 9 Muse, figlia di Zeus e Mnemosine è considerata la musa della danza e del canto sacro La figura femminile, stante e a grandezza naturale (h cm 156), si appoggia su un pilastro roccioso. Vestita con una tunica che ricade in pieghe profonde e pesanti, si stringe in un ampio e leggero mantello. La figura è chiusa in se stessa, in un unico volume,privo di spazi : la testa, la mano sinistra e il piede sono le uniche parti del corpo emergenti dalle vesti. Il piede sinistro è alzato all’indietro a equilibrare la diagonale del corpo che si inclina in avanti verso l’appoggio di roccia e, attraversando la forma chiusa imperniata sull’altra gamba, invisibile sotto le vesti, dà alla figura forza e impulso. Le braccia sono incrociate a trattenere e chiudere il manto; il gomito destro poggia sul sostegno e la mano velata di stoffa è piegata sul mento, quasi a sostenere il volto. Nell’iconografia antica il gesto di portare la mano al volto connotava atteggiamenti di introspezione e di chiusura riflessiva ed era presente sia come espressione di dolore in scene di lutto o di abbandono sia come uno dei gesti più eloquenti e tipici dell’intellettuale, del pensatore e del poeta. Il viso è bello e intenso, la fronte ampia e distesa, lo sguardo intenso dei grandi occhi è ottenuto anche grazie alla resa a incisione delle pupille, la bocca carnosa,i capelli realizzati con il trapano con profondi incavi, sono trattenuti con naturalezza e semplicità sul capo e si raccolgono in una coda che scende lunga fino a toccare le spalle. Satiro danzante scultura da originale di età ellenistica marmo La statua è stata trovata nel 1879 Ninfeo degli Horti Liciniani . Di questa sontuosa residenza dell'imperatore Licinio Gallieno resta ancora, non lontano dalla Stazione Termini, un ninfeo monumentale: il Tempio di Minerva Medica. Nell'età ellenistica e romana, si designano col nome di satiri dei personaggi aventi corpo e membra umane, orecchie lunghe e appuntite coda caprina, (e spesso anche corna), capelli arruffati, naso rincagnato. Si vedeva nei satiri la personificazione della vita della natura, così come nelle ninfe, delle quali si consideravano i corrispondenti maschili, viventi anch'essi nelle solitudini dei monti o dei boschi, cacciando, danzando e suonando la zampogna, il flauto o le nacchere. Erano riguardati come demoni sensuali e maliziosi, più spesso ostili che amici agli uomini, cui si credeva facessero spesso del male, assalendone gli armenti, spaventando e perseguitando le donne. Insieme con le ninfe stesse e con le baccanti si associavano al corteo di Dioniso. Statua di Dioniso con pantera scultura da originale di età ellenistica marmo La statua è stata trovata nel 1879 Ninfeo degli Horti Liciniani a Roma La pantera compare con frequenza nei miti dionisiaci e la pelle di pantera fa parte dell’abbigliamento del dio e dei suoi seguaci. In Beozia il dio fece impazzire di terrore le Miniadi con le sue metamorfosi in toro, leone e, infine, in pantera. Il carro nuziale su cui salì dopo le nozze con Arianna era trainato da sei pantere. A motivo della sua bellezza e della sua taglia, la pantera era stata consacrata a Dioniso. C’è anche un legame tra la pantera e il vino, secondo gli antichi, infatti, le pantere, sempre assetate per natura, potevano essere catturate proprio grazie al vino; bastava sistemare qualche recipiente e le fiere, stimolate dall’aroma, si avvicinano, bevevano e, approfittando della loro ubriachezza, erano catturate facilmente. Togato Barberini Scultura Ultimo decennio del I secolo a.C. testa: metà del I secolo a.C. Marmo Dalla maschera funebre proviene in certa misura la particolarità di limitare il ritratto al solo volto e al collo, dando così origine alla fortunata tipologia del busto, quanto si può osservare nella cosiddetta statua del Togato Barberini della fine del I secolo a.C. Il patrizio (la testa non è quella originale, ma una antica adattata), dal ricco e complicato panneggio della toga ( Mantello di forma semicircolare che i Romani portavano sopra la tunica.), sembra in posa davanti all’artista che lo ritrae e reca con sé le immagini di due suoi antenati, dei ritratti limitati alla testa, al collo e all’attaccatura delle clavicole. La rassomiglianza dei due volti, la cui adesione al personaggio reale si spinge fino a sottolinearne ogni ruga , è elevata. Essi, infatti, hanno la stessa fronte alta, il medesimo volto pieno, uguali labbra serrate e sottili, simili rughe naso-guanciali pronunciate, somigliante conformazione cranica. Si tratta di uno splendido esempio della ritrattistica tardo-repubblicana, in cui è raffigurato un nobile romano che tiene nelle mani i ritratti dei suoi antenati. E’ evidente il senso di orgoglio del committente dell’opera che richiese allo scultore la realizzazione di questa scultura come esaltazione della propria gens. Polibio descrive dettagliatamente la consuetudine del patriziato romano dello ius imaginum, riconosciuta e disciplinata, che consisteva nel privilegio di tenere immagini degli avi nel cortile interno della casa (atrio),le immagini originariamente erano di cera, poi di bronzo e infine di marmo. Il ritratto assumeva valenze politiche, legate al vanto di avere avi illustri e all’esempio che le loro figure potevano dare ai giovani, spronati ad eguagliare le imprese più grandi per accrescere la potenza di Roma. La committenza dei ritratti era quindi legata indissolubilmente al patriziato ed ebbe il maggior splendore nell’età sillana. Statua di Pothos Scultura Copia di età adrianea da originale del IV secolo a.C. Marmo Personificazione del rimpianto e del senso di nostalgia che si prova quando una persona amata è lontana. L'antica letteratura greca lo considera, insieme ad Eros e ad Himeros, come figlio di Afrodite e, come tale, esso accompagna la dea nel mito e nelle rappresentazioni figurative. Il suo carattere peculiare di divinità del desiderium amoroso, nettamente distinto dal significato simbolico dei suoi fratelli Eros e Himeros , si fissa nella filosofia del V sec., ed è mantenuto per tutto l'ellenismo. In età romana, pur essendo numerose le repliche delle sue raffigurazioni, gli autori non ne distinguono più il nome e gli attributi da quelli di Eros. Le rappresentazioni di Pothos sono assai numerose e nella scultura e nella pittura vascolare, e presentano una discreta varietà di motivi ed atteggiamenti. Le molte repliche scultoree ( fra le quali questa conservata alla Centrale Montemartini) presentano una figura giovanile, snella e mossa da un'elegante torsione, mollemente appoggiata ad un tirso con un'oca ai piedi. La testa, piccola e coi capelli ben segnati, ha un’espressione trasognata lo sguardo rivolto verso l’alto. Gli occhi infossati e profondi. Posta in relazione con le fonti letterarie relative alle sculture rappresentanti appunto Pothos, con Eros, Himeros e Afrodite che Skopas creò rispettivamente per il tempio di Afrodite a Samotracia ed a Megara, questa figura (le repliche della quale sembrano intensificarsi in età adrianea), fu identificata con l'opera di Skopas. Alla Centrale Montemartini si conserva anche un’altra statua di Pothos acefala. Statua femminile acefala: 'Vittoria dei Simmaci' Scultura Da originale di età ellenistica Bigio antico La statua, all’atto della scoperta durante gli sterri della Villa Casali eseguiti sul Celio nel 1885 per la costruzione dell’Ospedale Militare, era inglobata, a pezzi, in una struttura medievale, da identificare con quella rinvenuta di fronte alla chiesa di S. Tommaso in Formis. Il Lanciani allora la identificò come “Vittoria dei Simmaci” prendendo spunto dalla strenua difesa del culto della Vittoria (rappresentata soprattutto da un’ara posta nella Curia), portata avanti da Quinto Aurelio Simmaco nel Senato. I numerosi frammenti in cui essa fu rinvenuta, ben 151, sarebbero da spiegare, secondo questa interpretazione, con l’opera dì devastazione compiuta dalla fazione cristiana alla fine del IV secolo d. C.; in quel tempo questa si scontrò con la dura opposizione pagana, capeggiata da Aurelio Simmaco la cui residenza sul Celio è indicata dalle fonti. Dal punto di vista stilistico l’opera riprende modelli e schemi noti a partire dalla metà del V sec. a. C. Diversamente la caratteristica del chitone stretto all’altezza dei fianchi da un doppio cordoncino annodato al centro richiama modelli ellenistici. Altri aspetti stilistici, quali l’impostazione frontale della figura, il movimento e la trasparenza dei panneggi e un accentuato colorismo delle superfici indicano che la scultura può essere considerata come una manifestazione artistica del tardo ellenismo in ambito romano. Di particolare interesse è anche il materiale in cui l’opera è stata realizzata: il bigio antico proveniente dall’Asia Minore. Questo tipo di materiale permette di avvicinare la scultura ad analoghe opere in marmo scuro. La mancanza di qualsiasi attributo e lo stato fortemente lacunoso rendono difficile una precisa identificazione iconografica della statua. Ritratto di C. Giulio Cesare Scultura 50-44 a.C. Marmo Ritratto di Augusto Scultura 27-20 a.C. Marmo Un ritratto molto significativo dell’arte tardo-romana, è la testa in marmo di Giulio Cesare risalente al 50 a.C, ritrovata sull’Esquilino nel 1874. Il materiale usato per realizzare quest’opera è Marmo bianco Africano. La scultura è posta vicino al ritratto di Augusto tra le quali possiamo trovare molte differenze, ad esempio il ritratto di Augusto simboleggia la corrente filo-ellenistica. Il viso è giovane, lo sguardo sereno e appagato. Immagine imposta da Augusto per propagare l’idea di “politico buono e comprensivo” verso il popolo. Al contrario il viso di Cesare è palesemente anziano, perciò è nel pieno della sua carriera politica. Le sopracciglia sono incurvate e lo sguardo serio. Le labbra sono serrate e le guance irrigidite. La capigliatura è schiacciata e corta. Il ritratto in questione è un tipico esempio dell’espressione di uno stile tutto romano che si esprime maggiormente nella ritrattistica corrente dell’epoca. Le statue sono di uno stile asciutto, lineare, che disegna i panneggi a rade pieghe spigolose, modella con rustico vigore la struttura ossea, segna la rete delle rughe. Gli elementi veristici nella ritrattistica cesariana sono riprodotti con incolta immediatezza, scevra di ogni artificio. Lo stile veristico trova riferimento ed ispirazione nelle maschere funebri di cera calcate sul viso del defunto. Inoltre lo stile veristico affonda più in generale le sue radici nella tradizione etrusco-italica e latina abituata a trattare la terracotta e che pertanto nell’esecuzione in pietra o in marmo ricorda il modellato della creta. Tuttavia il ritratto romano di questo periodo non può comunque essere compreso attraverso una sola etichetta o una sola definizione in quanto comprende aspetti complessi e a volte molto diversi tra di loro che si incontrano e si mescolano quali appunto il ritratto semplice e oggettivo di tradizione medio-italica di cui abbiamo parlato; il ritratto di ascendenza patrizia; ritratti più schiettamente ellenistici e ricchi di modellato; ritratti che derivano sempre dalla tradizione medio-italica, ma hanno assorbito l’insegnamento classico ed ellenistico. Decorazione frontonale del tempio di Apollo Daphnephóros a Eretria: statua di Amazzone inginocchiata Scultura Fine VI secolo a.C. Marmo Questa scultura rappresenta un’Amazzone nell’azione del tiro con l’arco, la cui presenza ci è segnalata da un’incavatura sulla coscia della donna, la veste che la ricopre è aderente alla pelle. Probabilmente doveva far parte dell’apparato scultoreo del tempio di Apollo Daphnephoros a Eretria, e venne trasportata a Roma dopo la distruzione della città, questa statua presenta molte analogie con le statue presenti sul frontone del tempio in cui veniva descritto uno scontro tra Greci e Amazzoni al cospetto di Atena. Sappiamo però che sicuramente è parte di un Frontone in quanto sul retro dell’opera è presente un profondo incasso che doveva provvedere all’ancoraggio di quest’ultima nel frontone. Statua della Fortuna Huiusce Diei Statua colossale di divinità femminile: testa, braccio destro, piedi Scultura 101 a.C. Marmo Altezza della testa 1,46 m. Resti del Tempio B della Fortuna Huiusce Dei Roma - Largo Argentina Proviene dall’area sacra di Largo Argentina, dal Tempio B della Fortuna Huiusce Diei, la scultura era stata realizzata con la tecnica dell’ Acrolito ( testa, mani e piedi venivano realizzati in pietra o marmo o avorio, e il resto del corpo in legno, nascosto dal panneggio in stoffa o in bronzo). L’immagine è stata ricostruita come una figura stante che reggeva nell’incavo del braccio destro la cornucopia, simbolo della divinità. Bibliografia : http://www.centralemontemartini.org